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Autore: chykopon    21/03/2022    1 recensioni
[ Dal COWT#12: W2, M3 - "Passare sotto la scala" ]
« ZORO! LA SCALA- SOTTO! CI SEI PASSATO SOTTO! »
« Ah?! » emerge dalla bocca di tutt’e due con confusa perplessità.
Il cecchino farfuglia parole indistinte, mentre macina a ritroso i pioli rimanenti della scala per arrivare allo stesso livello dei suoi nakama; Usopp tremola, cosa tutt’altro che rara, ma lo fa con un melodramma negli occhi e reggendosi il cuore con una mano carica di pathos.
[ ZoSan | comedy | mention of past traumas (?) ] [ wordcount: 10836 ]
Genere: Commedia, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Roronoa Zoro, Sanji, Usop | Coppie: Sanji/Zoro
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Note di apertura: quando questa storia è stata pensata, si era formata nella mia mente un po' come la sceneggiatura di un mini-comic; non so come sia stato possibile che mi sfuggisse talmente tanto dalle mani da diventare 11K di delirio. In tutto questo, ricordavo solo vagamente che passare sotto una scala portasse sfortuna, i didn't do my research.


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Alle bizzarrie della Rotta Maggiore ci sono tutti abituati, e se proprio non c’hanno ancora completamente fatto il callo, almeno la reazione di stupore risulta comunque ridimensionata quando si è consapevoli che certe stranezze, lì dove navigano, accadono on a daily-basis.

Nonostante tutto, nella chiassosa ed irriverente vita di bordo che caratterizza la Thousand Sunny e la Ciurma di Cappello di Paglia, c’è un aneddoto, in particolare, che è riuscito addirittura a scalfire l’altrimenti monolitico nichilismo che caratterizza da sempre un certo cuoco dal ciuffo biondo.

Il resto dei nakama, ha scelto un simpatico nome per tutta la vicenda, chiamandola “Una serie di sfortunati eventi”. Sanji, ad oggi, deve ancora prendersi una rivincita su una certa testa d’alga a cui in quel dì ha giurato che gli sarebbe tornato tutto indietro.


Dovrebbe essere una mattina come le altre a bordo del brigantino, ma in realtà non la è, perché tutta la ciurma ha dormito poco e l’usuale routine a cui sono abituati - ma quando mai - è stata sconvolta da inderogabili impellenze, che richiamano ora l’attenzione di tutti con una certa insistenza.

Stanno navigando da settimane senza scorgere terra all’orizzonte, le provviste già altrimenti rosicchiate hanno dovuto subire una netta riorganizzazione da parte del cuoco di bordo e tutti sembrano incredibilmente provati dalla mancanza di stimoli che non sia l’ipotesi di giocare ad acchiapparella con Luffy e Chopper.

Come la perfetta ciliegina su di una torta di merda che comincia a puzzare già da un po’, il giorno prima si sono ritrovati ad incrociare i cannoni con due navi della Marina, che non avevano assolutamente preventivato. Non dovrebbero spingersi così in mare aperto, non quando possono attraversare le fasce di bonaccia a loro piacere e gradimento, ma quale che sia la logica dietro a tutto ciò, questo è successo, con ovvie e più o meno gravi conseguenze per l’imbarcazione su cui viaggiano.

La Sunny ha superato colpi ben più duri e nemici ben più ostici, questo è indubbio, ma forse per il Coup de Burst che gli ha permesso di sfuggire all’ultimo secondo - e con il rischio di dimenticarsi Jinbe in mare - il brigantino è comunque uscito dallo scontro con qualche graffio di troppo.

Questo spiega, ad esempio, perché già di prima mattina, Franky ed il timoniere di bordo fossero di buona lena a martellare assi sul parapetto della nave, mentre Chopper e Robin controllano lo stato dell’albero maestro e delle vele.

Luffy, ben più preoccupo delle condizioni della sua amata polena, è stato relegato al lavoro di bassa manovalanza, sicché dargli un martello in mano potrebbe essere ben più pericoloso dell’ipotesi di trovarsi di nuovo la Marina alle calcagna, quanto a Nami, invece, che da basso ha diretto i lavori fino ad un certo punto, è sparita sottocoperta da un paio d’ore, forse per ritagliarsi qualche briciolo di riposo che inizia a scarseggiare tra tutti.

E se Brook cerca di dare una mano qua e là, dove può, i tre che mancano all’appello al momento, sono chiusi tra le mura della cucina, ma per cagion di cronaca ci concentreremo sul solo gamba nera, il quale, stringendo una ramazza tra le mani in maniera così convulsa da farsi sbiancare le nocche, sta ora occhieggiando una certa testa d’alga con uno sguardo paragonabile ad una gragnola di dardi infuocati.

Uno di quei soldati bastardi è riuscito, chissà come, ad infilarsi nella cambusa durante l’arrembaggio, e i loro rifornimenti già messi a dura prova dai troppi giorni spesi in acque apparentemente senza fine, hanno subito l’ennesima stoccata, quando lo stronzetto in un serrato scontro con il cuoco ha finito per lacerare troppi sacchi di farina.

Nessun problema, potenzialmente, Sanji - volente o nolente - ha imparato a cucinare anche senza l’utilizzo del glutine o più in generale senza accompagnare qualsiasi portata con del pane, a causa delle particolari idiosincrasie di Torao, quel di cui deve rammaricarsi e preoccuparsi è invece la fitta patina bianca che ha ricoperto il suo regno, senza lasciar scampo a mezzo centimetro di bancone e pavimento e senza lasciar alcun utensile superstite.

A prescindere, non è un po’ - eufemismo - di sporco in cucina che potrebbe mai consumare la miccia, per quanto corta, della pazienza di gamba nera, ma spezzando una lancia a suo favore per quanto possibile, c’è da dire che Sanji non dorme decentemente da settimane, troppo preoccupato a tenere spasmodicamente sotto controllo l’inventario della dispensa e a proteggere la stessa dall’incontrollabile ed sconfinato appetito del loro Capitano.

Quindi, che oggi abbia i nervi a fior di pelle, è quasi giustificato. Che la vittima designata sia Zoro, beh, è semplice sfortuna.

Meglio, l’unica colpa dello spadaccino è trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato e di essere… Zoro. L’unica persona in tutta quella ciurma di teste matte, che Sanji sembra disposto ad infastidire deliberatamente nei momenti di noia o, come in questo caso, l’unico su cui sfogare il nervosismo, forse perché capace di reggere il colpo e neanche troppo dispiaciuto di farlo ad ogni giro di giostra.

« Sei in mezzo ai piedi, testa d’alga, » scocca stizzito il cuoco, sbuffando in maniera così rumorosa dalle narici mentre lo fa, da creare tante piccole e dense volute di fumo che gli profondono dalla bocca.

« Ah?! » replica il cacciatore di pirati con la bocca impastata dal sonno e la fatica che gli si stropiccia nell’unico occhio buono, mentre risollevando il testone dal tavolo della cucina cerca di mettere a fuoco l’altro.

Zoro s’è sorbito il turno di notte, sostituendo Robin e Franky, dal tramonto all’alba, ma poiché è stato proprio lo spadaccino ad offrirsi volontario dopo una battaglia estenuante che ha visto protagonista l’intera ciurma, Sanji si ritiene in diritto di non compatirlo e non usargli alcuna eccessiva gentilezza che, a prescindere, lungi da lui mostrargli già abitualmente.

La testa d’alga ha una palpebra bassa sullo sguardo che sembra pesare quanto un macigno, il colorito violaceo di un paio di occhiaia che gli cerchia il viso per la prima volta, forse, da quando il cuoco lo conosce ed il timbro che gli gratta sul fondo della gola con un po’ di raucedine.

È uno spettacolo quasi pietoso, ma Sanji non c’ha cazzi per assecondarlo in questo momento, e quindi si limita a sbuffare e digrignare i denti con stizza.

Giura, in qualsiasi altro momento non vorrebbe suonare così seccato, e potrebbe pure mettercisi d’impegno per mascherare quel minimo il cattivo umore con cui s’è sollevato dalla branda stamattina senza aver riposato neanche per sbaglio, il fatto è che non vuole, perché è un limite ben definito a quanto una persona possa sopportare, tenendo tutto sottopelle senza mai scoppiare.

Sanji sa di aver raggiunto il punto di saturazione da un po’ e per quanto quel briciolo di lucida coscienza che ogni tanto lo richiama dal fondo della capoccia gli faccia presente quanto non sia eticamente corretto prendersela con Zoro per questo, gamba nera impiega giusto un battere di ciglia per zittire quella vocina ed insistere nel proprio nervoso ramazzare.

« Mentre tu stai qua a sonnecchiare, » principia, sfiatando nuovo fumo dalle narici, « tutti gli altri stanno dando una mano ».

Non è che il cuoco stia dicendo cazzate, ben’inteso, ma lo spadaccino, ben più abituato a schiacciare pisolini a piè sospinto per tutto il giorno così da supplire le quattro scarse ore di sonno che si concede ogni notte, stamattina un po’ di tregua potrebbe chiederla per sé a buon merito.

« Magari, » rincalza gamba nera, fermando la compulsiva ventata di pulizia che ha fatto da padrone ai suoi movimenti fino a questo momento, « potresti mettere a buon rendere quella zucca vuota e troppi muscoli che ti ritrovi ».

L’ultima precisazione, Zoro la prende quasi come un complimento, perché c’è un piccolo, debole e stanco sorriso che gli fiorisce sulle labbra, prodigo di riabbassare la nuca sulla superficie del tavolo per riprendere a sonnecchiare, « Franky ha detto che non gli serve il mio aiuto ».

E questo manda gamba nera su tutte le furie.

Perché il maledetto gorilla buon samaritano ha veramente un’infinità di difetti, ma la pigrizia e la mancanza di buona volontà non rientrano tra questi; in più, neanche volesse dare un qualche schiaffo morale all’orgoglio già abitualmente in bilico del cuoco, gli dice adesso che invece di approfittarne e concedersi un briciolo di meritato sonno, come ad esempio ha fatto la loro navigatrice, si è pure offerto di aiutare in principio. Praticamente, è come soffiare da sotto al naso di Sanji ogni scusa valida per attaccar briga.

Quindi, il cuoco, neanche di anni ne avesse dodici, mette in pratica la prima reazione assolutamente naturale che potrebbe passargli per la testa ora.

Dà un calcio - neanche troppo forte - alla sedia su cui è accomodato l’altro.

Se il cacciatore di pirati fosse all’erta - come, invero, è sempre - probabilmente avrebbe visto il tacco della scarpa del cuoco mirare preciso e diretto la gamba della sua seduta, ma poiché scioccamente - o forse anche troppo intelligentemente - quando è in cucina, Zoro non sembra voler utilizzare la propria Haki dell’Osservazione quel colpo se lo prende tutto, senza neanche metterlo in conto.

La sedia frana sul pavimento, e per poco pure Zoro ad accompagnarla, se non fosse per quei riflessi da gorilla di cui può farsi vanto.

« Vuoi litigare, cuoco di merda?! »

Lo spadaccino ringhia. E no, non è una metafora, è proprio un verso spiccatamente ferale quello che gli lascia la gola, mentre è già pronto ad inforcare Wado, sulla cui elsa le sue falangi sono corse subitaneamente. La spossatezza che prima gli deformava i lineamenti spariti come in un sbrigativo gesto di spugna.

Bisognerebbe rendere onore a Sanji di riuscire nell’impossibile.

La risposta ad un simile, retorico, quesito, comunque è “sì”.

Sì, Sanji vuole litigare. Ha bisogno di vomitar fuori tutta la frustrazione, la stanchezza, la stizza ed il nervoso che ha accumulato per giorni e giorni e Zoro è la vittima designata. Peccato che, contrariamente all’abitudine, anche lo spadaccino paia particolarmente scocciato dal modo di fare altrui stamattina.

« Vorrei, » seguita gamba nera, arricciando il labbro e snudando i denti in un sorriso che è platealmente ostile, « che mettessi a buon uso il tuo inutile tempo, invece che ciondolare per la mia cucina ».

Se Zoro sa, perché anche a non ammetterlo è consapevole di essere quello che lo conosce meglio di tutti, che ci sono momenti come questo in cui Sanji deve trovare una qualche valvola di sfogo, c’è una piccola nota di assoluta offesa e risentimento che gli fa capolino nello sguardo davanti a quell’ultima precisazione.

Checché ne ricordi, infatti, e per quante nel corso del tempo il cuoco gliene abbia dette (sul suo essere stupido, sul suo essere un gorilla senza cervello, sul suo essere un pigrone, un alcolizzato, un fissato delle spade, un sempliciotto e via che si va con qualsiasi variante sul genere…) il cuoco non s’è mai lamentato di averlo lì in cambusa, nonostante il completo silenzio che spesso e volentieri li avvolge, in quei rari momenti in cui sono capaci di farsi compagnia a vicenda senza azzuffarsi.

Questo dovrebbe fargli capire quanto i nervi di gamba nera siano tesi in questo momento.

Ma poiché Zoro, per quanto saggio quando vuole, sia uno zuccone per tutto il resto del tempo, tutto quello che riesce a commentare a denti stretti è un: « Volevo fare colazione ».

Che magari è anche vero. Sanji non ricorda di averlo visto tra i commensali di prima mattina, mentre scodellava il caffè e serviva alla tavolata vassoi ricolmi di croissant appena sfornati.

Ad essere zucconi, però, sono in due, quindi, laddove il cuoco in qualsiasi altro contesto farebbe un passo indietro pur non ammettendo le proprie colpe, questa volta decide di proseguire dritto come un ariete da sfondamento, « L’ora della colazione è passata da un po’ ».

Il resto è un copione già scritto, con Zoro già pronto a sguainare le sue spade e Sanji che piega leggermente il ginocchio, prodigo di caricare un ipotetico Collier Strike prossimo a finire dritto e diretto alla giugulare dell’altro.

Un colpo di tosse, però, li ferma. Meglio ancora, li distrae.

È Usopp, di cui entrambi paiono essersi dimenticati fino a questo momento, che dalla cima di una piccola scala a pioli che entra nelle quattro mura della cucina per grazia del Signore, è intento a sistemare il soffitto.

Giusto. Luffy ha fatto volare un Marine attraverso il tetto della cambusa.

« Se volete darvele di santa ragione, » principia il cecchino, insistendo nel dare le spalle ad entrambi mentre pianta un altro paio di chiodi su di un’asse particolarmente instabile, « fatelo quando non ci sono anch’io nella stanza, grazie ».

Usopp è un maestro nel rendersi un gradasso in tutte quelle situazioni in cui sa che il rischio è praticamente pari a zero, così recita anche il tono sicuro e deliberatamente seccato con cui appunta quella precisazione ad entrambi.

Peccato che ogni certezza scivoli via dal suo corpo e dal suo timbro nel momento in cui, voltandosi, incrocia l’occhiata infuocata che gli scocca Zoro. Ed il cecchino giura addirittura di averlo sentito ringhiare una seconda volta, basso e baritonale.

« Ah?! »

Usopp trasale. Alza le mani in segno di resa preventiva, facendosi un po’ più vicino al muro, « Scherzavo, scherzavo, » s’affretta a dire, la nuca che si agita, così come gli trema tutto il corpo, ora incredibilmente consapevole di volersi tenere ben cara la vita per i prossimi vent’anni, o almeno per i prossimi cinque minuti, « sai cosa, Zoro? » boccheggia, scendendo un paio di pioli, « Credo di aver appena contratto la malattia del Non-Ci-Voglio-Proprio-Stare-In-Cucina! »

Zoro sbuffa e rinfodera Wado, prima di raddrizzarsi quel tanto utile a lascia intendere di aver lasciato andare così com’è arrivato qualsiasi istinto che l’avrebbe portato a voler sfilettare il povero cecchino di bordo. Se l’infruttuoso tentativo di Usopp di calmare gli animi funziona sullo spadaccino, però, non sortisce lo stesso effetto su gamba nera, il quale, nella distrazione della testa d’alga vede solo che una finestra d’azione utile a portare a compimento la sua tanto agognata vendetta.

Allunga la scopa, mentre Zoro è distratto, e con un leggero colpo misurato ad hoc, ne aggancia il tallone coperto dallo stivale con l’intenzione di farlo ruzzolare a terra rovinosamente, come prima non è riuscito.

E quale che sia la ragione che distrae la testa d’alga, se l’effettiva mancanza di riposo o la premura che per un attimo gli balugina nell’iride, quando l’occhio corre ad Usopp in cima alla scala, neanche volesse assicurarsi di non vederlo improvvisamente franare faccia al pavimento, pare che il piccolo momento di revanchismo del cuoco vada a segno- pare, appunto.

Perché oltre alla testa piena di segatura e degli invidiabili muscoli allenati, Zoro ha purtroppo o per fortuna dei riflessi sovrumani di cui farsi vanto. Così come lo sguardo di Sanji s’è illuminato, altrettanto velocemente si spegne, corrugandogli la fronte con delusione, quando lo spadaccino, pur perdendo il passo ed arretrando caracollante di tre grosse falcate, mantiene l’equilibrio facendosi ben saldo sulle piante dei piedi.

« …stupida testa d’alga, » borbotta il cuoco; e stupido fisico da gorilla, vorrebbe aggiungere, ma se lo tiene per sé, perché sia mai che l’altro possa scambiarlo per un qualche gentile complimento.

« Giuro che adesso ti ammazzo- » boccheggia Zoro in quello che sembra un ruggito; rinsaldando la propria posa e facendo subito correre la destra a Kitetsu è già pronto a sguainarla per far sashimi dell’altro, almeno quanto Sanji è pronto a brandire la scopa a mo’ di alabarda per fronteggiarlo, se non fosse per il mezzo urlo strozzato di Usopp che ancora una volta richiama l’attenzione di entrambi.

« ZORO! LA SCALA- SOTTO! CI SEI PASSATO SOTTO! »

« Ah?! » emerge dalla bocca di tutt’e due con confusa perplessità.

Il cecchino farfuglia parole indistinte, mentre macina a ritroso i pioli rimanenti della scala per arrivare allo stesso livello dei suoi nakama; Usopp tremola, cosa tutt’altro che rara, ma lo fa con un melodramma negli occhi e reggendosi il cuore con una mano carica di pathos.

« Cosa stai blaterando, nasone? » rincalza Sanji a quel punto, la gamba altrimenti prossima ad infiammarsi in un Diable Jambe che viene lentamente abbassata, mentre la rabbia che gli ha deformato il volto fino a pochi istanti prima cede il passo all’espressione più accigliata che quell’arzigogolo di sopracciglia che ha in fronte abbia mai visto.

« LA SCALA! » ribadisce Usopp con due occhi fuori dalle orbite, « ZORO, SEI PASSATO SOTTO ALLA SCALA! »

Lo spadaccino pare seccato, soprattutto quando il nasone allunga una mano alla sua spalla con aria trafelata, e Sanji, che può vantarsi di conoscere tante cose di questo mondo strano e bislacco che abitano, semplicemente non capisce.

Nota solo ora il dettaglio di cui il cecchino sta parlando, di come, nel suo quasi capitombolare a terra, la testa d’alga sia effettivamente arretrato fino ad attraversare quel piccolo spazio tra la scala ed il muro, laddove ora ci sono i pioli dell’utensile a dividere e porre un freno al loro ennesimo alterco.

Non comprende, tuttavia, perché questa cosa debba essere in qualche modo rilevante.

« Tsk, » mormora stizzito lo spadaccino, le dita che hanno lasciato l’elsa delle spade e che ora si prodigano si levarsi di dosso la mano allungata del cecchino, per poi sventolare un palmo con fare sbrigativo davanti al viso dell’altro, « non dirmi che credi a queste cose- »

Ad onor del vero, se Zoro facesse quel tanto di sforzo per richiamare alla memoria certuni specifici dettagli, ricorderebbe di come proprio il loro contapanzane d’eccezione si sia aggirato per Thriller Bark indossando una collana d’aglio e brandendo croce ed acqua santa come se fossero armi di distruzione di massa.

Ma poiché Zoro non brilla d’acume, questo specifico particolare rimane sul fondo della sua testa e quel che gli emerge in viso è una semplice ed assolutamente neutrale espressione scettica.

« DEL SALE! SERVE DEL SALE! » seguita Usopp, agitato, « O DELL’INCENSO! » insiste, con due occhi sconvolti che si proiettano su Sanji, come se cercasse aiuto od una mano ben salda nella sua opera di convincimento dello spadaccino.

La testa d’alga, d’altronde, non sembra particolarmente interessato a prestargli attenzione, gamba nera, invece, che l’attenzione al cecchino lo concede, lo fa solo perché, mentre il suo sguardo saetta da uno all’altro, il cruccio della sua fronte diviene via via sempre più perplesso, man mano che passano i secondi.

« …perché? » si azzarda infine a chiedere il cuoco, la presa sulla scopa che si fa inconsapevolmente più morbida, finché non è costretto ad appoggiarla al muro, perché non cada a terra.

« COME “PERCHE’”? » rimbecca Usopp shockato, le falangi arpionate alla palandrana di Zoro, neanche gli stesse dando l’estremo saluto e tema di vederlo sparire da un momento all’altro, « PER SCACCIARE LA MALASORTE! »

« Non credo alla scaramanzia, » rimbrotta invece lo spadaccino, incrociando le braccia al petto, quasi a voler ribadire come tutti quei discorsi non debbano minimamente tangergli.

« La malasorte…? »

La voce di Sanji, tuttavia, blocca istantaneamente gli altri due nel mezzo del battibecco, e se l’occhiata di Usopp è già completamente sgranata, quella di Zoro nella singola iride funzionante che gli resta, si dipana a propria volta con gran sorpresa del cuoco.

Gamba nera ha la sensazione di aver appena posto una domanda, che non avrebbe dovuto enunciare a voce.

Sbatte le palpebre con debita flemma, si mordicchia appena il labbro, in attesa di cosa esattamente, non lo sa neanche lui.

Lo spadaccino aggrotta d’un tratto l’espressione, « …passare sotto le scale, spazzare le scarpe, incrociare le braccia- » recita come una cantilena la testa d’alga, e Sanji sente una piccola tensione iniziare ad inerpicarsi lungo i muscoli senza alcun preavviso, « non sai che portano scalogna? »

« Allora ci credi! » ne approfitta il cecchino.

« No! » ribatte secco la testa d’alga, « La fortuna e la sfortuna non funzionano così, Usopp ».

Sanji, però, se ne sta lì, senza capire cosa si suppone debba dire a questo punto; perché se Zoro non gliene avesse appena dato conferma, avrebbe giurato che questa fosse solo che l’ennesima panzana sciorinata dal nasone.

Gli si attorcigliano le labbra, ed il cacciatore di pirati deve averlo notato istantaneamente, perché sbuffa vagamente divertito, « Ah! » commenta con uno schiocco di lingua contro il palato, « Abbiamo trovato qualcosa che il sopracciglione non conosce- »

E Dio, se lo irrita quel piccolo sorrisetto bastardo e tronfio che l’altro si dipinge sulle labbra. Se Sanji ne fosse capace, starebbe fumando dalle orecchie in questo momento, ma tutto quello che riesce a concedersi è di voltare la nuca di scatto e lasciarsi sfuggire uno stizzito “Tch!” dalla bocca.

Inforca le mani in tasca, stringendosi nelle spalle, « Sono tutte baggianate, » sentenzia, più per convincere sé stesso che gli altri due.

Non è una menzogna, in fondo, seguendo la falsariga appena recitata dallo spadaccino, neanche Sanji crede a questo genere di scaramanzie; che poi esista tutta una fetta di comportamenti e tradizioni della terraferma legate ai concetti di “fortuna” e “sfortuna” che lui ignora completamente è un dettaglio di cui vuole dimenticarsi in fretta.

Lui è nato sul mare. Solca le acque da quando ha respiro ed è figlio di un pirata. Anche l’oceano ha le sue leggende, i suoi usi ed i suoi costumi- nessuno dovrebbe pretendere da lui di conoscere cosa che non gli sono mai appartenute davvero.

Zoro potrebbe approfittarne e buttare un po’ di sale - visto che secondo Usopp allontana la sfiga - sulla ferita aperta ed appena inferta all’orgoglio del cuoco, ma quali che siano le sue ragioni, sceglie di desistere e lasciarlo a borbottare tra sé e sé, mentre gamba nera dissimula la stizza volgendo la schiena ad entrambi e dirigendosi ai fornelli.

« Ah! » esclama di nuovo lo spadaccino, la linea delle spalle che gli piove verso il basso, « Vado ad allenarmi, » avvisa alla fine, prima di marciare all’indirizzo della porta.

« Ma Zoro, la sfortuna- »

« Ti ho detto che non credo a queste cose, » soggiunge la testa d’alga con fare dismissivo. E l’attimo dopo, ha già varcato l’uscio sparendo oltre il ponte della Sunny.

Usopp si mordicchia le labbra, indeciso sul da farsi; Sanji ora come ora pare di umore financo più nero rispetto a prima e nella cucina è calato un silenzio che rischia di farsi assordante in brevissimo tempo.

Non che si possa biasimare troppo gamba nera, sono tante, purtroppo, le cose che gli ricordano di aver avuto un’infanzia ed una vita piuttosto sui generis, e per chi ha la tendenza a sentirsi inadeguato e fuori posto per vocazione assolutamente personale, non è un argomento facile da digerire, quando viene sottolineato quest’aspetto una volta di più.

Magari è per questo che Zoro ha rinunciato a qualsiasi intento ostile seduta stante.

Di fatto, però, il cuoco non ha neanche il tempo di domandarselo che a spezzare quella patina di tensione che minaccia di scendere tra le quattro mura della cambusa arriva un sonoro e fragoroso tonfo proveniente dall’esterno, seguito in fretta dal grugnito lamentoso della testa d’alga.

« Uh?! »


Sanji s’è detto che doveva per forza di cose trattarsi di un mero caso, una semplice e bizzarra coincidenza, perché - citando Zoro - “la fortuna e la sfortuna non funzionano in questo modo”. Non sono concetti alieni al cuoco, quant’anche se deve proprio, se li immagina come una naturale forma di bilanciamento per l’assurdo universo in cui vivono.

Quindi, la prima spiegazione logica che soggiunge alla mente di uno scettico, quando spalancata la porta della cucina si sono ritrovati Zoro bello che spalmato a quattro di bastoni lungo il ballatoio ed un gabbiano tramortito in cima alla zazzera verde, è la semplice ed incontrovertibile casualità.

Un po’ come quando si dice che “parlando del diavolo, spuntano le corna”, insomma. Sarà per questo che gamba nera, dopo un attimo di assoluto sconcerto, si è concesso di scoppiare a ridere nel raglio più sguaiato e maleducato che gli abbia mai blandito la bocca.

« Zoro, tutto ok? » ha chiesto Usopp, invece, ricevendo di tutta risposta un ringhio furente.

Sanji si è dovuto reggere la pancia per le convulsioni del divertimento; dando a Cesare quel ch’è di Cesare, lo spadaccino abbattuto da un uccello un po’ troppo intrepido è una visione inedita e rara che non pensa di potersi concedere in alcuna altra occasione negli anni a venire, quindi vuole godersela finché può, stamparsela in testa ed utilizzarla come arma di sfottò per tutto quel che gli resta da campare.

« Il gabbiano deve essersi perso, » ha principiato il cuoco tra le risate, « e notando un suo simile con lo stesso deprecabile senso dell’orientamento, ha voluto farti un saluto, » è l’insulto più complesso che abbia mai formulato all’indirizzo della testa d’alga, ma con l’ossigeno che minaccia di farsi meno nel cervello per il troppo ridere, è tutto quello che riesce a formulare.

Ha avuto almeno la decenza - e che non si dica che un gentilcuoco manca di buone maniere - di allungare una mano in aiuto dello spadaccino, il quale, arrossito dall’imbarazzo fino alla punta dei capelli, ha scacciato le dita prodighe di venire in suo soccorso con estrema stizza.

« Sta zitto! » ha abbaiato semplicemente, prima di affrettarsi a tornare in piedi e marciare rigido come un palo verso l’osservatorio, sua fortezza di solitudine, e unico posto dove spera di non sentire gli sghignazzi di gamba nera che accompagnano la sua walk of shame.

“Un caso”, si è ripetuto il cuoco, due lacrime ilari agli angoli dello sguardo, mentre ha recuperato il gabbiano con il serio intento di spennarlo e ficcarlo in una pentola per lo spuntino delle undici; e ha cercato di ripeterselo fino a quando il pensiero a tratti paralizzante che “un caso” non lo fosse più non ha iniziato ad insinuarsi nella sua scatola cranica come un piccolo semino che mette radici.

È successo più o meno un’ora dopo, quando ritornando sul ponte della Sunny con l’uccellaccio ora bello che cotto ed infilato in fette sottilissime dentro a dei sandwich, ha richiamato l’attenzione dei suoi nakama.

Zoro, salito sulla cima dell’albero maestro, sta cercando di sistemare le corde della vela principale, quando Sanji lo nota, « Oi, testa d’alga! » lo richiama, col sorriso che minaccia di allungarsi nuovamente sulla bocca, « Fa attenzione! Visto che non è esattamente la tua giornata fortunata, c’è il rischio che inciampi- »

È la piccola rivalsa che crede di meritarsi dopo l’aria da vittorioso stronzetto che lo spadaccino s’è disegnato in faccia, quando ha realizzato che il cuoco non conoscesse certe usanze altrimenti sdoganate.

Di quello che succede dopo, gamba nera non se ne avvede subito, perché è troppo intento a schivare i continui attacchi di Luffy, che attentano al sacchetto di croste di pane che Sanji ha appositamente conservato per Zoro. C’è un limite anche ad il suo essere infame.

Non bada subito, quindi, al modo in cui lo spadaccino si sporge per lanciargli un « Imbecill- » che gli muore in gola nell’istante in cui, neanche Sanji sia un qualche tipo di iettatore, si verifichi esattamente ciò che il cuoco ha infaustamente ed involontariamente predetto.

È strano a dirsi, perché Zoro tra tutta la ciurma, è veramente l’ultimo che potrebbe definirsi goffo o scoordinato, quindi non c’è alcuna valida ragione per credere che la testa d’alga finisca per impigliarsi tra le corde, perdere la presa sull’albero e minacciare di crollare a picco e di testa proprio lì in mezzo al manto erboso del ponte.

Eppure è quello che accade.

« ZORO! » la voce di tutta la ciurma di alza trafelata ed all’unisono, quando letteralmente, il cacciatore di pirati è prossimo a schiantarsi a terra.

E Sanji, che dalla sua vanta una velocità fino ad’ora ineguagliata, non riesce a fare molto altro che non sia strabuzzare gli occhi e spalancare così tanto la bocca in un moto di raggelante paura e sorpresa da farsi scivolar via la sigaretta dalle labbra.

Ci pensa, fortunatamente, l’ultimo terzo del Monster Trio a salvare la situazione, ché, l’uomo-di-gomma, desistendo dalla voglia di croste di pane, in un lampo allunga il braccio verso il proprio primo ufficiale, avvolgendolo attorno al busto dello spadaccino con la stessa ferrea stretta di un paio di bende attorno ad una mummia.

Col senno di poi, è quasi ovvio che Zoro avrebbe potuto tranquillamente usare l’Haki dell’armatura per evitarsi un qualche trauma cranico, ma la prima reazione naturale di tutti è l’ovvio terrore che si scioglie in un sospiro di sollievo, quando la testa d’alga viene posato a terra sano e salvo sotto l’eco di un “Shishishi!” particolarmente divertito da parte del Capitano.

Un paio di braccia fioriscono dalle assi del ponte a sorreggere Zoro, quando il cacciatore di pirati realizza di non star più precipitando, e per buona premura, Robin ci aggiunge una piccola e vaghissima punto di preoccupazione, quando gli chiede se vada tutto bene.

« Sì, ho perso solo l’equilibrio, » replica lo spadaccino, stranito a propria volta da una risposta che risulta quantomeno assurda se data da lui.

« DEVI ASSOLUTAMENTE TROVARE UNA ZAMPA DI CONIGLIO! » salta su Usopp, « Te l’avevo detto! » rincara il cecchino, lasciando da parte qualsiasi cosa l’abbia visto impegnato fino a quel momento per accorrere assieme al resto dei loro nakama verso la testa d’alga.

Sanji non ha la più pallida idea dell’utilità di una zampa di coniglio - o di qualsiasi altro mammifero a voler essere precisi - fuor dalla possibilità di farla in salmì, ma ha come il sospetto che, di nuovo, abbia a che fare con la sedicente scalogna riguardo cui il cecchino predica da stamattina, neanche fosse un pazzo avventista.

E questo, che il cuoco voglia ammetterlo o meno, lascia una piccola e per il momento ancora contenuta ombra di senso di colpo tra le sinapsi della mente. Sarà per questa ragione che, tornato padrone di sé nel momento in cui realizza che Zoro è ancora tutto intero, invece che concedersi di mostrarsi nuovamente preoccupato ed al contempo sollevato, blatera fuori l’ultima cosa che avrebbe senso dire in un simile contesto: « …te l’avevo detto ».

Che Sanji non sia capace di dire quello che pensa e di farlo con onestà non è nuovo per nessuno. Lo spadaccino, però, rimane comunque scioccamente accigliato da un simile commento.

Quindi, tutto quel che resta da fare a gamba nera è battere in ritirata nella propria cucina - di nuovo - lanciandogli il sacchetto di croste di pane, e dissimulando malamente che non gliene freghi nulla.

Peccato che invece gli freghi eccome, e a tal punto da dimenticarsi della bionda cadutagli a terra, che rimane lì a consumarsi sul ponte della nave.


Sanji non è superstizioso.

Anzi, ha sempre fatto della propria sagacia un’arma solida e monolitica, e per quanto la Rotta Maggiore sia indubbiamente costellata di assurdità al limite del reale, c’è un confine bello netto che divide ciò a cui si può ammettere di credere e ciò che assolutamente è irrealizzabile.

Anche tra i marinai esistono detti, alcuni vecchi probabilmente di secoli, che attingono a piene mani dal folklore popolare, il Davy Back Fight ne è l’esempio principe se proprio deve recuperare una qualche memoria dal fondo della propria scatola cranica- ma il cuoco si ritiene abbastanza intelligente da sapere che se certe cose nascono in seno alla creduloneria è perché serve un modo per instillare del buon senso anche nelle zucche vuote.

Anche questo se lo ripete, quando ormai il pomeriggio è prossimo, le posate del pranzo sono già state sbarattate dalla tavola, e lui si impegna le mani con il riso ancora tiepido per darvi la forma di un paio di onigiri.

Una volta, è un caso. Per quanto assurdo, può capitare ed è capitato di tutto durante il loro lungo viaggio.

Due volte, è una coincidenza. Un po’ come le profezie auto-avveranti, che vengono sistematicamente condotte dalle menti più facilmente impressionabili ad un qualche infausto presagio annoverato in precedenza.

Se lo dice così tante volte, che le parole perdono di significato nella testa, quando sta già inconsciamente scalando la salita che lo condurrà all’osservatorio.

La sua nuca fa capolino in silenzio dalla botola, e mica si azzarda a richiamare l’attenzione della testa d’alga, madido di sudore come sempre, ed intento a sollevare bilancieri dal carico indicibile e completamente fuori di testa. Potrebbe semplicemente lasciare lì il vassoio e ritirarsi con la coda tra le gambe, ma c’è quel piccolo tarlo a pungolargli le tempie e a lasciargli la fastidiosa sensazione secondo cui, se dovesse andarsene ora, a quello stupido zuccone accadrebbe qualcosa di estremamente sciagurato.

Deve davvero aver dormito poco per arrivare a pensare qualcosa del genere, ma nel dubbio, c’è un piccolo contenitore di sale ad accompagnare gli onigiri che ha tanto accuratamente impiattato per quel gorilla tutto muscoli.

Zoro, quando lascia andare i pesi, lo nota subito, neanche a volerlo fare apposta, e se anche non chiede nulla, perché il silenzio è una costante di certi loro incontri, un’occhiata interrogativa la scocca comunque a gamba nera, mentre si abbandona come un sacco di patate lungo il divanetto.

« Con i gusti di merda che hai, non so mai se quello che cucino è abbastanza saporito, » mente Sanji, rispondendo ad una domanda che non gli è davvero stata posta.

Questo è tutto quello che può fare, cercando di zittire quella vocina che continua a ripetergli che è lui che ha spinto Zoro sotto la scala.

Lo spadaccino resta a fissarlo per un secondo netto, poi sembra farsi andar bene la replica e con la stessa grazia di un elefante in una cristalleria, fagocita l’intera polpetta in un sol boccone. Buzzurro. Ha anche il coraggio di leccarsi le dita dopo aver ingollato la merenda senza praticamente masticarla.

« Vanno bene, » aggiunge soltanto, prima di impossessarsi anche del secondo.

Pretendere un “sono buoni” da Zoro, in effetti, è più fantascientifico che credere a certe folkloristiche convinzioni, ma Sanji ringrazia che l’uomo-spada sia effettivamente così stupido da credere seriamente che il sale sia lì per mera questione di palato.

C’è un limite, dettato dall’orgoglio del cuoco, oltre il quale gamba nera non vuole andare è tale linea di demarcazione è tracciata a mezzavia tra la possibilità di fingere che il pensiero di essere lui la causa di tale scalogna non lo tormenti e correre da Usopp per chiedergli come si faccia a scacciar via la sfiga.

Nel dubbio, Sanji sta in equilibrio su questo immaginifico filo teso tra le due ipotesi.

Ma se anche la sigaretta che gli penzola dalle labbra, quando lascia crollare la nuca all’indietro con fare pensoso, gli potrebbe fornire un’ottima scusa per lasciare i pensieri alla deriva, con aria quasi sconsolata, sulla bocca arriva a pungolarlo la necessità di dire qualcosa: « …oggi, » principia, non sicuro circa il come la frase dovrebbe proseguire, « sull’albero maestro- »

« Ho i muscoli indolenziti, » spiega tranquillamente Zoro, senza batter ciglio e senza dargli il beneficio di concludere qualsiasi discorso Sanji vorrebbe intavolare a questo punto.

« Mh, » ne sovviene semplicemente gamba nera.

Decifrare lo spadaccino è pressoché impossibile, l’aria burbera che lo accompagna perennemente rende complesso leggere qualsiasi cosa che non sia l’imperituro cruccio delle sue sopracciglia nell’espressione della fronte, ma sono tanti gli indizi che portano Sanji a sospettare che anche quella di Zoro sia una mezza bugia.

Il fatto che si stia allenando, ad esempio. O che i suoi riflessi l’abbiamo smentito una manciata di ore prima, quando in tutte le maniere il cuoco ha provato ad atterrarlo.

Esiste, poi, un effettivo limite fisico per quell’ammasso di fibre troppo cresciute? Sanji s’è risposto da tempo che: no, non esiste.

« Mi hai distratto ed ho perso la presa, » continua il cacciatore di pirati, occhieggiandolo di sottecchi. Non è chiaro se ora lo stia volutamente stuzzicando per ripagarlo della sua stessa moneta, ma Sanji che è prono a reagire per istinto in qualsiasi situazione riguardi l’altro, accartoccia l’espressione e sbuffa dalle narici.

« Non dare la colpa a me, se sei scoordinato come un’anguilla impazzita, » neanche il cuoco crede a quello che sta dicendo, ma ci prova, perché l’alternativa è proprio ammettere che la colpa sia sua.

« Ah?! » replica repentino la testa d’alga con un verso che è tutto gutturale e gli fa sputacchiare qualche chicco di riso, « Hai veramente voglia di fare a botte, oggi, sopracciglione- »

È in quel momento che Sanji ringrazia sé stesso per aver dato retta a quel sesto senso che l’ha portato ad accomodarsi a propria volta sul divanetto di fianco all’altro, se avesse sceso a ritroso le scale dell’osservatorio, non avrebbe potuto notare il peso, che dalla pila degli usuali attrezzi dello spadaccino, vibra in precario equilibrio, quando lo zuccone in un gesto troppo brusco fa scivolare le mani alle spade adagiate sul pavimento.

« Guarda che posso farti a fette quando vuoi e come v- »

Le parole di Zoro si fermano lì, perché senza aggiungere alcunché, gamba nera si rialza in fretta e furia dalla posa scomposta a cui s’è abbandonato, e con due palmi belli saldi, spinge il cacciatore di pirati giù dal divano prima che il peso - cento onesti kili - cada a picco sulla capoccia verde dell’altro.

Il cacciatore di pirati è, ovviamente, colto alla sprovvista, perché se anche i suoi tempi di reazione sono quelli di un combattente allenato, quel che s’aspetta prima del loro ennesimo tafferuglio, è che Sanji si alzi in piedi e carichi un qualche bel calcione diretto al suo indirizzo, non certo le mani - preziose mani - del cuoco che arrivano ad impattare lungo i suoi pettorali.

Zoro ruzzola in terra, e gamba nera potrebbe vantarsi di esserci riuscito, finalmente, anche se la cosa ha richiesto mezza giornata, ma c’è altro sul viso di Sanji, quando la testa d’alga si ritrova a sbattere la singola palpebra ancora funzionante con aria perplessa e sorpresa.

Si trova schiena al pavimento, l’altro che è capitombolato con lui giù dal divanetto e che ancora tiene i palmi belli saldi sul suo torace, mentre con fragore il peso ciondolante crolla e genera un neanche tanto piccolo buco nelle assi dell’osservatorio.

Gamba nera ha gli occhi sgranati, e se anche Zoro capisce - stranito - cosa l’altro abbia appena fatto, salvandolo da un gigantesco bernoccolo che avrebbe anche potuto ammazzarlo, non comprende perché Sanji debba avere una simile espressione.

« Cosa- »

« …la scala… »

Il cuoco boccheggia quella singola parola e la testa d’alga trasale per un solo singolo istante.

Sanji si stupisce delle sue stesse parole. Ma se uno è un caso, due è una coincidenza… tre volte fa statistica. E per quanto gli costi ammettere che forse, magari, e con tutte le opportune specifiche dell’evenienza, Usopp ha ragione, quella che inizia a dipanarsi nella sua testa come una vivida consapevolezza lo sconvolge e lo mette in allarme.

L’occhiata di Zoro che cambia in un’inflessione assolutamente seria, non aiuta.

Anzi, rende il cuoco talmente self-aware della situazione, da rimetterlo dritto in piedi con aria trafelata. Sanji apre la bocca per dire qualcosa, ma mentre Zoro si risolleva, mettendoci tutto il tempo di cui ha bisogno, sente che nessun suono di senso compiuto gli uscirà dalle labbra.

E quel che gli resta da fare è, di nuovo, correre ai ripari, nel vero senso della parola e macinando gli scalini che lo riconducono al ponte a due a due, dimentico addirittura di aver lasciato lì, di fianco alla testa d’alga, il vassoio ed il piatto di portata.


Tre fa statistica.

Questo lo sanno anche gli stupidi, Sanji che con proporzioni e percentuali c’è abituato per via della cucina, lo sa una volta di più. E per quanto provi ad insistere che sia semplice auto-suggestione, non riesce a trovare alcuna valida e solida ragione che possa smentirlo.

Lo realizza, quando ha il capo chino lungo il lavandino del bagno, e la forza delle braccia minaccia di venirgli meno mentre si regge sulla ceramica.

Non ha problemi ad ammettere di avere una consistente paura che gli crepita lungo la schiena, mentre inizia a supporre che ad una terza volta, ne possa seguire una quarta, e poi una quinta e poi una sesta, e che, di tutte queste, capiterà anche l’eccezione in cui quella stupida testa d’alga sarà disperso da qualche parte, senza nessuno pronto a salvarlo dalla sua stessa scalogna.

Sfortuna che, ora Sanji lo sa, lui gli ha iettato addosso.

Quindi deglutisce, ed anche se questo comporta mordersi il labbro con troppa forza, sa di dover mettere da parte l’orgoglio e chiedere l’aiuto di un esperto; non lo ammetterà mai a voce, ovvio, ma non si perdonerebbe mai che un suo nakama - che Zoro - finisca a farsi del male per colpa sua.

L’epifania non lo sconvolge particolarmente, lo shocka di più ritrovarsi a pendere dalle labbra di chissà quale scaramantico rito a lui sconosciuto, nel timore che, cocciuto com’è, quello zuccone non usi il sale che gli ha lasciato appositamente per l’evenienza, e che finisca per farsi ammazzare da qualche spada appoggiata male su di una mensola.

Macina i passi che sottocoperta dividono il bagno dal laboratorio di Usopp col cuore in gola e tutta la melodrammaticità di cui è capace, arrivando a spalancare la porta del regno del cecchino con un po’ troppa foga, quando ci si trova davanti, « Nasone! » lo chiama, ritrovandosi ad annaspare, « Il sale, l’incenso e poi? Cosa serve a togliere il malocchio? »


Quando Zoro scende sul ponte e butta un occhio attraverso l’oblò della cucina, rimane doppiamente stranito nel notare che il cuoco non è da nessuna parte.

Si gratta quindi la zazzera verde, accigliato e seccato tanto dalla situazione attuale, quanto da quella che s’è srotolata poc’anzi in cima all’osservatorio. E se anche per un secondo è tentato di chiedere delucidazioni su dove si trovi lo stupido pervertito a Franky, Robin e Jinbe, ancora intenti a sistemare le paratie del brigantino, desiste, perché ha già consumato la sua quota imbarazzo per la giornata, e non vuole alcun debito con sé stesso.

Che non ci sia nulla di cui vergognarsi nell’ammettere di essere a propria volta un po’ preoccupato per la reazione di gamba nera è un dettaglio su cui il limitato cervello dello spadaccino non si sofferma più del dovuto.

Robin, però, che è una a cui i particolari non possono essere nascosti neanche volendo, la nota l’espressione strana del loro primo ufficiale, e senza peli sulla lingua come è sua caratteristica, rialza lo sguardo ed apostrofa l’ovvio, leggendoglielo in faccia: « Cercavi Sanji? »

Zoro vorrebbe un po’ maledire l’intuito e la perspicacia della loro archeologa, ma non ha reali motivi per prendersela con lei, quindi si limita a sospirare, che è già una risposta di per sé.

« Sanji-kun è andato sottocoperta a cercare Usopp-kun, » risponde Jinbe, posando le assi che sta reggendo al carpentiere, perso nel suo pedissequo martellare.

« A cercare Usopp? » gli fa eco lo spadaccino, con la fronte che gli si aggrotta quel giusto istante di più di cui abbisogna per unire tutti i puntini. Zoro magari non sarà il più sagace della ciurma, ma neanche a lui riesce troppo difficile avere il quadro d’insieme.

Scuote la testa, si lascia sfuggire un « Che imbecille- » a fior di labbra, prima di stringersi nelle spalle.

Robin piega la nuca di lato, e sorride con l’eco di quella risata cristallina che le blandisce sempre la bocca per ragioni che conosce solo lei, ma che Zoro sospetta derivare dal fatto che paia sempre sapere tutto di tutti e prima di chiunque altro.

« Gliel’ho detto che le superstizioni non sono reali, » replica quindi la testa d’alga, anche se l’archeologa non ha posto alcun interrogativo, e lo fa distogliendo lo sguardo, perché percepisce distintamente un piccolo moto di imbarazzo salirgli alla punta delle orecchie.

« …mi ha addirittura portato del sale, » aggiunge, e se anche l'intento è forse quello di canzonare il cuoco che ancora manca all’appello, c’è in realtà una tiepida sensazione di lusinga che gli si scalda al centro del petto.

E che non si dica più che Zoro è scemo.

« Cuoco-bro mi sembrava SUPER preoccupato! » Franky rincara la dose, un altro che sembra un perfetto cretino, ma pare sistematicamente saperne una più del diavolo, degno compagno di Robin in questo.

E Zoro non può far altro che dissimulare, grattandosi la nuca e fingendo che non gli importi poi così tanto, anche se effettivamente della cosa gli frega abbastanza.

« Stupido- » bercia sottovoce lo spadaccino, e Jinbe non può far altro che ridacchiare come capita sempre più spesso ogni volta che assiste alla singolare maniera assolutamente personale che Zoro e Sanji hanno per rapportarsi. Il timoniere, certe volte, ne sembra quasi affascinato.

La risata dell’uomo-pesce, però, si interrompe quando sembra notare qualcosa addosso all’addome nudo di Zoro, ma mentre alza una pinna per farglielo notare, l’attenzione dei presenti si rivolge trafelata e stupita al martello di Franky appoggiato sul parapetto, che di sponte propria senza traballare e muoversi.

C’è una piccola resistenza data dall’attrito con il legno che frena l’utensile prima di minacciare di schizzar via alla velocità della luce in direzione dello spadaccino, il cyborg, per fortuna, è sufficientemente attento da afferrarlo al volo, prima che accada l’irreparabile. Ovvero che Zoro affetti il suo martello preferito.

« Che strano- » mormora il carpentiere, sollevandosi gli occhiali sulla cima della nuca, gli occhi che saettano dallo spadaccino all’utensile ora ben saldo nelle sue mani ed un piede che preventivamente va a richiudere la cassetta dei chiodi per tenerla ferma a terra.

« Zoro-bro, » lo richiama, « hai qualche magnete addosso? »

« Ah?! »

E Robin ridacchia di nuovo, questa volta accompagnata dallo sbuffo divertito di Jinbe, « Qualcuno li chiama anche così, in effetti, “magneti del mare”, » soggiunge l’uomo-pesce, indicando, finalmente quel qualcosa che ha notato addosso al loro primo ufficiale, « perlopiù sono creature innocue ».

Zoro che non ci sta capendo molto della situazione e solo perché ha appena processato, senza troppa meraviglia, che un martello abbia attentato alla sua vita meno di una manciata di secondi prima, per non saper né leggere né scrivere, segue con lo sguardo la linea immaginaria che il dito di Jinbe traccia a puntare il suo fianco, e proprio lì, il suo unico occhio buono incrocia il profilo di un piccolo ma vistoso guscio color antracite.

Sembra un mollusco. O un lumacofono. O una bislacca crasi dei due.

Sgrana lo sguardo.

« Si tratta di un “suuchiru”, giusto? » chiede conferma l’archeologa al timoniere, « Sì, » replica Jinbe con un gesto del capo, « pensavo fosse una leggenda che il Nuovo Mondo ne fosse pieno, data la loro rarità, e invece- »

« SUPER! » esclama Franky, con un sorriso a tutto denti, « Ci può sicuramente tornare utile! »

Travolto dagli eventi, e con un gran mal di testa dato dalle troppe informazioni - approssimative e ben poco esaustive - lo spadaccino rinuncia a capirci qualcosa ed allungando una mano, prova semplicemente a scollarsi quel minuscolo e bizzarro animale di dosso.


Sanji è, per usare un eufemismo, arreso. Ed anche un po’ sconsolato.

Sente che non dovrebbe davvero biasimarsi per non sapere certi dettagli della vita da terraferma, tipo il cosa, come e quando l’ago della bilancia propenda più per la fortuna o per la sfortuna, d’altronde, fino a questa mattina non pensava neanche di doversi preoccupare di accadimenti talmente illogici da risultargli al limite del credibile. Dall’altra, però, quel piccolo semino generato dal senso di colpa, ormai che il tramonto è prossimo, è cresciuto quanto una pianta annaffiata giorno per giorno e non riesce a togliersi dalla testa il pensiero che la sfiga che ha perseguitato Zoro tutto il dì sia inequivocabilmente, incontrovertibilmente causata da lui.

Gamba nera ancora non ci crede davvero. Non per quanto concerne la parte più logica del suo cervello, ma non può ignorare gli evidenti segnali che la provvidenza, il fato, e l’universo intero gli hanno mandato nelle ultime ore.

L’unica cosa di cui ringrazia è di non aver sentito alcun lamento di dolore da parte dello spadaccino, o alcun pianto inconsolabile da parte del resto della ciurma che presagisse la dipartita prematura di quella zucca vuota.

La sua lunga chiacchierata con Usopp è stata pressoché infruttuosa, perché di tutti i porta-fortuna, scaccia-sfiga e anti-malocchio che il cecchino annovera nella sua personale e mentale enciclopedia dell’inutile, tutto quello che il cuoco è riuscito a recuperare è stato una manciata di sale, di cui dispone in abbondanza, e qualche incenso, acquistato da Nami ad un prezzo ovviamente esorbitante.

Ma a sentire il nasone che parla del “passare sotto le scale” come qualcosa di talmente infausto da richiedere come pegno la fine del mondo, non crede che basterà così poco a salvare Zoro da sé stesso e dalla malasorte che gli ha gettato addosso.

Sospira rumorosamente, attorniato dai fiori di Robin, mentre si osserva i palmi ed il misero bottino che porta con sé.

« Ecco dov’eri finito- » la voce di Zoro lo fa trasalire, perché l’ultima persona che vorrebbe vedere proprio adesso è esattamente lo spadaccino.

Non per altro, sarebbe stato lui a cercarlo di lì a poco, ma ha bisogno di un momento in più per digerire il duro rospo dell’orgoglio buttato giù dal cesso ed implorarne il perdono senza avere nulla di commisurato da pagare come dazio.

Sanji sa che la prima cosa che dovrebbe dire è almeno uno “scusa”, e senza neanche troppi giri di parole. È lui che s’è alzato col piede sbagliato questa mattina, lui che ha voluto attaccar briga, lui che l’ha spinto sotto i pioli della scala, perché troppo preso da sé stesso, non ha messo in conto che una simile assurdità potesse portare una tale sfortuna.

E che Sanji sia dannato due volte - e si maledice per questo, ovviamente - che se non riesce a scusarsi per la prima metà delle sue colpe, dovrebbe fare uno sforzo di più e farlo per tutto quel che resta.

Apre la bocca e la richiude subito. Lo spadaccino lo guarda interrogativo, dopo essere salito dall’ultimo gradino che dal ponte l’ha condotto lì. Restano in questa specie di stallo alla messicana per un lungo ed intero secondo di completo silenzio, finché, schiarendosi la gola, la testa d’alga non decide di muovere un passo in avanti.

« Senti, cuoco- » principia, ma Sanji fa un passo indietro.

Zoro ora lo fissa sbigottito e di tutta risposta, gamba nera serra le labbra così forte tra loro da farle impallidire.

Il cacciatore di pirati ci riprova, muove un’altra falcata un po’ più corta delle precedente, e come un bizzarro gioco di specchi, Sanji arretra. È strano, perché di tutte le loro dinamiche bislacche, questa è veramente l’ultima a cui Zoro avrebbe mai pensato di assistere.

Tant’è che il tempo gli ha sempre dimostrato il contrario: se c’è qualcuno che è capace di fronteggiarlo a viso aperto al punto di scornarcisi neanche fosse un caprone, quello è proprio il cuoco. Tuttavia, Zoro non considera gli ovvi ostacoli che Sanji vive quotidianamente circa l’ammettere a voce le proprie colpe e farlo, nello specifico, con lui.

Non che lo spadaccino lo ritenga effettivamente colpevole, questo, in fondo, è tutto un colossale malinteso, generato ancora una volta da quella brutta boccaccia che si ritrova il loro fidato cecchino. Ma se l’altro non gli concede neanche il tempo di spiegare-

« Cosa diavolo stai facendo? » chiede il cacciatore di pirati, una piccola vena di irritazione che si mescola allo stupore.

« Non ho trovato nient’altro, ok? » boccheggia il cuoco, indispettito, ma con l’ombra della vergogna che gli attraversa l’unico occhio visibile e che gli attorciglia il sopracciglio già arrotato, « Col fatto che non sbarchiamo da settimane, non c’era nulla di utile sulla nave- »

Sanji parla e Zoro è sempre più confuso e lo rimane, finché non nota le due stecche di incenso che gamba nera stringe nella destra.

Sospira.

Farebbe per fermarlo, anche, ma Sanji fa un altro passo indietro, digrignando i denti, « Non lo sapevo, va bene? » soggiunge di nuovo il cuoco, abbassando la nuca perché se deve scusarsi - se vuole scusarsi - non crede di reggere il peso di guardarlo dritto nell’occhio mentre lo fa, « Non sono cresciuto su un’isola come voi, certe cose non esistono da dove vengo io- » seguita a blaterare, masticandosi l’interno della guancia tra i denti, « E non pensavo che- »

Quale che fosse il tragicomico discorso che Sanji s’era preparato in testa, è destinato a venir spezzato sul più bello, se per fortuna o sfortuna - visto che siamo in tema - dello spadaccino, non è del tutto chiaro, perché il cuoco, sconvolto com’è da tutta la situazione, non s’avvede di essere arretrato così tanto da avere il vuoto sotto il tacco del piede sinistro.

Le scale che conducono a prua se le ricordava più distanti, deve aver calcolato male gli spazi. E senza la prontezza che lo caratterizza in condizioni normali e che lo farebbe piroettare in aria con una semplice contrazione di polpacci, è destinato a franare giù dai gradini rovinosamente.

È un perfetto contrappasso, in fondo, no?

Tutto è partito da una scala e dal suo desiderio di spingere Zoro a terra. È una punizione quasi catartica il fatto che gli venga reso pan per focaccia in chiosa.

Lo spadaccino non è dello stesso avviso, però, ed anche se Sanji ignora completamente cosa mai in quella testa d’alga lo faccia reagire in maniera così seria e provvidenziale, quello scatta in avanti, letteralmente lanciandosi su di lui.

Gamba nera non ha neanche il tempo di stupirsene, o mormorare una qualche esclamazione, ché, quando finiscono per ruzzolare sulle assi di prua in una giravolta fragorosa e dolorosa, tutto quello che riesce a processare sono le braccia di Zoro che si serrano attorno al suo busto ed una mano a reggergli il retro della nuca in una qualche specie di riflesso condizionato.

Tutto diventa nero per un secondo, che probabilmente gli pare lungo un’eternità.

E quando Sanji ridischiude le palpebre con cautela, intontito dalla botta e dall’accelerazione improvvisa che ha preso tutto il contesto, se di primo acchito c’è solo stanchezza sul fondo dei suoi occhi azzurri, in un secondo momento arriva la sorpresa - assoluto e completo stupore - a soppiantare qualsiasi altra reazione possa essersi dipinta sulla faccia del cuoco.

Perché Zoro è lì sopra di lui, entrambi schiantati a terra, e la sua mano gli regge ancora la nuca con una gentilezza ed una premura che mai si aspetterebbe da quelle dita rozze, grosse e rovinate che gli si insinuano tra i capelli. Lo spadaccino è trafelato e sconvolto, visibilmente preoccupato e shockato da quella caduta, ed il suo occhi saetta un po’ ovunque per assicurarsi che Sanji sia ancora tutto intero.

Gamba nera non riesce a leggergli nello sguardo il motivo di tutta questa attenzione. Vi nota una paura che sembra quasi atavica per come gli ha ridotto la pupilla ad una capocchia di spillo, ma non se la spiega, perché non sa. Quel di cui è certo è che l’insieme del tutto lo coglie in assoluto contropiede, a maggio ragione quando il timbro graffiante ed annaspante dell’altro gli raggiunge le orecchie: « Cuoco! » lo chiama, « Stai bene?! »

Ignora quale trauma Zoro potrebbe mai conservare sul fondo della capoccia per reagire così, e travolto al pari da uno tsunami da troppe cose che non riesce a spiegarsi, tutto quello su cui riesce davvero a concentrarsi è quel tiepido e confortante calore, che dal retro della sua nuca dove il palmo della testa d’alga è ancora ben saldo, si diffonde in tutto il corpo, fino ad arrivare al centro del petto.

Si morde il labbro, e la lingua ora gli pare incredibilmente sciolta: « Mi dispiace! »

Vomita fuori tutto d’un tratto, con la vergogna e l’imbarazzo che arrivano ad inzaccherargli le gote e financo la punta delle orecchie tutt’assieme ed in un sol colpo.

Zoro lo fissa, due occhi strabuzzati ed il respiro ancora corto per il colpo di reni con cui gli si è avventato addosso, e quel cipiglio che dapprima sembrava completamente sconquassato, ora si trasforma in un cruccio ben più perplesso che altro.

« Uh?! »

« Scusa! » rincara Sanji, con le labbra che gli tremano perché è tutto un po’ too much per quello a cui è abituato, e con le mani che cercano la palandrana dell’altro sopra di lui, per provare a tirarsi su e mettersi almeno seduto.

Non ha più l’incenso tra le dita, deve essere volato da qualche parte nella confusione, « Io non so cosa porti sfortuna o cosa no, ok? » continua a blaterare, con la nuca che gli ciondola in avanti come un burattino a cui sono stati recisi i fili, « Non pensavo che spingendoti sotto una scala sarebbe successo tutto questo- non ci ho neanche badato alla scala! »

Il timbro di gamba nera che è usualmente fermo e sicuro, adesso inciampa su alcune sillabe, gli impasta la bocca e lo fa intartagliare. Anche quando è finalmente seduto, con le mani che debolmente restano appese ai vestiti dell’altro, ha comunque le spalle che si alzano e si abbassano un po’ troppo erraticamente.

« È colpa mia! » sancisce d’improvviso, rialzando la capoccia. E non si concede neanche il tempo di badare a quanto sia sgomento Zoro davanti ad una simile reazione, « Anche il fatto che siamo caduti adesso, è- colpa mia! Il gabbiano! Il peso nell’osservatorio! Quando sei caduto dall’albero maestro- »

Sanji parla talmente tanto di fretta e con tale concitazione, che se anche la testa d’alga volesse fermarlo - e non vuole per il momento - non saprebbe come fare.

« Il sale non era per gli onigiri! » e gamba nera, troppo preso dal fiume di scuse che gli si sta srotolando sull’ugola non nota il piccolo sbuffo divertito che profonde dalla bocca dell’altro, quando il cuoco ammette l’ovvio, « Te ne ho preso anche dell’altro! E Nami-swan mi ha dato dell’incenso e- »

Se continua così potrebbe morire asfissiato, ma grazie al cielo riprende un attimo di fiato, prima di proseguire: « -quello stupido nasone mi ha detto che servivano delle zampe di coniglio, dei quadrifogli e altre cose- e ho messo a soqquadro la cambusa e in questa maledetta nave non c’è un bel niente! »

Conclude, alla fine, con esasperazione, rendendosi conto di avere il respiro affaticato, ma non badandoci più del dovuto, mentre scuote la testa.

« Non volevo, ok? E adesso non ho nulla per rimediare, » insiste, ma un po’ meno fervente rispetto a prima, mentre la voce gli cala di almeno due ottave e si fa incredibilmente piccolo in quella confessione, « -non mi perdonerei mai se ti accadesse qualcosa per colpa mia… » biascica in un sospiro.

Zoro si prende tutto il tempo che gli serve per osservarlo, ed è quasi un peccato che Sanji, arreso, e così abnegante verso la propria indole votata al martirio, faccia ciondolare la nuca come poco prima, perché si perde la maniera tiepida in cui la singola iride dello spadaccino accarezza il suo profilo.

« Cuoco, » lo chiama piano lo spadaccino, un sorriso tenue che arriva a blandirgli la bocca, « non devi dare retta ad Usopp… queste superstizioni non sono reali ».

La voce della testa d’alga è tranquilla, pacata. Una rarità per la maniera burbera ed indisponente con cui il primo ufficiale si rivolge sempre a tutti, e Sanji - si stupisce quasi nel realizzarlo - azzarderebbe addirittura a dire di notarvi una vaga inflessione di gentilezza.

« Ma tu- » il cuoco rialza di scatto la nuca e lo fissa, contrariato e confuso, « -tutto quello che è successo, e l’occhiata che mi hai lanciato nell’osservatorio- »

Il cacciatore di pirati dipana l’espressione solo per accartocciarla poco dopo, come se dovesse sforzarsi di richiamare alla memoria quello a cui si riferisce gamba nera, « Ah, » sovviene solo, quando realizza, « …no, quella era per- » stringe le labbra, « le scale ».

Sa di essere criptico, tuttavia anche per Zoro c’è un limite a quante cose può condividere e a quanto può mostrarsi relativamente fragile a qualcuno, soprattutto se quel qualcuno è Sanji.

Quindi diverge lo sguardo in un punto imprecisato della poppa, colto un po’ alla sprovvista, « …è una storia lunga, » soggiunge, quasi telegrafico, « un giorno te la racconterò, » chiosa, non sapendo esattamente come altro rispondere allo sguardo confuso del cuoco che insiste sul suo profilo.

Zoro sbuffa, strizza l’occhio e si porta l’unica mano ora libera a grattarsi la nuca imbarazzato.

« Senti, » soggiunge di nuovo dopo qualche istante, « è vero che stamattina eri intrattabile, » e Sanji sa di non avere alcun diritto di offendersi, perché l’altro lo sta semplicemente mettendo davanti all’inequivocabile verità, « …ma tutto questo non è colpa tua ».

Gamba nera sbatte le palpebre con una flemma che sembra addirittura paralizzante.

« Non sto dicendo che la fortuna e la sfortuna non esistono, » Kitetsu - pensa - ne è la prova, d’altronde, « ma non funzionano certo in questa maniera… » spiega, e solo adesso che Sanji pare lentamente ritornare alla realtà, pienamente cosciente di quello che sta accadendo e di quello che ha detto, nota la mancina di Zoro stretta sul dorso della sua ancora avviluppata ai vestiti dell’altro.

Sente l’impellenza di ritrarre i polsi a sé e tenerseli in grembo, come effettivamente fa, mentre lo ascolta, non potendo impedire alla propria faccia la naturale reazione che lo porta ad arrossire.

La testa d’alga non vi bada, recuperando invece con la destra dalla tasca dei propri indumenti quello che nel palmo si rivela essere un… « Mollusco? » chiede il cuoco, che con frutti di mare ed affini crede di avere una certa dimestichezza.

« Penso di sì, » replica lo spadaccino osservando la creaturina grossa quanto un pollice e tutta rintanata nel suo guscio nero, « Robin ha detto che si chiamano “suuchiru”, si attaccano al corpo degli esseri umani, perché sono attratti dal ferro… » e solo ora torna da occhieggiare l’altro.

Sanji sbatte di nuovo le palpebre, l’occhio visibile che saetta dalla testa d’alga al mollusco con ancora troppi punti di domanda che gli riempiono la testa.

E Zoro sospira di nuovo. Meno male ch’era lui quello a mancare di acume.

« Jinbe ha spiegato che vivono in queste acque, e vengono definiti “magneti del mare”, » e lo fissa, aspettando che Sanji connetta dei puntini che di, fatto, non riesce ancora a definire nella visione d’insieme. Zoro, allora, aggrotta le sopracciglia, scocciato quasi, « …sono attratti ed attraggono il ferro, cuoco! Lo succhiano! »

Gamba nera impiega un intero lunghissimo ed intensissimo secondo a ricollegare il tutto, e lo fa sgranando lo sguardo come se Zoro gli avesse appena detto che gli asini volano. Eventualità che, tra le altre cose, non si sente di escludere a priori, viste le infinite bizzarrie in cui sono incorsi fino ad oggi.

« Quindi il peso nell’osservatorio- »

« Era di ferro, » risponde la testa d’alga senza neanche farlo finire, « anche il martello di Franky stava per arrivarmi in faccia poco prima… »

« E quando sei caduto dalla vela?! »

« Succhiano il ferro contenuto nel sangue- non stavo scherzando quando ho detto che sentivo i muscoli indolenziti ».

Sanji stringe le labbra ed aggrotta le sopracciglia: « …e il gabbiano? »

« Franky ha detto che proprio perché questi animaletti sono incredibilmente rari, gli uccelli ne sono ghiotti, deve aver cercato di mangiarselo… »

« … »

Sanji tace, ora, perché tutto ha incredibilmente senso. Molto più senso di quanto potrebbe averlo qualsiasi rito scaramantico di cui Usopp o le circostanze siano riusciti a convincerlo fin’adesso, e se ne rende conto con un rumoroso sospiro di sollievo che gli abbandona la gola e le spalle che dapprima tese, si lasciano andare, rilassandosi.

« Quindi non- »

« No, non c’entra la scala, non c’entra la scalogna, e tu non hai fatto niente- » conclude Zoro, lasciandosi finalmente andare all’indietro per collare seduto sulle assi di poppa, « -beh, a parte infastidirmi, s’intende ».

Se dapprima il vistoso colorito rosso di gamba nera gli aveva inzaccherato tiepidamente le gote, ora la tinta si fa molto più vivida e chiassosa, rosicchiandogli la faccia per intero. Non si spiega quell’impellenza che sente pronunciarsi vicino agli angoli della bocca e che lo spingono ad allargare un sorriso che è, inequivocabilmente, di gioia.

« …comunque ti preferisco quando sei così premuroso, » lo canzona Zoro, allungando un gomito sul ginocchio piegato nella sgangherata posa che ha assunto adesso, « -fa un po’ strano, ma potrei quasi abituarmici ».

Sanji potrebbe addirittura concedergli di passarla liscia a questo giro, perché anche se la colpa non è stata sua, alla fine di tutto, lo spadaccino ha avuto la sua bella serie di sventure per la giornata ed il cuoco riconosce che non sia stato corretto cercare inutilmente di sfogare su di lui tutto il nervosismo- ma c’è un’altra realizzazione che gli sovviene ora alla mente.

« Aspetta, » fa gamba nera, il tono di voce basso e minaccioso, perché accartoccia d’improvviso tutta l’espressione, « …quindi tu sapevi benissimo che tutto quello che ti è capitato è stato causato da quella lumaca, » mollusco, « e non mi hai fermato, quando ho cercato di scusarmi? »

A voler mettere i puntini sulle “i”, Zoro ci ha provato, ma non sente di doverglielo rinfacciare, quando si ritrova completamente ammutolito perché riesce distintamente a percepire una qualche aura omicida provenire dal cuoco.

Lo spadaccino stringe le labbra.

È stato bello - più o meno - finché è durato. E così, come se fosse stato lavato via da un colpo di spugna, qualsiasi moto di coscienza abbia fatto da padrone a gamba nera fino a poco prima, sparisce, lasciando il posto al solito vecchio Sanji.

E magari Zoro preferisce così, mentre stringendo i denti, s’affretta a portare la mano all’elsa di Wado, prima che un bel calcione gli finisca dritto sul muso.

« Io ti ammazzo e ti lancio attraverso mille altre scale! »

 

 

Magari Sanji non ha capito da dove mai possa derivare la fobia di Zoro per i gradini, e magari non ha ancora un’effettiva risposta su quanto di vero ci sia nella scaramanzia, nelle leggende dei marinai ed in tutto il folklore della terraferma; forse non ha neanche imparato a contare fino a dieci e a farsi un esame di coscienza, ogni volta in cui si comporta da perfetto infamello…

…quel che è certo è che non darà mai più ascolto a qualsivoglia baggianata fuoriesca dalla bocca di Usopp.

E forse - ma solo forse - imparerà a comportarsi in maniera un pochino più decente con Zoro.

Almeno di prima mattina.

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Note di chiusura: il nome del sedicente mollusco viene da un gioco di parole con la lingua giapponese, pensato da una mia cara amica (grazie Betta, luv ya!) nello specifico, si tratta di una crasi di due parole:

"Suu", che è il verbo onomatopeico usato per succhiare e scritto con questi katakana 吸う
E "Suuchiiro", che è la traslitterazione di 'steel', cioè ferro/mettallo ed è scritto con questi katakana スチール

Il nome del "suuchiro" è scritto mettendo assieme questi due termini: 吸チール

Voilà ed il gioco è fatto! Poi, che io abbia qualche problema a livello ossessivo per andare a pensare una cosa del genere è, ovviamente, tutto un altro paio di maniche.

   
 
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