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Autore: ValePeach_    22/03/2022    1 recensioni
Inghilterra, 1826
Quando la sorella maggiore ed il marito decidono di partire per una stravagante quanto inaspettata luna di miele in Italia e di mandare la giovane Camille al nord per tenere compagnia ad un suocero che odia qualsiasi tipo di contatto con la società ed una zia bisbetica molto più affezionata ai suoi amati gatti che alle persone, con grande sconforto inizierà a pensare che la sua vita sia finita.
Stare lontana da Londra e dal ton è quanto di peggio le potesse capitare e tutto ciò che spera è di tornare presto alla normalità. Ancora non sa, però, che anche la tranquilla e monotona vita di campagna può riservare svolte inaspettate… e fra l’arrivo dell’insopportabile quanto affascinante John Mortain e l’accadimento di un omicidio che la vedrà inaspettatamente coinvolta, inizierà a pensare che, forse, una vita anonima non era poi tanto male.
Genere: Mistero, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Storico
Capitoli:
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CAPITOLO 8

 
 

 
In quelle ultime tre settimane, John aveva dovuto ricredersi su tutte le sue più profonde convinzioni.
La prima che aveva dovuto abbandonare era quella sull’essere tornato. Undici anni a ripetersi che sarebbe stato uno sbaglio, che se ne sarebbe pentito amaramente, invece superati i primi giorni con sua enorme sorpresa tutto aveva iniziato ad andare meglio.
Le visite ai fittavoli erano state costruttive, gli incontri con gli amministratori estenuanti come ben ricordava e la lettura dei libri mastri più piacevole di quanto si aspettasse. Suo padre nel vederlo così motivato e preso nella gestione della tenuta pareva ringiovanito di vent’anni e con lo stupore di tutti, maggiordomo e valletto per primi, aveva ritirato fuori gli strumenti per la caccia. Purtroppo a causa del tempo instabile prima e degli impegni amministrativi dopo erano riusciti ad andarci solo due volte, la prima rientrando vergognosamente a mani vuote e la seconda con un solo fagiano come trofeo.
«Io avrò anche la scusa della vecchiaia e dei troppi anni passati ad oziare, ma tu figliolo sei proprio un disastro» gli aveva detto suo padre scherzando.
«Nelle piantagioni non c’è molto tempo per la caccia» aveva risposto, ma il senso di colpa dovuto a quella menzogna non lo aveva più turbato come all’inizio.
La verità era che era entrato in una sorta di zona di conforto. Certo non era felice di dover continuare a mentire, ma se non altro stava cercando di fare di tutto per tornare ad essere l’uomo che era destinato a diventare.
Non gli dispiaceva.
Era bello non doversi preoccupare più di nulla o di mantenere una falsa identità circondato da tanti possibili nemici e complice il suo buon umore, anche la gamba aveva iniziato a fargli meno male. Non era sicuro fosse merito del suo ritrovato benessere mentale, ma stranamente non aveva risentito delle galoppate durante la caccia e passeggiare per i giardini di Lodgewood era stato rigenerante. Era come essere uscito da un bozzolo.
La seconda certezza che aveva dovuto abbandonare era l’odio per gli incontri mondani.
Alla prima cena ufficiale indetta da suo padre, esattamente tre giorni dopo il pomeriggio a Windermere con Camille e la signorina Simmons, temeva di far scoppiare un putiferio. Ricordava bene la sensazione di oppressione al petto che aveva provato a Londra ogni qual volta aveva messo piede in un salotto e aveva il terrore di non riuscire a reggere, di scappare di nuovo come un vigliacco insieme ai ricordi che lo soffocavano.
Non era successo.
Vuoi perché non era più un ragazzo, vuoi perché in quegli anni sotto copertura aveva dovuto comunque partecipare alla vita di società o vuoi perché l’aria di casa davvero lo stava aiutando a superare quella sua paura, ma si era quasi divertito. Naturalmente non ci fosse stata quella cena e quelle che erano seguite a casa di zia Shaw e di altri intimi conoscenti sarebbe stato meglio, ma era stato bello ritrovare vecchi amici, persone che mai si sarebbe aspettato di rivedere e che lo avevano accolto con calore e senza giudizio. In particolare ritrovò i vecchi compagni di scuola: Gabriel Ridder, ora felicemente sposato e padre di quattro figli, e Charles Wright, sempre il solito scapolo incallito.
Insieme a loro aveva preso a frequentare il club di Windermere, a ritrovarsi a casa di uno o dell’altro per passare qualche ora di svago giocando a carte, bevendo del buon brandy e, gamba permettendo, a tirare di scherma. Era come essere tornato ragazzo, con l’unica differenza che non correva più dietro a qualsiasi gonna che si muoveva.
E a proposito di gonne… la terza ed ultima convinzione che aveva dovuto lasciarsi alle spalle era, ovviamente, Camille.
Dopo il loro chiarimento, in quelle due settimane si erano avvicinati parecchio… o meglio: Camille e i suoi infiniti sproloqui si erano avvicinati, lui aveva cercato di convincersi che sarebbe stato bene anche facendosi gli affari suoi.
Errore gigantesco.
Lo aveva capito il primo giorno in cui lei non era entrata come una furia nel piccolo studio dove si ritirava a leggere i libri contabili, interrompendo la sua pace e la maggior parte delle volte facendogli rovesciare il tè sui fogli per lo spavento… perché naturalmente bussare era troppo complicato, molto meglio spalancare la porta con veemenza e col rischio di farla cedere.
Di solito le cause delle sue visite erano delle più inutili e disparate: i biglietti della sarta che la informavano che i suoi abiti non erano ancora terminati, la duchessa che non permetteva a Phoebe di andare con lei a Windermere a prendere la cioccolata calda, i cani di suo padre che le ringhiavano contro come fossero belve e così via. Argomenti del tutto superflui che testimoniavano quanto fosse annoiata da quella routine, eppure il giorno che non si era presentata non aveva potuto fare a meno di chiedersi se le fosse successo qualcosa. Aveva provato a resistere, ma poi era uscito dallo studiolo e si era messo a cercarla per tutto il castello, per poi scoprire da Daniel che era uscita per accompagnare suo padre dall’oculista. Un’occasione in più per andare in città, stando alle parole dell’amico. Come un idiota era tornato sui suoi passi, dandosi dello stupido e cercando di non dare troppo peso all’accaduto.
Era stato in quel momento che aveva capito quanto suo padre avesse ragione: per quanto insopportabile, insistente, viziata e petulante fosse, non si poteva fare a meno di affezionarsi a lei. E John se ne stava rendendo conto fin troppo bene. Sebbene la maggior parte delle volte finissero per bisticciare e i momenti di tranquillità si potevano contare sulle dita di una mano, Camille stava iniziando a piacergli un po’ troppo.
Non poteva permetterlo. Una come lei meritava di meglio, non certo uno storpio pieno di segreti e fantasmi, ma nonostante quello, che si accorgesse di come lo aveva cambiato in così poco tempo sperava tanto lo notasse.
Amali e dimentica tutto.
Sì, ci stava riuscendo. In neanche un mese Camille era riuscita inconsapevolmente grazie alla sua voglia di godersi la vita a convincerlo che poteva farlo, poteva andare avanti. E forse fu proprio per quello che quel particolare pomeriggio, quando sentì dei passi rapidi e concitati avvicinarsi allo studiolo, anziché struggersi perché la sua pace e il suo lavoro stavano per finire, si mise a sorridere.
Era proprio curioso di sapere cosa di così tragico fosse successo. Di nuovo la sarta in ritardo? Ormai mancavano pochi giorni al ballo della duchessa e non osava immaginare la tempesta che si sarebbe scatenata se non avesse avuto un abito nuovo da indossare. O magari di nuovo il desiderio di avere uno dei cuccioli di labrador del signor Smith?
Non c’era bisogno di scervellarsi, lo avrebbe scoperto nel giro di tre, due…
«John!» esclamò all’improvviso Camille, catapultandosi nello studio col fiatone, facendo sbattere come al solito la porta e tenendo in mano il giornale scandalistico di Londra. La stagione era ormai in pieno svolgimento e ogni settimana c’era un nuovo argomento su cui spettegolare.
«Buon pomeriggio anche a voi» disse tranquillo lui, stirandosi la schiena e versandosi una tazza di tè.
«Non è affatto un buon pomeriggio, anzi: è una catastrofe!»
«Cos’è successo questa volta?» chiese divertito. Non ce la faceva proprio a rimanere serio in quei frangenti e quello non faceva altro che alterare lo stato emotivo della sua interlocutrice.
«È meglio che vi togliate quel sorrisetto insopportabile dalla faccia prima di subito, perché altrimenti vi giuro che questa volta vi rovescio sul serio l’intera brocca di tè bollente in testa!»
Appunto.
«Vi chiedo scusa» asserì, schiarendosi la voce e cercando di non offendere più del dovuto la sensibilità di Camille. «Dunque, cosa vi ha sconvolta tanto?»
Lei lo guardò storto, prima di sedersi sulla sedia di fronte a lui e sbattergli il giornale in faccia.
«Leggete! Leggete e capirete!»
«Se la smetteste di sventolarmelo davanti al naso, forse potrei anche farlo» disse e facendo un sospiro iniziò a leggere i vari titoli. «”Il giovane rampollo dei Portland sposa un’ereditiera americana per salvare la famiglia dal disastro del fallimento”… e quindi?»
«Ma non quello, questo!» e schiaffò il dito sulla carta troppo velocemente perché John potesse vedere con esattezza a cosa si stesse riferendo.
«”Henry Umbridge, ambito scapolo di molte madri, ha finalmente trovato”…»
«Santo cielo, avete bisogno anche voi di un paio di occhiali?» lo interruppe Camille indicando un articoletto in fondo alla pagina, talmente piccolo da passare inosservato.
«”Si annuncia il matrimonio tra la signorina Dorothy Kensington e James Edwards, marchese di Sommerfields. Dopo quattro stagioni ne danno il lieto annuncio il ricco possidente sir Anthony e la signora Kensington”… ah.»
Dorothy Kensington era l’odiata figlia dell’odiato cugino ereditario… ora capì lo sconforto di Camille.
«Mi dispiace» fu tutto quello che riuscì a dire. Lei invece si alzò stizzita dalla sedia, iniziando a camminare avanti e indietro nel piccolo spazio fra la libreria e il divanetto.
«Ancora non posso crederci… quell’arpia di Dorothy che si sposa e non con un gentiluomo qualunque, ma addirittura un marchese! È assurdo!»
«Se vi può far piacere saperlo, ricordo che quando ancora frequentavo Londra il marchese in questione aveva già superato i trent’anni.»
«Lo so bene… ma non è questo il punto.»
«Quale allora?»
«Primo: il fatto che Dorothy abbia trovato qualcuno che la sposi mentre io sono qui a far niente, prossima a diventare zitella e a morire sola come la povera signora Beckett. Secondo: Dorothy diventerà marchesa! Marchesa! Mio cugino avrà finalmente ciò che desiderava: una discendenza nobiliare e di sicuro ora anche il figlio potrà ambire ad un matrimonio di alto ceto sociale. Terzo: la mia vita è un susseguirsi di tragedie» e detto quello si distese drammaticamente sul divanetto.
John cercò di non fissare troppo la sua figura e allo stesso tempo un po’ di tatto per non ferirla. Posò il giornale sul tavolo e riprese in mano la tazza di tè. Ne bevve un lungo sorso, ma non gli veniva in mente nulla da dire. Cosa si diceva in questi casi? Che era fortunata a non aver sposato un vecchio stempiato? O che era fortunata il doppio perché sicuramente la cugina sarebbe rimasta infelice per il resto della sua vita? No, non avrebbe funzionato. Camille vedeva solo le parole “Dorothy” e “matrimonio”, nient’altro.
«Dico io, ma con tutte le signorine ancora nubili che ci sono, proprio Dorothy doveva sposare?»
«Bè, vedetela così: ci vuole una bella dose di coraggio nello sposare un uomo di vent’anni più vecchio e per nulla prestante dal punto di vista fisico, per cui credo che molte signorine abbiano gentilmente declinato l’offerta.»
«State dicendo che è stata obbligata a sposarlo?»
«Potete pensarla così o se vi aggrada di più, pensare a vostra cugina come ad una fanciulla talmente disperata e ossessionata dall’idea di diventare zitella da accettare la proposta del marchese.»
Camille ridacchiò compiaciuta a quella prospettiva, ma poi si voltò verso di lui guardandolo dritto negli occhi.
«Non è che nella vostra frase “disperata e ossessionata all’idea di diventare zitella” c’era qualche riferimento a me, vero?»
«Che ci crediate o meno, questa volta no.»
«Mmh… mi fido poco.»
«Giuro» disse John, alzando le mani in segno di resa. «E comunque, aldilà delle vostre convinzioni, posso assicurarvi che non morirete zitella.»
«Sì, come no… vedete forse qualche corteggiatore che non sia quel vostro amico, il signor Wright?» fece dubbiosa. «A proposito, mi ha di nuovo mandato dei fiori… per quale motivo non lo avete ancora dissuaso?»
«Non voglio spezzargli il cuore.»
«Il vostro amico ha forse un cuore che possa spezzarsi?» chiese e tutti e due si misero a ridere.
«Povero Wright, di certo non è così privo di sentimenti come sembra.»
«Solo un pochino» scherzò, alzandosi dal divano e rimettendosi seduta al tavolo.
«Tè?» le chiese John. Ormai si faceva portare sempre due tazze, non sapendo bene in quale momento della giornata si sarebbe presentata… e per fortuna Daniel gli aveva assicurato che tutta la servitù si era ben guardata dal commentare. C’erano state voci, tutte prontamente messe a tacere dal signor Montgomery. Non che a lui importasse: per quel che gli riguardava camerieri e cameriere potevano sollazzarsi come meglio credevano.
«Più che del tè avrei bisogno di whisky o brandy, ma visto che al contrario di mia cugina non sono sposata e perciò non posso bere alcolici se non mezzo bicchiere di vino durante le cene ufficiali, accetterò il vostro tè.»
«Suvvia Camille cercate di non dare troppo peso alla faccenda» disse gentile, mentre le porgeva la tazza. «Vostra cugina, se mai abbia avuto scelta e non sia stata una decisione presa da altri, si pentirà per il resto della vita di aver accettato di sposare Edwards, mentre voi avete ancora una grande possibilità: quella di innamorarvi.»
«Possibilità che svanisce sempre di più, dato nessuno è disposto ad accompagnarmi a Londra per la stagione» sbuffò, bevendo un sorso. «E l’anno prossimo anche Phoebe mi abbandonerà per tornare certamente maritata… e cosa mi rimarrà? Fare da dama di compagnia a zia Shaw.»
John scosse la testa divertito, seppur in cuor suo rimase un po’ deluso. Perché doveva a tutti i costi andare a Londra per trovare marito?
«Magari anche la stagione di Windermere potrebbe riservarvi delle sorprese» disse infatti. «Siamo solo ad aprile e la fine di giugno è ancora lontana.»
«Forse… voi ad ogni modo lo siete mai stato? Innamorato intendo. In fondo prima della guerra avete frequentato Londra e quando poi siete andato in Jamaica non avete incontrato nessuna?»
«No» rispose secco.
«Mai, neanche una volta?»
«No» ripeté.
Camille sembrava delusa.
«Ma avrete provato interesse almeno per qualcuna!»
«Infatuazione e innamoramento sono due cose ben diverse. È ovvio che mi sia infatuato di qualcuna, ma se parliamo di amore allora devo deludervi: non ho mai provato un sentimento simile.»
«E come avete fatto a capire la differenza? Che cosa vi ha fatto dire che per una determinata persona non provavate amore ma semplicemente affetto?»
«Me lo state chiedendo davvero?»
«Non che abbia qualcun altro a cui poterlo chiedere.»
«Vostra sorella non vi ha mai detto nulla?»
«Figuriamoci se mi diceva qualcosa! Ho passato due mesi a guardarla fare sospiri sognanti mentre leggeva lettere, ad osservare la parsimonia con cui si preparava per andare alle feste dove non vedeva l’ora di ballare con Jamie, ma non mi ha mai confidato niente… nemmeno sulla prima notte di nozze. E credetemi, ho insistito parecchio.»
«Posso immaginarlo.»
«Così per dieci sterline ho corrotto una cameriera» ammise, arrossendo in un attimo.
«Voi… avete corrotto… una…» farfugliò John, prima di scoppiare a ridere.
E lui che si era fatto dei problemi quando aveva parlato di sfioramenti di mano e libertini! Era ovvio che avesse trovato il modo di soddisfare le sue domande, non sarebbe stata Camille altrimenti.
«Sì, ecco, prendetemi pure in giro» disse lei indispettita. «E comunque non avete ancora risposto alla mia domanda» continuò, incrociando le braccia al petto.
«Scusatemi, non era mia intenzione… ma davvero avete corrotto una cameriera?»
«Siete insopportabile! Basta, me ne vado» e così dicendo fece per alzarsi, ma John la fermò.
«Mi dispiace Camille, dico davvero» asserì, tornando improvvisamente serio. «Ma non credo di essere la persona più adatta con cui parlare di certi argomenti» e lo pensava davvero.
«La mia era solo una semplice domanda.»
«Non così semplice.»
«Non può essere tanto complicato.»
«No, è vero, ma posso dirvi che per qualcuno di poco esperto sia molto facile confondere le due cose. All’inizio chiunque pensa di essere innamorato, ma l’amore, quello vero, non saprei nemmeno descriverlo. Non esiste una regola, una sensazione o una spiegazione razionale… credo che se si è innamorati lo si capisce e basta. Magari ci vuole un po’ di tempo, niente è immediato, ma poi lo si fa e allora pensi “Sì, è quella la persona con cui voglio passare la vita”.»
«E se non fossi in grado di capirlo?»
«Sono sicuro che non accadrà. Quando sarà il momento, ve ne renderete conto da sola» disse, sentendo il fazzoletto da collo stringersi un poco. Se lo allentò con un dito, mentre si schiariva la voce. Optò per un sorso di tè, ma gli occhi di Camille continuavano a fissarlo. «Cosa c’è?»
«Niente… mi sono resa conto che al contrario di me siete un pozzo di saggezza. Forse dovrei venire più spesso a chiedervi consiglio.»
«Non sono saggio, ho solo qualche anno più di voi» disse e nello stesso momento vennero interrotti dal signor Montgomery.
«Perdonate milord, signorina.»
«Montgomery… è accaduto qualcosa?»
«No milord, sono qui per dirvi che è arrivato il fattorino della sarta con gli abiti ordinati.»
Camille saltò sulla sedia urlando come se avesse visto un diamante grande come un castello. Il pensiero del matrimonio della cugina ormai definitivamente accantonato. E per fortuna anche quello dell’innamoramento.
«Era ora!» esclamò contenta. «Presto Montgomery, fate mettere tutti i pacchi nel salone, io arriverò fra un attimo!»
«Certo signorina, con permesso.»
«Non è magnifico?» gli chiese eccitata. «Mi ci voleva proprio una buona notizia oggi! E a quanto pare non sarò costretta a mettere uno degli abiti dell’anno scorso.»
«Felicitazioni» scherzò lui e dopo averlo salutato, con la stessa velocità e veemenza con cui era apparsa se ne andò tutta felice.
John invece rimase in rigoroso silenzio a fissare il muro per interi minuti.
Quel discorso sull’amore lo aveva lasciato pieno di pensieri. Perché dall’infatuazione all’innamorarsi il passo era breve e non voleva che accadesse. Aldilà di quello che sentiva, era convinto che Camille non fosse la donna adatta a lui.
Lei viveva nella speranza di incontrare l’uomo perfetto, lui invece era pieno di difetti. Lei non aspettava altro che partecipare a balli, feste e alla stagione di Londra… lui a Londra non ci avrebbe rimesso piede nemmeno per tutto l’oro del mondo. Lui era solitario, lei amava stare in mezzo alle persone. Lei era bellissima, giovane e piena di vita, lui… lui uno storpio pieno di dubbi e fantasmi che lo perseguitavano.
No, non faceva per lui.
Ma allora perché sentiva già lo stomaco accartocciarsi al pensiero dell’uomo che l’avrebbe avuta tutta per sé?




***
Ciao a tutt*!
Piano piano la storia sta entrando più nel suo svolgimento e John, praticamente, è già cotto di Camille! Lei invece è troppo presa dai suoi balli per rendersene conto e, ahimé, c'è il signor Sterling di mezzo! Il povero John non avrà vita facile, poco ma sicuro!
Grazie a chi continua a seguire la storia e, se vi va, fatemi sapere le vostre impressioni.
Alla prossima,
Vale!
   
 
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