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Autore: Ode To Joy    18/03/2022    1 recensioni
[Dazai & Mori Centric]
[Spin-off di “Poems By A Ghost”]
Dazai non aveva la minima idea di chi fosse Mori Ougai, ma non vi era alcun timore nel modo sfacciato in cui lo scrutava. Starnutì.
Nel silenzio assoluto della stanza, suonò come un colpo di pistola. Mori saltò come una molla e la lametta gli tagliò la pelle. Poche gocce di sangue caddero nel lavandino, andando a mischiarsi a quelle che rimanevano del vecchio Boss.
Brutto presagio.
“Oh, ti sei distratto,” commentò Dazai, con voce incolore. “Ma dalle cicatrici che hai sulla schiena, sei abituato a essere colpito alle spalle.”

[…]
Un passo indietro, all’inizio della storia, ai giorni in cui Mori muoveva i suoi primi passi come Boss e Dazai cominciava la sua educazione per divenire il più giovane dei cinque Dirigenti.
La nascita della Port Mafia come Yokohama la conosce oggi.
[Trans!Dazai] [Accenni Fukumori]
Genere: Drammatico, Introspettivo, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Kouyou Ozaki, Nuovo personaggio, Osamu Dazai, Ougai Mori, Ougai Mori, Ryurou Hirotsu
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'These Brand New Pages'
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III



Quando Mori tornò alla clinica, gli parve che un peso immenso fosse stato sollevato dalle sue spalle. La voce di Kouyou gli arrivò chiara e allegra dal piano di sopra. Era tornata abbastanza in forze da camminare, meglio così.

Il vero colpo di scena era che Dazai le rispondeva.

Li trovò nella camera da letto che aveva prestato al quattordicenne. La scena che gli si presentò davanti era tanto ordinaria che, dopo quanto aveva visto alla Casa dei Fiori, la sua mente fece difficoltà a elaborarla.

“Oh, bentornato!” Kouyou staccò il phon dalla spina e lo appoggiò in fondo al letto, dove era seduto Dazai. Lei si era presa la libertà d’indossare alcuni suoi vestiti. Forse era fuori luogo, ma Mori si chiese come facesse a essere attraente anche così.

Dazai lo salutò sollevando la mano sana. Anche a lui era toccata la stessa sorte, ma il maglioncino leggero che aveva addosso lo rendeva più basso di almeno una spanna e i pantaloni erano talmente tanto arrotolati alle caviglie che Mori si chiese come avrebbe fatto a camminarci.

“Ci siamo fatti una bella doccia e adesso lui assomiglia meno a un gatto randagio,” disse Kouyou, aggiustando una ciocca di capelli scuri dietro l’orecchio di Dazai.

Mori fece una smorfia. “Effettivamente, puzzavi un po’.”

Non che avesse avuto il tempo di lavarsi tra il suo arrivo in fin di vita, le prime ore spese a fargli capire dov’era, chi ce l’aveva portato e perché fosse importante che collaborasse. Questo, seguito dai piani di Mori per la conquista della Port Mafia.

Dazai lo guardò con sdegno.

Mori ne sorrise. Bene, pensò. Se non vuoi puzzare, hai una dignità sotto tutto quell’autolesionismo.

Sbatté le palpebre un paio di volte. “Un attimo,” alzò la mano destra, come a fermare la scena. “Vi siete fatti la doccia?”

Kouyou alzò gli occhi al cielo. “Non insieme, ovvio. Ci siamo aiutati con le medicazioni a vicenda.”

Mori passò gli occhi dalla giovane donna al ragazzino, poi di nuovo alla giovane donna. “Ehm…”

Dazai intervenne in suo soccorso. “Lei capisce,” disse, coinciso.

Mori si sentì offeso. “Anche io capisco!”

“Forse con me si è trovato più a suo agio,” propose Kouyou. 

“Tu mi hai tagliato i vestiti,” gli ricordò Dazai, per nulla affezionato al ricordo.

“Sono un medico, stavi sanguinando ed eri privo di sensi!” Perdere una battaglia di nervi contro un ragazzino era una doppia sconfitta per Mori, ma erano state dodici ore molto impegnative e sporche di sangue.

A tal proposito…

“Dobbiamo parlare,” disse il Boss della Port Mafia. “Dazai, immagino che tu sia stato informato sugli ultimi eventi.”

“Più o meno,” rispose il ragazzino.

“Bene.” Mori si rivolse a Kouyou: non era più sporca di sangue ma le fasciature e gli ematomi erano ancora al loro posto. “Casinò è nelle segrete. Con un buco dove nessun uomo vorrebbe.”

Dazai non parve affatto impressionato, Kouyou sì. “Hai seccato un Dirigente a meno di dodici ore dalla morte del vecchio Boss?”

“Non l’ho seccato,” chiarì Mori. “Ha ventiquattro ore di torture come epilogo della sua patetica esistenza.”

“È un Dirigente,” ripeté Kouyou. “Se lo uccidi con tanta velocità, rischi credibilità, potere, tutto.”

“Oh, mia cara, ho altri due Dirigenti a mio favore, oltre alla Black Lizard!” Mori era ottimista, quasi allegro. “Che cosa può andare storto?”




 

“Sei un moccioso che non usa la testa!” Esclamò il Generale.

Mori contrasse il viso in un’espressione dolorante. “Ho trentadue anni.”

“Sì, e ha dimostrato più sangue freddo lui di te,” aggiunse il veterano, indicando Dazai, che guardava fuori dalla vetrata come un bambino sulla ruota panoramica.

Mori li aveva riuniti tutti nell’ufficio del Boss, in cima al grattacielo principale, e aveva portato anche Kouyou in veste di testimone dei tragici eventi.

“Vuole che lei le dica cosa hanno fatto?” Domandò Mori, indicando la giovane donna. “La guardi, Generale.”

L’uomo dai baffi grigi fu costretto a farlo. Seduta sulla poltrona di fronte alla scrivania del Boss, Kouyou non abbassò lo sguardo nemmeno per rispetto verso un suo superiore. No, non era riuscita a proteggere le sue sorelle e le sue maestre, ma non avrebbe abbassato la testa perché era una sopravvissuta.

“Siamo la Port Mafia,” disse Randou, stringendosi di più nel suo cappotto. “La violenza è nella nostra natura.”

“Senza ombra di dubbio,” concordò Mori. “Ma ieri notte si era parlato del rischio di una guerra civile. Ebbene, signori miei, due Dirigenti si sono scagliati contro la nostra stessa gente, quella della Port Mafia. Come vogliamo definire queste azioni?”

Dazai non li guardava in faccia ma ascoltava tutto. Quel Randou non avrebbe fatto una gran differenza nei giochi. Era il Generale quello da convincere: era il più anziano, quello con più esperienza. Nel caso avesse ragioni personali per essere lì, era molto bravo a nasconderle.

Il Generale era stato il primo a pronunciare le parole guerra civile nella sala riunioni, la notte precedente. Il Guercio e Casinò si erano limitati a chinare la testa in un primo momento, per colpirli tutti alle spalle quello successivo.

A meno che il Generale stesso non fosse pronto a rimangiarsi le sue parole, Mori aveva tutto il diritto di rendere cibo per vermi i due Dirigenti traditori. 

“Al di là delle perdite a cui andremo incontro,” disse il Generale, “perché ce ne saranno Mori, hai realizzato quanto ti rendi sospetto agli occhi di tutti? Noi sappiamo che è avvenuto un assassinio. Hirotsu lo sa, ma è un’informazione che non può andare oltre o la Port Mafia potrebbe collassare su se stessa. L’ho detto fin dal principio: non ci possiamo permettere una successione burrascosa. Il Guercio e Casinò sono sempre stati scarti umani, ma tu stai giocando con il fuoco.”

“Invece no,” intervenne Dazai di colpo. 

Quando la sala divenne silenziosa, il quattordicenne si voltò a guardarli tutti. “Non riuscite a vedere il quadro per quello che è,” disse, schietto. “Continuate ad accavallare le cose perché sono avvenute una di seguito all’altra. Voi guardate Mori e vedete l’assassino del Boss Folle, passato a eliminare i suoi sostenitori. In altre parole, non riuscite a vedere oltre il vostro naso.”

Mori fece per dire qualcosa riguardo al modo di esprimersi di Dazai, ma il Generale non si ribellò al suo intervento e lasciò correre. “E che altro dovremmo vedere?” Domandò il veterano.

Dazai sembrava completamente a suo agio in quella sala, come se non si stesse decidendo della vita e della morte di centinaia di persone. “I fatti raccontano una sola storia: il vecchio Boss è morto, Mori è stato scelto come successore e due Dirigenti, non contenti, hanno usato un atto di forza contro la Port Mafia stessa per esprimere il loro disappunto. Dove sarebbe il sospetto in questa storia? Non capisco.”

Mori rise sotto i baffi: Dazai capiva perfettamente, ma gli piaceva far sentire i potenti dei perfetti idioti.

“La verità, Generale, è che il sospettoso è solo lei,” concluse Dazai. “Lei non vede Mori che usa il suo diritto di fare giustizia contro i traditori, lei vede un regicida che potrebbe usarvi e, una volta finito, uccidervi. Lei non era lì, ieri notte. Lei sapeva dell’omicidio ma ha preso delle caute distanze dai fatti. Mentre il suo collega si è liberato del corpo in prima persona e il leader della Black Lizard è stato fondamentale per la copertura. Voleva il Boss Folle morto, ma non aveva il coraggio di sporcarsi le mani… E ora che è arrivato qualcuno a fare quello che andava fatto, lei è in preda alla paranoia.”

Il Generale strinse i pugni. Era un uomo d’onore e Mori dubitava si sarebbe lanciato contro un ragazzino già menomato di suo, ma rimase comunque teso, pronto all’azione.

Il vecchio Dirigente abbassò lo sguardo con un sospiro stanco. “Chiedo il permesso di parlare privatamente col Boss.”

Mori aveva una mezza idea di dove si volesse arrivare. “Permesso accordato,” disse, cercando l’unico occhio del quattordicenne. “Ma Dazai resta.”

Il Generale passò gli occhi dal Boss al ragazzino, poi annuì. “Si è guadagnato il diritto di restare.”

Mori si rivolse allora all’uomo dai lunghi capelli neri. “Randou, accompagneresti la signorina Ozaki al salottino qui fuori. Torneremo da voi appena possibile.”

Il Dirigente infreddolito non ebbe nulla da obiettare e fu molto cortese nello scortare Kouyou fuori dall’ufficio. 

Mori allungò la mano verso Dazai. “Vieni qui.” Quando fu a portata, si alzò dalla poltrona che era appena divenuta il suo trono e strinse le spalle del ragazzino. Ancora una volta, si ritrovò a pensare che fosse troppo magro.

Per la prima volta dall’inizio di quella storia, il Generale si soffermò a studiare la figura esile del ragazzino. Non gli aveva dato alcun valore nella sala riunioni, convinto fosse uno scacco nelle mani del nuovo Boss, facile da usare per la sua giovane età e per lo stato di fragilità in cui versava. “Quanti anni ha di preciso?” 

Mori tamburellò le dita sulle piccole spalle. “Può rispondere da solo.”

“Quattordici,” disse Dazai.

“Sembra più piccolo,” commentò il Generale. “Tutti i figli della Grande Guerra lo sembrano. Dove lo hai trovato?”

“È una storia lunga,” rispose Mori, cortesemente.

L’uomo anziano comprese che non gli sarebbe stato rivelato nessun dettaglio aggiuntivo. “Hai ragione, ragazzino, sono io il primo sospettare,” confessò, pur sapendo che così poco sarebbe bastato a renderlo colpevole di alto tradimento. “Hai ragione anche quando dici che volevo quel vecchio pazzo morto, ma mi mancava il coraggio di sporcarmi le mani.”

Nonostante ogni parola fosse un vantaggio per lui, a Mori non faceva piacere vedere un Dirigente della generazione di suo padre ridotto in quello stato pietoso. Il Generale, che da bambino gli aveva sempre messo una certa soggezione, ora assomigliava a un uomo curvo e vecchio, stanco della vita stessa. Lanciò una breve occhiata alla nuca di Dazai e sperò che l’argomento non venisse fuori in quella stanza.

“Posso sedermi?” Domandò il Generale.

“Certamente,” rispose il Boss.

L’uomo si accomodò sulla poltrona lasciata libera da Kouyou e furono proprio per lei le parole che seguirono. “La ragazza ha talento. Non ho seguito direttamente il suo addestramento, ma mi tengo informato sui nostri giovani. Il futuro della Port Mafia dipende da loro e non dai cadaveri ambulanti come me.”

“Perché si sminuisce in questo modo?” Domandò Dazai, deluso. “La notte scorsa, quando è entrato nella sala riunioni, sembrava l’uomo più potente presente.”

Le labbra del Generale si piegarono in un raro sorriso. “Un bambino non può capire,” disse, poi sollevò lo sguardo su Mori. “Neanche tu puoi, Rintarou.”

Nel sentir pronunciare il suo vero nome, il Boss strinse le labbra ma non ne fu sorpreso. Lo aveva conosciuto da bambino, era rimasto al fianco di suo padre come amico ed era l’ultimo superstite di una generazione di mafiosi che non esisteva più. Il Boss Folle si era premurato di spazzarla via un poco alla volta. 

“Sei un Boss giovane,” proseguì il Generale. “Non il più giovane della storia della Port Mafia, ma comunque giovane.”

Le labbra di Mori si piegarono in un sorriso amaro. “Tu non hai alcuna fiducia in me, vero?” Passò al tu perché non c’era nulla di formale in quel colloquio. Tanto valeva dire le cose per quelle che erano.

“Sono certo che, in questo preciso momento storico, nessun altro possa guidare la Port Mafia,” ammise il Generale. “Sei figlio di una famiglia che ha scritto la sua parte di storia in questa organizzazione e, in particolare, tuo padre era un uomo che aveva tutta la mia fiducia e il mio rispetto. Se fosse per me, se la morte fosse un processo reversibile, quella poltrona spetterebbe a lui.”

“Se mio padre fosse vivo, avrebbe qualche anno più di te,” disse Mori. “Ora la Port Mafia si troverebbe in una situazione completamente diversa, ma si starebbe comunque parlando di successione. Inoltre, Generale, chi meglio di te sa che la storia non si scrive con i se.”

Il Dirigente annuì, fissando un punto qualunque del tappeto, come se stesse riflettendo. Quando ebbe finito, cercò di nuovo gli occhi di Mori. “Quando avevi quindici anni, non avrei scommesso nulla di te,” dichiarò. “Ougai… Il vero Mori Ougai ti proteggeva, provava a educarti a divenire qualcuno di grande.”

A quelle parole, Dazai sollevò lo sguardo perplesso sul Boss ma Mori lo ignorò completamente.

“Eri un bambino maledetto, Rintarou,” proseguì il Generale. “Lo sapeva tuo padre, lo sapevamo tutti. Avevi dalla tua parte un’intelligenza fuori dal comune, che nessuno sapeva come incanalare. A parte questo, eri una mina vagante. Possedevi un’abilità che non sapevi usare. Smaniavi per avere qualcosa che nemmeno tu sapevi cosa fosse. Ti avessero consegnato il mondo intero, non ti sarebbe bastato. Alla fine della storia, nessuno dei tuoi talenti ti è valso qualcosa in questa corte di Yokohama. Sei fuggito in Germania e lì hai scritto una storia che non conosce nessuno. Quando sei tornato a casa, lo hai fatto da soldato congedato con disonore e con l’abilitazione da medico.”

Dazai continuava a tenere l’unico occhio sano sollevato su Mori. Il modo in cui incassava ogni parola senza reagire lo confondeva.

“Se il vecchio Boss non fosse stato completamente demente, ti avrebbe trucidato come ha fatto con tutta la tua famiglia. Invece, colpo di fortuna, sei divenuto suo medico personale e anche Dirigente.” Il Generale emise un sospiro. “Vuoi sapere come la penso davvero? Eri maledetto e sei rimasto maledetto. Qualunque cosa sia successa in Germania, non ha fatto altro che confermare questa tua condizione. La Port Mafia ha bisogno di stabilità e non credo che tu sia in grado di dargliela ma, come ho detto, questa città manca di personalità adatte a questo ruolo.”

Seguì un lungo minuto di silenzio. Dazai dedusse che il Generale avesse finito con la sua confessione e che ora toccasse a Mori contrattaccare.

Ma il vecchio Dirigente aveva ancora qualcosa da dire. “Per questo e per molto altro, ti presento le mie dimissioni, Boss della Port Mafia.”

Dazai sentì le dita di Mori stringerli le spalle di colpo: lo aveva preso di sorpresa, anche se la sua espressione non tradiva alcuna particolare emozione. 

“Il tuo posto non è mai stato messo in discussione da me,” disse il Boss, con voce incolore. “Ma immagino che la mancanza di fiducia nei miei confronti sia un problema.”

Il Generale si alzò in piedi. “Per quel che mi riguarda, la Port Mafia non esiste più da anni. Quello che tu e chiunque sceglierai come tuo Dirigente andrete a creare non m’interessa e non mi appartiene. Quando qualcosa è morto, è giusto dichiararne il decesso e lasciare il passo alle nuove generazioni. La mia ha esalato il suo ultimo respiro con tuo padre. Dopo la sua morte, non ho avuto la volontà di fare altro che occupare una poltrona e restare a guardare.”

“Codardo…”

Quella parola sfuggì nello stesso momento sia a Dazai che a Mori, ma fu la voce di quest’ultimo a udirsi più chiaramente. Il quattordicenne sollevò di nuovo lo sguardo e, finalmente, vide negli occhi del Boss quel bagliore violaceo che si era aspettato da quando il Generale aveva iniziato a parlare.

Mori lasciò andare le spalle di Dazai e fece il giro della scrivania per trovarsi faccia a faccia con il Dirigente. “Continui a ripetere quanta nostalgia provi per mio padre, per l’uomo che era e la guida che rappresentava, ma non mi risulta che tu abbia alzato un dito quando il Boss Folle ha ordinato il massacro di tutta la famiglia Mori,” disse, calmo, gelido. “Tu sapevi degli uomini mandati in Germania per uccidere anche me, ma non ti è passato per la testa di avvertirmi, vero? Hirotsu lo ha fatto. Un uomo che non mi doveva niente e che aveva tutto da perdere mi ha salvato la vita, mentre il caro amico di mio padre occupava la sua poltrona in completo silenzio.”

Dazai osservò la scena affascinato. Il Generale era più alto di Mori, più robusto ma l’aura di potere che gli aveva visto addosso la notte precedente era sfumata, come una nuvola di fumo.

Il Dirigente aveva impiegato interi minuti a esprimere il suo punto di vista. A Mori erano servite poche parole per schiacciarlo e dipingerlo per quello che era realmente. Non c’era nessun possibile contrattacco a un affondo del genere. Anche se il Generale avesse estratto la pistola e sparato a tutti e due, la sua immagina era inevitabilmente compromessa e l’epilogo della sua vita era condannato all’oscurità più tetra.

Dazai un colpo di pistola se lo aspettava, ma da parte di Mori. La discussione aveva raggiunto livelli troppo personali perché il Dirigente se ne potesse andare sulle sue gambe.

Il Boss della Porta Mafia fece un passo indietro e simulò un colpo di tosse, come per schiarirsi la voce. “Accolgo le tue dimissioni. Lascerai la città e non avrai più informazioni riguardanti questa organizzazione o contatti con chi ne è ai vertici,” ordinò. “La Port Mafia ripagherà per il tuo servizio per il resto dei tuoi giorni. Inutile dire che ti è proibito fare ritorno a Yokohama per qualsiasi ragione.”

Forse temendo la stessa sorte che Dazai aveva previsto per lui, il Generale chinò la testa - per la prima volta, come si doveva - di fronte al nuovo Boss della Port Mafia. “Vi sono grato, Boss.”

“Ora vattene,” concluse Mori. “Non voglio più vederti in mia presenza.”

Il Dirigente si diresse verso la porta, le spalle curve. 

Dazai non comprendeva tanta magnanimità. Quell’uomo non era meno colpevole del Boss Folle del massacro della famiglia Mori, quindi perché si guadagnava quella libera uscita, come se nulla fosse successo?

Il Generale abbassò la maniglia della porta.

“Un istante,” lo fermò Mori. 

Il Dirigente non si voltò.

“È inutile, da parte mia, ricordarti che non si è mai liberi dalla Port Mafia, vero?” Il sorriso diabolico che comparve sulle labbra di Mori diede a Dazai l’impressione di essersi perso qualcosa. “Una volta nell’oscurità, si rimane legati all’oscurità. Prega che questa non ti divori.”

Il Generale non replicò in alcun modo. Esitò un istante, poi uscì dalla scena per sempre.

Rimasti soli, Mori rilassò le spalle e sbuffò. Fece qualche passo avanti e indietro, come se dovesse calmare i nervi. “Che cos'è appena successo?” Domandò, mentre vagava.

Dazai sapeva che si stava rivolgendo a lui. “Hai lasciato andare una minaccia che potrebbe tornare a colpirci.”

Mori scosse l’indice, senza guardarlo. “Sei stato attento per tutta la scena. Credi davvero che quell’uomo abbia assi nella manica da giocare?”

Dazai ci pensò, poi scosse la testa. “Vive nella paura da anni. Ne è completamente annichilito.”

“Bravo.” Mori accennò un sorriso, gli stava tornando il buon umore. “Quindi, te lo chiedo di nuovo, che cosa è successo?”

“Hai lasciato andare un uomo che vorresti uccidere con le tue mani.”

Mori rise. “Questo non è scorretto,” ammise. “Ma la lezione è un’altra. Concentrati.”

“Quando tutto questo si è trasformato in una lezione?” Domandò Dazai, annoiato.

Mori diede un freno al suo vagare e appoggiò entrambe le mani sulla scrivania. “Lavoreremo sulla tua impertinenza strada facendo,” promise. “Ora voglio che analizzi la situazione e comprendi la strategia.”

Fu il turno di Dazai di sbuffare. “Non può liberarsi dalla Port Mafia, giusto? Tu sei la Port Mafia. Un tuo ordine e chissà che ne sarà di lui. Potrebbe arrivare domani, tra tre mesi o forse mai. Quell’uomo ha vissuto nella paura per anni, ma ora non potrà muovere un passo senza guardarsi le spalle. È la tua punizione per la sua codardia.”

Mori sorrise soddisfatto. “Per oggi basta così. Torniamo a casa, Dazai,” disse. “Per essere solo l’inizio, è stata una buona giornata.”




 

“Siamo rovinati.” Fu la conclusione a cui Mori arrivò tre ore dopo, seduto al tavolo della cucina della clinica, un documento per mano e l’occhio scuro di Dazai che lo fissava dalla parte opposta del tavolo. Sopra le loro teste, la lampadina dalla luce funerea non faceva nulla per rendere meno pesante l’atmosfera.

“Abbiamo un Dirigente morto, o quasi morto, un altro è ricercato per tradimento e un terzo è andato in pensione con disonore.” Il riassunto dei fatti era ancor più deprimente dei fatti stessi. “Ho almeno un centinaio di assassine addestrate uccise e altrettanti uomini da far giustiziare per alto tradimento.” Mori guardò malamente la pila di cartelle che aveva spinto il più possibile lontano da sé. “E non abbiamo ancora toccato la questione economica…” Era certo che se avesse sfiorato quelle carte, la sua pelle si sarebbe riempita di bolle.

Dazai, da parte sua, non se ne stava davvero con le mani in mano. Sfogliava i dossier senza interesse, ma cercava qualcosa. “Il braccio armato è completamente dalla tua parte,” disse. “Gli uomini che hanno consumato il massacro alla Casa dei Fiori erano solo soldati personali del Guercio e Casinò. In confronto alla Black Lizard, sono solo un gruppo di manichini armati. Non perdi molto a giustiziarli.”

“C’è da dire un’altra cosa,” aggiunse Mori, “i possessori di abilità sono davvero pochi. Siamo al livello più basso della storia della Port Mafia. Il vecchio pazzo ne ha mandati a morire molti con i suoi ordini folli.”

Dazai pescò una cartella tra le altre. “Quanto fa ridere sostituire un Generale con un Colonnello?”

Mori allungò la mano per prendere il documento e dare un’occhiata a sua volta. “È nelle prigioni del quartier generale,” disse, con una smorfia. “Che cos’hai lì, il registro dei prigionieri?”

“Quello dei condannati per tradimento, nello specifico,” rispose Dazai. “Uomini dei piani intermedi, anche armati di abilità, che hanno cercato di ribellarsi più o meno direttamente al vecchio pazzo. Se sei carente di alleati, cercali in chi odiava chi hai ucciso con le tue mani. Saranno più ben disposti nei tuoi confronti, rispetto a chi aveva trovato il modo di fare i propri comodi sotto il comando di un leader pazzo.”

Mori rimase come congelato per una manciata di secondi. “Perché non ci ho pensato prima?”

“Perché dai per scontato che i traditori muoiono a poche ore dalla loro condanna, credo,” disse Dazai, sollevando una lunghissima lista di nomi. Erano tutti uomini della Port Mafia accusati di questo o quel comportamento sospetto. A giudicare dalla scarsa lucidità del vecchio che aveva ucciso, Mori aveva motivo di credere che una buona metà di quei nomi non avesse mai nemmeno pensato di tradire il Boss. Ma era impossibile avere la meglio contro un uomo folle dotato di potere.

“Chi è questo Colonnello?” Domandò, dando un’occhiata alla scheda del prigioniero. “Non ricordo il suo caso, ma il viso mi è familiare.”

“Colonnello è un nome in codice,” disse Dazai. “C’è scritto che ha dichiarato di aver seppellito quello vero su uno dei tanti campi di battaglia della Grande Guerra.”

Mori ridacchiò. “Posso comprenderlo,” disse. “Siamo quasi coetanei,” notò.

Sei giovane. Aveva detto il Generale.

Forse era proprio quella la chiave di volta che avrebbe fatto risorgere la Port Mafia: metterla nelle mani di chi aveva conosciuto la guerra, che non perdeva tempo a rimpiangere un paradiso dorato andato perduto per sempre. Mori sorrise tra sé e sé: non era un punto malvagio da cui far partire la ricostruzione.

Kouyou entrò nella cucina senza bussare. “Ho ordinato qualcosa per cena,” li avvisò. Era riuscita a recuperare alcuni vestiti dai suoi appartamenti. Nessuno kimono sfarzoso, solo dei comunissimi jeans e un maglioncino leggero. 

Mori dubitava che il Guercio avrebbe tentato un altro colpo in completa solitudine, ma la voleva dove poteva tenerla d’occhio. 

“Voi due dovete mangiare qualcosa,” aggiunse, severa come poteva esserlo una madre. A Mori si chiudeva lo stomaco al pensiero che a separarla da Dazai vi fossero solo quattro anni di differenza. A dispetto dei suoi diciotto anni, Kouyou era una donna che dalla vita aveva ricevuto tutte le lezioni peggiori e ne era uscita a testa alta. 

A Mori, quella creatura a tratti eterea e a tratti letale, ricordava tanto la madre che lo aveva cresciuto - non quella che lo aveva messo al mondo - la moglie di suo padre, colei che era stata signora della Casa dei Fiori durante la sua infanzia e adolescenza. “Kouyou, t’interessa un posto da Dirigente?” Chiese, di colpo. 

Era serio.

Lei gli rise in faccia a tempo zero. “Non essere assurdo, Mori. Piuttosto, Dazai ha bisogno di vestiti che non rischiano di cadergli di dosso a ogni passo.”

Mori la fissò, incredulo: lui le offriva il mondo - oscuro e sporco di sangue della Port Mafia - e lei lo ignorava in favore del guardaroba di Dazai.

Decise che avrebbe rimandato la proposta a delle circostanze meno traballanti. “Domani ti lascio la carta di credito, così lo puoi portare ai grandi magazzini e divertirti,” disse, ben felice di liberarsi di quell’incombenza. La moda dei ragazzini era così noiosa, tutta uguale e priva di brio.

“Affare fatto,” accettò Kouyou, spettinando amichevolmente i capelli di Dazai.

Il ragazzino continuò a guardare le cartelle, come se nessuno lo avesse toccato. 

Mori lo fissò, ripensando a quanto era accaduto nell’ufficio in compagnia del Generale. Dazai non aveva chiesto spiegazioni - figurarsi se si fosse disturbato ad aprire bocca per fare due chiacchiere - ma erano state buttate lì, a caso, delle informazioni sul passato di Mori. Era saggio fare ordine, prima che quella giovane mente elaborasse qualcosa che non era corretto - sempre ammesso che gliene fregasse qualcosa.

“Il mio nome è Mori Rintarou,” disse, di colpo e l’unico occhio scuro del quattordicenne fu subito su di lui. “Mori Ougai era il nome di mio padre. Lo uso perché Rintarou è morto in Germania e mi piace creare un po’ di dramma.” Alle volte, non si prendeva troppo sul serio neanche lui.

Accanto a Dazai, Kouyou lo fissò basita.

“Avanti, mia cara, non è un segreto di stato.” Per Mori, sminuire era il miglior modo per tirare fuori il passato. “Ti ho già raccontato di mio padre, Dazai. La mia famiglia è stata massacrata dal Boss Folle, mentre ero in Germania. Ha tentato di raggiungere anche me, ma non c’è riuscito.”

“Che vuol dire che sei maledetto?” Domandò Dazai.

Kouyou gli strinse la spalla. “Questa è una storia per un’altra volta.” Fu lei a mettere il punto.

Suonarono alla porta d’ingresso.

“Mettete via tutto,” disse lei. “È arrivata la cena.”

Mori sventolò la scheda del Colonnello. “Lo prendiamo in esame,” disse sottovoce al quattordicenne.

Dazai mantenne la sua espressione imperturbabile. 




 

Mori impiegò un intero quarto d’ora a trovare il pacchetto di sigaretta nel secondo cassetto della sua scrivania. Lo aveva buttato lì dentro non ricordava esattamente quando - forse due o tre mesi prima - risoluto a non voler più prendere una sigaretta tra le dita. Beh, al tempo non aveva previsto che avrebbe vissuto una giornata come quella. Quando vide che dentro la confezione mezza vuota si trovava anche un accendino, gli scappò un sorriso. Dato che c’era, recuperò anche il portacenere nascosto dietro il cestino della spazzatura. 

“Gli adulti non fanno altro che mentire a loro stessi,” disse Elise, seduta sulla sua poltrona girevole, facendo penzolare le gambe perché non arrivava a toccare il pavimento.

“Triste realtà,” convenne Mori, attraversando la stanza per lasciarsi cadere sul divano. Appoggiò il posacenere sul bracciolo e si portò una sigaretta alle labbra. Dopo aver aspirato, gettò la testa all’indietro, esausto.

Erano state ventiquattro ore molto, molto intense.

Elise saltellò fino al suo fianco. “Quando ti deciderai a smettere per davvero?”

“Mai,” rispose Mori, perché non aveva alcuna voglia di buttare lì un proposito che non gli interessava davvero.

“Sei un medico, conosci gli effetti del fumo sul tuo corpo,” gli ricordò Elise, annoiata.

Dato che non la guardava in faccia, Mori immaginò per un attimo che a parlare fosse stata Yosano. Doveva fare i complimenti a se stesso: era bravo con le imitazioni, anche se solo attraverso il riflesso della sua abilità 

“Di qualcosa bisogna pur morire,” replicò Mori, banale. Se anche avesse fumato una sigaretta al minuto per il resto della vita, il cancro non sarebbe mai arrivato abbastanza velocemente per ucciderlo. No, sarebbe toccato a qualcos’altro.

Una pistola o una lama?

Un nemico, oppure un traditore?

Le storie dei Boss malavitosi non finivano mai con una serena morte naturale, in tarda età. Era un po’ una clausola del contratto per divenire leader di un’organizzazione come la Port Mafia: la morte sarebbe sopraggiunta prematuramente e, quasi di sicuro, in modo violento.

“Ho anche la canzone per il mio funerale,” annunciò Mori, con allegria fuori luogo. “Quella di Parigi… Quella dell’ultimo ballo mio e di Hans.” Aspirò un’altra boccata di fumo. “It's something unpredictable. But in the end, it's right. I hope you had the time of your life. È una buona canzone per un Boss caduto della Port Mafia.”

“Non ti sembra un po’ precoce questo tuo pensiero?” Elise era ancora accanto a lui, sotto forma di una bella bambina dall’aspetto di una bambola. Fosse stata reale, non sarebbe mai stata in grado di fare simili discorsi con un’espressione tanto adulta.

Ma quello era il gioco di Mori. Sue le regole, sue le variazioni.

Al tempo della guerra, la forma che aveva dato a Vita Sexualis si chiamava già Elise, ma si rivolgeva a lui come padrone e non aveva nemmeno l’ombra della personalità con cui ora si faceva conoscere.

Perdere Yosano gli aveva smosso dentro qualcosa, forse la repulsione per il silenzio e il peso dell’assenza di qualcuno in grado di contraddirlo, senza temerlo.

“Se morissi, che cosa faresti, Elise?” Era una domanda sciocca, perché Elise era lui

“Ti hanno appena fatto Boss e già pensi alla tua morte?” Domandò una voce di donna.

Mori sollevò la testa: Kouyou era sulla porta - che si era sbadatamente dimenticato di chiudere - avvolta in una vestaglia di seta nera. I bei capelli rossi erano raccolti in una treccia che le ricadeva sulla spalla destra. Sulle gambe nude, Mori poteva vedere i segni di quello che aveva subito appena la notte prima. Aveva cambiato le bende all’occhio da sola, ma lo zigomo si era fatto più nero e il labbro inferiore più gonfio. Sarebbe peggiorato tutto ancora un po’, prima di migliorare.

Good Riddance,” aggiunse Kouyou. “Me la ricordo. La suonasti al piano della Casa dei Fiori e la cantasti pure. Al tempo, lo feci per rallegrare gli animi e ora salta fuori che è un inno di morte?”

“Elise, vai a giocare,” disse Mori alla bambina, che trotterellò dietro al divano, sparendo dalla vista di entrambi. 

“Non mi disturbava,” disse Kouyou.

“Sì, invece, lo fa,” ribatté Mori. “Penso che tu sia stata la seconda persona a dirmelo.”

La prima era stata Yosano.

Kouyou scrollò le spalle. “Ho difficoltà a parlare con un te che non sei tu,” si giustificò. 

“Elise è la forma che do alla mia abilità, chi ti dice che non abbia una sua coscienza?” Domandò Mori, con innocenza. “Tu porti un Demone con te.”

Kouyou attraversò la stanza. “È diverso,” disse, sicura. “Demone Dorato non è come Elise. Io non posso cambiare la forma della mia abilità, tu puoi fare di lei ciò che vuoi.”

Mori scrollò le spalle. “In realtà, è solo un trucchetto. Tutta questione di pratica, nulla di più.”

“Quando ti sei sentito tanto solo d’avvertire il bisogno di parlare con te stesso, Mori?” Domandò Kouyou, diretta.

Non poteva avere idea del nervo scoperto che aveva toccato, così Mori rese il suo sorriso più tirato e la invitò a sedersi accanto a lui. Mentre lei si accomodava, fece un altro tiro.

“Non avevi smesso?” Domandò Kouyou, coprendosi le gambe con la vestaglia nera.

“Ne ero convinto anche io,” ammise il Boss, poi la guardò in faccia. “Come stai?” C’era della sincera apprensione in quella domanda.

Kouyou esitò un istante. “Credo dovrei essere distrutta, sconvolta.”

“Non importa quello che dovresti provare. M’importa quello che provi realmente.”

La giovane donna passò la lingua sul taglio del labbro inferiore. “Sono felice che sia morto.” Lo aveva già detto, ma non guastava ripeterlo. “Sono felice che ora ci sia tu.”

“Non hai paura che sia l’ennesimo bastardo di turno?”

“Sai, Mori, il mio lavoro è andare a letto con gli uomini per farli parlare. Dopo il sesso, hanno sempre voglia di chiacchierare. Io e te non ci siamo mai tolti un vestito, eppure tu hai sempre parlato un sacco con me.”

Mori rise e l’attacco d’ilarità lo prese tanto di sorpresa che per poco non si strozzò con il fumo che aveva in gola. Dopo tre colpi di tosse, tornò in sé. “Non scherzavo prima,” disse. “Riguardo al darti il posto da Dirigente.”

Kouyou evitò completamente la questione. “Quel Colonnello che ha trovato Dazai non è un candidato malvagio. Ha un’abilità, anche se non ricordo quale, e ti fa la cortesia di farti venire, prima di avere il suo orgasmo.”

Il viso di Mori si accese di una luce fanciullesca. “Pettegolezzi!” Quanto gli mancavano quei momenti della sua adolescenza, quando le ragazze della Casa dei Fiori mormoravano dei piccoli segreti dei grandi uomini della Port Mafia. “Beh, se riesce a far venire una donna, questo Colonnello è un gran signore.”

Anche Kouyou rise. “Mettilo tra i requisiti fondamentali per fare carriera nell’organizzazione, renderesti le donne di Yokohama molto più felici.”

“Mia madre mi raccontava cose che noi umani…” Mori lasciò la frase sospesa. “Non abbiamo mai fatto sesso, ma abbiamo finito per parlarne. Conterà qualcosa?”

“Vado a dormire.”

Entrambi sobbalzarono sul divano e ci mancò poco che il posacenere finisse a terra, in mille pezzi. Dalla porta, Dazai li guardò entrambi senza comprendere. “Che cosa c’è?”

Mori prese un respiro profondo. “Dazai, cerca di annunciarti, prima di comparire. Non sei il fantasma di un romanzo gotico.”

“Se era una battuta, non faceva ridere,” disse il ragazzino. “Buona notte.”

“Buona notte, Dazai,” rispose Kouyou.

Mori si limitò a massaggiarsi la fronte. Quando sollevò il viso, trovò lo sguardo inquisitore di lei pronto ad accoglierlo. “È complicato,” disse subito, gettando le mani avanti.

“Oh, non lo avevo capito,” ribatté lei, sarcastica.

Mori si concesse un minuto di silenzio per finire la sua sigaretta: non c’era modo di sfuggire a quel discorso e tanto valeva soddisfare la curiosità di lei in un momento di calma come quello. “Che cosa vuoi sapere?”

“Da dove viene?”

“Ah, la risposta a questa domanda vale quanto l’intero debito della Port Mafia.” Quello che Mori non aveva avuto il coraggio di calcolare dai dati contabili.

Kouyou allargò le braccia. “Come è iniziata?” Domandò. “Due giorni fa non esisteva.”

“No, due giorni fa era già qui, ma aveva appena ripreso a camminare. Ci ha messo un po’ per riprendersi.”

“Mi ha detto che ha cercato di uccidersi.”

Mori annuì. “È quello che so anche io.”

“Allora?”

“Allora, che?”

Kouyou sospirò, esasperata. “Ho capito, non puoi dirmelo.”

“Posso dirti che era massacrato,” disse Mori, serio. “Che tra ferite superficiali e ossa rotte, non sapevo da dove cominciare a rimettere a posto i pezzi. Penso si sia lanciato da un’altezza che a lui è sembrata considerevole, ma si è solo fatto male. Molto male.”

“Danni irreversibili?” Domandò Kouyou, abbassando la voce.

Mori scosse la testa. “È solo rattoppato. Si rimetterà alla perfezione.”

“E tutto il resto?”

“Tutto il resto?”

“L’ho visto nudo… Cioè, in intimo, ma a quel punto non aveva molto con cui nascondersi,” disse Kouyou, seria. “Con il braccio ridotto in quel modo, aveva bisogno di aiuto per togliersi i vestiti e farsi la doccia.”

Mori non aveva molto da dire a quel punto. “Tutta la vecchia Port Mafia sa cosa è successo la prima volta che ho usato la mia abilità. Credo che la storia sia arrivata anche a te.”

Lei non sapeva come replicare.

“Sesso biologico e identità di genere sono due cose diverse,” disse Mori, con serenità. “Quando mi sono ritrovato incastrato in un corpo che era mio solo per metà, ho dovuto trovare la persona giusta per imparare ad accettarmi davvero. Dazai sembra aver trovato la sua identità e il modo giusto in cui viverla, ma ha quattordici anni. Ha tutto il tempo del mondo…”

“Ma vuole morire.”

“Non morirà,” disse Mori, secco. “Troverò il modo di fargliela passare.”

Kouyou gli lanciò uno sguardo eloquente. “È praticamente il tuo braccio destro nella tua ascesa come Boss. Se volevi fargli terapia, hai scelto davvero un ottimo modo per convincerlo ad amare la vita.”

Mori fece finta di rifletterci. “Sì, sono stato davvero bravo.”

“Mori!”

“Eh?” Il medico allargò le braccia. “Vuoi che ti spieghi Dazai Osamu? Magari ci riuscissi!”

“Perché vuole morire?”

“Non lo so.”

“Ha quattordici anni.”

Fu il turno di Mori di guardarla. “Hai avuto pensieri autodistruttivi anche tu, a un certo punto. Non sappiamo cosa ci sia nel suo passato per averlo reso così allergico alla vita.”

La giovane donna lo guardò sospettosa. “Dal momento che gli dai una camera qui, in casa tua, lo rendi partecipe della tua ascesa al potere e, come se non bastasse, paghi perché abbia dei vestiti nuovi, che cosa ci dobbiamo aspettare da te e lui?”

Mori accennò un sorriso. “Ti dirò quello che ho detto a tutti gli altri: capiterà spesso di vedere Dazai in giro per la Port Mafia, sarà meglio che ci faccia l’abitudine anche tu.”




 

Tre mesi dopo la morte del Boss Folle, Mori e Dazai vivevano ancora alla clinica e Kouyou era loro ospite. Il Generale era stato di parola e aveva lasciato la città in silenzio, mentre Casinò aveva esalato l’ultimo respiro condannando il Guercio al suo destino. 

A quel punto, Mori Ougai era a capo di una Port Mafia che contava un solo Dirigente - sempre ammesso che Randou non avesse intenzione di congelare da un giorno all’altro e congedarsi dalla scena a sua volta - un debito con tanti zeri da far accapponare la pelle e nessuna voglia di trasferirsi al quartier generale.

La clinica non era dotata di nessun sistema di sicurezza, ma Mori aveva come la sensazione che andare alla torri sarebbe stato come gettarsi nella fossa dei leoni.

Il Boss faceva il suo lavoro, ma non in un ufficio con vista su Yokohama.

Quello che il nuovo leader della Port Mafia doveva fare era rimettere insieme i pezzi, ma le sue alleanze e i suoi contatti non erano sufficienti perché potesse fare tutto il lavoro da solo. 

Pensare ai Dirigenti era il primo passo. Hirotsu si era rifiutato categoricamente, confermando la lealtà sua e dell’intera Black Lizard al nuovo Boss. “Non ha senso che occupi una poltrona che non porterebbe nulla di nuovo a lei e all’organizzazione,” era stata la giustificazione del veterano. “Vi servono Dirigenti che possano arricchire la vostra rete. Sotto questo punto di vista, Randou non è il migliore, ma il Colonnello è quello che ci vuole in questo momento.”

Così, Mori decise di tirare fuori dai sotterranei questo Colonnello. Era più maturo di lui, ma non di molto. Avevano combattuto ed erano sopravvissuti alla stessa guerra.

Dopo un un primo incontro, trovarono abbastanza punti in comune da raggiungere un accordo. “Ho amici che facevano parte dell’esercito,” disse il Colonnello. “Soldati delusi, abbandonati dal Governo. Immagino di non dovervi spiegare storie simili, Boss.”

Mori accennò un sorriso. “Se hanno bisogno di una casa, qui abbiamo molto spazio.”

A costo di passare da idiota, Mori tornò da Hirotsu diverse volte per rivedere la questione della sua promozione. “Vedila come una cosa personale,” tentò il nuovo Boss. “Hai servito la mia famiglia fino alla fine. Quando nessuno ha mosso un dito per salvarmi in Germania, hai rischiato tutto per me. Inoltre, sei un veterano, tutti qui ti conoscono e ti rispettano. Divenire un Dirigente è l’evoluzione naturale della tua carriera.”

Hirotsu si limitò a sorridergli con garbo. “Sono lusingato, Boss,” disse, con rispetto. “Ma sarei molto più onorato di addestrare per voi un nuovo leader della forze armate, piuttosto che occupare una poltrona che non ritengo adatta alla mia persona.”

Seduto nel famoso ufficio con vista su Yokohama - in cui ogni tanto andava per fare scena - Mori rivolse al veterano uno sguardo un tantino turbato. “Non starai pensando alla pensione anche tu, spero.”

“Non temete, Boss,” lo rassicurò Hirotsu. “Se dovrò congedarmi, lo farò sul campo. Siamo però incapaci di prevedere quando accadrà e temo che ai miei ordini vi siano molti guerrieri talentuosi, ma nessun leader.”

Quel giorno, Mori si rassegnò al fatto che Hirotsu non sarebbe mai stato un suo Dirigente e aggiunse alla lista delle cose da fare: trovare un futuro leader per la Black Lizard.

Alla fine, l’ultima da convincere era Kouyou.

Dato che vivevano insieme, in ufficio andarono praticamente a braccetto e non fu un colloquio formale, più un tè tra amici - preparato da Hirotsu - mentre Elise faceva disegni coi pastelli colorati, distesa su uno dei grandi tappeti.

“Voglio far innalzare un memoriale,” disse Mori. “No, non abbiamo potuto dare degna sepoltura a tutte le donne morte, ma come soldato ho una certa sensibilità nel ricordare i caduti.”

Kouyou alzò gli occhi al cielo, allontanando la tazzina dalla bocca. “Che cosa vuoi, Mori?”

“Sto ricostruendo la Casa dei Fiori.” Era scontato che lo facesse, ma era importante che lei lo sapesse per prima in via ufficiale. “Avrò bisogno di una nuova Maestra che si prenda cura delle ragazze e non solo di quelle. Svecchiamo un po’ i metodi tradizionali. Non tutti i ragazzi sono pugni e pistole.”

“Ammetto che l’idea mi piace,” disse Kouyou. “Quella di cambiare le cose, intendo.”

“E come ti vedi nel ruolo di Maestra?”

“Non sarò una tua Dirigente,” lo precedette lei, con un sorriso cortese.

“Sii la mia signora della Casa dei Fiori,” propose Mori. “Al resto penseremo poi.”

E anche Kouyou era sistemata, almeno fino a che non l’avrebbe convinta a salire su di un gradino più alto.

Non era molto, ma era abbastanza perché la gente della Port Mafia lo vedesse impegnato in qualcosa. Ci volle un altro mese perché Kouyou avesse una casa in cui tornare. 

A quel punto, Mori tornò a essere da solo con Dazai.



 
   
 
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