Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: _etriet_    23/03/2022    1 recensioni
La vita è fatta di morali, di discorsi silenziosi che si imparano e si fanno man mano che si vive, un po' a gesti, un po' a parole, e poi un po' con tutti e due.
Come una scalinata fatta in silenzio, in cui i gradini appena fatti si cancellano autodistruggendosi dopo pochi secondi, e non rimane nient'altro se non la scelta di continuare, o rischiare di perdere l'equilibrio fermandosi.
Perché ad ogni passo avanti corrisponde uno sbilanciamento, fisico, morale e psicologico.
Veronica Lisi è sempre stata di idee chiare, ha sempre basato la propria vita su principi fondamentali, come quello che il passato non si cancella, si descrive, che il presente non va guardato, va vissuto, e che il futuro non deve essere sognato, ma costruito; mette tutta se stessa per portare avanti le cose al meglio.
La sua quotidianità, tuttavia, viene sconvolta nel giro di nemmeno un mese, e pur di vedere sua madre felice, cambia tutte le carte in tavola, prende, fa le valige e parte verso qualcosa a lei sconosciuto.
→→→→→→→→ LETTURA A VOSTRO RISCHIO E PERICOLO: CLICHÉ TRATTATI IN MODO ORIGINALE, AMORE PERENNE PER TUTTI I PERSONAGGI E AGGIORNAMENTI LENTI ←←←←←←←←
Genere: Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Il sole, cocente, puntava esattamente su di lei, illuminandole il viso e i capelli, questi seguivano i movimenti del leggero venticello fresco che suonava come una dolce melodia in mezzo a quel vociare, ma tutto ciò non stava rallegrando il suo stato emotivo; era scesa con Leonardo e Giada, ma entrambi si erano allontanati, nelle direzioni opposte, per giunta, per andare a parlare con quelli che presumeva essere i loro migliori amici, e lei era rimasta lì, in mezzo a quella marea di persone che spingevano e urlavano emozionate per la fine del primo giorno di scuola. Si era appoggiata alla ringhiera che delimitava il confine del cortile esterno, e aveva guardato i messaggi, rispondendo a Lucrezia, che fortunatamente si era svegliata, non aveva nemmeno notato che Leonardo, dopo aver finito di parlare col suo amico, era tornato indietro e si era appoggiato di fianco a lei, o almeno fino a quando non aveva parlato.

«Carina la foto.» Veronica aveva rizzato subito le orecchie al comune suono ironico della voce del ragazzo e si era girata verso di lui, senza rispondergli aveva ripreso a scrivere con Lu, almeno fino a quando non aveva sentito la voce di Francesco farsi sempre più vicina. Il maggiore dei fratelli era davanti ad un gruppetto di ragazzi e ragazze, che parlavano tra loro sorridenti, qualcuno la guardava incuriosito, ed altri, come Cecilia, la guardavano con astio, Veronica non aveva fatto molto caso a lei, imponendosi di ignorarla e di non cedere a nessuna delle provocazioni che la ragazza avrebbe potuto fare, ed aveva subito concentrato l'attenzione su tutti gli altri mentre quasi in automatico metteva il cellulare nella tasca dei pantaloni. Nemmeno due secondi dopo era stata accerchiata da quasi tutte le ragazze del gruppo, cinque o sei, non era di certo riuscita a contarle; per tutta la durata della camminata, che fortunatamente era tutta dritta e non aveva pali di mezzo, se no immaginava già come sarebbe finita, le ragazze avevano parlato e scherzato con lei. A Veronica tutte quelle attenzioni non piacevano troppo, la mettevano in imbarazzo e le domande la facevano sentire a disagio, inoltre le varie battute delle ragazze erano spesso su cose e su avvenimenti che lei non conosceva, cosa che le faceva ricordare, ancora una volta, che lei non apparteneva veramente a quel posto e che non aveva nessun legame concreto se non Angela. Era una sensazione che la rendeva incredibilmente malinconica per tutto quello che apparteneva alla sua vecchia vita, e per quanto cercasse di non farlo notare, lo sguardo di rassicurazione che Francesco le aveva lanciato ad un certo punto le aveva fatto capire che per quanto ci provasse non riusciva a nascondere del tutto quel suo sentimento. Quando aveva incrociato lo sguardo di Cecilia le era sembrato di vedere, in tutta quella diffidenza, una punta di rammarico, ma la ragazza si era voltata troppo velocemente, ed aveva incontrato un altro paio di occhi, verdi, dalle linee dolci, come quelle di un gatto, ma li aveva ignorati, ed era tornata a concentrarsi su quello che stava dicendo Francesco, qualcosa in proposito al "sedersi fuori". Quando erano arrivati davanti al ristorante non solo Veronica aveva capito cosa intendesse, ma aveva anche sorriso felice con la consapevolezza che sarebbe tornata a casa con lo stomaco totalmente pieno; erano al sushi. Il pranzo era passato tranquillo, tra risate, abbuffate e scene buffe di Leonardo che non sapeva nemmeno come tenere le bacchette e quindi faceva cadere tutte le cose e tentava di mangiare con quelle, si era divertita ed aveva staccato un poco dalla realtà, ritrovandosi felice di quel momento. Avevano girato un po' per il centro, le avevano fatte vedere i posti e i negozi più carini, poi si erano divisi e tornata a casa quella sensazione di tenera spensieratezza era rimasta fino a sera.

Martedì tredici, il giorno successivo, non era successo niente che, la professoressa Boschi aveva iniziato il ripasso, come promesso il giorno prima, e per ben due ero aveva spiegato teoremi di geometria; quando finalmente era suonata la campanella e le professoressa se ne era andata salutando tutti Veronica aveva giurato di aver sentito esclamazioni di sollievo provenire da ogni angolo della stanza, e aveva sorriso, divertita dalla cosa, prima di venir inclusa in una conversazione con Giada e Ada su quale fosse la serie che dava più vibes di Autunno. Nelle ore successive aveva conosciuto la professoressa De Lazzari, insegnante di chimica e scienze naturali, era una donna sulla sessantina, vestiva pantalone e giacca elegante e aveva la tipica faccia da nonnina buona del quartiere, anche se, come le aveva suggerito Giada quando la docente aveva varcato la soglia dell'aula, si era dimostrata tutt'altro; per i gusti di Veronica alzava la voce troppe volte senza una reale motivazione, e da quello che aveva capito odiava essere interrotta, in qualsiasi modo, che fosse una penna che cadeva a terra, una mano alzata, lo sfogliare dei quaderni o il leggero brusio di due parole sussurrate, appena se ne accorgeva, sbatteva la mano sulla cattedra, producendo un suono sordo e pesante, come a voler richiamare un ordine che in realtà c'era già e, cosa ancor più odiosa, faceva delle visibili preferenze. L'ultima ora invece l'aveva passata praticamente a non fare nulla; il docente di fisica non era ancora stato confermato, quindi avevano avuto un'ora di supplenza in cui principalmente l'intera classe aveva dormito, lei aveva conversato un poco con Giada, chiedendole un po' di sé, alla fine aveva scoperto che viveva oltre le mura della città, vicino al tribunale, e che aveva passato la sua infanzia tra i libri e la scrittura, era sempre andata a scuola in centro fin dall'asilo e la sua amicizia con Cecilia era nata quando lei si era trasferita insieme ai suoi genitori per motivi economici, le aveva rivelato che aveva avuto solo un ragazzo e che principalmente cambiava cotta ogni due per tre. Veronica era andata avanti ad ascoltarla incuriosita, perché Giada sapeva raccontare bene e far interessare chiunque a quello che stava dicendo, pure se parlava di broccoli. Alla fine la campanella era suonata, e lei, Giada e Leonardo erano tornati a casa, mentre Francesco e Cecilia avevano un ora in più di lezioni. Arrivati a casa, con Angela fuori per via del turno in ospedale, lei e Leonardo avevano cucinato da mangiare, anche se non era stato facile, perché entrambi avevano opinioni diverse su cosa fare da mangiare, ma alla fine si erano accordati su un riso alla cantonese un poco mancante di sale, ma, per fortuna, su quello aveva riso, poi si erano divisi, Veronica aveva sistemato il tavolo e dato da mangiare ad Akimi, che, svegliata dai rumori della cucina, era scesa di corsa aspettandosi qualcosa da mangiare, Leonardo tuttavia le aveva solo accarezzato il musetto, grattandola sotto le orecchie e facendole fare le fusa, senza tuttavia capire cosa volesse davvero, per questo si era ritrovata lei a farlo. Quando era tornato il Francesco, la gatta gli era subito andato incontro, strusciandosi sulle sue gambe, e il ragazzo l'aveva presa in braccio grattandole la pancia, Veronica aveva osservato tutto dalle scale, e quando lui si era accorto di lei lo aveva avvertito del cibo, e poi era salita, intenzionata a sistemare gli appunti di scienze e di matematica, non osava prendersi indietro, anche perché le sembrava che la docente di chimica avesse cominciato a correre fin da subito, e lei non poteva fare che di conseguenza.

Mercoledì era stata la giornata più noiosa di tutte probabilmente, avevano ben tre ore di supplenza, e Veronica le aveva usate per dormire, visto che era andata a letto tardi, quando si era svegliata aveva visto Leonardo, seduto nel posto di fronte a lei, con in mano il suo diario scolastico; non che ci fossero scritti chissà quali segreti, ma le aveva comunque dato fastidio, tanto che glielo aveva preso dalle mani con un "Hey", lui si era girato verso di lei e, inaspettatamente, dopo aver fatto scivolare gli occhi sul suo viso, le aveva accarezzato una guancia leggero, passato i polpastrelli freddi sul lato della sua mandibola, tracciando il contorno di alcuni piccoli segni rossi e bianchi. «Hai i segni del braccialetto» le aveva detto, incurante, per poi far ricadere il braccio e posarlo sullo schienale della sua stessa sedia, lei aveva sentito le punte delle orecchie scottare per l'imbarazzo e i brividi scorrerle lungo la schiena per la differenza di temperatura tra le mani del ragazzo e la pelle della sua guancia, poi si era passata la mano sulla guancia ed ci aveva strofinato il tessuto della maglia a maniche lunghe contro, sussurrando un «Ah si? Vabbè.» sconnesso. Da quel momento in poi la giornata trascorsa regolare, tra le battute sarcastiche del ragazzo, quelle ironiche di Giada e gli appunti disordinati.

Giovedì era stato diverso, avevano avuto tutte le ore piene fin dal primo istante, durante la prima ora aveva scoperto che il professore di storia, per quanto logorroico e scenografico, spiegava in una maniera eccellente, seguendo un filo logico ben definito e soprattutto, senza lasciare niente al caso, dopo di lui, avevano avuto un'ora di Italiano, quella probabilmente era stata la lezione che aveva preferito in quella giornata. Poi era passata la ricreazione doveva aveva avuto uno sciocco e infantile dialogo con Leonardo per via della merenda, ma alla fine aveva vinto lui, con i suoi modi superbi e le sue battutine sarcastiche, tanto che per esasperazione lei gli aveva ceduto un pezzo della sua merenda. Poi avevano avuto un ora di inglese, con un'insegnante abbastanza capace, «Beh -aveva detto a Giada, sporgendosi verso di lei per prendere il quaderno dentro alla cartella- questa sicuramente più capace di quella nella mia vecchia scuola, sembrava masticasse cinque gomme contemporaneamente quando parlava» la ragazza al suo fianco aveva riso e poi si erano alzate ancora con il sorriso sulle labbra, cercando di rimanere composte, per finire, nell'ultima ora, avevano avuto la docente di scienze, e solo Dio sa quante volte Veronica lo aveva maledetto quando l'insegnante era entrata in aula con quella sua camminata fastidiosamente pesante e il solito, falso, sorriso sulle labbra. Il resto della giornata era andato meglio, erano tornati a casa tutti insieme, visto che quel giorno Francesco finiva alla loro stessa ora. Avevano fatto da mangiare tutti insieme, anche se l'unica cosa veramente utile che aveva fatto Leonardo era stata quella di prendere la pentola per scolare il riso, poi si erano divisi, ognuno nelle proprie camere Veronica aveva passato tutto il pomeriggio a fare i compiti in videochiama con Lu, che aveva già preso a lamentarsi del nuovo ragazzo che era arrivato.

Venerdì alla prima ora aveva praticamente dormito da seduta, perché la lezione di religione non stava procedendo su qualcosa di fondamentale e ci si stava più che altro presentando. Le due ore di scienze invece si erano dimostrate dei macigni, tra la professoressa che spiegava parlando troppo velocemente e la mano che le faceva male per quanti appunti stava scrivendo, aveva desiderato così tante volte che quelle due ore finissero il prima possibile che aveva perso anche il conto. Durante la ricreazione aveva condiviso le cose prese al distributore con Leonardo, che quella mattina si era svegliato tardi e non aveva fatto colazione, era pallido quanto un cadavere e aveva perso anche la sua parlantina sarcastica, cosa su cui lei aveva anche tentato di fare una battuta, ma lo sguardo di ghiaccio che lui le aveva rivolto l'aveva zittita completamente, lui l'aveva ringrazia quando finalmente aveva mangiato qualcosa e si era alzato, con un colorito un poco più umano, ed era sparito oltre la porta dell'aula. Quel fatto era quasi quotidiano, e Giada le aveva spiegato che in realtà lui aveva il suo migliore amico, che fino all'anno prima faceva il loro stesso indirizzo, in un altro piano, e che spesso si incontravano a metà strada o l'altro veniva da loro. Veronica quindi non ci aveva dato molto peso ed era andata a parlare con le sue compagne di classe, raggiungendole vedendo che venivano verso di lei.

Sabato era trascorso tranquillo, le prime due ore avevano avuto storia dell'arte, il professore era un poco noioso, logorroico e non lo si riusciva interrompere mai, nemmeno per chiedere di andare in bagno, poi avevano avuto due ore di educazione fisica, e Veronica era quasi morta, visto che la docente, provvisoria, una donna sulla cinquantina abbastanza esigente, li aveva fatti correre per ben venti minuti, ma lei non era certo una persona da da jogging mattutino; dopo la corsa avevano fatto mezz'ora di stretching e poi avevano fatto tiri liberi, alla fine, dopo due ore, ne era venuta fuori sudata e stanca, Giada le aveva sorriso mentre si incamminavano allo spogliatoio. Veronica si era pulita, sistemata e vestita, e il pomeriggio lo aveva passato con alcune sue compagna di classe in centro, la sera, dopo aver fatto i compiti per lunedì ed essersi fatta una doccia, aveva chiamato ancora Lucrezia, ed aveva guardato un film insieme, poi la chiamata era terminata e la luce nrlla sua camera si era spenta.

Quella domenica mattina Veronica si era svegliata tardi, aveva strusciato il naso sul cuscino quando si era resa conto che ormai il suo sogno stava finendo, e aveva atteso, rimanendo distesa sul letto, fino a quando la sua concentrazione non aveva raggiunto totalmente ciò che la circondava; erano le dieci di mattina, aveva guardato l'orologio che portava al polso, la sveglia non aveva suonato e Francesco non si era catapultato in camera sua per sapere a che punto era, se si era già vestita, se la cartella era a posto, cosa voleva per colazione, se si era già lavata; lei aveva sorriso, colta dai ricordi delle mattine precedenti, e si era alzata, scalciando le ciabatte in un angolo della stanza e allungandosi per recuperare il telefono; quella mattina pioveva, se ne era accorta solo quando aveva spalancato i balconi e l'aria fredda si era scontrata con suo corpo, che anche se coperto dal pigiama era esposto a quel vento freddo, visto che fino a pochi attimi prima era circondata da morbide e calde coperte. Aveva aspettato un attimo prima di richiudere la finestra, giusto il tempo per fare un cambio d'aria, le sembrava che di soffocare per il caldo, e poi aveva appoggiato libro e quaderno di scienze sul tavolo; anche se non sopportava i modi della sua professoressa questo non le dava un motivo per non studiare, perché la materia non è il professore che la insegna ma un'opportunità per apprendere. Si era seduta alla scrivania, appoggiando per bene la schiena sulla sedia aveva aperto il quaderno proprio nella pagina degli appunti che doveva sistemare. Veronica aveva l'abitudine di studiare il sabato pomeriggio, e quando era occupata, farlo la domenica mattina, le veniva facile quando era rilassata, con la mente completamente distratta dai pensieri e nulla che potesse intaccare la sua concentrazione; era un estrema amante del sapere, una delle poche caratteristiche che aveva ereditato da suo padre, quella incondizionata voglia di sapere, di conoscere, di apprendere, gliela aveva passata lui, con quelle sue passioni e quei suoi libri che prendevano gran parte delle spazio nel suo studio; lo ricordava mentre, concentrato sull'obiettivo di trovare qualcosa di nuovo, entrava in una qualsiasi libreria e caricava lei sulle spalle, per farle vedere quante cose ancora non conoscesse, per farle vedere quanto potesse imparare, quanto chi prima di lei avesse fatto e scoperto per il mondo, non era stato difficile cominciare a pensare come lui visto che quando era piccola suo padre lavorava da casa, era sempre con lei: se stava male era lui a portarla dal medico, a prepararle il riso, a metterla sul divano con il piumone che sapeva da pulito e un film di Star Wars alla tv; era lui che l'aiutava con i compiti, con le divisioni di matematica e con le idee per i temi di italiano, era lui che le spiegava storia quando non la capiva, facendola sedere sul piano in marmo della cucina e utilizzando quel tono che a lei piaceva sempre tanto. Aveva una voce calda, calma, dolce, che prometteva epoche straordinarie, momenti epici ed indimenticabili; come lui Veronica aveva imparato ad amare gli egizi, era, tra tutte, la civiltà e l'epoca che fin dalle elementare l'aveva affascinata più di tutte, ricordava ancora come molte volte, con Lucrezia, erano solite fare un gioco che riguardava appunto gli egizi, ma crescendo, acquisendo consapevolezze, avevano smesso, e l'unica cosa che Veronica riusciva a ricordare era semplicemente lei e la sua migliore amica che correvano in giro per casa di quest'ultima, intente a scappare da un personaggio immaginario. Era stato un bel periodo quello, quando la massima gioia era quella di osservare suo padre sistemare la sua libreria colma di libri; lui se ne stava lì, dandole le spalle mentre lei si sedeva sulla sua scrivania e dondolava le gambe nell'aria; suo padre sembrava cercare di capire quale fosse il giusto ordine per riuscire a farli stare tutti insieme quei libri che collezionava, e Veronica, già fissata con disposizioni che prevedevano la perfezione, come erano quelle di sua madre, molte volte non comprendeva l'aspetto emotivo dietro le combinazioni, spesso scoordinate, che suo padre faceva negli scaffali, ma crescendo, e soprattutto leggendo, aveva capito che avere una libreria non era come avere una cartella nel computer da tenere in ordine nel caso gli altri dovessero cercare qualcosa, ma come avere un'infinità di amici, e da lì, anche il suo ordine aveva cominciato a cambiare, a diventare meno ragione e più sentimento.

Veronica ricordava suo padre come un uomo dal sorriso dolce e dai modi gentile, aveva un grande carisma, una determinazione fuori dal comune, e la sua voglia di essere primo, in qualsiasi cosa, ad occhi estranei lo faceva sembrare sempre un pizzico troppo egoista, forse anche egocentrico, ma, come diceva lui, in compenso, aveva l'abilità di emozionare con le parole, e ogni volta che Veronica lo ascoltava parlare si sentiva sempre più grata di avere lui come padre, perché era un suo punto di riferimento, la sua guida, la sua ancora; Veronica si era riscossa, trovandosi sofferente, era stata troppo impegnata a ricordare per gestire le emozioni, le lacrime, ma le aveva accolte, lasciando che scivolassero lungo le sue guance, segnandole il volto come era giusto che fosse, poi, tranquillizzata, libera da quel peso che aveva sentito nel cuore e nella gola, aveva abbandonato lo sguardo sul quaderno mentre con una mano recuperava una penna e la rigirava nelle dita, decisa a fare le cose per bene, perché un'altra delle molte cose che aveva imparato da suo padre era quella che nulla, se non la conoscenza, poteva darle una gioia che si potesse chiamare pura. Aveva finito di studiare circa un'ora e mezza dopo, quando la testa aveva cominciato a farle male e la scrivania era sommersa dalle penne colorate e dagli schemi più disparati, si era stiracchiata, allungandosi come un gatto sulla sedia, poi, dopo essersi presa un momento di calma, aveva cominciato a sistemare; non era mai stata particolarmente ordinata, la maggior parte lasciava le cose come erano e poi le rimetteva a posto quando il disordine cominciava ed essere troppo anche per i suoi gusti, però non si sentiva a casa sua, perché quella effettivamente non era casa sua, quindi cercava d'essere più ordinata e cortese possibile, pulendo subito dove sporcava e lasciando tutto come prima del suo passaggio.

Dopo aver posato l'ultimo libro nella mensola sopra la scrivania si era spogliata, togliendosi il pigiama e ripiegandolo, per poi posarlo sotto al cuscino. Aveva recuperato dei jeans neri dall'armadio, leggermente strappati qua e là lungo tutta la lunghezza della gamba, e una felpa verde, leggera, giusta per l'estate, con sotto una maglia classica, a maniche corte, normalmente non le piaceva rimanere col pigiama in casa, non era una sua abitudine, quindi si cambiava regolarmente con dei vestiti comodi; aveva preso il telefono ed, chiusa la porta della stanza, era scesa in cucina, Francesco se ne stava dalla porta, mentre cercava di sistemare il colletto del giubbotto

«Buongiorno. -Il ragazzo si era voltato verso di lei, sorridendole, e Veronica si era avvicinata, incuriosita- Dove vai?»

«A pranzare da Cecilia. -Aveva preso le chiavi di casa e se le era messe in tasca, mentre si passava la mano tra i capelli per sistemare un ciuffo fuori posto- rientro per questa sera, credo. -Veronica gli aveva sorriso sbarazzina alzando le sopracciglia e Francesco per poco non si era soffocato dalle risate- Ma smettila.»

Veronica aveva riso dopo avergli lanciato un ultimo eloquente, ironico, sguardo; lui le aveva passato una mano tra i capelli, arruffandoglieli leggermente

«Mia madre è uscita per andare in ospedale, siete solo tu e Leo, vedete di non litigare e farvi fuori a vicenda, o distruggere casa. -Veronica aveva annuito e dopo aver preso la gatta in braccio, poi aveva riportato la sua attenzione su Francesco, che stava aprendo la porta- Io vado, ci vediamo sta sera, se ci sono problemi chiamami.»

«Va bene.» Si erano salutati e poi Francesco era scomparso oltre le porta d'ingresso.

Aveva accarezzato la gatta, passando le dita sul pelo della sua schiena, poi l'aveva messa giù, vedendola strusciarsi sulla sua gamba aveva sorriso, e guardata l'ora, aveva deciso di andare a chiamare Leonardo. Non era mai entrata in camera sua, non aveva la minima idea nemmeno di quale fosse, al piano superiore oltre la sua stanza c'erano altre quattro camere, una di Angela, una di Francesco, quella di Leonardo e uno studio, che aveva visto usato principalmente da sua zia, però non ricordava l'ordine, conosceva la posizione esatta solo della camera di Francesco, quella davanti alla sua, perché si era ritrovata senza alcuni libri comunitari, come quello di storia o di italiano, ed era andata più volte a prenderli durante il corso della settimana per studiare e leggere i vari testi. Aveva preso una mela verde dal cesto in mezzo alla tavola ed era salita fino al piano superiore, oltrepassate le prime due stanze e il bagno, aveva guardato la porta a sinistra, trovandola leggermente aperta, sbirciando dentro, dopo aver ampliato un poco l'apertura della porta, aveva guardato le pareti color caffè latte e il letto al centro, per poi spostare lo sguardo sulle lenzuola bianche e sull'armadio, che occupava un muro intero, vicino alle finestre una piccola zona trucco; era tornata diritta con la schiena ed aveva rimesso la porta come l'aveva trovata, si era diretta verso la porta a fianco, ma aprendola, sempre lentamente, aveva intuito dalle pareti colme di libri che quello fosse lo studio, quindi l'ultima opzione era la porta dietro di lei.

Si era voltata verso quella stanza ed aveva bussato, ma non aveva ottenuto nessuna risposta, si era guardata intorno, per vedere se Leonardo fosse in giro, ma non c'era traccia di lui, quindi cautamente aveva aperto la porta, cercando di fare il più piano possibile come aveva fatto precedentemente. Aperta la porta, sulla sinistra, aveva notato il letto, a due piazze, come quello di Francesco, le lenzuola blu scuro in contrasto con le pareti chiare, verde pastello; la scrivania era ai piedi del letto e a fianco di questa una finestra grande, sulla parete opposta c'era l'armadio e tre librerie; era una stanza piuttosto semplice, anche se quella di Francesco, di egual larghezza, era decisamente più piena rispetto a quella del fratello minore.

Veronica aveva aperto un poco di più la porta, guardando alla sua destra, oltre il legno, ma aveva visto solo un altro mobile e delle mensole

«Hai finito di curiosare?» La ragazza aveva sentito un brivido passarle lungo la schiena, come se migliaia o milioni di ragni avessero preso a passeggiare sulla sua colonna vertebrale, ed aveva sentito le orecchie andarle a fuoco per l'imbarazzo; non si aspettava che potesse arrivarle alle spalle; si era girata cautamente, trovandolo con le braccia incrociate al petto, che la guardava dall'alto della sua statura.

«Ti stavo cercando.»

«Beh, mi hai trovato direi. -Il ragazzo l'aveva sorpassata, sedendosi sul letto e mettendo in carica il cellulare, poi aveva alzato lo sguardo verso di lei e le aveva lanciato uno sguardo eloquente- Cosa ti serviva?»

«Stavo pensando di mettere su qualcosa da mangiare, vista l'ora.»

«Ma se ordiniamo qualcosa non facciamo prima?» Leonardo si era disteso con il busto ed aveva posizionato le mani dietro alla testa, guardandola, più che altro squadrandola, da quella posizione, e Veronica aveva percepito concretamente la sua buona volontà di non discutere cominciare a lacerarsi

«Ma anche ieri abbiamo mangiato pizza, non credi di esagerare?» Leonardo si era alzato sbuffando, palesemente irritato, probabilmente aveva voglia di qualcosa in particolare, ma lei non avrebbe di certo ceduto, mangiare in quel modo non faceva bene e di certo non aveva voglia di stare male solo perché lui aveva quelle sue voglie da donna incinta. Veronica aveva incrociato le braccia, spostando il peso da un piede all'altro, visto che sentiva una gamba atrofizzarsi e gli aveva lanciato un chiaro sguardo di ammonimento, alla fine Leonardo l'aveva guardata negli occhi fulminandola, rassegnato all'idea che non avrebbe avuto quello che voleva.

«E cosa vorresti fare?»

«Ti stavo cercando appunto per decidere.»

«Potremo fare insalata di riso se ti va.» Si messo in piedi, a pochi passi da lei, con uno sguardo speranzoso, sembrava Akimi quando la vedeva dirigersi verso lo scaffale dove sapeva esserci le sue bustine, Veronica aveva sospirato, rassegnata

«Con i wurstel però. -Veronica era uscita dalla sua camera quando aveva visto che lui aveva fatto lo stesso, e lo aveva seguito fino in cucina- Solo col tonno non mi è mai piaciuta.»

«Non so se ne abbiamo.»

«In qualsiasi caso dobbiamo andare a fare la spesa, perché mancano anche le cipolline e il preparato -lui l'aveva guardata con entrambe le sopracciglia alzate- quale sarebbe il problema adesso?»

«Vuoi andarci vestita così?» Veronica era rimasta un attimo stupita, sia per il tono sarcastico sia perché non capiva esattamente quale fosse il problema, però, poi l'aveva guardato per l'ennesima volta in volto e conscia, si era portata una mano alle tempie, sorridendo

«Tu scherzi.» Leonardo aveva sorriso a sua volta, compiaciuto, mentre andava verso la scarpiera, vicino alla porta d'ingresso

«Lo hai capito, finalmente.» Lo aveva visto togliersi le ciabatte e mettersi della scarpe da ginnastica

«E tu, non ti devi cambiare?»

«Io sono perfetto anche con solo un sacchetto della spazzatura addosso!» Veronica aveva ridacchiato sentendo il tono ironico del ragazzo, ed aveva ricambiato con sarcasmo, anche se di certo non diceva la verità.

«Forse il sacchetto per molte dovresti mettertelo in testa.» Leonardo era scoppiato a ridere, mostrandosi per una volta sinceramente divertito dalla situazione, poi le aveva passato le sue Vans, mentre ancora sorrideva

«Dai, che è già mezzogiorno, e ho fame.»

Dopo aver chiuso tutte le porte ed avere recuperato le ultime cose, come i telefoni, i soldi e un ombrello, Leonardo aveva avuto anche la brillante idea di prendersi il giubbetto di jeans, cosa a cui lei non aveva pensato; erano usciti usciti di casa, lasciando la gatta dentro, avevano parlato un poco durante il tragitto, per passare il tempo e non far cadere troppe volte la conversazione in un silenzio imbarazzante; Leonardo non era esattamente come Francesco, non riusciva a mantenere la conversazione costante o a passare da un argomento all'altro con facilità, però argomentava le proprie idee in modo impeccabile, non lascia niente al caso, ed era in grado, forse per qualche influenza del fratello, di non far annoiare mai chi lo ascoltava; lo aveva guardato con attenzione, mentre parlava, osservando il suo viso di profilo, gli occhi fissi sulla strada, le labbra dischiuse e una mano che giocava con le chiavi di casa, dentro alla tasca del giubbotto di jeans, mentre l'altra teneva l'ombrello per entrambi, visto che continuava insistentemente a piovere.

«Stavo pensando...» Aveva detto, ad un certo punto, quando la conversazione era diventata vuota

«Mh?» Veronica si era voltata, curiosa

«Tu non hai ancora una copia delle chiavi, vero?»

«Ah, no» lui aveva sorriso

«Ti piacerebbe averle?» si era voltata verso di lui, che a sua volta la stava guardando

«Mi farebbero comodo.» Era successo in pochi secondi, lui le aveva sorriso, girando anche il corpo verso di lei, e poi le aveva preso la mano, istigandola a seguirlo

«Ma non dovevamo andare al supermercato?» Aveva ansimato lei, dopo aver scorso per tre passaggi pedonali di fila con il rosso,

«Certo che sei veramente fuori allenamento -l'aveva derisa divertito, mentre ancora le teneva la mano, non le piaceva: faceva caldo, nonostante la pioggia, si sentiva più un cagnolino che una persona ed era maledettamente strano quel tipo di contatto con lui, in più, rischiava di sudare, cosa che odiava profondamente- è una specie di scorciatoia, passiamo per un posto e allo stesso tempo arriviamo al supermercato -Veronica lo aveva guardato confusa- Non puoi fidarti di me, almeno per un'ora o due?» Veronica aveva fatto una smorfia divertita in risposta ed aveva stretto un poco la mano del ragazzo, che aveva ridacchiato, mentre continuava a camminare spedito, poi, meno di cinque minuti dopo, erano arrivati davanti ad una ferramenta.

«Sei sicuro di tutto ciò?» Lui le aveva lasciato la mano

«Consideralo un mio regalo per il tuo arrivo. -l'aveva guardata un attimo, mentre si rimetteva la mano in tasca, sorridendole divertito- Vieni dentro o preferisci stare fuori?» Nel mentre aveva cominciato ad entrare.

«Arrivo, arrivo!» lo aveva raggiunto, affiancandolo, e tenendo l'ombrello, visto che lui glielo aveva porto. Un uomo sulla cinquantina era uscito dal magazzino ed aveva sorriso a Leonardo, che lo aveva salutato amichevolmente; a lei era stato spiegato dopo, quando l'uomo era sparito dietro alle tendine con le chiavi, che quello era un amico di famiglia, padre di un ex compagno alle medie di Leonardo e marito di un'amica intima di Angela, aveva scoperto che Leonardo andava spesso lì per degli attrezzi che gli mancavano, stava cercando di sistemare la vecchia moto di suo zio, ma spesso non aveva tutto, ed era costretto ad andarsi a comprare sia i pezzi di ricambio sia gli attrezzi per montarli, l'uomo, Luca Viannini, come aveva scoperto poi, era uscito poco dopo, con sei copie di tre chiavi diverse, due per ogni chiave, in caso le perdesse, Leonardo l'aveva un attimo guardata quando le aveva dato le chiavi in mano

«Hai un portachiavi, vero?»

«Sì, tranquillo» lui aveva pagato, aveva salutato il signore Viannini con un sorriso e poi l'aveva invitata ad uscire, si era messo le chiavi in tasca, visto che era l'unico che le aveva, ed era tornato ad tenere l'ombrello per entrambi. Si era ritrovata a guardarlo ancora mentre procedevano verso il supermercato, spostandosi leggermente verso di lui per non bagnarsi con la pioggia, e, per puro sbaglio, aveva strusciato la mano destra contro la sinistra del ragazzo.

Leonardo aveva sgranato leggermente gli occhi, sorpreso da quel contatto improvviso, e si era girato verso di lei, osservando il suo profilo; aveva le orecchie rosse, come ogni volta che era imbarazzata, ed il volto leggermente piegato a sinistra, verso il basso, i capelli le coprivano gran parte del viso, facendo intravedere solo il naso, le labbra arricciate e le punte rosse delle orecchie; era tornato a guardare davanti a sé, o almeno ci aveva provato, fino a quando, per la seconda volta, la mano, gelida, di Veronica era entrata in contatto con la sua, e quindi si era voltato ancora, la ragazza quella volta gli era più vicina, e, guardando indietro, aveva capito che si era avvicinata per superare una pozzanghera, poi, l'aveva sentita tremare per il vento freddo ed avvicinarsi, in cerca di calore. Alla terza volta che si erano sfiorati, un poco stufo, le aveva preso la mano, portandola con la sua nella tasca del giubbotto di jeans, e, cercando di darle un minimo di sollievo, aveva cominciato ad accarezzarne il dorso, sentendola rilassarsi e scaldarsi sotto il suo tocco. Non era un amante del contatto fisico, molte volte si rifiutava di ricevere e dare affetto in quella forma, perché non era una cosa in cui si sentiva a proprio agio. Fin da bambino aveva sempre visto il contatto fisico come un'arma, come qualcosa che, potenzialmente, poteva procurare dolore; le immagini di suo padre che se la prendeva con lui o con suo fratello rimbombavano costantemente nella sua mente, come il ritornello di una canzone, il ricordo dei suoi modi di fare, del suo tocco su di lui quando lo spingeva per terra, (perché per quanto suo fratello e sua madre avessero cercato di proteggerlo quando loro non c'erano subiva tutto lui, sia mentalmente sia fisicamente) accusandolo di aver portato solo disgrazie nella loro famiglia, o, più semplicemente, la vista di sua madre con i punti sul viso e i lividi, gli avevano sempre fatto disprezzare qualsiasi tipo di gesto, anche il più innocente del mondo come un abbraccio.         
Era rimasto sulla difensiva per molto tempo su quel lato, e non si era mai spinto più in là di quanto non credesse fosse giusto con nessuna, aveva il terrore di procurare dolore, e il fatto di assomigliare fisicamente a suo padre non faceva altro che incrementare questo suo pensiero, ma, ogni tanto, come in quel momento, si lasciava andare, facendosi guidare e cullare dall'istinto e dal pensiero di essere delicato con chi si trovava davanti, o di fianco.

♤♡◇♧♤♡◇♧♤♡◇♧♤♡◇♧

 

   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: _etriet_