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Autore: e m m e    21/03/2022    1 recensioni
Quando scopre la possibile esistenza di un serial killer che abbandona cadaveri in giro per la sua città, Spider-Man inizia ad essere ossessionato dall’idea di trovarlo. Ha così inizio una caccia senza tregua per cui Peter non è psicologicamente pronto né tecnicamente preparato, e per la quale l’unico supporto incondizionato lo riceve dall’unica persona che è sempre stata pronta a darglielo: Deadpool.
Peccato che, per i due vigilanti, gli anni di lotta inizino a farsi pesanti, le spalle a piegarsi, le ragnatele a spezzarsi, i sentimenti a sfilacciarsi e il cuore… a non reggere.
Genere: Angst, Romantico, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Deadpool, Peter Parker/Spider-Man
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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8. E quindi prendimi, mordimi, toglimi tutto, continuerò a non avere la paura del buio

«Vaffanculo a Capitan America!» fu la prima cosa che Wade decise di dire. «Appena Weasel sa qualcosa io sono fuori di qui». Mentre parlava teneva gli occhi puntati sul cellulare il cui schermo era nero e vuoto, la linea delle sue spalle era contratta, distante.

«Certo» confermò Peter, che dovette combattere il primo, fatale impulso che gli gridava di lanciarsi fuori dalla finestra e sparire nella notte. «Wade… mi dispiace.»

«Dovresti dirlo ad Abby, non a me.»

Ouch. Peter percepì l’intestino stringersi in una morsa, come se tutti i suoi organi interni fossero stati rimescolati da un pugno piazzato alla perfezione. Se avesse avuto qualcosa nello stomaco probabilmente avrebbe vomitato e Wade se ne accorse subito, perché Wade si accorgeva sempre di tutto. Non fece nulla per farlo sentire meglio, però, e quello sì che era straniante. Non che Peter non si meritasse un po’ di sano disprezzo, visto l’assoluto casino che aveva contribuito a combinare, ma era sempre strano vederlo arrivare da Deadpool, quel disprezzo. Deadpool, che aveva sempre baciato il terreno su cui Spider-Man camminava.

Dopo un attimo in cui cercava di raccogliere i pezzi del proprio ego distrutto, Peter si accorse che non erano mai stati così tanto tempo in silenzio, fermi immobili, senza nemmeno guardarsi.

«DP…» fece, prendendo un lungo respiro che non lo aiutò affatto. «Penso che dovremmo parlare.»

L’altro non gli fece quasi finire la frase. «Avremmo dovuto parlare una settimana fa, Webs.»

La stanza era piccola, ma fino ad allora Peter non l’aveva mai considerata soffocante. Stava appoggiato all’isola in finto marmo che separava la cucina dal resto dell’ambiente; invece, Wade stava direttamente opposto a lui, le braccia incrociate sul petto, il busto leggermente spostato all’indietro, il sedere posato sullo schienale del divano. Dietro di lui la televisione era ancora accesa, ma il volume era inesistente: fasci di luce di diverso colore illuminavano la stanza, con l’aiuto di una vecchia abat-jour abbandonata in un angolo. Wade non amava le luci forti.

Peter lo osservò mentre si passava una mano sulla testa, mentre faceva cadere il cappuccio all’indietro, e desiderò che potessero essere sempre così, senza maschera, senza protezioni, senza schermi e lenti attraverso cui guardarsi, senza modulatori di voce attraverso cui parlare.

A proposito di parlare, sapeva bene di essere quello che avrebbe dovuto iniziare a far uscire la voce, ma, senza grande sorpresa, fu Wade a prendere l’iniziativa e lo fece con un tono stanco che non gli era affatto proprio e che indusse Peter a pensare a quel commento su un’eventuale PSTD fatto da Sam, poco prima.

«Pete… non so davvero cosa fare con te. Penso di conoscerti, di sapere tutto quello che c’è da sapere su Spider-Man, ma poi fai sempre qualcosa che mi manda fuori asse. Questo balletto che facciamo, questo cazzo di girarci e rigirarci attorno… è tutto simpatia e divertimento, finché qualcuno non si fa male. E quella ragazzina è una delle vittime.»

Peter deglutì a vuoto. «Pensi che non lo sappia?»

Wade sollevò lo sguardo e, di nuovo, azzurro cielo che ustionava. «E allora dimmi quale cazzo è il tuo problema! E prima che inizi a fare l’adolescente, non sto parlando di quel bacio, ok? Messaggio ricevuto forte e chiaro, non importa, non è la fine del mondo. Non volevi farlo, non era tua intenzione, è stato un errore, chissenefrega. Sto parlando del fatto che ogni volta che tiro le cuoia fai partire una stracazzo di tragedia greca e finisce che ci sono danni collaterali di cui io non posso occuparmi, perché, be’, sono morto.» S’interruppe, le mani strette sugli avambracci, le labbra serrate. E poi, vedendo che Peter si limitava a fissarlo probabilmente con l’espressione più idiota dell’universo, distolse lo sguardo per un attimo e aggiunse, quasi timidamente: «Hai davvero quasi staccato la mano a un tizio per il tuo vecchio Deadpool?»

Oh, quella era una domanda facile a cui rispondere. «Senti… quello voleva infilarti in un sacco per cadaveri, Wade, io non–»

Deadpool sollevò le mani al cielo, esasperato. «È di questo che sto parlando! Peter, hai la minima idea di quante volte mi sono risvegliato in un sacco per cadaveri? Non è un problema, non è la fine del mondo. Sono come un brutto caso di herpes: pensi che me ne sia andato, ma torno sempre indietro a rompere i coglioni. Sai quante volte hanno cercato di cancellare il mio fumetto?»

Peter prese un bel respiro. Gli sembrava impossibile che Deadpool non capisse, che desse così poco valore alla propria persona da non vedere quanto Peter ci tenesse, quanto quella stessa vita che si ostinava a mettere in gioco da mattina a sera per i motivi più idioti e senza preoccuparsi delle conseguenze fosse di fondamentale importanza per Spider-Man.

«Wade, se non avessi insistito ti saresti ritrovato di nuovo legato a quella sedia, stesso posto, stessa immagine mentale di qualcuno che ti tortura a morte. Non capisci che ogni volta che muori, la gente… la gente smette di vederti come un essere umano?»

L’altro mosse la mano come a scacciare una mosca. «Si chiama spirito di sopravvivenza, succede spesso di fronte a un cadavere. La gente normale cerca di dissociarsi e di–»

«Io non lo faccio mai» lo interruppe Peter, perché sapeva perfettamente che cos’era la dissociazione e non era quello il punto.

Wade divenne improvvisamente immobile. «No» confermò in tono neutro. «Non lo fai mai.»

«Sai quante persone ho perso…» continuò Peter, sentendosi come se il primo mattone di una diga fosse stato smosso, come se una crepa si fosse formata nel muro che aveva cercato di tirare attorno a sé e tutte le persone che amava. «Lo sai perché eri lì a raccogliere i pezzi» emise una risata amara. «Eri l’unico che c’è sempre stato per raccogliere i pezzi. Mio zio all’inizio… e poi Tony. Sai quello che mi ha fatto vederlo morire. Ma MJ c’è andata molto vicina, Wade, l’ho ripresa per i capelli: c’eri anche tu. E zia May, quella volta con Doc Oc… E ogni volta che coinvolgo Ned nelle mie stronzate so quale sia il rischio. Ogni volta che qualcuno ci va vicino… c’è una parte di me che se ne va con loro.»

«Peter…»

«No! No, fammi finire. Ogni volta che le persone che amo rischiano la vita a causa mia è un’agonia, ma ci sono abituato. Faccio di tutto per evitarlo, faccio di tutto per proteggere chi mi sta intorno.» Gli lanciò uno sguardo, perché fino ad allora aveva guardato da ogni parte, tranne che nella diretta direzione di Deadpool. «E poi ci sei tu. E con te non posso fare nulla, se non aspettare.»

Ci fu un lungo attimo di silenzio che si distese tra di loro come catrame fuso eppure, per qualche motivo, Peter non si sentì a disagio. Wade lo fissava con attenzione, con una curiosità mista a incomprensione che gli fece venir voglia di sorridere ed era assurdo, perché imbottigliare i sentimenti che provava per Wade non aveva portato a niente, se non a quel confronto al limite del doloroso, ma rendersi conto appieno di quanto DP fosse ignaro dell’importanza che aveva per Peter era anche stupidamente divertente.

«Non sono molto sicuro di sapere dove stai andando a parare, bimbo» dichiarò Wade alla fine, storcendo un poco il capo, come avrebbe potuto fare un labrador troppo cresciuto che non capisce la scena a cui sta assistendo.

Peter fece un passo avanti, e poi un altro. Non avere più la protezione del finto marmo alle sue spalle all’inizio non gli piacque, come ai primi tempi della sua mutazione, quando per saltare giù da un palazzo doveva effettivamente staccare le mani dal muro. Ma la sensazione non gli impedì di continuare ad avanzare. «Ogni volta che muori ho il terrore che non tornerai indietro, brutto idiota! È così difficile da capire?» Gli arrivò di fronte, tanto vicino da poter allungare una mano e puntargli l’indice contro il petto. «Ogni cazzo di volta che soffochi nel tuo sangue rimango lì a contare i secondi finché non riprendi a respirare. Quindi, scusami tanto se mi incazzo quando la gente attorno ti tratta come se fossi davvero un cadavere. Scusami tanto se non sopporto che decidi ogni volta di sacrificarti per me! Scusami tanto se non riesco a ragione al cento per cento delle mie capacità! Immagina il giorno… immagina il giorno in cui non tornerai indietro! Eh? Non l’hai mai fatto, ci scommetto.» Ad ogni parola Peter gli spingeva ritmicamente il dito contro il petto, senza nemmeno lesinare sulla superforza. «E invece io ci penso ogni singola volta. Non hai idea di cosa voglia dire aspettare col terrore di dover continuare ad aspettare e la consapevolezza che uno non può aspettare per sempre.»

Wade fece per afferrargli il braccio, bloccarlo. Peter era vagamente cosciente di avere le lacrime agli occhi, ma non gli importava; spinse via la mano protesa di Deadpool e continuò la sua tirata.

«Ma poi ti risvegli sempre e ogni volta l’unica cosa che vorrei fare è baciarti, ma che cazzo di persona orribile sarei se lo facessi? Uno ritorna dalla morte, è disorientato, traumatizzato, probabilmente ancora dolorante e c’è un povero idiota che riesce a pensare solo a quanto sia felice. Non riesco mai a ragionare su quello che stai provando tu, a come ti senti tu… solo a come mi sarei sentito io se non ti fossi risvegliato. Wade.» Peter si interruppe di botto, la mano che per volontà propria si era aperta e posava adesso sul petto di Wade a palmo aperto. Il tessuto morbido della felpa non gli impediva di percepire il battito del cuore dell’altro, vago e distante, ma rapido. Si chiese che cosa avrebbe sentito Matt se fosse stato presente, ma visto che il cuore di Peter batteva con così tanta forza da rimbombargli nelle orecchie, probabilmente Matt se ne sarebbe andato con un timpano perforato. «Wade» continuò senza saper bene come avrebbe potuto concludere, senza nemmeno tentare di decifrare l’espressione dell’uomo di fronte a lui. «Tu… tu mi tieni coi piedi per terra. Sei l’unico punto fisso che mi rimane e l’idea di perderti mi terrorizza.»

Bum-bum, bum-bum fece il cuore di Deadpool, rimbalzando lungo le dita di Spider-Man, palpabile come qualcosa di reale, di toccabile. In quell’istante Peter si permise di pensare all’uomo che aveva letteralmente preso il cuore di Wade e l’aveva tenuto tra le mani, portandoglielo via, e fu così che, violento, inarrestabile, incontestabile, gli salì alla bocca il desiderio di uccidere. Fu solo per una frazione di secondo e la sensazione non ebbe il tempo di destabilizzarlo a sufficienza da impedirgli di rendersi conto che la mano di Wade era salita a stringergli il polso in una presa gentile, quasi delicata.

«Spidey» gli disse Wade con una voce roca che dovette schiarirsi due volte per continuare. Peter puntò gli occhi sulla mano di Wade, si concentrò sulla forma delle sue dita attorno al proprio polso, il pollice che gli strofinava il punto più sensibile, la pelle sottile attraverso cui si intravedeva il reticolo di vene, e per un folle attimo si chiese se anche Wade non gli stesse controllando il battito. «Spidey, Peter… bimbo, sono anni ormai in cui l’unica cosa che mi fa sentire vagamente contento di tornare sei tu. Tu che mi dici “bentornato”.»

Peter sollevò lo sguardo cercando gli occhi del compagno, chiedendosi non per la prima volta come facesse Deadpool a nascondere così tante emozioni al di là di quella maschera rossa e nera. Com’era possibile che non schizzassero fuori tutte assieme dai fori delle pallottole, dalle cuciture fatte a mano, e com’era possibile che Peter riuscisse a riconoscerne la maggior parte?

«Non cambia il fatto che tu continuerai a morire e io non posso fare nulla per…»

«Allora non mi ascolti, Peter!» Il tono di Wade era finto arrabbiato, i suoi occhi sorridevano, la mano stretta sul polso di Spider-Man si era ammorbidita, il tessuto cicatriziale che si fondeva con la pelle morbida di Peter. «Quello che fai… è l’unica cosa che mi tiene lontano dai pensieri sucidi. Lo sai che aspetto di morire… l’hai sempre saputo, anche quando eri un ragazzino. Probabilmente anche quando nemmeno mi conoscevi. Fa parte del mio personaggio, per questo piaccio tanto ai fan, ironia tragica, ballare il tango con la morte, cazzo! Se penso che in alcuni fumetti me la scopo pure, la Morte… ma sto divagando. Il punto è che senza di te sarebbe infinitamente più difficile.» Wade distolse lo sguardo per poi riportarlo sul volto di Peter parlando veloce, mangiandosi le parole. Erano talmente vicini adesso che il ragazzo poteva sentire quando il corpo di Wade fosse caldo. Sapeva che era un effetto collaterale della mutazione, ma visto che la mutazione di Spider-Man tendeva a farlo sentire sempre infreddolito la cosa, più che inquietarlo, lo attirava. «A dirtela tutta» concluse Deadpool con un sorriso storto, «sono abbastanza certo che se non ci fossi tu, non sarei più molto in grado di farcela. Cristo…! Sommetto che se si venisse a sapere in giro perderei un sacco di lavoro.»

Senza pensare a quello che faceva Peter posò la fronte accanto alla propria mano, ancora aperta sul petto di Deadpool. Wade se lo strinse contro senza aggiungere nulla, una mano sulla nuca, un braccio stretto attorno alle spalle. Era così caldo e accogliente, solido come un muro, e l’unica cosa che Peter avrebbe voluto fare era sciogliersi contro di lui, fondersi, svanirgli sotto la pelle, diventare parte integrante di quel corpo in costante lotta per la sopravvivenza.

La sensazione, la vicinanza con Wade, gli ricordarono un giorno di molti anni prima, quando aveva capito che Deadpool non era quello che tutti pensavano, non era cattivo come tutti pensavano. Quando Peter si era trovato da solo a gestire una situazione che non era evidentemente in grado di gestire. Quando a causa della sua inesperienza erano morte due persone. Quando all’arrivo ritardato degli Avengers la situazione era sì stata messa sotto controllo, ma quelle due persone erano rimaste morte. Alla fine, Peter si era trovato con le lacrime che scendevano lungo le guance e gli impregnavano lo spandex mescolandosi al sudore e al sangue, aveva il naso bloccato e un principio di un attacco di panico che gli serrava la gola. Wade era stato lì. Wade era stato il primo ad arrivare, in realtà. Wade se l’era stretto contro il petto in quello stesso modo, permettendogli di affondare la faccia nella sua clavicola, stritolandogli le spalle tremanti, fingendo per buona parte di non rendersi conto che Spider-Man gli stava singhiozzando contro il collo. Non aveva detto niente per molto tempo.

«Quanti anni hai, Spidey?» gli aveva chiesto, dopo che Peter si era calmato.

Peter aveva risposto che ne aveva diciotto, anche se in realtà non era ancora del tutto vero. Per i sei mesi successivi Deadpool si era rifiutato di accettare qualsiasi missione assieme agli Avengers e aveva dichiarato a tutti coloro che erano stati disposti ad ascoltarlo che, se Tony Stark non fosse stato già morto, lui, Wade Wilson, mercenario straordinario, l’avrebbe fatto fuori con le sue mani per aver permesso a un bimbo di giocare a fare il supereroe.

«Quindi, fammi capire bene» disse Wade dopo un lungo momento in cui non fecero altro che rimanere immobili, incastrati l’uno nell’altro. «Perché c’è ancora un punto che mi sfugge e dovrai essere molto preciso nella risposta.» Si sistemò in modo che le sue labbra fossero a poca distanza dall’orecchio di Peter e una delle sue mani si aprì a ventaglio sulla schiena del ragazzo, stringendolo contro di sé. Il tono, quando parlò di nuovo, era divertito, giocoso. Leggermente incredulo. «Ogni volta che torno dal magico regno dei morti tu pensi a baciarmi

Ah. Be’… a quel punto Peter supponeva che quella confessione non fosse nemmeno la più imbarazzante fatta nella serata. Quindi perché non–

Il telefono di Wade scelse quel momento per mettersi a strillare “MAMMAMIA” a tutto volume, cosa che fece sussultare entrambi, come se fossero stati colti con le mani nel sacco da qualcuno.

«Merda» sbottò Deadpool fissando lo schermo. «Perché la mia vita fa così schifo? Cazzo… devo rispondere, bimbo. È Weasel.»

Peter fece per scostarsi e lasciargli spazio, ma l’altro non glielo permise. «No-no, rimani con la tua bella testolina stretta contro il mio petto e trasformiamo definitivamente questa fanfiction in un cazzo di musical targato Disney! Yoh, Weasel!»

Peter emise una risata vacua mentre Wade gli infilava la mano libera nei capelli, scompigliandoli più di quanto già non fossero. Avrebbe dovuto sentirsi in imbarazzo per quanto quel semplice gesto gli rendesse le ginocchia morbide come gelatina, e invece decise di disconnettere un attimo il cervello e stringere le braccia attorno ai fianchi di Wade.

«Non me ne frega un cazzo se trovi solo documenti in cui si dichiara che è morto» stava blaterando l’altro a un volume molto alto. «Come hai detto che si chiama? Brian? Be’, il piccolo Brian è vivo e vegeto, un po’ troppo vivo e vegeto, per i miei gusti.»

Peter fu raggiungo dalla voce distorta e gracchiante di Weasel. «Senti Wade, cosa devo dirti? Qui dice soltanto che è scomparso durante il blip e non è mai tornato indietro. La sua famiglia… come cazzo si chiamano? Ah, Brett! Insomma, lo hanno dichiarato morto un paio di anni fa e fine. Stop. Non è che posso cambiare quello che è scritto qua solo perché non ti piace.»

«Brian Brett? Classico nome da super villain!»

Peter ascoltava con un solo orecchio, pronto a captare qualsiasi info decente che permettesse loro di schizzare fuori dalla finestra e mandare al diavolo l’ordine di Capitan America. Senza riflettere, mentre i due uomini discutevano, il ragazzo sollevò un lembo della felpa di Wade per toccargli la pelle. Era così caldo, e Peter non dormiva da… quante ore? Gli sfiorò la parte bassa della schiena, passando le dita tra le cicatrici, lungo strade immaginarie che sognava di percorrere da mesi, ormai.

Wade emise qualcosa a metà tra un sibilo e un’esclamazione stupita. «Nno» fece dopo un attimo, rivolto chiaramente a Weasel. «Sì, stronzo, sono ancora qui. Senti, ci devono essere dei documenti su uno come lui… tra i mutanti la supervelocità è uno dei poteri più accettati.»

«Anche uno dei più facili da nascondere» s’intromise Peter, le parole attutite dalla felpa di Wade.

«Anche uno dei più facili da nascondere» ammise quest’ultimo, con un sospiro. Peter lo sentì rilassarsi sotto il suo tocco. Da quanto tempo era che stavano abbracciati in quel modo?

«È comunque qualcuno che ha avuto accesso a parecchio materiale medico. E soprattutto ha avuto accesso agli elenchi dei mutanti dello S.H.I.E.L.D., come minimo. L’ho sempre detto che dovrebbero bruciare quei cazzo di archivi. Vabbe’, controlla quella roba là. Avrà pure cambiato nome… No, non ti sto dicendo come fare il tuo lavoro, scassapalle.»

Peter sollevò la testa, la mano di Wade, ancora stabilmente ancorata ai suoi capelli si mosse con lui. «Se hai bisogno di supporto tecnico chiama Ned!» dichiarò rivolto verso l’apparecchio. «Ce l’hai ancora il suo numero, no?»

Wade sollevò un sopracciglio, scostando un poco il telefono dall’orecchio. La voce di Weasel si fece un po’ più forte. «Ho ancora il numero di quel nerd, mi chiede! Ovvio che ce l’ho. Come posso farlo passare dalla mia parte senza intrattenere un contatto costante? A proposito. Wade, credevo di averti detto che non voglio essere messo in vivavoce, cazzo! Ci tengo alla mia privacy.»

«Alla tua privacy? E da quando? E comunque datti una calmata. Non sei in vivavoce.»

Ci fu un attimo di silenzio. Wade stava parlando con Weasel, Peter ne era consapevole, ma allo stesso tempo i suoi occhi non si staccavano dalla sua faccia, lo scrutavano quasi fosse la prima volta che lo vedeva senza maschera, quasi che volesse memorizzarne ogni dettaglio.

«E allora siete seduti davvero molto, molto vicini, se riesco a sentire così bene quello che–»

«Chiamami appena sai qualcosa, stronzo.» Senza guardare, Wade premette il tasto che mise fine alla chiamata e quasi nello stesso istante si stavano già baciando. Il cellulare cadde a terra, ma Peter se ne accorse molto in ritardo, probabilmente quando la mano finalmente libera di Wade andò a stringergli il sedere, spingendoselo ancora più contro. Non trovò molto da protestare mentre apriva la bocca e gli lasciava campo libero. Wade sapeva di birra e di dentifricio e baciava come faceva ogni altra cosa nella vita: con poca grazia e molto, molto entusiasmo.

Il cuore di Peter gli martellava nelle orecchie, Wade gli tirò i capelli, gli infilò le mani sotto la felpa, lasciò che Peter si aggrappasse a lui senza impedirgli di toccargli la pelle, i muscoli tesi delle spalle, di percorrergli i nodi della spina dorsale con le dita. Peter non fu delicato, non poteva esserlo quando ognuno dei suoi sensi – compresi quelli di ragno – premeva per essere più vicino a Wade.

Si staccarono inghiottendo aria, il fiato corto, le pupille dilatate. C’era un sottile rivolo di saliva che per un attimo tenne le loro bocche connesse, come il residuo di una minuscola ragnatela, ma si spezzò quando Wade parlò. «Cazzo» disse, con la voce più sorda che Peter gli avesse mai sentito produrre. «Mentirei se ti dicessi che non ho passato l’intera settimana a pensare esattamente a questo

«Meglio o peggio?» chiese Peter, per nulla sorpreso che ancora la mano dell’altro non avesse lasciato il suo sedere, ma consapevole che la frizione tra i loro corpi stesse producendo, be’, altro.

La risposta fu un sorriso abbagliante. «Meglio, bimbo, cosa credevi?»

Peter non perse nemmeno tempo a far finta che il soprannome non gli producesse un improvviso attorcigliarsi di stomaco e lo baciò di nuovo, perché era lì, perché voleva, perché Wade lo faceva ridere ed era sempre, sempre presente, qualsiasi cosa succedesse. E anche perché lo sentì emettere un suono a metà tra un gemito e un sospiro e per qualche motivo decise che avrebbe voluto risentire quel suono altre mille volte, in altre mille situazioni.

«Sto per portarti a letto» gli annunciò Wade lunghi minuti dopo. «Preparati a ricevere il miglior pompino della tua vita.»

«Bene» replicò Peter, che in qualche modo era riuscito a divincolarsi abbastanza da far incontrare degnamente le loro erezioni, sebbene separate dalla stoffa. A dirla tutta, era incredulo che il divano fosse ancora al proprio posto e soprattutto che loro due fossero ancora in posizione verticale. «Perché non credo di riuscire a fare molto altro, stasera.»

«Peter» replicò Wade mentre gli mordicchiava la mandibola e al contempo gli affondava una mano dentro ai pantaloni. «Non dovrai fare nient’altro per molto, molto, moltissimo tempo.»

Peter sapeva di non meritarselo, di non meritarsi quella persona disastrata, ferita e col cuore così grande che aveva imparato a battere assieme a quello rattrappito di Spider-Man. Sapeva di aver sbagliato tante cose, e che entrambi avrebbero fatto meglio ad andare a cercare Brian Brett, prima che fosse troppo tardi, ma sapeva anche che era troppo esausto per continuare a pattugliare le strade di New York senza una meta, e sapeva che risolvere le cose con Wade sarebbe stato il modo migliore per risolvere anche i problemi tra Spider-Man e Deadpool.

Quello di cui non era del tutto sicuro era se l’andare a letto con Wade avrebbe davvero migliorato la situazione, ma il problema era che lo voleva troppo per fermarsi lì, proprio sul più bello.

Note: Titolo del capitolo tratto da LA PAURA DEL BUIO, dei Måneskin 

  
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