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Autore: SinnerCerberus    06/09/2009    0 recensioni
Una storia difficile da etichettare. E' ambientato nel futuro, ma presenta tematiche abbastanza attuali e sicuramente fantasy. Boh, voi leggete e commentate per favore.
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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4

Contavo I lampioni.
Contavo lampioni, perché non avevo nulla da fare.
Non avevo nulla da fare perché non c'era nulla che rientrasse nella mia possibilità d'azione.
Quindi contavo I lampioni. Uno, due, tre, quattro..
L'ambulanza venne, prese la bionda e se ne andò con me.
- Come si è tagliata il braccio? - Mi chiesero.
- E' caduta dalle scale. - risposi. Sentii un brusio d'approvazione. Stupide pedine, stupide
macchine. Se ti svegli senza sapere chi sei e nessuno ci fa caso, ti viene naturale
sospettare che siano tutti stupidi. In realtà è di più, nessuno ne ha colpa.
Sembrava che nessuno avesse consapevolezza, erano tutti ignoranti. Ignoranti che non vedevano cose strane e
credevano a scuse stupide.
Undici, dodici, tredici, quattordici..
Fermarono subito l'emorraggia della bionda, non so dire come. E cercarono di
tranquillizzarmi.
- Andrà tutto bene, se la caverà. -
- Non ditelo a me. Ditelo a lei, è cosciente da un po'. - Risposi io. Cercavano tutti di non
guardarle il moncherino, di sorriderle, di rassicurarla.
Ma la verità era che non aveva più un braccio. Anzi, non solo quello.
La verità era che un paio di mostri erano usciti dal cesso della sua amica ed avevano fatto a
pezzi un pò di gente.
Ventitré, vetiquattro, venticinque, ventisei..
- Dov'è il suo braccio? - Mi chiesero.
- Se l'è mangiato la scala. - Risposi io. Ed ottenni una corale approvazione. Stupide
bambole, pupazzetti, coni gelato.
Lei invece era tranquilla, senza nessuna preoccupazione ad occuparle la mente. Supposi
fosse perché non si era ancora resa conto della perdita. Buon per lei, pensai.
- Tu chi sei? Un suo amico? - Mi chiesero.
- Io sono le scale. - Risposi io.
Qualcuno mi strinse la mano.
Stupide scimmie, babbuini, gorilla, primati.
L'ospedale era pieno di malati vivaci. Una luce turchina irradiava le stanze, facendo sentire
chiunque vi passasse davanti quasi disinfettato.
C'era odore di medicine, di ammoniaca, di ferite, bugie e tanta sofferenza nascosta.
Mentre la bionda dormiva, io le fissavo il moncherino fasciato. Era un angelo sfigurato. Una
statua di venere illuminata da un neon a forma di orchidea.
Le accarezzai i capelli, in quel covo di disperazione. Odiavo gli ospedali. Li odiavo da
morire.
Il che era bizzarro, dal momento che da quando avevo coscienza non avevo mai visitato un
ospedale.
Era qualcosa che veniva dal profondo, qualcosa nell'oscurità che non ero riuscito a
nascondere del tutto.
Delle mani mi afferrarono le spalle e dissero:
- E' il momento, bello. Chiudi gli occhi, respira profondamente e dimenticati di me. E' il
momento, e lo sai anche tu. -
Mi resi conto, dunque, che c'era qualcun altro nella stanza. Ma misi subito da parte questo
pensiero. Il tizio aveva ragione, per la prima volta c'era un posto che stimolasse
pesantemente i miei ricordi e non potevo permettermi di dimenticare nulla.
Chiusi gli occhi. E buio fu.
- Non esiste nessuna bionda. Nessun mostro. Esisti solo tu- disse.
E' vero, non esiste più nessuno.
- Non esiste la scuola impazzita, non esistono professori strani. Esisti solo tu. -
Ed aveva ragione, esistevo solo io.
-Torna indietro, quando questi problemi non ti assillavano. Focalizza I tuoi sentimenti. Cosa
provi, bello, cosa provi?-
Dolore. Provavo dolore, peso della responsabilità, preoccupazione.
- Focalizza, bello, focalizza. -
Mi abituai alla luce del buio della mia mente, gli oggetti e le persone erano visibili, ma I loro
contorni sfocati, illuminati solo dalla fiebile luce del ricordo.
Il letto era occupato da una figura oblunga. Se ne stava andando, ed io non volevo.
Non potevo piangere per la figura oblunga, avrei peggiorato la situazione. Qualcuno vicino a
me non capiva. La figura oblunga mi tese la mano, ma non potevo prenderla.
- Prendila.-
No.
-Avanti, prendila.-
Ed io la presi.
Presi la mano di mia madre. La mia voce disse “ti voglio bene, mamma”, ed illuminò la
stanza.
Riuscivo a vedere la donna, riuscivo a vedere delle sedie a rotelle, riuscivo a vedere la
flebo, ma non riuscivo a vedere il cancro.
Allora il ricordo mi rifiutò, e mi costrinse ad aprire gli occhi.
Mia madre stava morendo di cancro.
Avevo una madre. Avevo una famiglia.
Strinsi la mano alla bionda, sentendomi in colpa per il mio improvviso desiderio di tornare ai
vecchi dolori.
Strinsi la mano al mio nuovo mondo.
Dalla scarsa quantità di luce che arrivava dalla finestra dedussi che doveva ormai essere
notte. Quella specie di meditazione aveva richiesto almeno una decina di ore, nonostante io
avessi percepito solamente il passare di pochi secondi. Decisi di non pensare a nulla per
altri dieci minuti. I clakson delle macchine mi tenevano compagnia, qualche malato
camminava furibondo per il corridoio.
Non avevo nemmeno voglia di pensare alla vita attuale, da quando si erano addirittura
accavallati ricordi passati.
Inspirai profondamente, e l'odore di disinfettante e sandali mi aiutò a comprendere meglio il
sentimento di falsità che provavo. Dovevo nascondere la sofferenza, per non peggiorare
l'atmosfera.
Lanciai uno sguardo all'altro capo della stanza e, appollaiato sul letto, vidi una figura
scodinzolante.
L'unica cosa che vedevo, in quella falsa luce dai lampioni, era un personaggio scuro con
una coda e due occhi brillanti.
Fissai per un attimo quelle due lune gialle.
- Buon giorno, bello.- Dissero gli occhi. Non risposi.
- Sembra che io ti sia stato d'aiuto per ritrovare le tue vecchie memorie. Se solo i soldi
valessero qualcosa, in questo mondo, ti avrei chiesto una bella somma in denaro.-
Gli chiesi come faceva a sapere dei soldi e soprattutto delle mie memorie.
- Ho un bell'istinto su queste cose. So quando qualcuno ha la coscienza della nuova vita. E
so quando una persona si trova in un luogo pieno di ricordi. Certe volte sono così intensi
che mi sembra quasi di poterli toccare.. -
Cercai di chiedergli qualcosa. Qualsiasi cosa.
- Ti piacerebbe ritrovare tutti i tuoi ricordi? -
Non lo so.
- Sai, a mio parere un essere perfetto ha sia la coscienza che i ricordi. Se non hai l'uno non
potrai mai sfruttare pienamente l'altro. Sei solo un essere a metà. Un nuovo essere a metà.
E' solo una fase di una più grande metamorfosi. La fase larvale, la fase pupale e la fase
ottimale, in poche parole. Guarda quella lì, per esempio. Non poteva accaderle cosa
migliore, tra non molto potrà essere una splendida farfalla!-
Gli chiesi se era d'obbligo perdere un arto per essere degli insetti.
- Ti va di divenire perfetto, bello?-
Nulla è perfetto.
- Io sono perfetto, bello. -
Ebbene, rendi perfetto anche me.
- In cambio voglio un favore. Se vuoi essere perfetto, dovrai unirti al mio branco. Un branco
di esseri perfetti e coscienti. -
Gli chiesi di che diamine stesse parlando.
- Accetti o no?
Accetto.
- Fantastico, bello! Te ne parlerò un altro giorno, però, ora devo dormire.-
Non mi hai nemmeno detto come ti chiami..
- Perchè, tu sai come ti chiami?-
Avanti.. sono nel branco di?
- Sei nel branco del Lupo. Chiamami pure il Lupo.-
I fari dorati si chiusero.
Sembrava una di quelle persone con cui non si può discutere minimamente. Ogni sua
decisione era un'ordine.
Ed era decisamente l'essere più mostruoso che avessi visto fin'ora, la persona più vicina ai
mostri di chiunque avrei mai potuto immaginare.
Nell'oscurità illuminata solo da lampioni esterni, dove ogni figura restava nascosta e sfocata,
riuscivo a vederlo scodinzolare. Mi ricordava più un gatto che un lupo.
Nella mia oscurità, illuminata dalla mia luce inesistente, c'era solo il cupo russare.
Non potevo cercare di dimenticare ciò che era successo, non potevo lasciar scivolare su di
me tutti i ricordi spiacevoli.
Avevo fatto un passo fuori dal mio eden senza ricordi, ed ora mi sentivo in dovere di

proseguire il mio cammino, obbligato a portare man mano tutti i fardelli che occupavano il
mio passato, oltre a quelli attuali.
Dovevo procedere lungo un sentiero per il quale, più fossi andato avanti, più sarebbe
divenuto pesante il mio zaino.
Il lupo aveva detto che ciò ci avrebbe resi perfetti. Sperai fosse così per me.
Mi appallottolai sulla sedia e chiusi gli occhi. Finsi di dormire, e pensai tutta la notte. Pensai
alla bionda senza braccio, pensai ai mostri, pensai al lupo, pensai ai miei ricordi, pensai a
mia madre ed alla sedia a rotelle. E la notte sembrava non finire mai.

Appena sorse il sole, sia il Lupo che la bionda diedero segni di vita. Lui mi diede le spalle
affacciandosi alla finestra. Sbadigliando esclamò – Dio quanto amo l'alba! - e restò lì a
godersi l'aria mattutina.
Lei, bellissima, si limitò a guardarmi. Decisi di dare attenzioni a chi ne voleva, e mi avvicinai,
accarezzandole i capelli. - Buon giorno, bionda – dissi dolcemente, dimenticando tutte le
inibizioni iniziali. Aveva perso un braccio, al diavolo la mia timidezza. Mormorò qualcosa in
modo stanco, credo ricambiò il saluto.
Si schiarì la voce e disse sommessa – Sei l'unico che è venuto a trovarmi.. -
- Non preoccuparti- Le dissi. - Sicuramente qualcun altro verrà, è ancora presto.- e le sorrisi.
- Nessuno verrà a trovarmi. Sinceramente – sbadigliò – non m'importa. -
- La sai un'altra cosa buffa allora? Sono l'unico che è venuto a trovarti ma non conosco ancora il tuo nome. -
- Che t'importa. Non conosci nemmeno il tuo, di nome.-
Era un ragionamento impeccabile, pensai. Restammo a parlare per tutta la mattina. Ogni
tanto il Lupo commentava, ma restò perlopiù a guardare fuori dalla finestra. Evitammo con
accuratezza il discorso 'arto mangiato da mostri famelici', e ci abbandonammo a
conversazioni su argomenti più piacevoli, come i fiori e le lucertole.
Lei mi sembrava così tranquilla. Forse un pò pallida, ma principalmente tranquilla.
Qualche infermiera venne a controllare la ragazza, e se ne andò sdegnata dopo aver
ricevuto qualche fischio dal lupo.
La bionda non sembrava infastidita dall'altro malato, anche se mi pareva decisamente in
forma, ed accettava con una risata ogni commento che faceva.
Arrivò il momento in cui dovetti parlare del suo braccio, ma appena affrontai l'argomento, lei
mi sorrise, come fa una madre quando parla col figlio che vede mostri dietro l'armadio.
- Non è niente, stai tranquillo.- mi disse.
Fu lì che rimasi davvero sconcertato. Era pomeriggio, c'era silenzio, si sentivano diversi
passi e macchine che sfrecciavano.
Il sole prendeva in faccia il Lupo, e lui se la godeva.
-Secondo me stai sottovalutando la situazione, sai.. perdere un braccio non è cosa da nulla.
Non hai più una mano, potrai fare la metà delle cose rispetto a prima! Non potrai lavare i
piatti, usare una motosega, andare sull'acquascivolo, perché diamine la prendi così alla
leggera? Io fossi in te mi dispererei, sai, sarei il ritratto della disperazione.- Annaspai, ma il suo
sguardo divertito non cambiò. Ero davvero un bambino che vedeva mostri che non
esistevano?
Lei mi sorrise nuovamente e disse
- Non ho perso davvero il braccio. Sei tu che ti limiti a considerare il braccio carnale come
l'unico da poter possedere. Devi capire che se ti imponi sempre questi limiti non potrai mai
andare avanti. Io un braccio ce l'ho ancora.-
Restai ancora più sbalordito. Potevo capire i negozi, persino gli insegnanti, ma questo non
poteva accadere. Sebbene paresse impossibile riuscire ad avere una concezione
dell'impossibile in quei tempi, era possibile. Le dissi che era colpa del suo trauma, che in seguito
avrebbe capito quanto aveva perso ed avrebbe pianto come una femminuccia. Le dissi che
io ci sarei sempre stato per lei come spalla su cui piangere, ma che ciò non cambiava la sua
asimmetria. Avrei potuto aggiungere altro, con un po' di fantasia, ma lui mi interruppe.
Finalmente si girò verso di me. Finalmente mi guardò, ma io non riuscii comunque a guardarlo in
faccia.
Gli occhi felini mi presero, e lui disse: - Non hai capito, bello? Lei è più pronta di te per
affrontare la perfezione, non recepisci quanto sia fortunata? Dovresti chiudere il becco e pensare
alla tua memoria, invece.
La bionda rise. - Lupo, perchè ti fai chiamare così? -
- Chiediti piuttosto perchè lui non ha nome. - rispose lui.
Non ho avuto la fortuna di qualcuno che mi trovasse un nome, dissi invece io.
- Biondina, battezzalo tu. Scommetto che sei l'unica persona da cui accetterebbe un
nominativo. Scommettiamo? -
Ecco, non solo mi ero reso conto da poco che avevo una vita di cui non ricordavo nulla, ma
mi sarebbe anche toccato un nome da una sconosciuta. Mi chiesi tra me e me quanto fosse
degenerata la situazione
- Mi piace come idea! Voglio pensarci su! -
Il Lupo scodinzolò. Brutto bastardo.
- Dammi solo un po' di tempo, e troverò un nome perfetto per te! - Aggiunse lei. Lasciai
correre.
Lupo si alzò ed uscì dalla porta. Dopo qualche secondo, mi resi conto che non sarebbe
tornato in quella stanza, e che non era un paziente.
C'erano un sacco di cose che non mi aveva spiegato; come faceva a sapere tante cose di
me, cos'era questo branco e quando l'avrei rivisto.
Gli corsi dietro e quando lo raggiunsi, gli urlai tutti i miei interrogativi. Lui mi guardò seccato
e si avvicinò pericolosamente. Si sporse verso il mio volto, avvicinandosi ancor più
pericolosamente. Vidi il suo volto chiaramente. Assolutamente bello, con occhi grandi e gialli e denti affilati. A due centimetri dal mio naso, riprese a parlare
– Non ho intenzione di far morire altra gente, per quei mostri. Il branco sarà la polizia del
nuovo mondo, saranno i nuovi padroni.- mi diede due schiaffetti simpatici e se ne andò. - Ci
vediamo a scuola, bello.-
Se ne andò sul serio, e l'avessi cercato non sarei riuscito a trovarlo. Prima si aspettava di
trovarmi.
Tornai dalla bionda, ed appena aprii la porta mi urlò:
- Felix! E' perfetto. Lupo non è da te, e non c'è nessun altro animale che si adatti alla tua
faccia. E poi chiamarti gatto sarebbe poco originale, tu sarai Felix!-
Ma io non sono un gatto.
- Comincia a miagolare.-
  
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