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Autore: MercuryGirl93    17/03/2022    3 recensioni
*LA STORIA VERRA' A BREVE ELIMINATA*
Federico, ragazzo introverso e apatico, subisce la sua vita con passività, insoddisfatto della famiglia e delle sue amicizie. Sarà l'incontro con Emma, vivace quanto misteriosa, a spronarlo a cambiare e ad accendere in lui la curiosità di guardare il mondo con occhi diversi.
Ma chi è Emma? Una favola vissuta da Federico ad occhi aperti o una persona vera, in carne ed ossa?
Mentre il mistero di questa figura quasi fiabesca vi accompagnerà tra le righe di questo racconto, l'amore sarà il garante di una crescita personale e di un introspezione sempre più profonda di un ragazzo smarrito.
Dalla storia:
"Emma sbuffò esasperata. –Mi baci o no?
Federico la osservò: aveva le guance tinte di rosso, anche se la cosa poteva passare inosservata dato il buio. La trovò irresistibile, quell’insistenza quasi infantile che aveva nel volerlo baciare era deliziosa e inaspettata. - No.
-E perché? - domandò indispettita, sfoggiando la sua migliore espressione contrariata: le labbra arricciate, gli occhi verdi taglienti.
-Perché il tuo chiederlo mi ha fatto passare la voglia –
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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IX Rododendro
 
Una giovane coppia decise di fare una passeggiata lungo uno dei tanti sentieri che disegnano le montagne.
I due si fermavano sovente ad ammirare i fiori che sorgevano numerosi nei pressi della stradina.
Ad un tratto la ragazza vide un bel fiore che spuntava nei pressi di un cespuglio costituito solo da foglie.
L'innamorato per donarglielo, si sporse troppo e scivolò in un burrone nascosto dalla vegetazione.
In seguito alla caduta, alcune gocce di sangue si riversarono su quello strano cespuglio ed improvvisamente spuntarono dal nulla tante corolle di color porpora, i rododendri.*
 
 
Quella mattina avvennero una serie di cose assolutamente prevedibili e scontate, a testimonianza del fatto che la routine di Federico era statica, composta sempre dalle stesse persone che, attorno a lui, facevano sempre le stesse cose.
Si alzò dal letto, stiracchiandosi alla luce del sole. Emma dormiva ancora, nuda, con la coperta scalciata fino alla base del letto. Rannicchiata su sé stessa, tendeva la mano verso il punto che prima occupava Federico. Aveva dormito con lui tutte le sere, durante quella settimana. Come un gatto randagio, la sera si arrampicava sull’albero accanto alla finestra e si infilava tra le sue lenzuola, trovando in lui riparo e conforto. Non cercava in lui soltanto sesso, ma anche tenerezza e conforto, una coccola, un abbraccio durante la notte.
Federico le mise le lenzuola addosso e le fece una carezza tra i capelli spettinati, avendo cura di non svegliarla.
Andò in bagno a lavarsi e una volta tornato, un quarto d’ora dopo, già Emma non c’era più. Era probabilmente andata via dalla finestra, dalla stessa da cui era entrata, senza avergli dato l’occasione di salutarla prima di dileguarsi.
Sulla sua scrivania troneggiava un biglietto con piccoli scarabocchi arzigogolati: “A dopo” recitava, una promessa ormai ricorrente tra di loro.
-Prevedibile- si disse Federico con un sorriso.
Era nell’indole di Emma essere sfuggente, lo aveva capito. La sua sparizione non gli arrecò alcuna sorpresa. Quella, invece, arrivò quando constatò che la ragazza aveva portato via tutti i suoi vestiti. Tutto ad eccezione del suo reggiseno e dei suoi slip: glieli aveva lasciati sul letto, come una sorta di cimelio, e lui immaginò il suo sorriso giocoso nel fare quel gesto.
Mentre si incamminava verso il piano di sotto, la sua attenzione venne richiamata.
-Fede! - cinguettò Alberta dal suo lettino rosa sgargiante, in camera sua.
Federico la raggiunse in prossimità del suo lettino. - Tesoro! Dimmi tutto.
La piccola si stropicciò gli occhietti stanchi e si alzò dal letto, sfoggiando il suo pigiamino fucsia. –Giochiamo con le bambole con Emma?
Anche Alberta si era ormai abituata alla presenza di Emma: nei pomeriggi in cui la madre era a lavoro, avevano giocato insieme, con grande gioia della piccola, la quale era stata abbastanza furba da non fare il nome di Emma davanti a Simona, come se la sua presenza fosse un segreto da conservare insieme a Federico.
-Non c’è oggi – le spiegò Federico, carezzandole i capelli scompigliati,
-È andata via? Ma viene dopo? - chiese la bambina, sconsolata. –Giochiamo lo stesso, io e te?
-Certo che giochiamo lo stesso – le sorrise, guadagnandosi un abbraccio e un bacio dallo schiocco esagerato.
Albertina prese a saltellare, afferrando le sue bambole con una velocità sovrumana. Federico pensò che non fosse la prima volta che le vedeva fare quel balletto divertente: era un rito, il festeggiamento perché il fratello maggiore voleva partecipare ai suoi giochi. Era una cosa che faceva sempre. Quindi, ancora una volta, prevedibile.
Non che gli dispiacesse giocare con la sorellina, certo, anzi era più che felice di aver finalmente instaurato con lei un rapporto.
-Che ne dici se prima facciamo colazione? - propose, quando la bambina gli riempì entrambe le mani di bambole e vestiti colorati.
Albertina soppesò le parole di lui più a lungo del necessario. Lanciò le bambole sul suo letto, tra le centinaia di pupazzi colorati. –Certo!
I fratelli scesero entrambi in cucina, dove Simona trafficava con pentole e caffettiera. –Buongiorno tesoro- disse felice, stampando un bacione sulle guanciotte piene della figlia.
Federico le fece un cenno con la mano ed allungò la mano verso il caffè. L’aroma bastò a risvegliargli i sensi.
-Cosa avete fatto ieri? - chiese la donna, allungando fette biscottate spalmate di marmellata alla fragola ad Alberta.
La bambina prese a rosicchiare la prima, lasciando briciole ovunque.
-Niente di che: abbiamo giocato insieme con le bambole- glissò Federico.
-Federico ha promesso di comprarmi una bambola nuova! - esultò Alberta, mimando con le manine la silhouette della Barbie che desiderava.
Simona non parve soddisfatta: -E non è venuto nessuno? – rintuzzò, come se sapesse che a quel racconto mancavano dei dettagli.
Ecco un’altra cosa prevedibile della sua quotidianità, si disse Federico: gli interrogatori della madre, alla ricerca di risposte a domande che conosceva solo lei. Certo, questa volta il suo naso da cane da tartufo poteva fiutare il tesoro, il segreto che entrambi i suoi figli gli celavano, complici, ma non l’avrebbe mai trovato. L’ultima persona a cui avrebbe detto di Emma era lei.
Certamente la sua esistenza non era più un segreto, né per il padre né per Annamaria, ma non si fidava abbastanza della madre da lasciarsi andare alla verità.
Federico scosse la testa. –Solo io ed Alberta.
La cosa incredibile fu vedersi assecondato dalla sorellina minore, che continuò a divorare indisturbata la sua colazione. Perché tacesse ancora non lo sapeva - di certo lui non glielo aveva chiesto - ma domandarsi il motivo per cui una bambina di sei anni agisse in un certo modo era inutile. Era pur sempre troppo piccola per avere una coscienza decisionale sulle cose.
Simona guardò la figlia scettica: il suo piccolo soldatino ubbidiente ormai complice del figlio orso.
-Ieri sera ti ho sentito parlare con qualcuno, in camera tua.
Federico restò impassibile, Alberta continuò a mangiare come se non avesse sentito nulla.
Emma aveva dormito in camera sua e, prima di addormentarsi, avevano bisbigliato scherzosamente, complici. Certamente la madre non era una sciocca, era assolutamente plausibile che li avesse sentiti, che fosse curiosa di sapere chi ci fosse e anche un po’ infastidita perché non lo aveva mai autorizzato a portare a dormire ragazze, sotto il loro tetto.
In quel momento, a disincastrarlo da quella situazione, fu il suono del campanello.
-Era il computer- disse sbrigativo, prima di alzarsi per andare a aprire.
La madre stava per protestare, poiché la risposta che le era stata fornita era lontana anni luce dalla verità, e lo sapeva, ma Federico era ormai davanti alla porta di ingresso. E, quando la aprì, lo schema ripetitivo delle sue giornate venne alterato.
Giancarlo Visconti guardò il figlio con un sorriso smagliante, in attesa di una qualche reazione da parte sua.
Fu Albertina, corsa dietro al fratello, forse speranzosa di vedere Emma, a dare il via alle danze: -Papà! - gridò a pieni polmoni, correndo a piedi nudi verso il padre, che abbandonò qualsiasi cosa avesse in mano per poter abbracciare la figlia piccola.
-Visto che non hai avvisato, dormirai sotto un ponte- sorrise Federico, il cuore che gli batteva a mille per la gioia di vedere il padre, ma il viso di chi voleva rimanere impassibilmente sarcastico anche davanti a una cosa come quella.
Giancarlo rise, ravvivandosi il ciuffo di capelli castani, identici a quelli del figlio. - Me lo aspettavo, quindi sono passato a fare la conoscenza del barbone che ci vive prima di venire- ammiccò al figlio. -Ha detto che vuole cento euro per farmi restare.
-Che bello papà! - saltellò Alberta, stampando baci sulle guance di Giancarlo.
-Forse sarebbe stato più economico un bed-and-breakfast – proseguì Federico, restando sempre fedele al gioco che avevano appena intrapreso.
-Giancarlo.
Simona era stata incolore nel pronunciare il nome dell’ex marito. Se ne stava in fondo al corridoio, a guardarlo come se fosse una visione, come se non fosse realmente lì.
Federico notò subito come si torturava le mani, una tipica dimostrazione del suo nervosismo.
-Simona! - Il padre fu cordiale, sorridente, disinvolto, nel salutarla. Affrontò la situazione di petto. –Come stai?
La donna annuì, vaga. –Bene, grazie.
La sorpresa di vederlo doveva essere stata troppa, soprattutto perché erano passati due anni dall’ultima volta che aveva suonato il campanello di quella casa.
-Ce l’hai un regalino per me? - saltellò la bambina, privando il padre della sua stretta.
Giancarlo ammiccò alla piccola. –Ma certo che ho un regalo per la mia pulce.
Tirò fuori da uno zaino un pacco incartato di fucsia con un bel nastro colorato. Alberta si liberò della carta in un attimo e lanciò gridolini entusiastici alla vista del camper di Barbie. Corse su per le scale. –Devo mostrarlo alle mie bambole!
-Non dovevi portarle niente- disse Simona, rigida come una statua di gesso in fondo al corridoio.
Giancarlo raccattò le sue borse da terra e Federico lo lasciò entrare in casa. –Non le facevo un regalo da secoli.
-Puoi lasciare le cose in camera mia- fece un cenno al padre.
Quest’ultimo annuì ma, prima di salire su per le scale con il figlio, allungò a Simona un mazzo di fiori arancioni. –Sono rododendri, spero ti piacciano- le sorrise.
Federico si sentì quasi in imbarazzo a ritrovarsi in mezzo a quella conversazione. C’erano evidentemente delle cose irrisolte tra i suoi genitori e lui, a fare da perno in mezzo a loro, sentiva l’imbarazzo e la confusione provenire da entrambe le parti, anche se Simona era più limpida mentre Giancarlo più misurato.
La donna accettò il dono senza guardarlo negli occhi, osservando i fiori dal colore acceso, i petali che si incastravano in un disegno perfetto.
-Grazie- disse solamente, senza muoversi di un centimetro dalla sua posizione.
Federico notò come osservava Giancarlo mentre saliva le scale, ma non se ne curò, e seguì il padre al piano di sopra.
 
-Non mi hai ancora spiegato perché sei qui- chiese Federico al padre, mentre la cameriera del Bangladesh gli serviva due birre ghiacciate.
Dopo il pranzo imbarazzante, Simona si era dileguata con la figlia Alberta per fare delle presunte urgenti spese, e non erano più tornate. Alla fine, Federico aveva preferito chiedere al padre di uscire, consapevole che Simona volesse una pausa da quel tornado che gli aveva stravolto la giornata.
-Ci deve essere per forza una ragione? - rise Giancarlo, sorseggiando la birra ghiacciata. –Volevo vedere i miei figli, tutto qua.
Federico notò lo sguardo curioso della cameriera, mentre si allontanava. Lui e il padre erano identici, come due gocce d’acqua. Se non avessero avuto una significativa differenza d’età, potevano essere scambiati per gemelli. Stessi capelli castani, occhi nocciola, barba piccola e pungente, stessi tratti mediterranei. Era come guardarsi in uno specchio.
-Stronzate: erano due anni che non ti facevi vivo a casa, se avessi voluto vedere solo me ed Alberta ti bastava fare uno squillo per darci appuntamento – borbottò Federico, che di sentirsi dire bugie dal padre proprio non aveva voglia.
Giancarlo fece una smorfia annoiata. –Mamma mia che ragionamento di ferro. Da quando sei così intelligente?
Alzò gli occhi al cielo, dedicandogli un’espressione fintamente scocciata. - Ho preso tutto da te.
-Cazzo, questo non mi consente di fare battute- sbuffò il padre.
-Provi a glissare le mie domande? Credevo che fosse la mamma quella che ha sempre qualcosa da nascondere- concluse, sorseggiando la birra fredda.
Giancarlo rise. –In realtà non mi hai fatto nessuna domanda.
-Perché hai interrotto il mio ragionamento- borbottò. –Stavo per arrivare alla conclusione.
-E quale sarebbe, Sherlock? - indagò incuriosito.
-Aspetto una tua confessione.
Giancarlo sollevò gli occhi al cielo, scocciato. –Che palle, se avessi saputo che mi avresti fatto il terzo grado sarei rimasto dov’ero.
Federico rise. –Sei venuto per la mamma, vero?
Quella idea aveva serpeggiato nella testa di Federico dal momento in cui aveva visto il padre tenderle il mazzo di rododendri arancioni. L’espressione del padre, sorriso impassibile e rilassato, ne fu la conferma. Avevano lo stesso modo di reagire nei momenti di difficoltà: non si sbilanciavano troppo, così che gli altri non scoprissero i loro punti deboli.
-E a questa brillante conclusione come sei arrivato? - rise Giancarlo.
Federico fece spallucce. –Non saresti venuto a casa se non per vedere lei.
-Bah, non lo so neanche io- rispose il padre, muovendo la mano come per scacciare una mosca fastidiosa. –Ci ho pensato, dopo che me lo hai chiesto.
-Che hai pensato?
-Non so neanche questo- rise. –Più che un ragionamento logico erano una serie di immagini sconnesse di tua madre… Così l’ho chiamata.
 
-Federico è sempre più sfuggente: esce, probabilmente beve più di quanto dovrebbe, e sospetto che mi nasconda una ragazza.
Simona chiacchierava da un’ora. Il modo in cui riusciva a spararti addosso tutto quello che pensava, come una mitragliatrice di parole, era sorprendente, aveva sempre pensato Giancarlo.
-Ti nasconde una ragazza?
-Sicuro! - cinguettò la donna. –Ma me lo dirà, ne sono sicura. Farò in modo che me lo dica.
-Come fai ad esserne sicura? - rise Giancarlo.
E lei riprese, senza prendere fiato prima di parlare: -Sono una madre e le madri se le sentono queste cose: è come se i figli ti mandassero delle vibrazioni, e i padri non possono sentirle, solo le madri. A te per caso ha detto niente? A volte mi sembra assurdo che parli più con te che con me, mi ha qui a due passi. Senza nulla toglierti, figurati, ma parlare con me dovrebbe essere più facile. Fosse solo parlare, poi: mi tratta quasi come una perfetta estranea. Se non altro ha ripreso i rapporti con Alberta: giocano sempre insieme, sai? Sarebbe paradossale se si confidasse più con lei che con me…
Lei proseguì, ma Giancarlo smise di ascoltarla: quel discorso lei glielo aveva già fatto e non aveva voglia di risentirlo. Parlare così tanto e a quella velocità era solo un modo per non lasciar trapelare null’altro che li riguardasse.
-Simona senti…
Lei tacque, probabilmente sorpresa dal sentirsi interrompere dall’ex marito, che di solito la lasciava libera di ciarlare. –Eh?
-Tu come stai?
-Come sto io?
-Sì, come stai tu.
La donna non disse nulla per qualche istante. –Sto bene… grazie?
-E cosa hai fatto in questi giorni?
Ancora una volta il silenzio poi il suono di qualcosa che, dall’altra parte della cornetta, cadeva. –Devo andare, ci sentiamo!
E, mentre lei attaccava, Giancarlo premette invio per prenotare un biglietto aereo.
 
-Continuo a non capire- disse Federico, grattandosi la nuca. Si sentì più confuso che persuaso da quella storia.
-È che ho sempre avuto la sensazione che il suo straparlare di voi durante le nostre telefonate fosse un modo per evitare di affrontarmi- spiegò l’uomo, pensieroso. -La sua difficoltà alla mia domanda ne è stata alla conferma.
Federico scosse la testa. –La conferma di cosa?
Giancarlo fece un’espressione annoiata. –Sei sicuro di aver preso la tua intelligenza da me? Io mi vanto di essere una persona perspicace.
-Illuminami – lo rintuzzò il figlio. Non aveva voglia di indagare le complesse paturnie celate dal rapporto dei suoi genitori, voleva solo sentirsele raccontare e trarne le sue conclusioni.
-Si sente in colpa, quindi cerca di evitare di parlare di noi o di qualsiasi altra cosa la riguardi, coprendo il tutto con una serie di chiacchere su di voi.
Federico pensò che il ragionamento filasse alla grande. –E con ciò? Perché venire qui?
-Voglio costringerla ad affrontarmi, così per una volta nella sua vita si esporrà come si deve su quello che vuole e quello che pensa- fece spallucce l’uomo, e bevve ciò che restava della sua birra.
-E tu che cosa vuoi?
Giancarlo tacque, cosa strana dal momento che aveva sempre la risposta pronta, per tutto: era sempre stato in grado di dissimulare, sfuggire a conversazioni compromettenti con una battuta brillante. Forse, in quell’occasione, non aveva voglia di scherzare, voleva solo avere il tempo di riflettere.
–Chiudiamo questo discorso: non voglio parlare dei miei problemi con mio figlio, se mai dovrebbe essere il contrario.
Capì che, se Giancarlo era tornato, era per sapere se Simona voleva tornare con lui, perché probabilmente lui, dal canto suo, lo voleva. Del resto, non era stato lui a tradirla, a mandare in malora il loro matrimonio.
Federico decise che non erano affari suoi ciò che avveniva tra il padre e la madre, e, comunque, non gli importava.
-Io non ho nessun problema- scrollò le spalle, poi tentò di alleggerire la situazione scherzando: –Sei tu che sembri essere in piena crisi adolescenziale.
-Stronzetto- sibilò il padre, ordinando un’altra birra alla cameriera con un cenno. –Ricordami di non parlarti mai più di cose che mi riguardano, nemmeno se mi implori pur di saperle.
-Non mi abbasserei mai a tanto- ghignò.
Giancarlo sbuffò annoiato. –Piuttosto, conoscerò mai la tua donzella?
Federico alzò gli occhi al cielo. -Non è né mia né una donzella.
-Cazzo quanto sei scontroso, guarda che non insisto come tua madre: se non vuoi parlarne non lo faremo – rise il padre, bevendo un altro sorso di birra.
-È che la definizione che hai usato mi fa salire la bile, lei è tutto fuorché una donzella e tutto fuorché mia- borbottò. –È solo Emma, e basta.
Giancarlo lo guardò scettico, le sopracciglia aggrottate. –Bene, dov’è Emma?
Sicuramente, la loro non era una relazione per la quale sapessero in ogni istante che cosa facesse l’altro. Non si sentì in imbarazzo nel non sapere dove fosse, né che cosa stesse facendo, così come lei non lo sapeva di lui.
-Non lo so – fece spallucce, noncurante, senza lanciarsi in giustificazioni di alcun genere.
Il padre ridusse gli occhi a due fessure, con un fare quasi inquisitorio che non gli si addiceva. -Immagino che tua madre non lo sappia.
-Immagini bene – confermò Federico. -Non ho intenzione di dirle niente a riguardo, sai com’è fatta.
-Già – ridacchiò Giancarlo, concorde con il figlio. -E lei cosa fa, studia?
Federico mugugnò, sfregandosi il mento ruvido a causa della barba. - Forse.
-Fa sport?
Fece ancora spallucce. –Non lo so.
Il padre scosse la testa più volte, contrariato. –Mettiamola così: che cosa sai di lei?
Si sentì messo alle strette da quella domanda, come se Giancarlo avesse captato qualcosa che non andava, in quella storia. Probabilmente agli occhi del padre sembrava inconsistente l’immagine di Emma, quasi come se non fosse neanche una persona vera, con interessi, passioni, obiettivi.
Semplicemente, Federico non la conosceva abbastanza a fondo da sapere quelle cose che la gente banale condivideva da subito, ma non erano mai state cose essenziali per lui. Emma non era meno vera ai suoi occhi perché non sapeva se nella vita volesse fare il medico o l’avvocato.
-Abbastanza – disse quasi sulla difensiva, consapevole di come quella storia apparisse ad occhi esterni.
-Non è vero- lo riprese il padre, come era prevedibile. –Non sai niente. Non la conosci proprio.
Forse, per i tipici standard di conoscenza reciproca, quell’affermazione era vera, ma Emma era una persona fuori dal comune, da qualsiasi canone sociale comprensibile, e lui si era ritrovato coinvolto da lei senza neanche accorgersene.
Federico rispettava i ritmi di lei, perché in qualche modo erano stati quelli a conquistarlo.
-Conosco il suo modo di essere – si difese nuovamente, sentendosi messo alle strette. Non riusciva a spiegare come stessero le cose.
Giancarlo lo provocò: -E ti basta?
-Ma chi sei, la mamma? – lo prese in giro, per discostare un attimo la conversazione da quelle domande pressanti a cui non sapeva rispondere.
Il padre sollevò entrambe le sopracciglia, eloquente e furbo. -Ti dà fastidio non saper rispondere, vero? - Federico non rispose, allora il padre proseguì: -Ti sto chiedendo cose banali, eh.
A quel punto si sentì scocciato, perché in fondo il padre aveva ragione: forse non sapeva davvero nulla di lei, non perché non gli importasse ma perché lei non gliele aveva dette.
-Non hai mai la curiosità di sapere come passa le sue giornate, le sue aspirazioni per il futuro, cosa ha passato prima che vi conosceste? – proseguì Giancarlo.
Federico, ormai nel pallone, pensava alle cose che aveva colto di lei, non che sapeva come certe. Anche in quel caso, erano poche, anche se sufficienti a fargli determinare che Emma gli piaceva.
-Possiamo non parlarne? - se ne uscì alla fine, evasivo.
-Certo- fece spallucce Giancarlo, poi tacque. Sorseggiavano entrambi la birra, quando il padre riprese la parola: -In questo assomigli a tua madre, sai?
Federico storse il naso: quel paragone lo infastidiva. -In cosa?
-Quando sei in difficoltà, non affronti le discussioni.
 
Poco dopo, il padre si era avviato verso casa e lui, seccato com’era, si era congedato dicendogli che voleva starsene un po’ per i fatti suoi a disegnare. Giancarlo non aveva protestato, discreto com’era, e non aveva aggiunto nient’altro, per evitare di infastidire ulteriormente il figlio.
Mentre scavalcava gli scogli per scendere sulla sabbia gelida, Federico scorse una figura nell’oscurità. Emma si abbracciava le ginocchia, lo sguardo rivolto verso il mare schiumoso, il cellulare incastrato nell’incavo del collo.
Quando si avvicinò, sentì l’interlocutore di Emma gridare cose che non riuscì a comprendere, la voce agitata e febbrile.
-Non mi importa, ormai manca poco - sibilò Emma, la voce cattiva come non gliel’aveva mai sentita.  Sembrava quasi che stesse sfidando chiunque ci fosse dall’altra parte, a far cosa non era dato saperlo.
Attaccò la telefonata, lanciando un sospiro esasperato, e si passò le mani sul viso. Fu in quel momento che si rese conto di non essere sola: si voltò verso Federico, sentendo il suo sguardo addosso, e gli sorrise con un’allegria che non aveva nulla a che vedere con la rabbia che covava poco prima. Era sinceramente felice di vederlo, quasi come se lo avesse aspettato, certa che lui l’avrebbe raggiunta da un momento all’altro.
-Tutto bene? – chiese lui, sedendosi al fianco di lei.
Annuì, tranquilla. -Sì – confermò, strisciando accanto a lui.
Federico le mostro il blocco che stringeva tra le mani. –Volevo disegnare.
In realtà sperava anche lui di incontrarla, se non durante il tragitto, almeno a destinazione. E così era stato, come se i loro destini fossero intrecciati.
-Volevi disegnare il mare? Credevo preferissi le persone – commentò lei, guardando di fronte a sé e appoggiando la testa sulla spalla di lui. Era come se trovasse in lui conforto dopo la discussione che aveva avuto al telefono, anche se non glielo aveva rivelato.
-Occasionalmente disegno persone, non sono il mio soggetto preferito- spiegò lui, aprendo il blocco in una pagina bianca. Le accarezzò i capelli. -Con chi parlavi al telefono? Sembravi arrabbiata.
-Avevano sbagliato numero- sorrise innocente, anche se aveva detto una bugia. Il tono che aveva assunto era troppo confidenziale.
Deluso da quelle risposte incomplete prese a disegnare il modo in cui la schiuma s’infrangeva nell’acqua scura. Il carboncino gli sporcò subito tutte le dita di nero.
-Sei bravo- sussurrò Emma.
-Se mi stai così addosso diventerà presto arte astratta- disse lui, quando lei poggiò il mento sulla sua spalla.
Ridacchiò ma non si scostò, come se avesse bisogno del contatto di lui e non potesse scostarsi. - Mi sono piaciuti anche i miei ritratti – aggiunse.
Federico la guardò con la coda dell’occhio. - Se vuoi te li regalo.
Nessuno dei due scostò per un secondo lo sguardo dal foglio bianco, trafitto da linee scure: lui perché doveva concentrarsi, lei perché si sentiva ipnotizzata dal modo in cui le mani di lui si muovevano.
-No, tienili- sussurrò lei, fin troppo vicina al suo orecchio. –Mi sento un po’ la tua Musa ispiratrice.
-Questo mi sembra eccessivo da dire – rise.
-Perché non mi inserisci anche in questo? Proprio qui- fece lei, indicandogli un punto del foglio ancora bianco.
-E in che posizione dovrei disegnarti?
Lei mugugnò. –Sei tu l’artista.
-Sei tu che vuoi essere inserita- sorrise lui, allungandole il carboncino. –Fallo tu.
Emma afferrò il bastoncino scuro, stringendolo tra le dita sottili in modo errato, constatò Federico. Iniziò a muoverlo sul foglio, tracciando linee a casaccio nel tentativo di dare forma a una figura umana. Ad ogni mossa, corrispondevano almeno cinque errori.
-Ma se cerchi di fare una linea te ne vengono fuori due- protestò lei, agitandogli sotto il naso ciò che la indispettiva tanto. Aveva le dita sottili tutte sporche di scuro.
Federico rise, scoccandole un bacio sulla tempia. - Questo perché sei completamente sgraziata nell’utilizzarlo – la prese in giro, sentendo come la necessità di doversi ridimensionare dopo la dolce attenzione che le aveva riservato.
Emma soffiò come un gatto arrabbiato. –Sei tu l’esperto, manine di fata.
–Manine di fata?
Si voltò a fissarla, il viso di lei a pochi passi dal suo. Aveva gli occhi così grandi che sembrava scrutare oltre tutto, le labbra schiuse in una frase incompleta, o in attesa di qualcosa che aveva imparato a non richiedere.
Le sfiorò le labbra con le sue, ed Emma sembrò già pregustare la vittoria, ma l’attenzione di Federico venne catturata da altro: ad un passo dal vivere con lei un altro momento di intimità, ripensò alle provocazioni del padre di quel pomeriggio, così saggie e veritiere. Non riusciva a togliersi quel fastidioso ronzio dalla testa, l’idea che Emma fosse una perfetta estranea con la quale però viveva momenti perfetti.
-Cos’hai? - gli chiese lei, una volta accortasi di quanto lui fosse distante.
Lui le sorrise. -Pensavo.
-Ma dai? – scherzò lei. -Devo prenderti davvero poco se ti distrai subito prima di baciarmi.
Federico le fece una carezza sul viso, come a richiamare la sua attenzione. -Pensavo a te, sciocca.
-Eh? – borbottò, in un muto incoraggiamento a chiarirle a cosa stesse pensando di specifico.
-Emma, non so quasi niente di te.
Lei lo guardò seria, ma il suo sguardo era indecifrabile: Federico non riusciva a capire cosa stesse frullando esattamente nella sua testa. Sospirò rumorosamente, come ad esternare del disappunto, o una consapevolezza, come se si aspettasse che prima o poi lui iniziasse ad indagare visto quanto si stavano avvicinando.
-È questo il problema? - chiese lei retoricamente. 
-Non ho mai detto che è un problema – fece lui, calmo. Voleva incoraggiarla ad aprirsi, non spaventarla o fare pressione su di lei, quindi doveva approcciarla nel modo giusto.  
Lei parve infastidirsi. -Allora perché ne parliamo?
-Perché vorrei sapere di più.
-Cosa ti importa? – sbuffò lei, iniziando a torturarsi le mani. Cercò di nascondere il nervosismo, ma Federico fu abile a riconoscerlo. Non sapeva niente di lei, ma la conosceva: non c’era dettaglio di Emma che riuscisse a sfuggirgli.
-Mi importa di te.
Quella frase, detta da lui, valeva più di una dichiarazione d’amore, più di qualsiasi attenzione qualunque altra persona potesse riservarle. Emma, consapevole di questo, si lasciò andare un po’ di più, scaricando il fastidio che aveva accumulato negli ultimi minuti con un sorriso.
-Anche a me importa di te – gli disse. Suonava come una confessione, una promessa: era evidentemente consapevole di quanto poco si fosse esposta con lui relativamente alla sua vita, ma era anche speranzosa che lui la lasciasse in pace, almeno in quel momento. Non era pronta a scoprirsi più di quanto non avesse fatto, questo a Federico divenne subito chiaro.
Si sentiva in bocca un sapore amaro di sospetto, ma lasciò correre, perché di rinunciare a Emma proprio non aveva voglia.
 
 
Il rododendro, considerato il re degli arbusti tra le piante da fiore sempreverdi dei paesaggi temperati, è un simbolo di eleganza, di bellezza e di temperanza in virtù della moderazione. Nel linguaggio dei fiori, è anche il fiore per suggerire cautela in vista di insidie, dettata dalla tossicità
di alcune specie di rododendro.  
[www.giardinaggio.net]
 
*Fonte: https://www.inalto.org/it/schede/leggende/la_nascita_del_rododendro
 
Buongiorno! Spero che stiate bene e rinnovo i miei ringraziamenti per le letture e i feedback che sta ricevendo la storia. 
In questo momento sono indecisa se proseguire con la pubblicazione il lunedì o il giovedì, perchè una delle due giornate volevo dedicarla alla ripubblicazione di un'altra storia che ho scritto in passato e che mi piacerebbe condividere. Fatemi sapere anche voi che giornate preferite per leggere il capitolo! 
Buona giornata! 
   
 
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