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Autore: Sweet Pink    17/03/2022    2 recensioni
Impero Britannico, 1730.
Saffie Lynwood e Arthur Worthington non si potrebbero dire più diversi di così: freddo quanto implacabile giovane Ammiraglio della Royal Navy lui, allegra e irriverente ragazza aristocratica lei. Dire che fra i due non scorre buon sangue è dire poco, soprattutto da quando sono stati costretti a diventare marito e moglie contro la loro stessa volontà e inclinazione!
Entrambi si giurano infatti odio reciproco, in barba non solo al fatto di essere i discendenti di due delle più ricche e antiche famiglie dell'Impero, ma pure alla vita che sono sfortunatamente costretti a condividere.
Eppure, il destino non è un giocatore tanto prevedibile quanto ci si potrebbe aspettare, poiché sono innumerevoli i segreti che li tengono incatenati l'uno all'altra; segreti, che risalgono il passato dei Worthington e dei Lynwood.
E se, con il tempo, i due nemici si scoprissero più simili di quanto avrebbero mai immaginato, quale tremendo desiderio ne potrebbe mai derivare?
Genere: Romantico, Sentimentale, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Storico
Capitoli:
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Avvertenza: Rating Rosso per questo capitolo, pure se personalmente non credo vi siano scene troppo “sconvolgenti”, ma preferisco avvertire!

Io sarò ad attendervi sul fondo come al solito, quindi – se vi va – ci vediamo a fine lettura! :D

Buon proseguimento.





CAPITOLO DODICESIMO

QUESTO SIGNIFICA ESSERE ME






Doveva trattarsi solamente di una insignificante questione di affari.

Una trattativa indolore, come tante ce n’erano state negli anni passati. Un accordo pianificato da due fra le più potenti e antiche famiglie dell’Impero Britannico, atto a garantire la prosperità e gli interessi di ambedue le parti, perché era quella la maniera in cui le persone civili regolavano le esistenze del mondo a cui appartenevano. Ed era lo stesso mondo di cui anche lui faceva parte o, perlomeno, questo è ciò che Simeon Worthington gli aveva sempre detto e ripetuto fin da quando l’aveva riportato alla luce.

Non era stato affatto facile per Arthur abituarsi al modo di pensare di suo padre, per lui del tutto nuovo e incomprensibile, quasi quanto lo era la sciocca spensieratezza di Benjamin Rochester, l’orfano che l’Ammiraglio aveva preso sotto la sua protezione per sopperire alla perdita del figlio vero. Quale senso poteva avere sprecare preziose ore inchiodato su una sedia per imparare nozioni inutili – frivole regole di comportamento – quando bastava allungare le braccia e afferrare a piene mani ciò che si desiderava possedere?

Oh, ma aveva imparato comunque ad adeguarsi alla ricchezza…al potere.

D’altronde, se c’erano due cose che gli erano sempre venute naturali come respirare, queste erano l’eccellere e il fingere: non aveva impiegato che pochi mesi ad apprendere tutto ciò che avrebbe potuto far di lui un perfetto piccolo gentiluomo – un adorabile signorino istruito – mentre, d’altra parte, era stato forse più complicato nascondere la fame crudele che gli aveva fatto compagnia durante i suoi ultimi cinque anni di prigionia; quel morboso bisogno di prendere e prendere ancora, protendersi verso una luce lontana e irraggiungibile, si agitava ogni minuto dentro alle sue viscere senza lasciargli pace alcuna.

Suo padre gli era infine venuto in aiuto una seconda volta, pronunciando la frase che l’aveva salvato.

“Questa tua fame non è un male, Arthur. Trasformala in incrollabile forza di volontà e, vedrai, potrai esaudire ogni tuo desiderio, mettere in ginocchio il mondo intero.”

Così, a undici anni appena compiuti, egli aveva compreso con cristallina chiarezza dove avrebbe condotto la sua strada poiché, fedele alle parole di Simeon Worthington, aveva forzato la sua voracità capricciosa a tramutarsi in ambizione inamovibile e assoluta. Il resto era venuto da sé, visto che scalare la gerarchia della Marina Britannica era stato tanto facile quanto dare da bere a delle oche in uno stagno: certo, all’inizio l’influenza e le sterline dell’Ammiraglio erano state fondamentali, ma era bastato veramente poco tempo per far comprendere alla Royal Navy con chi effettivamente aveva a che fare.

Aveva imparato a comportarsi da gentiluomo in un anno, mentre già uccideva da cinque.

Un’abilità che aveva appreso a suon di frustate da lui in persona. Lui, l’uomo che incarnava il fondale del suo amato ed odiato abisso di oscurità accecante; lui, l’incubo a cui cercava di sfuggire inutilmente da ventidue anni, malgrado un voce molesta dentro al suo animo continuasse a sussurrargli quanto gli stesse diventando ogni giorno più simile. Di come, volente o nolente, egli portasse disgrazia e rovina nelle vite delle persone che gli si avvicinavano, perché era nato per questo…saper solo fare del male.

Non che questo gli fosse mai importato troppo, in realtà. Finché aveva potuto lasciare il controllo alla sua crudele e ferma ambizione, al terribile carattere che ne derivava, appropriarsi di un denaro e un potere smisurati era stata una passeggiata dolce e piacevole, dove le vite altrui rappresentavano in fondo dei minuscoli sassolini sul bordo della strada. Non vedeva perché dovesse mostrarsi misericordioso nei confronti dei pochi che si opponevano alla sua volontà, di chi aveva la sventurata intenzione di fargli del male, come se lui fosse ancora il gracile e spaventato bambino di un tempo.

Nessuno poteva più toccarlo, ferirlo per davvero.

Al di là della fame capricciosa, dell’ambizione, Arthur poteva affermare di non provare altro sentimento se non l’alienante paura che di tanto in tanto si divertiva un mondo a tornare a galla e ridurlo ad un inutile fascio di patetici nervi, mentre gli diveniva impossibile sia respirare che ignorare le facce vuote di coloro che aveva ucciso. Non guardare gli occhi verdi ed esausti di sua madre, prima che quest’ultima gli voltasse le spalle e corresse via, disperata. No, terrorizzata.

“Come se la tua vergognosa madre avesse avuto molta scelta, comunque.”

Dimenticalo. Dimentica tutto.

E lui aveva dimenticato, cancellato.

In questo modo aveva proceduto, camminato senza voltarsi indietro, lasciando dietro di sé una scia di sangue che di anno in anno diventava tanto più lunga quanto la sua carriera e la sua reputazione si facevano grandi. Così, con la stessa fredda indifferenza, aveva ascoltato la proposta fattagli da suo padre un lontano giorno del 1725: Worthington prospettava di stringere un accordo con il suo fidato amico d’un tempo, lo scaltro e vanitoso Duca di Lynwood, di modo che potessero pianificare un legame degno di entrambe le famiglie, unendo ricchezza e lignaggio; il matrimonio con la minore delle sue figlie era ciò che lo stesso Alastair aveva promesso a Simeon, ma solo a patto che trovassero ad ogni costo Saffie Lynwood, sconsiderata primogenita e – da quello che l’Ammiraglio aveva dichiarato con gran divertimento – testarda combinaguai.

“Dicono che la signorina Amandine possegga la bellezza di una Dea, malgrado la fragilità della sua sfortunata salute” aveva dichiarato suo padre, sbuffando alla stregua di un bambino capriccioso. “E dire che, fino a un mese fa, credevo Alastair avesse intenzione di destinarti sua figlia maggiore…insomma, è pur sempre senza marito!”

Uno strano e sgradevole sentimento si era agitato per un istante dentro al cuore di Arthur, ed egli aveva incrociato le braccia al petto ampio, appoggiandosi appena alla parete dietro di lui con la schiena. “Non ho intenzione di prendere in moglie una donna che, per amore di un plebeo qualunque, è capace di gettare al vento qualsiasi ragione e dimenticare il suo posto, rovinandosi la vita.”

Un breve silenzio era caduto fra loro e Simeon aveva alzato due acute iridi grigie su di lui, sorpreso dal tono leggermente aspro con cui il figlio aveva articolato quelle parole al limite dell’ingiurioso. “Oh, non hai che di preoccuparti: Alastair mi ha incastrato, stavolta” aveva commentato alla fine, sorridendo appena, ma continuando a studiare l’espressione di disapprovazione comparsa sul volto di Arthur con grande interesse. “Tre anni a partire da oggi. Approfitta di questo periodo e assicurati una vera posizione di potere, così che il mio caro amico non abbia nulla da dire per potersi tirare indietro. Non che io dubiti di lui, ovviamente.”

Arthur aveva scosso il capo scuro con noncuranza, ghignando di malvagio sarcasmo. “No di certo.”

Suo padre aveva allora incrociato le mani sul suo bastone da passeggio argentato, puntellandosi su di esso con una certa finta spensieratezza e facendo orecchie da mercante. “Saffie è preziosa per il Duca e tu l’hai riportata da lui in due giorni scarsi; per questo motivo sono praticamente certo che si atterrà ai patti e ti concederà la mano della figlia minore. Anche se credo Alastair abbia preso la decisione più per punire Amandine, che la sua primogenita.”

Il viso abbronzato di suo padre si era chiuso in un’enigmatica espressione fredda, ma Arthur non ci aveva dato troppo peso e – considerata la questione chiusa – si era voltato in direzione della finestra, osservando il viavai di carrozze e persone con pigra apatia. In verità, non vedeva l’ora di tornare sull’oceano, a contatto con l’elemento che più sentiva affine e con il mondo al quale era sempre appartenuto; perché i frivoli ricevimenti mondani di Londra e dintorni con lui non avevano niente a che vedere.

Voleva togliersi dalla testa il sorriso allegro di una ragazzina che aveva visto una volta sola, di sfuggita.

Non che le donne gli fossero mai importate un granché ma, anche così, non erano di certo mancate le occasioni di potersi svagare con chiunque la sua capricciosa voracità gli indicasse di prendere. Malgrado Arthur stesso si considerasse il tipo di persona che attaccava sempre per prima, non era sua abitudine fare il primo passo con il gentil sesso, né concedere seconde volte; eppure loro – le donne – continuavano a ronzargli attorno come api imperterrite e fastidiose.

Che fossero donnette di strada, viziate aristocratiche già sposate o, ancora, impressionate fanciulle dell’emergente ceto borghese, questo per lui era sempre contato ben poco: si era infatti accorto fin da ragazzo degli sguardi di sospirato desiderio che solevano accompagnarlo ovunque andasse, ma nessuna notte di passione aveva infine smosso il suo animo impaurito, ben raggomitolato sul fondale oscuro dell’abisso. Non erano esistite labbra che fossero riuscite a crepare l’incrollabile armatura di controllo che aveva costruito intorno a sé.

Gli bastava protendere le braccia e loro diventavano sue, proprio come tanto desideravano.

Quel matrimonio non sarebbe in fondo stato tanto diverso, poiché si trattava di un semplice scambio. Un dare per ricevere. Una questione d’affari, per l’appunto.

“Benjamin ha espresso la volontà di tornare a servire come medico della Marina di Sua Maestà” si era fatta sentire la voce asettica di un Simeon ancora in piedi alle sue spalle. “E anche io desidero sia così.”

Senza che potesse impedirselo, un’espressione sprezzante aveva fatto comparsa sul viso virile di Arthur, ma l’uomo non aveva accennato a distogliere lo sguardo serio dal panorama cittadino sottostante. “Quale gradita sorpresa” aveva ironizzato con vera crudeltà, incrociando la mani dietro la schiena. “È diversi anni che le nostre strade hanno smesso di incontrarsi…non aveva deciso di abbandonare il fianco del suo spietato fratello adottivo ed esercitare la professione sulla terraferma?”

Chiaramente, suo padre aveva di nuovo ignorato la domanda sarcastica ed un tintinnio leggero aveva suggerito ad Arthur che l’attempato gentiluomo doveva essere impegnato a versarsi da bere, forse prendendosi del tempo per macchinare Dio solo sapeva cosa. “Tra tre anni sposerai la signorina Amandine, senza se e senza ma” aveva sentenziato Simeon dopo pochi secondi, come se volesse inculcargli bene in testa il concetto. “E ti sforzerai di entrare nelle grazie della sua famiglia, Saffie Lynwood compresa.”

Sì, una trattativa che doveva andare liscia come l’olio; indolore e quasi dovuta, poiché nel loro mondo erano ben rare le unioni celebrate per vero e reciproco sentimento d’amore.

Non che fosse mai stato sfiorato dal pensiero di potersi innamorare sul serio.

Forse, nel profondo, avrebbe dovuto immaginare fin da subito che un disgustoso uomo come lui non poteva permettersi in alcun modo di farsi sciocche illusioni, impossibili pensieri.

Tre anni erano dunque passati fra sanguinose attraversate intercontinentali e oscuri giochi di palazzo; ed Arthur era stato talmente occupato a cercare di uscirne vivo da entrambi, che quasi aveva scordato l’accordo matrimoniale stretto con i Duchi di Lynwood.

Era stato quindi da ricchissimo Contrammiraglio in carriera che si era palesato davanti alla porta della suddetta famiglia, durante un soleggiato pomeriggio di inizio Primavera. La compostezza elegante per cui era ammirato, che aveva imparato così presto e bene a fingere, non aveva vacillato nemmeno quando – con suo grande stupore – si era trovato improvvisamente davanti gli occhi grandi e luminosi di colei che aveva imprigionato: non avrebbe mai immaginato di poter trovare Saffie sola ed indifesa al centro del salotto di casa, ma la ragazza gli aveva immediatamente sorriso con la stessa allegria irriverente che lui in futuro avrebbe imparato a conoscere; ed era stato difficile non venirne affascinato, malgrado la disapprovazione per ciò che anni prima la Duchessina aveva tentato di fare. La signorina Lynwood aveva agito da canarino tanto incantevole quanto sciocco visto che, per chi viveva rinchiuso tra Gabbie Dorate o in Oscuri Abissi, non poteva esistere alcuna libertà.

Non aveva senso provare a risalire in superficie, o forzare le sbarre, perché se ne soffrivano solo le conseguenze.

Arthur ricordava in maniera vaga di aver scambiato qualche battuta con Saffie, piacevolmente colpito dalla naturalezza dei suoi modi scherzosi…da un sguardo che si soffermava su di lui né con ammirato timore, né diffidenza terrorizzata. La ragazza gli aveva forse rivolto una domanda a cui non aveva fatto in tempo a rispondere, perché poi lei era entrata come un incantevole tornado nella quiete della stanza, sconvolgendo i suoi pensieri in un battito di ciglia.

Amandine Lynwood era comparsa davanti a loro in un istante e la sua figura alta era talmente irreale, incorniciata dalla fitta vegetazione del giardino alle sue spalle, che l’uomo aveva dato ben ragione a chiunque l’avesse definita alla stregua di una Dea scesa in terra. Le sue iridi, poi, erano fisse su di lui e rilucevano di un turchese incredibile.

E aveva compreso subito di volerla per sé, che l’avrebbe portata via.

Nei giorni seguenti, un senso di trionfante soddisfazione, di vittoria esaltante, si era fatto strada nel suo animo vorace: l’accordo era andato sul serio alla perfezione e garantiva fin troppi vantaggi alla sua oscura ambizione.

“…l’ennesimo trofeo da appendere alla parete: lei ti aspettava, ma è stata la tua ambizione ad ucciderla.”

Ciò con cui non aveva previsto di dover fare i conti era stata proprio l’insopportabile Duchessina che, fin dal principio, si era rivelata lo scomodo elemento al di fuori della cornice, dell’ordine perfettamente costituito delle cose. Di fronte all’inopportuna sfrontatezza di Saffie, ogni istintiva simpatia era stata prontamente abbandonata, poiché – davvero – nessuna donna aveva mai osato rivolgersi nei suoi confronti con il tono di ironica sfida che la ragazza gli dedicava ogni due per tre.

E Arthur ne aveva concluso che ella fosse nient’altro se non una saccente e viziata ragazzina che non sapeva stare al suo posto; cosa, fra l’altro, ampiamente dimostrata in passato.

Doveva risolversi tutto come una banale questione d’affari. Un’inerzia.

Ma poi Amandine era morta, uccisa dalla loro noncuranza.

Dalle ceneri della tragedia, erano infine nati un invisibile confine ed un legame crudele.

Così, guidato dal disprezzo e dalla disperazione, sospinto in avanti dalla sua inossidabile ambizione, Arthur aveva riscoperto la parte più oscura di sé e aveva deciso di imprigionare una seconda volta la piccola strega, questa volta per sempre. Non avrebbe permesso che tornasse a Londra, alla vita da cui già l’aveva strappata, ma bensì Saffie l’avrebbe seguito fin dove lui avesse trovato conveniente e, nel contempo, sarebbe stata la sua garanzia per il dominio su Kingston.

Se solo quella sua stessa crudeltà non gli si fosse rivoltata contro. Aveva fatto della ragazza sua moglie, impadronendosene, ma in sole due settimane la piccola sciocca era misteriosamente riuscita a sconvolgerlo in una maniera che Arthur stesso non poteva dire di comprendere appieno o, men che meno, di desiderare: per qualche assurda necessità, entrambi avevano scelto di smettere di contorcersi fra i fili del loro invisibile legame e riconoscersi una sofferenza uguale, reciproca.

Era stato il momento in cui aveva cominciato a temere Saffie e, con lei, il nuovo sorriso imbarazzato che di quando in quando aveva preso a rivolgergli, così dolorosamente simile a quello che tanti anni prima l’aveva colpito…pure se dedicato a qualcun altro. Aveva iniziato a temerla e, disgraziatamente, a desiderarla per sé, scoprendo nuovi aberranti sentimenti e altri allucinanti sensi di colpa che – neanche da dirlo – Arthur non voleva affrontare. Eppure, giorno dopo giorno, il morboso bisogno di possederla per davvero si era fatto sentire in modo opprimente, ed era tanto frustrante che Arthur era pronto ad ammettere di non aver mai voluto una donna con la stessa forza con cui desiderava Saffie.

Anche se, una minuscola parte della sua anima lo sapeva, non si trattava solamente di mettere a tacere l’impulso di portarla di peso in camera da letto, ma bensì provava un qualcosa di diverso.

Oh, ma questo sentimento ti è proibito, ricordi?

Perché hai mentito pure a Benjamin, e non solo a Saffie.

“Potremmo sempre trattare: quegli uomini sono disperati. Voi che ne pensate, Ammiraglio?”

Sei tu il vero cattivo della storia, Arthur.

“Ammiraglio Worthington?”

Sentendosi preso in causa, l’uomo si riscosse di botto dai suoi pensieri e, dopo una noncurante scrollata di spalle, alzò gli occhi verdi sulla Mad Veteran: a diversi metri di distanza, quasi fosse stata una carcassa abbandonata in balia delle onde, la nave pirata li attendeva chiusa in un orgoglio glaciale e pericoloso; a conferma di ciò, l’equipaggio rimasto pareva evidentemente pronto all’abbordaggio da parte dell’Atlantic Stinger, visto che rivolgeva verso i membri di quest’ultima i suoi migliori insulti sboccati e bellicosi, sfoderando le rozze armi con una carica adrenalinica derivata più che altro dalla cieca disperazione.

Una smorfia di sprezzante disgusto inasprì i lineamenti aristocratici di Arthur. “Non è il momento per certi sgradevoli pensieri” concluse fra sé, freddamente, prima di rivolgere il capo scuro sulla figura impassibile di Henry Inrving: l’attempato capitano lo fissava senza lasciar trasparire alcunché, ma in evidente attesa di una sua risposta. “Non lasceremo loro quartiere” sentenziò infine Worthington, voltandosi nuovamente in direzione del vascello nemico mentre, dal nulla, un’espressione di trionfante brutalità comparve a sostituire il contegno tenuto fino a poco prima. “Quei criminali continuano a volerci sfidare, è ovvio. Se è un massacro ciò che chiedono, beh, non vedo perché non accontentare l’ultimo desiderio di un condannato a morte.”

“Ne siete certo, Eccellenza?”

L’ammiraglio sorrise appena, stranamente benevolo. Ma Inrving capì subito che si trattava di un sorriso in realtà freddo ed inquietante, spietato; ancora una volta, il Generale Implacabile aveva il potere di spegnere qualsiasi opposizione o resistenza senza sprecare una sola parola.

“Io sono conosciuto per essere un uomo di parola” commentò Arthur in tono vago ma terrificante, dando poi l’ampia schiena al parapetto della nave ed affrontando con una calma d’acciaio le facce livide dei suoi numerosi Ufficiali, riuniti in un gruppetto compatto appena sotto il ponte superiore, a poppa dell’Atlantic Stinger.

“Che nessuno venga risparmiato” ordinò quindi, osservandoli tutti con due iridi di fuoco. “Rispedite quei maledetti demoni all’inferno da cui provengono e portatemi la Mad Veteran, poiché è grande la gloria che ci attende una volta giunti a Kingston.”

Non esisteva legame crudele, nessun invisibile confine, che avrebbe mai potuto fermare la sua mano.

Un coro di voci entusiaste si levò a seguito delle sue parole e Worthington ignorò volutamente lo sguardo fin troppo severo con cui il capitano Inrving lo stava guardando. L’ammiraglio aspettò di vedere i suoi sottoposti scattare agilmente ai loro posti e cominciare ad abbaiare ordini schietti alla tesa ciurma del vascello, prima di portare la sua attenzione su colui che lo comandava. “È bizzarro questo vostro mutismo” fece dopo poco, incrociando le braccia dietro alla schiena con noncuranza. “Devo dedurne che non vi troviate di nuovo in accordo con i miei metodi?”

“Lo avete detto voi stesso” rispose Henry, lanciandogli un’attenta occhiata fredda da sotto la falda del tricorno scuro. “Sarà un massacro unilaterale.”

“La morte indiscriminata non è la soluzione!”

Ancora, l’inattesa voce di sua moglie si fece sentire – fastidiosa – nella mente, provocandogli il consueto sentimento di doloroso disagio, aberrante colpa, che lui aveva paura di affrontare. Con un moto di rabbia, Arthur cercò quindi di relegare la figura della piccola strega in un angolo e abbandonarla lì, dimenticarla: aveva forse smesso di detestare Saffie, ma questo nulla doveva togliere al suo essere il Generale Implacabile, all’ambizione che gli aveva permesso di risalire l’abisso.

Bugiardo. Tu sai di essere ancora sdraiato sul fondale, mentre lei è irraggiungibile come un cielo stellato.

“Se queste devono essere le conseguenze, allora preferisco non averla affatto” pensò d’impulso Arthur, portandosi una mano grande davanti al viso, come se volesse nascondere i turbati occhi chiari al resto del mondo. “Sono stato incauto. Un perfetto idiota.”

“E cosa farai, una volta che l’avrai raggiunta?”

Tra le dita lunghe dell’uomo, due iridi fremevano di una cristallina e letale determinazione, molto simili a quelle di un predatore in attesa. Insensibile ad ogni suo sforzo, l’immagine delle mani sporche di sangue della Duchessina emerse crudele dai suoi ricordi. Un osceno percorso violaceo, impresso a fuoco sulla pelle della ragazza terrorizzata. “Oh, li ucciderò tutti” considerò fra sé, mosso dalla stessa forza inamovibile che continuava a consumarlo da una vita intera.

Attorno alla sua figura alta e imponente, un viavai di soldati in divisa si agitava lungo il pontile, fino a formare l’ordinata fila di fuoco che avrebbe provveduto a dispensare la giustizia di Sua Maestà a suon di proiettili, pure se l’abbordaggio era cosa ormai scontata. In mezzo ai ferventi preparativi della battaglia, le figure altezzose di Inrving e Worthington stavano in piedi l’una di fianco all’altra, coraggiosamente rivolte in direzione della sventurata Mad Veteran; in quel momento, non potevano di certo sapere quanto la loro presenza impassibile desse coraggio agli uomini di mare presenti sulla nave.

“Avete chiesto con tanta insistenza un’esecuzione di massa, ed ora mi venite a rimproverare la stessa fermezza che avreste voluto vedere nei confronti dei prigionieri?”

Ad Henry non sfuggì il tono di malvagio scetticismo con cui quella domanda gli era stata posta, ma comunque si impedì di provare una qualsivoglia soggezione o timore di sorta. “Ritengo fossero due situazioni diverse” commentò in tono piatto, senza voltarsi. “Quei disgraziati hanno chiesto il giudizio del mare ed avevano smesso di mangiare pur di ottenerlo.”

“Non siete obbligato a farlo.”

“Io penso solo che gli uomini della Mad Veteran debbano essere grati che gli conceda la possibilità di morire in uno scontro onorevole” disse la sua Arthur, inasprendosi di botto. “Avrei potuto farli a pezzi già da parecchi giorni, se solo avessi voluto.”

Il capitano Inrving ispirò un’abbondante dose di aria salmastra e si voltò, finalmente pronto ad affrontare la determinazione del Generale Implacabile. “Voi volete vedere quella nave nella vostra flotta, lo comprendo” asserì, facendo un cenno in direzione dell’oceano sotto di loro. “Ma possiamo risparmiare delle vite, oggi; e sto parlando soprattutto per i nostri uomini.”

L’ammiraglio abbassò gli occhi verdi, in silenzio.

“Sto per farti tanto di quel male che vorrai solo crepare, marmocchio.”

Stai lasciando a qualcun altro il controllo, Arthur?

“Ca…Capitano?”

Un fulmine a ciel sereno, e la voce esitante della piccola strega piombò addosso a Worthington, cogliendolo impreparato ed indifeso.

Arthur e Henry si voltarono quindi di scatto ed inquadrano subito la figura minuta di Saffie che, una mano appoggiata sullo stipite, quasi pareva volersi nascondere dietro alle porte d’ingresso degli alloggi. In piedi fra il corridoio e il ponte esterno, la ragazza castana li osservava ad occhi spalancati ed era di genuina perplessità l’espressione stampata sul suo visino grazioso.

A tradimento, il cuore di un certo Generale iniziò a battere furiosamente, come se fosse stato preso da un’improvvisa pazzia; e l’uomo si chiese perché – ancora – la Duchessina avesse deciso di disobbedire ai suoi ordini, uscendo dalle sue stanze a pochi minuti da uno scontro imminente. Malgrado questo turbamento, nessuna emozione mutò il volto di Arthur, che rimase un’irreprensibile maschera di severità.

“È vero?” chiese infine la ragazza con strano imbarazzo, guardando a malapena l’imponente figura del marito e, anzi, abbassando lo sguardo sulle assi del pavimento. “Non ci sarà alcuna battaglia?”

“L’argomento è appunto in via di discussione” le rispose il capitano in maniera enigmatica, lanciando uno sguardo significativo in direzione della persona al suo fianco, ma non sembrando in ogni caso troppo stupito nel sentire la moglie di Worthington interessarsi ad argomenti a lei proibiti. “Pure se dovremo comunque usare il pugno di ferro per riuscire a soggiogare la nave pirata.”

“E…e voi pensate possano arrendersi senza che debba accadere un altro massacro?”

Di fronte alle parole esitanti di Saffie, Arthur chiuse nervosamente le mani a pugno senza nemmeno accorgersene, mentre fu un fastidioso sentimento d’insofferenza quello che si affacciò alle porte della sua anima: oltre ad avergli disobbedito, sua moglie continuava imperterrita a rivolgersi a Henry Inrving, come se il capitano fosse da solo e lui non esistesse affatto.

Come se il giorno precedente non fosse accaduto nulla.

“Sono positivo nel pensare che…”

“Forse state dimenticando chi è al vertice della catena di comando” s’intromise alla fine Worthington, la voce traboccante di gelida furia. L’uomo fece un lungo passo in avanti, occupando così quasi la totalità del campo visivo di Saffie e obbligandola ad alzare gli occhi castani sul suo volto autoritario. “Io sono colui che decide, qui. Io comando.”

Un rossore acceso si diffuse sulle guance della Duchessina, ma i suoi occhi sempre luminosi lo guardarono invece con una nuova paura che, sul serio, egli desiderò cancellare in un istante. Un'altra impietosa ondata di rabbia venne a sommergerlo, perché capì che in fondo non era cambiato niente…Saffie rimaneva l’elemento al di fuori della cornice, la ragazza che avrebbe continuato a sfidarlo, a non fidarsi di lui. A temerlo, persino.

Quale immensa ipocrisia, Arthur…visto che sei tu il primo ad averne paura.

“Perché non avete obbedito agli ordini?” continuò, implacabile e freddo. “Tornatevene nei vostri alloggi, moglie.”

Dal canto suo, Saffie portò le mani sul petto, accorgendosi di stare tremando e di aver fatto un istintivo passo indietro, allontanandosi dalla figura che incombeva minacciosa, terribile. Una morsa di crudele delusione si strinse subito attorno alle sue viscere e la ragazza pensò di essere stata una perfetta stupida ad aver seguito il suo istinto, ad essersi spinta fin sulla soglia del corridoio perché in realtà preoccupata per Arthur, per lo sciocco desiderio di vederlo prima dello scontro con la Mad Veteran.

L’uomo gentile delle settimane precedenti era stato spazzato via da un'odiosa ambizione.

Fu in questo modo, mossa da un fastidio che lei stessa non seppe bene da dove fosse spuntato, che Saffie aggrottò le sopracciglia scure e si trincerò dietro alla sua migliore espressione da Duchessina sfrontata. “Potete evitare uno spreco di vite, allora, Generale” lo rimbeccò con forza, sorda alle parole precedenti del marito. “Se deciderete per la battaglia, non farete altro che mandare al macello i vostri uomini.”

Le iridi smeraldine di Worthington si dilatarono appena, tradendo una certa indignata sorpresa. Ora, dentro al suo animo, era grande la rabbia provata.

Ti detesto quando fai così, ragazzina.

“Vedete di chiudere quella vostra bocca impertinente” rispose al fuoco l’uomo, quasi ringhiando alla stessa stregua di un animale feroce. “Io sto solo adempiendo al mio dovere di Ufficiale dell’impero Britannico; tutti, su questa nave, conoscono il loro posto, così come io da tempo ho scelto il mio. Vedo che voi, al contrario, continuate a dimenticare il vostro.”

“Sono…ammirato. Non ho mai conosciuto una donna come te.”

Agghiacciante e penoso, un eterno attimo di silenzio cadde fra i due e – in quell’istante – Arthur venne ucciso da due iridi lucide di sofferente delusione: Saffie aveva infatti spalancato gli occhi di botto, osservandolo con lo stesso sguardo di una persona ferita. Tradita.

Oh, ma è questo ciò che accade quando ci si avvicina a te, no?

Non volendo fare i conti né con lo stupido senso di colpa che prese a pulsargli dentro, né con il turbamento provocatogli dall’espressione piena di amarezza della piccola strega, l’ammiraglio alzò la testa bruna e lanciò un’occhiata di fuoco sopra un giovane militare che si trovò sfortunatamente a passar loro accanto. “Voi, soldato” lo chiamò, in tono secco e brusco. “Scortate la signora Worthington nei miei alloggi e rinchiudetela dentro; mia moglie non uscirà dalla stanza e tantomeno lascerete che qualcuno vi metta piede, altrimenti a me personalmente ne risponderete.”

Il povero ragazzo interpellato si fermò di botto, scattando sull’attenti in meno di un secondo. “Agli ordini, Ammiraglio!”

Worthington portò di nuovo l’attenzione sul visino sbalordito della ragazza, ma non un'emozione ammorbidi i suoi lineamenti stravolti dal rancore. “Spero che queste direttive vi siano finalmente chiare, Duchessina.”

Incapace di trattenersi oltre, Saffie mandò del tutto all’aria il poco contegno da ricca aristocratica rimastole e fece un minuscolo passetto in avanti, cercando di soffocare sia il timore nei confronti del temperamento d’acciaio di Arthur, che la sua stessa rabbia repressa. Come era accaduto settimane prima, il marito continuava a rivolgersi a lei nell’identica maniera indifferente con cui avrebbe spostato un soprammobile fuori posto…solo, si era illusa che quei tempi fossero ormai passati.

“Chiudermi a chiave, figuriamoci! Sono su questa nave!” gli disse quindi, alzando la voce e, al contempo, odiandosi per il suo patetico tono isterico. “Se queste devono essere le circostanze, piuttosto preferisco impugnare la spada e difendermi!”

“…e poi ha cercato di strangolarla! È stata proprio coraggiosa!”

Un battito di ciglia, e la presa ferrea di cinque dita lunghe si strinse come una morsa attorno all’esile braccio della ragazza che, dal canto suo, poté dire di non aver nemmeno visto il marito muoversi. In un baleno, Arthur l’aveva afferrata con malagrazia, portando il piccolo corpo della moglie vicino al suo e, anzi, attirandolo a sé senza pietà alcuna. “Sono stanco delle tue sciocchezze” le bisbigliò, marmoreo. I suoi occhi chiari si posarono per un secondo sulle labbra schiuse di Saffie ed egli considerò di essere stato un vero sconsiderato in quegli ultimi giorni. Fu così che alzò la testa bruna sul soldato in attesa e ordinò, freddamente: “Portatela via”.

Perché aria e mare sono due elementi che mai si incontrano per davvero.

Annichilita da un sentimento di devastante umiliazione e ira, Saffie osservò il maledetto Arthur Worthington voltarle l’ampia schiena con un gesto dall’agilità elegante e raggiungere in pochi passi un Henry Inrving piuttosto interdetto, dall’espressione livida stampata sul volto sempre bonario. Distrutta da un’emozione che lei stessa aveva deciso di reprimere, la ragazza si riscoprì crudele tanto quanto era capace di esserlo il marito ed aprì la bocca quel tanto per poter sibilare: “Amandine mi raccontava di quanto eravate fiero dei vostri uomini. Diceva che un Ammiraglio degno di questo nome pensa sempre alla sicurezza degli altri, prima che alla sua ambizione.”

L’alta e imponente figura di Arthur continuava ad allontanarsi in silenzio, rinchiusa dentro ad un’accecante armatura blu e oro…la stessa che, una volta, l’aveva protetta come una coperta rassicurante.

E Saffie si preparò a vibrare il colpo, pur sapendo che ne avrebbe sofferto lei stessa.

“Lei mi manca così tanto.”

“Forse, su di voi, mia sorella si era fatta un’idea del tutto sbagliata.”

“Anche a me manca molto.”

La ragazza lo vide immobilizzarsi sul posto, pure se fu solo un momento: senza voltarsi neanche una volta, l’uomo riprese infatti a camminare con passo spedito e raggiunse il capitano dell’Atlantic Stinger, mentre quest’ultimo aveva ora nei lineamenti lo stesso terrore muto di chi sta guardando negli occhi un demonio.

“Mia signora, lasciate che vi scorti nelle stanze di vostro marito.”

La Duchessina di Lynwood annuì piano, vagamente conscia della figura del giovane al suo fianco. I suoi occhi grandi si abbassarono sulle assi del pavimento, colmi di lacrime amare. “Ti odio quando fai così, Generale” pensò, ben conscia del senso di colpa che aveva ricominciato a mangiarle il cuore.

Perché anche Saffie pensava di averla seppellita la persona che era stata un tempo, quella capace di fare del male.



§



Sono stata una sciocca.

Saffie Worthington sedeva sul bordo del ricco letto di Arthur, lo sguardo chino sulle piccole dita intrecciate sul grembo e la schiena dritta, rigida come le stecche dei soffocanti bustini che per tanti anni era stata costretta ad indossare. Allo stesso modo, la sua postura doveva riflettere un atteggiamento di pacata e graziosa compostezza, un carattere dolce ed educato, che non veniva turbato da avvenimenti di sorta; seduta sul sofà rococò di casa Lynwood, la figlia maggiore dei Duchi era sempre apparsa agli occhi dei visitatori come un curioso uccellino canterino, a cui erano state tagliate le ali.

I suoi genitori l’avevano sempre accusata di non riuscire a comportarsi alla stregua delle altre figlie dell’alta Aristocrazia e, soprattutto, di non poter sperare di eguagliare sua sorella minore, la divina Amandine…fragile colomba dalla bellezza inarrivabile.

Se fossi almeno la metà di quello che è tua sorella, io e tua madre potremmo morire felici.”

Quelle parole l’avevano maledetta per quasi tutta la vita, perché erano in fondo rimaste nascoste in un angolo sperduto della sua mente e – per quanto Saffie avesse con fermezza deciso di rivendicare la sua diversità dalla sorella – esse avevano continuato a punzecchiarle fastidiosamente l’animo. La ragazza sapeva di aver in segreto invidiato Amandine e si era detestata immensamente per aver lasciato a quel sentimento negativo terreno facile: sua sorella era infatti una ragazza malata che non aveva mai lasciato le mura della loro dimora nel Northampton, a cui erano stati proibiti tutti i divertimenti e piccole libertà invece concesse alla capricciosa primogenita.

Come aveva potuto essere stata sfiorata dal pensiero di abbandonarla al suo destino e fuggire via con Earl Murray?

Un ghigno triste si palesò sul viso pallido della signora Worthington. “È andata proprio come quella fiaba che abbiamo inventato, Amandine” pensò, rivolgendosi al fantasma invisibile della sorella. “Trovandosi di fronte allo sperduto cielo pericoloso, il passerotto decise di tornare dentro alla sua bella gabbia fatta d’oro e chiuderne per sempre la porta.”

Aveva voltato le spalle al vero amore ed era tornata tre mesi più tardi nel Northampton, percorrendo il viale di ghiaia a testa bassa, insensibile al richiamo degli uccellini che cantavano felici fra le fronde degli alberi. Un sole pallido illuminava la candida facciata della villa mentre, sull’uscio, un’alta figura bionda attendeva ad occhi spalancati; e, non appena le iridi tristi di Saffie si erano incontrate con due gemme turchesi piene di lacrime, Amandine le era corsa incontro chiamando il suo nome. Sua sorella l’aveva infine abbracciata con fin troppa forza, parendo alla primogenita più sconvolta dall’intera faccenda di quanto non lo fosse stata lei stessa.

Sono a casa, sorella mia” le aveva sussurrato in tono mite, intrecciando le dita con i suoi bei boccoli biondi. “Mi dispiace di essere stata così sciocca. Non lascerò mai più il tuo fianco.

Ed era stata una bugiarda, visto che tre anni dopo aveva infranto il suo giuramento.

Amandine aveva continuato ad abbracciarla per tanti eterni secondi, muta e tremante. “No, Saffie” aveva detto, chinandosi su di lei e nascondendo il viso pallido nella sua spalla. “Io sono stata una perfetta sconsiderata, perché ho perso…

Ma Alastair era comparso improvvisamente al loro fianco, emergendo dal nulla come un essere onnisciente e terribile, inchiodando i suoi fermi occhi castani sui visi intimoriti delle figlie. Amandine si era taciuta di botto e, da quel momento in poi, nessuna delle due aveva osato tirare di nuovo fuori i due anni in cui erano state lontane: si era trattato di un tempo mai esistito, su cui era stata tirata una riga di nero inchiostro, perché le loro vite erano ricominciate in una finta spensieratezza che, anzi, aveva forse rinsaldato il loro imprescindibile legame.

Non solo; le due avevano ripreso in mano anche il loro vecchio quaderno ed erano ricominciati i racconti fantasiosi… le loro fiabe, appunto. Tra queste, vi era anche quella del passerotto che sognava un cielo in cui poter volare ma, infine spaventato dai pericoli di uno spazio sconosciuto, decideva di sua spontanea volontà di far ritorno dentro alla gabbia d’oro che condivideva con una timida colomba bianco latte.

Amandine aveva scritto di suo pugno l’ultima battuta della storia, facendo voltare il candido uccellino in direzione del suo amico passerotto.

“Non si può uscire” cinguettò la colomba, facendosi tutta triste. “Una volta sola ho provato a farlo…e subito il padrone mi ha castigata, strappandomi la cosa a me più preziosa.”

Il suono lontano di una scarica di spari entrò prepotente nelle orecchie della Duchessina ed ella sussultò sul posto, impallidendo di colpo. Come se fosse stata svegliata da un sogno, Saffie comprese di essere ancora negli alloggi del tanto detestato Ammiraglio e della realtà che la circondava: era diventata contro i suoi desideri la signora Worthington, degna moglie di colui che veniva chiamato dai più Generale Implacabile.

L’uomo a cui aveva giurato eterno disprezzo e che invece era finita per desiderare come suo.

La ragazza castana si strinse nelle spalle, cercando di ignorare il brivido che l’attraversò tutta, strisciando sottopelle ed avvelenandole di nuovo i pensieri. “Ieri è stata una follia” pensò di getto, passando i polpastrelli sopra il tessuto leggero del suo semplice abito di seta, accarezzando piano il punto dov’era il marchio di Arthur. “Posso forse aver smesso di accusarlo della morte di Amandine, di odiarlo, ma questo non cambia l’idea che lui ha di me.”

Un passerotto è ben poca cosa, per chi ha amato la bellezza di una fragile colomba.

Nulla poteva mutare la falsità dell’unione crudele, il fatto che il legame che li univa era una farsa da loro non desiderata e, anzi, osteggiata fin dall’inizio. Se Saffie aveva riconosciuto negli occhi dell’Ammiraglio una sofferenza molto simile alla sua, era altrettanto reale la diffidenza che nutrivano l’uno nei confronti dell’altra.

Non avrebbero mai potuto amarsi per davvero, perché il loro rapporto era simile al moto consistente dell’onda. Di molto si ritirava per poi ritornare, tanto grande quanto distruttiva.

“È difficile lasciarsi alle spalle il rancore” si disse infine la Duchessina, con tanto di sospiro rassegnato. “Ancora non mi capacito di avergli detto quelle parole così cattive.”

Accusava di meschinità Arthur, quando lei stessa si era rivelata altrettanto infima e, proprio come avrebbe fatto Alastair, aveva colpito lì dove sapeva avrebbe fatto più male. Nella parte più vera dell’uomo, quella che veniva tanto gelosamente custodita e nascosta: era l'abisso in cui Worthington reprimeva ogni sentimento a lui scomodo e doloroso, compreso l’affetto nutrito per Amandine e il senso di colpa provocato dalla sua morte.

L’immagine di un Arthur tremante ed indifeso si formò nella mente di Saffie che, con il cuore gonfio, ricordò la sera in cui il Generale Implacabile le aveva impedito di chiamare il medico di bordo e l’aveva anzi stretta a sé come avrebbe fatto un bambino spaventato a morte. L’aveva attirata fra le sue braccia senza la fredda violenza di un’ora prima, ma quasi la sua presenza gli fosse stata al contrario necessaria; si era mostrato vulnerabile, così umano.

Allora, dimmi, perché dobbiamo continuare a farci del male?

“No-non muovete un sol passo!”

Gli occhi castani della ragazza si alzarono sorpresi, all’udire la voce che si era fatta sentire sul corridoio, piena di tensione e trattenuto timore.

“Siete già spacciati! Arrendetevi e posate le armi!”

“Piuttosto, morirò portando con me la tua patetica vita.”

No. Ti prego, no.

Dall’altro lato della porta esplose il rumore assordante di uno sparo – che la fece scattare in piedi terrorizzata – ed un fastidioso suono metallico venne subito dopo, forse ad indizio di uno scontro di spade.

“Ah, povero ragazzo.”

In quell’attimo, una morsa aberrante si chiuse attorno al cuore impazzito della Duchessina ma, stringendo i piccoli pugni tremanti, quest’ultima fece un disumano sforzo per non cedere alla paura e non perdere di conseguenza la testa. Doveva rimanere concentrata, questo era stato il primo insegnamento di James Chapman: se un pirata era riuscito ad arrivare fin sulla soglia delle cabine degli Alti Ufficiali, doveva essere sicuramente stato a causa della fortuna che soleva assistere i disperati, poiché la Mad Veteran e i suoi membri erano ormai come prede ridotte alla fame.

Però, lo sai bene cosa può comportare la disperazione.

Le gambe tremolanti della ragazza si mossero verso la porta chiusa ed ella appoggiò lentamente una mano sulla maniglia d’ottone, cercando di carpire un qualche altro rumore.

Eppure, Saffie non poteva sapere quanto quella situazione fosse effettivamente frutto più di un destino beffardo, che della disperata fortuna di un condannato a morte. Questo perché, sotto la leggera pressione delle sue dita, il meccanismo della porta scattò ed essa si aprì senza un minimo cigolio, socchiudendosi appena; e due iridi piene di orrore si posarono sul metallo dorato della maniglia mentre, di nuovo, il cuore della ragazza parve voler cedere all’oscurità. La porta non era stata chiusa a chiave.

Quale comico, assurdo e ridicolo fato.

Cosa farai questa volta? Scapperai o ucciderai un’altra persona?

Davanti ai suoi occhi, spalancati come quelli di un cerbiatto davanti a un cacciatore, si aprì lo spiraglio di una scena spaventosa. Poco distante dalle porte che davano sul ponte esterno, stava il giovanissimo soldato che aveva ricevuto l’ingrato compito di tenerla d’occhio; ed era caduto in terra scompostamente, quasi fosse scivolato per sbaglio sui raffinati tappeti del corridoio. Saffie lo osservò puntellarsi sui gomiti e lanciare un’occhiata sgomenta alla malmessa figura che era riuscita a disarmarlo: un pirata molto magro si ergeva infatti sopra di lui, dando le spalle ad una Duchessina di Lynwood che ebbe tutto il tempo di notare una ferita piuttosto profonda aprirsi sulla sua gamba e sanguinare copiosamente, sporcando il pavimento sotto i piedi dei due.

“Pagherai caro questo tuo sparo” sputò con vero e proprio disgusto il giovane criminale, puntando la sua spada alla gola scoperta e indifesa del suo avversario, che raggelò all’istante. “Beh, non che ti avrei comunque concesso alcuna pietà.”

“Sono una donna che ha già ucciso per salvare qualcuno, tenente.”

Cosa farai, Saffie?

E, ancora, accadde.

Similmente a ciò che era avvenuto il giorno in cui aveva protetto Douglas – o a quando aveva salvato il piccolo Ben – l’intero mondo rallentò fin quasi a fermarsi e, all’interno di quella stasi innaturale, Saffie riuscì a muoversi inconsciamente e a correre in direzione di un oggetto abbandonato sul pavimento. Un oggetto a cui il pirata non stava più prestando alcuna attenzione.

“Ah! Pare io abbia appreso almeno come cogliervi di sorpresa, Generale.”

Approfittando della distrazione del pirata davanti a lei, la ragazza si buttò sopra alla spada caduta dalle mani del giovane militare. L’afferrò con forza, rialzando il busto giusto in tempo per incrociare le lame con il suddetto criminale e riuscire così a disarmarlo grazie a quella che probabilmente era stata pura carità divina.

Un’enorme espressione di sbalordimento si dipinse in un secondo sul viso infantile e bruciato dal sole del ragazzo che aveva di di fronte. A giudicare dall’aspetto, Saffie considerò non dovesse essere più grande di Keeran.

“Una donna con una spada in mano” commentò dopo poco, scoppiando a ridere in maniera folle ed isterica. “Ora le ho viste tutte! Avete anche una pistola, sotto quelle graziose gonne?”

“A-arrendetevi!” balbettò la Duchessina ad alta voce, cercando di parergli sicura di sé e non sull’orlo di un possibile svenimento; perché le sue labbra, in realtà, erano gelide.

Il ragazzo fece spallucce nella sua camicia unta e lacera, sorridendo in modo davvero terrificante. “Sono solo un povero disperato” le spiegò freddamente, prima di portare con agilità una mano alla cintura ed estrarre un’arma da fuoco che puntò nella sua direzione senza alcuna incertezza.

“N-no! Signora Worthington!”

Saffie non udì nemmeno l’urlo pieno di orrore del militare a cui era corsa in aiuto. Le sue parole non le arrivarono alle orecchie, visto che nella sua mente era esploso un unico pensiero…un unico nome.

E, dentro di sé, la ragazza lo chiamò tanto intensamente da fare male.

Arthur!

Un guizzo di colore blu scuro apparve all’improvviso mentre, dall’abisso, emerse l’alta figura dell’Ammiraglio che – veloce come un fulmine – le si parò davanti e la spinse via, allontanandola da lui. Il cappotto elegante si mosse appena sul suo corpo tonico, inseguendo un movimento invisibile e dalla precisione fluida, letale.

Eccolo di nuovo, il legame che ci porta sempre l’uno dall’altra.

La pistola del giovane filibustiere cadde a terra con un tonfo sordo e quest’ultimo osservò il viso da demonio di Worthington con terrore e soggezione veri. “L’Implacabile!” si lasciò sfuggire dalle labbra rovinate, facendo un zoppicante passo indietro.

Perché due freddi occhi verdi rilucevano nella penombra del corridoio, traboccanti di una rabbia feroce e inarrestabile. “Adesso morirai” disse Arthur in un tono che sembrò essere l’incarnazione dell’oscurità stessa, mentre fu impercettibile il ghigno di soddisfazione brutale stampatosi sul suo volto virile.

Dimentica tutto, Arthur. Sono solo dei sassolini sul bordo della strada.

Ed era pronto a vibrare il fendente, se due deboli braccia non fossero comparse all’improvviso e avessero cercato di trattenerlo con una forza patetica, allacciandosi al suo braccio alzato.

“No!” urlò Saffie, strizzando gli occhi, sforzandosi inutilmente di tirare indietro la figura possente del marito. “È disarmato, lasciate che si arrenda!”

Dall’alto, uno sguardo tagliente scattò sulla ragazza castana e sul suo visino sì sconvolto, ma tutto rosso di una determinazione testarda.

Eccola di nuovo, l’insopportabile crepa sulla superficie liscia dello specchio.

Un coro di Urrà gioiosi e trionfanti si levò dal ponte sopracoperta, suggerendo agli astanti che la battaglia per la conquista della Mad Veteran doveva essersi finalmente conclusa.

Rinvigorito dalla notizia e dalla presenza del Generale, il soldato salvato dalla signora Worthington si rialzò di scatto e provvide a immobilizzare lo scarno pirata, che comunque poteva dire di reggersi in piedi per miracolo. “Lo porterò immantinente nelle celle della stiva, Ammiraglio!”

Arthur non gli rivolse parola e, anzi, voltò il capo scuro e ribelle verso la moglie, mostrando finalmente a Saffie un’espressione a dir poco omicida, come se l’uomo avesse intenzione di passare la giovane donna a fil di spada.

Ti avevo detto di non combattere” le sibilò, furibondo come non mai.



§



Una battaglia si era appena conclusa, mentre un’altra stava per avere inizio.

Dopo aver dato pochi schietti ordini ai gentiluomini al comando dell’Atlantic Stinger – lasciando il controllo della situazione in mano ad un esausto ma vivo Henry Inrving – Arthur Worthington era entrato a passo di marcia nella sua camera da letto e aveva sbattuto di malagrazia la porta dietro di sé, attirando l’attenzione dell’unica persona presente.

Sussultando spaventata, Saffie voltò il busto in direzione del marito e raccolse un’abbondante manciata di coraggio da chissà dove, perché non pensava di poter riuscire a sostenere lo sguardo gelido di un demone.

“Ah, cosa c’è, hai deciso di restare nei miei alloggi adesso?!” cominciò a prenderla in giro l’uomo, abbandonando ogni elegante formalità in favore di un linguaggio sboccato e pieno di rancore.

Ovviamente, non poteva esserci alcun margine di dubbio: l’ammiraglio era in collera con lei e la ragazza ammise di non averlo mai veduto così fuori di sé dal tragico giorno di pioggia in cui Amandine era scomparsa. Non che fosse un mistero, in fondo, il motivo di tutta quella ira a malapena repressa, visto che Saffie aveva deciso di disobbedire su tutta la linea alla volontà ferrea del marito, tirando fuori lo stesso carattere testardo da lui tanto detestato.

“E se decidessi che non è così? Se non volessi sottostare ai tuoi ordini?”

La Duchessina era cosciente di aver fatto un grave errore nel decidere di attendere il ritorno di Arthur ma, pure se erano volate parole pesanti fra loro, Saffie non era riuscita a mettere a tacere lo stupido desiderio di vederlo nuovamente.

“Provaci e trasformerò questa pagliacciata in una vera e propria guerra, mia cara.”

Eppure, ti ho chiamato dal profondo del cuore e tu sei comparso a salvarmi.

Worthington si portò vicino al suo scrittoio pieno zeppo di documenti ordinati e, senza dire una parola, sfilò il cappotto dorato dalle spalle ampie, rivelando una camicia immacolata, che non faceva intendere ferite di sorta. “Vattene” asserì poco dopo, freddamente; e fu come se stesse rivolgendosi al vento, perché non si sognò nemmeno di guardarla in faccia.

Saffie non poteva infatti sapere quanto il solo averla lì – sola ed indifesa nella stanza – riuscisse a turbare Arthur nel profondo; l’uomo stesso non comprendeva se avrebbe preferito vederla sparire come per magia o trascinarla direttamente nel letto vuoto dietro di lei.

Chiaramente, la ragazza non si mosse di un millimetro da dov’era e, anzi, cominciò ad arrossire in maniera adorabile, seppure imbarazzata. “Io…Io volevo solo sapere se avevi punito il giovane incaricato di sorvegliarmi” mormorò la Duchessina, senza in flessioni di tono. “Ti chiedo di non infierire su di lui in alcun modo: ha comunque cercato di proteggermi, rischiando la vita nell’intento.”

Un paio di taglienti iridi chiare scattarono sulla piccola figura di Saffie, animate ora da un nuovo moto di rabbia. Ancora, la piccola strega si prendeva la briga di dirgli come agire.

“Che – permettimi di sorprenderti – sarebbe il suo mestiere” commentò quindi Arthur senza perder tempo, ma bensì inacidito oltre ogni dire dalle parole della moglie. “Il nostro dovere è servire gli altri e l’Impero, mettendo in conto di poter morire nel frattempo. Continui a non arrivarci, ragazzina.”

A non trovare il tuo posto nel mondo, a sbattere le ali contro la tua bella gabbia dorata.

Saffie incassò il colpo e piantò bene i piedi a terra, rispondendo al fuoco con tutta la sua migliore caparbietà. “Ma sono intervenuta” ribatté con forza. “E ho salvato un vita…anzi, forse due.”

“È disarmato, lasciate che si arrenda!”

Oh, sapeva che l’avrebbe fatto andare letteralmente fuori di testa. Sapeva di star smuovendo le ceneri sotto le quali giaceva un violento e pericoloso fuoco sopito, ma alla ragazza non sembrò importare: non avrebbe permesso ad Arthur di continuare a riversare la sua crudele e arrogante superiorità sulla sua testa; anche se era insopportabile pensare che entrambi riuscissero a rivelarsi così diversi e, al contempo, identici. Due elementi contrapposti, ma paradossalmente simili.

“Credi per davvero di aver fatto questo?” la voce profonda di Worthington si era levata nella stanza, sormontando i rumori provenienti dall’esterno: tutta l’Atlantic Stinger festeggiava la vittoria a cui il Generale Implacabile li aveva condotti, mentre in quella camera si consumava l’ennesimo scontro fra un uomo e una donna che non si erano scelti l’uno con l’altra.

L’ammiraglio non attese risposta dalla moglie e, con la solita velocità da predatore, si portò in pochi passi di fronte a lei, mostrandole un viso pieno di sprezzo. “Hai messo quel ragazzo in difficoltà, come hai fatto anche con me” sentenziò, chinandosi sulla ragazza che – dal canto suo – non poté impedirsi di diventare ancora più rossa. “È il nostro lavoro e tu ti sei messa in mezzo, intralciando il combattimento.”

“Quel pirata stava per ucciderlo!” lo interruppe la Duchessina ad alta voce, quasi arrivando ad urlare in faccia ad Arthur che, sul serio, aveva indossato una maschera d’ira spaventosa da osservare. “Cosa avrei dovuto fare?!”

“Rimanere al sicuro!” ruggì l’uomo, allargando le braccia in un unico gesto nervoso, come se avesse voluto spezzare l’aria. “Hai rischiato di morire e rendere vano il sacrificio di qualcuno che aveva proprio il compito e il dovere di proteggerti ad ogni costo! Lo capisci, questo?!”

Colpita dal rimprovero del marito, Saffie decise di abbassare momentaneamente lo sguardo scuro sulle punte delle sue scarpette eleganti e degli stivali neri di Worthington. “Avevi detto di ammirare questo mio lato” mormorò con un’ingenuità non sua, vergognandosene immensamente subito dopo.

“Non quando decidi di agire da perfetta stupida” fu la secca e brusca risposta che ricevette dall’uomo, rinchiuso nella sua incrollabile sicurezza. “Continui a volerti immischiare in affari che non ti riguardano, malgrado tu non sappia nulla della Marina Britannica e della mia vita.”

Il visino ovale della ragazza fu di nuovo sul suo e Arthur dovette subire l’attacco di due iridi sorprese e, in un qualche modo, ferite.

“Io non pensavo…”

“Non pensavi” intervenne ancora l’ammiraglio, portandosi con una strana noncuranza la mano al colletto della camicia bianca; cominciò ad allentarlo lentamente, le dita strette attorno al costoso fazzoletto di seta. “Tu, Duchessina, non pensi mai agli altri o alle conseguenze, non è vero?”

Saffie osservò con vero e proprio stupore il lembo di stoffa cadere a terra ed il suo cuore perse un battito nel medesimo istante in cui rivolse di nuovo la sua attenzione alla figura imponente del marito, sempre troppo vicino a lei; e le sue guance si arrossarono fino a scottare di bruciante imbarazzo, poiché le dita di Arthur erano scese sul tessuto della camicia, i cui bottoni cedettero uno ad uno, svelando tra le pieghe della veste la terribile cicatrice crudele.

“Credi di poter parlare e comprendere le vite degli altri come se fossero la tua” le disse l’uomo, acidamente. L’ultimo bottone fu infine libero dall’asola e Saffie scoprì di non riuscire a staccare lo sguardo dal petto muscoloso del Generale Implacabile, dall’enorme sfregio che si palesava sopra di esso. “E pretendi senza alcun rispetto di vedere cose a te proibite.”

Di poter realmente capire l’oscurità del mio infinito abisso.

Arthur” pigolò la ragazza castana, facendosi sfuggire quella parola dalle labbra tremanti e, contemporaneamente, cercando di fare un passo indietro. “Non…non devi…”

Ma l’Ammiraglio non era intenzionato a concedere né tregua, né pietà alcuna. “Non chiamarmi per nome” la minacciò con voce roca, tinta di rabbia e rifiuto. Uno strano sorriso spigoloso fece mostra di sé sul volto di Worthington ed egli aggiunse, sardonico: “Hai sempre voluto vedere la mia cicatrice, se non sbaglio.”

Una morsa di paura si strinse sullo stomaco di Saffie che, in un battito di ciglia, vide la mano grande del marito allungarsi nella sua direzione e afferrarle le dita, imprigionarle fra le sue. “Eccola” asserì Arthur quasi ridendo, e si portò la piccola mano della ragazza al petto, premendola con forza sulla sua pelle calda, sulle venature della sua vergognosa cicatrice. “Questa mi ha quasi ucciso.”

Pure se aveva già avuto modo di intravedere da vicino lo spaventoso segno, la Duchessina comprese di non poter sfuggire all'aberrante orrore che esso continuava a provocarle e, di conseguenza, alla morbosa ossessione provata nei confronti del passato dell’uomo di fronte a lei. L’unica differenza stava nel fatto che Saffie non avrebbe mai voluto vedere la cicatrice in questo modo, impotente davanti non solo alla rabbia, ma anche al terrore provati da Arthur. Per la prima volta dopo diverso tempo, scoprì di avere la voce incastrata in gola, di non sapere bene cosa dire.

“Non era ciò che volevi?!” la prese in giro l’uomo, crudele come un predatore ferito a morte. Mollò bruscamente la presa dalle dita tremanti della piccola strega e, quasi il mutismo stravolto della moglie fosse cibo per la sua rancorosa ira, egli aggiunse: “Oh, ma non è di certo finita qui.”

A questo punto, Saffie e il suo cuore pieno di dolore avrebbero solo voluto sparire per sempre. “Ti prego, smettila” gli sussurrò la ragazza, gli occhi grandi pieni di lacrime.

Smettila di farti del male.

“…Sembra voi non siate mai stanco di riempirvi di cicatrici.”

No, avrebbe dovuto sapere che – ormai – aveva già superato con entrambi i piedi l’odiata linea di confine dietro cui aveva sempre osservato Worthington, che non le era più possibile tornare dall’altra parte. Era in bilico sull’orlo dell’abisso di Arthur e, forse, cominciava a comprendere quanto esso fosse in effetti profondo.

“Un Ammiraglio degno di questo nome pensa sempre alla sicurezza degli altri, hai detto?” lo sentì dire, raddrizzando il ribelle capo scuro; pure le ciocche disordinate dei suoi capelli castani sembravano prese da chissà quale tremendo sentimento. Senza far caso al sussulto sorpreso della moglie, l’uomo si sfilò con un gesto indifferente la camicia e scoprì del tutto le spalle larghe mentre, quasi rilucenti di disperata ironia, un paio di iridi smeraldine scivolarono lontano dal volto rosso di Saffie. “Prima che alla sua ambizione?

Smetti di infliggerti questa umiliazione, ti prego.

E nell’esatto momento in cui Arthur si volse, la ragazza udì distintamente il suono del suo cuore spezzarsi in due, morire di una sofferenza atroce e fulminante. Infine, ci era arrivata: non avrebbe mai potuto comprendere l’abisso a cui Worthington stesso si era condannato, per quanto si riconoscessero un dolore simile. Non avrebbe mai potuto raggiungerlo per davvero.

Sono stata così stupida.

Incapace di controllarsi, Saffie si portò le mani alla bocca e cominciò a piangere in silenzio, tremante e sconvolta, mentre il suo sguardo castano, sgranato di paura, non riuscì a staccarsi dalla schiena dell’uomo: perché la pelle di Arthur non era più pelle, ma un caotico e infinito insieme di tagli cicatrizzati e bianchi; forme indefinite ed eterne, opera disgustosa e malvagia di un diavolo che lei non conosceva.

“Questo significa essere me” asserì alla fine Arthur, la voce tornata piatta e controllata, monocorde. L’ammiraglio strinse le dita lunghe attorno al tessuto pregiato della camicia e abbassò la testa bruna con fare rassegnato. “Vattene via da qui. Tu non puoi comprendere.”

Fu forse quella, la frase che fece male più di tutto il resto.

La ragazza non si curò di asciugare alcuna lacrima e, anzi, si avvicinò in silenzio alla figura alta dell’Ammiraglio. Come era accaduto la sera in cui aveva deciso di voltarsi nella direzione dell’odiato marito e sbilanciarsi sulla linea inesistente che li divideva, Saffie si sporse verso di lui e l’abbracciò con cautela, appoggiando la fronte alla sua schiena sfregiata senza alcun disgusto. “No” soffiò contro la sua pelle martoriata, la voce incrinata e patetica.

“Ho detto, vattene” ripeté Arthur, irrigidendosi sotto il tocco delicato di dieci dita piccole, intrecciate sul suo petto. Il terrore e il desiderio si agitavano in egual maniera dentro alla sua anima nera, lottando una feroce guerra e provocandogli pensieri scomodi, impossibili.

Perché, perché non hai paura di me?

Le afferrò le mani, allontanandole dalla sua grande e vergognosa cicatrice.

“E io non voglio farlo” si impose la ragazza castana, testarda e adorabile come sempre. Saffie aveva forse deciso di buttare la dignità di Duchessina fuori dalla finestra, ma desiderava più di ogni altra cosa che lui la lasciasse stare al suo fianco senza respingerla ancora.

So di non potermi illudere, ma lasciarti solo nel tuo inferno mi ferirebbe a morte.

“Porti un peso troppo grande” gli sussurrò, con in bocca il sapore salato del pianto. Prese coraggio e intrecciò le dita con quelle dell’uomo, decidendo di aggiungere sommessamente: “Non puoi continuare ad addossartelo, o ti ucciderà.”

Un silenzio pesante cadde fra loro e Saffie pensò che probabilmente lui l’avrebbe allontanata in ogni caso, perché le sue stupide parole non potevano di certo raggiungere il fondale dell’abisso; non le sue, almeno…non quelle della donna che aveva giurato di odiarlo, e che Worthington stesso aveva scelto di imprigionare.

Non la voglio questa sofferenza, che non riesco a comprendere.

“Sciocca.”

Saffie alzò lo sguardo luminoso e si sorprese di vedere il marito voltarsi a guardarla con dipinta in viso un’espressione di tormentata tristezza. Ancora una volta, le sue incredibili iridi chiare parevano quelle di un sovrano in catene ed erano stupende da vedere.

Una mano grande si allungò sul volto arrossato e bagnato di lacrime della ragazza, sfiorandone la pelle con delicatezza. “Non devi piangere per uno come me” le disse Arthur, passando lentamente il pollice sulle sue tenere labbra socchiuse. “Poi non venirmi a dire che non ti ho avvertita.”

“La solita testarda. Va’ via, finché sei in tempo.”

E si chinò su di lei, impossessandosi della sua bocca senza pensarci due volte, baciandola con un’urgenza irresistibile e vorace; rabbrividendo non appena la sentì rispondere al suo bacio con altrettanta passione a malapena repressa, come se anche Saffie non potesse farne ameno. Perché, in realtà, il giorno prima era esistito per entrambi.

“Te l’ho detto che saremmo stati in due ad affogare” soffiò la ragazza sulle labbra dell’uomo, staccandosene per un solo momento.

Pure se tu non mi amerai mai, colmiamo questa sofferenza.

La nostra oscurità accecante.

“Mentre io ti ho già detto quanto la tua sveglia testolina mi faccia andare fuori di testa, Saffie” si sentì rispondere da una voce ironica e sorniona, tentatrice.

L’interessata non fece in tempo a metabolizzare la gioia di averlo sentito pronunciare il suo nome, che l’uomo la sollevò di peso e – come se la Duchessina fosse stata di piuma – decise di avviarsi verso il fondo della camera, ammantata ora dell’oziosa luce del primo pomeriggio.

Saffie non si stupì più di tanto nel ritrovarsi sdraiata sopra un morbido materasso ma, ugualmente, il suo cuore impazzito e il rossore acceso del suo viso grazioso dicevano tutto sul suo reale stato d’animo. “Non è vero” commentò con grande imbarazzo, osservando Arthur portarsi sopra di lei e premere le mani grandi ai lati della sua testa castana. “Non è vero che detesti la mi…”

Ma di nuovo la chioma scura di Worthington si era fatta vicina alla sua, e lui aveva ripreso a baciarla con affamata foga, soffocando qualsiasi sfrontata parola. Un lieve lamento sfuggì alla Duchessina ed ella schiuse le labbra, arrendendosi alla lingua maledetta del marito che, ovviamente, non aspettò per insinuarsi in lei e conquistare tocco dopo tocco la sua bocca ansante.

Era un crudele e pericoloso demonio, un monarca dalla fame capricciosa e insaziabile, l’uomo che ora incombeva su Saffie con tutta la sua minacciosa statura; come se fosse ancora su un letale campo di battaglia, egli si preparava a fare sua la sfuggente preda che tanto aveva combattuto, rifiutato e odiato: non aveva smesso nemmeno per un secondo di baciare la Duchessina, ma quest’ultima dovette subire anche l’assalto di due mani calde e forti, che s’insinuarono sotto la gonna leggera del suo abito e cominciarono una lenta risalita, scoprendo così la pelle delle sue esili gambe.

Fu nel momento in cui Arthur l'accarezzò con dolcezza fra le cosce e una cascata di brividi colmi di desiderio le si riversò addosso, che la ragazza socchiuse gli occhi castani e lanciò una timida occhiata al corpo muscoloso dell’Ammiraglio; arrossendo a dismisura, lo vide slacciarsi i pantaloni con un unico gesto sicuro, mentre cominciava a farsi strada fra le pieghe della sua veste stropicciata con il bacino e, di nuovo, premeva le labbra affamate sulle sue, umide e arrossate.

Attraversiamo il confine invalicabile, la sofferenza che entrambi vogliamo colmare.

Aspetta” sussurrò Saffie all’improvviso, discostandosi appena dalla bocca del marito e puntando contemporaneamente dieci piccole dita contro il suo petto nudo.

Il Generale Implacabile inseguì per un attimo il viso della ragazza, come se ne fosse irrimediabilmente attratto; poi, furono due splendide iridi smeraldine ad aprirsi su di lei.

Senza essere ben conscia delle sue stesse azioni, la Duchessina alzò il busto e si mise seduta sul morbido materasso, portandosi di fronte ad un Arthur che si era fatto leggermente indietro; e un’espressione cauta si andò subito a dipingere sul suo volto leggermente abbronzato, attraente. Saffie pensò fosse davvero bellissimo, così fragile e indifeso, ma ugualmente pericoloso e incontrollabile.

“Io…” cominciò a dire quindi la ragazza con voce fioca, accorgendosi di star tremando leggermente. “Io voglio che anche tu mi veda.”

Vorrei sapere tutto di te…e che tu scopra tutto di me.

Tanto rossa da fare concorrenza a Keeran, Saffie portò le dita sulle semplici allacciature del suo abito, scoprendo con grande imbarazzo le esili spalle e il segno violaceo con cui lui l’aveva marchiata; svelando il mistero di un corpo minuto, da uccellino grazioso, di due seni piccoli ma irresistibili.

L’anima oscura di Arthur cominciò a fremere di nascosto, di terrore e desiderio, poiché – in un attimo – egli fu fulminato da una tremenda realizzazione.

No. Non avrebbe mai incontrato un’altra come lei.

La mano destra dell’uomo si mosse in avanti con una lentezza strana ed ipnotica, portandosi a contatto con la pelle fredda della ragazza, sfiorando il livido sulla spalla e risalendo poi fin sulla linea del collo sottile. “Una volta hai detto che non saresti mai stata mia” le disse Arthur in tono fin troppo serio, ma sorridendo infine come un diavolo tentatore. Si portò di nuovo vicino alle labbra schiuse di Saffie e il suo naso dritto quasi sfiorò quello di lei. “Invece lo desideri.”

Vuoi essere mia.

La bocca dell’uomo superò il viso della ragazza e proseguì fino al suo orecchio bollente di vergogna. “Ma non si tratta solo di questo” soffiò ancora l’ammiraglio, intrecciando le dita con i lunghi capelli di una Duchessina in balia di nuovi brividi. “Tu mi vuoi.”

E poggiò le labbra sottili sulla sua guancia, baciandola con una tenerezza che non gli apparteneva. “No?” le chiese ancora, sollevando lo sguardo chiaro sul visino sconvolto della piccola strega. Oh, si disse, le avrebbe strappato quelle parole di bocca. “Non è così?”

La baciò nuovamente, tanto delicato quanto crudele, indugiando sull’angolo della sua graziosa bocca; mentre decideva di scivolare con la mano lungo la schiena nuda della ragazza e attirarla a sé con possessività. Saffie si lasciò cadere fra le sue braccia ed egli dovette reprimere la fitta di scomoda felicità che gli si insinuò nel cuore, quando la sentì annuire piano contro la sua spalla.

“Sì” ammise lei, in un sussurro da canarino perduto nella tempesta; ed era tanto stravolta dai tocchi delicati di Worthington che si accorse appena di come il marito l’avesse guidata sopra di lui, mettendola in effetti seduta sopra le sue gambe toniche. Anche così, Saffie continuava a sembrare una fanciulla piccola e indifesa, al suo confronto.

Io ti temo e ti desidero più di quanto tu stesso immagini, pure se questo legame crudele non è amore.

In questo modo, spogliati per metà dei loro vestiti e delle loro paure, entrambi attraversarono il confine che più avevano odiato, ripudiato dal profondo del cuore.

Arthur premette le mani sui fianchi esili di Saffie, obbligandola con gentilezza ad abbassarsi su di lui, non stupendosi di vederla seguirlo docilmente e trovandola al contempo tanto bella da aver paura di corromperla per sempre. “Tu sei mia” le disse con voce spezzata, arrocchita dall’eccitazione. Cominciò a muoversi dentro di lei e – insieme a lei – rincorrere con una intensa lentezza un piacere inarrestabile. “Mia” ripeté sulle labbra della ragazza, raccogliendo il suo respiro ansante. “Solo mia.”

Pure se non ti amerà mai?

Eppure la vita di quel pensiero durò un istante poiché le dita di Saffie, aggrappate alle sue spalle larghe, risalirono inattese fin sul suo volto e la ragazza annullò definitivamente le distanze, attirandolo a sé e baciandolo come se ne andasse della sua stessa vita, soffocando i suoi gemiti dentro di lui.

Non dire queste parole Arthur, perché così mi ucciderai per davvero.

I movimenti dell’uomo si fecero tanto più veloci ed intensi, che la ragazza sentì di essere preda impotente di una forza mai sperimentata prima; una forza, una terribile fame, che lei voleva la inghiottisse del tutto. Le dita forti permute sulla pelle accaldata dei suoi fianchi, il marito le si rivelava in tutta la sua implacabile crudeltà, imponendole il suo ritmo e piegandola alla sua volontà senza pietà alcuna.

Ed è sulla linea di un orizzonte inesistente che aria e mare diventano un elemento solo.

Allo stesso modo, nessun loro dolore od oscuro senso di colpa sembrò esistere nel momento in cui si appartenevano l’uno con l’altra, perché sfogavano una sofferenza e un desiderio specchio di un sentimento che non volevano comprendere. Tutto cessava di essere così importante, se non l’aversi per sé.

Il massimo piacere arrivò per entrambi nello stesso straziante momento, in un eterno e lento secondo che li lasciò sudati e senza fiato, come se fossero due soldati scampati a una battaglia mortale.

In uno strano e pigro silenzio, Arthur si staccò dalle labbra rosse di Saffie e prese un profondo respiro, quasi cercasse di immettere aria nei polmoni, o si fosse liberato da chissà quale terribile peso. Le iridi chiare dell’uomo brillarono incredibili e verdi, posandosi sul viso adorabile della piccola strega: la ragazza lo guardava di rimando con due occhi grandi e innocenti, gentili; un’espressione di dolce stanchezza faceva mostra di sé fra lunghissime onde di capelli castano chiaro.

“Dio, sei stupenda” le disse, sorridendole per davvero.

Saffie sorrise a sua volta, radiosa come l’uomo non aveva mai avuto modo di vederla da due anni a quella parte, da quando l’aveva rincontrata. “Lo pensi seriamente, Generale?” gli chiese con finta ingenuità, tradendo un certo imbarazzato divertimento.

Allora Arthur la strinse a sé con forza, nascondendo nella spalla della moglie un volto tanto bello quanto rosso. “Te l’ho detto che sei una sciocca, ragazzina.”

“Mentre io ti ho detto che non voglio essere chiamata così” sbuffò la ragazza, portando le dita esili sulla sua chioma bruna e disordinata.

E stettero abbracciati nella quiete della stanza per qualche tempo, contenti che il rumoroso mondo di fuori si fosse dimenticato della Duchessina di Lynwood e del Generale Implacabile per un po’.





Angolo dell'autrice:

(scritto il 16/03)


*Spero consideriate di Votare/Recensire questa Dodicesima parte, se vi va!*

Finalmente ho potuto scrivere questo capitolo! \(*w*)/

Buonasera e Buon Mercoledì!

Non vedevo letteralmente l’ora di poter vedere interagire Arthur e Saffie così tanto come è successo in questo capitolo! Ho appena finito di ricontrollarlo per l’ennesima volta – alla ricerca di eventuali errori nascosti – quindi se questo mio intervento risulterà un attimo confuso/sgrammaticato, posso solo giustificarmi dicendo che ho la testa un attimo “fumante”!

Quindi vi chiedo scusa, ma volevo che il Dodicesimo Capitolo avesse meno Errori-Orrori possibili! :D

E sono contenta di poter pubblicare oggi, pur se ho sforato di qualche giorno il limite di due settimane di tempo che mi ero data. \(T.T)/ Questo va un po’meno bene, ma penso ne sia valsa la pena…oddio, in realtà non so, spero che vi sia piaciuta questa parte!

Io, da parte mia, volevo a tutti i costi incentrarla totalmente su Saffie e Arthur, anche se credo sia il punto di vista di quest’ultimo quello più presente. Ma, detto questo, ho letteralmente A-D-O-R-A-T-O vederli scontrarsi durante tutto lo svolgimento del Capitolo per poi buttarsi l’uno tra le braccia dell’altra alla fine! Forse sarà un po’ strano, ma io sono una grande fangirl dei miei stessi personaggi, per quanto a volte tenda ad essere sadica nei loro confronti!

Ma è tutto per il bene della storia! (U.U)

Ora, voglio ringraziare tantissimo chi – arrivati fin qui – continua a leggere “Away with you”, a votarla, aggiungerla fra le sue letture, a seguirla e a dedicare un po’del suo tempo nello scrivermi un recensione! Per me vale tantissimo, perché contribuisce a darmi tanto coraggio e fa sentire i miei sforzi ripagati! Quindi, ancora Grazie a Tutti! :D

In ultimo, una novità: pensavo di cambiare il nome alla storia in breve tempo (e anche la copertina su Wattpad), quindi penso sia meglio dirlo in anticipo! ^^

Un forte abbraccio virtuale,

Sweet Pink

P.S: Conto di pubblicare il Tredicesimo Capitolo nelle solite tempistiche, ma visto che si tratta di una – se non forse LA – parte importante della storia, potrebbe volermici qualche giorno di più! Vi chiedo perdono, ma voglio che sia scritta in maniera decente. ^^

See you soon!

  
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