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Autore: FluffyHobbit    24/03/2022    1 recensioni
[Un Professore]
[Un Professore]Sequel di "Tu non innamorarti di un uomo che non sono io"
Dal testo:
"Non vedo l'ora che arrivi stasera, 'o sai?"
[...]
"Ma se siamo svegli da tipo cinque minuti…"
[...]
"Sì, ma oggi è una giornata speciale e stasera lo sarà ancora di più."
Genere: Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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"Mi vuoi dire cos'è successo?"

Manuel era rientrato in casa di Claudio con l'aria di chi aveva tutta l'intenzione di far scoppiare una guerra. Deciso come una tempesta si era diretto subito in cucina e Claudio pensò che l'avesse fatto per prendersi qualcosa da bere, qualcosa di forte, quindi fu molto sorpreso quando invece lo vide fermo davanti alla sua vetrinetta delle tisane. Le scrutava tutte con occhi di fuoco, agitato, ma era chiaro che la sua agitazione risiedesse altrove.

"Ci penso io, dai, tu siediti e raccontami tutto."

Il ragazzo si spostò, lasciando che fosse l'avvocato a scegliere qualcosa che potesse aiutarlo almeno un po' a distendere i nervi, ma non si mise a sedere. Prese invece a misurare a grandi passi la stanza, facendo avanti e indietro come un leone in gabbia.

"Io a quello lo ammazzo con le mie mani, te lo giuro. Poi posso pure andare in galera, non me ne importa niente!"

Esclamò, e anche la sua voce sembrava il ringhio di un leone ferito e arrabbiato. Claudio sospirò pazientemente.

"Ti ricordo che in carcere non ci sarebbe Simone e sono sicuro che nessuno di voi due voglia separarsi dall'altro. Sbarra pagherà, ma lo farà con la giustizia, non con la vendetta."

Manuel fece una risatina amara. Se ci fosse stata giustizia al mondo, ci sarebbe stato lui in quello sgabuzzino buio e afoso al posto di Simone. Claudio però aveva ragione su una cosa, e cioè che non voleva assolutamente stare ancora lontano dal suo ragazzo.

"Dici così perché non hai visto Simone! Lo volevo strozza', a quello stronzo de Sbarra…"

Ringhiò ancora, dando un calcio alla gamba del tavolo che fece tremare le tazze che vi erano poggiate sopra.

Claudio non si scompose, era giusto che Manuel si sfogasse ora che poteva, e riempì quelle stesse tazze con la bevanda calda. Solo allora Manuel si sedette, o meglio, si accasciò sulla sedia.

"Quindi tu l'hai visto? Sbarra te l'ha fatto incontrare?"

Manuel scosse il capo e bevve un sorso di tisana. La riconobbe, era la preferita di Simone e sentì gli occhi inumidirsi, di certo non per il sapore deciso dello zenzero.

"No, non lui, ma la donna sua sì. Sbarra era uscito un attimo e lei mi ha portato da Simone. Non so perché l'abbia fatto, ma sinceramente non m'importa. Lo tengono chiuso in uno stanzino più piccolo de 'sta cucina, Cla', ammanettato come un criminale e…"

L'immagine di Simone ferito e sporco, lasciato da solo al buio con le sue allucinazioni -allucinazioni, cazzo- gli tornò vivida davanti agli occhi e gli fece morire la voce in gola. Provò a chiuderli per scacciarla, ma fu inutile. Era giusto così, però, perché era soltanto colpa sua se Simone si trovava in quel casino e lui non aveva alcun diritto di provare ad ignorarlo. Non voleva ignorarlo.

"So' sicuro che non mangi da giorni e a stento ogni tanto je portano l'acqua. Non lo fanno manco anda' in bagno, ti rendi conto? Neanche i cani si trattano così!"

Le sue mani stringevano forte la tazza, così forte che avrebbero quasi potuto frantumarla, tanta era la rabbia che aveva in corpo, unita al dolore e alla consapevolezza di essere totalmente impotente.

"Quando so’ entrato dentro, all'inizio ha pensato che non fossi vero, mi ha fatto capire che non era la prima volta che mi vedeva. Solo che io là non c'ho mai messo piede prima de stasera."

Fissò Claudio negli occhi, per fargli capire quanto grave fosse la situazione. L'avvocato di solito era bravo a tenere a bada le sue emozioni, ma nei suoi occhi di ghiaccio Manuel poté cogliere tutta la sua preoccupazione nei confronti di Simone ed era effettivamente così, Claudio era estremamente preoccupato. Era molto affezionato a Simone e anche lui desiderava aiutarlo. Anche lui, se avesse potuto, avrebbe preso il suo posto senza esitare.

"La disidratazione può portare ad avere allucinazioni, se poi ci aggiungi anche il trauma del rapimento…"

Si interruppe subito, perché era chiaro che a Manuel non interessasse una spiegazione scientifica o psicologica. Non gli era utile, ciò di cui aveva bisogno era supporto.

"Ti giuro che se servisse davvero a qualcosa ti terrei fermo Sbarra per fartelo strangolare, ma ti ho già spiegato perché la vendetta non è una buona soluzione."

Manuel accennò uno sbuffo divertito, poi bevve un altro po' di tisana. Voleva soltanto salvare Simone, ma non sapeva come fare.
"Cosa proponi, allora?"

Claudio scrollò le spalle.

"Cos'altro è successo, stasera? Sbarra ti ha detto qualcosa?"

Il ragazzo annuì, Sbarra in realtà gli aveva detto un bel po' di cose.

"Per prima cosa s'è preso i soldi che gli ho portato e mi ha dato questi…"

Posò i mille euro -avvolti con un elastico- sul tavolo, non li voleva nella propria tasca un istante di più.

"...dicendomi di usarli per portare fuori a cena 'il mio pischello'."

Sospirò, affranto, abbassando poi lo sguardo verso il tavolo.

"Sa tutto, Claudio, mi ha pure fatto vedere una foto nostra che ha preso dal telefono di Simone. Adesso è sicuro de tenermi per le palle e io ho paura di cosa potrebbe chiedermi dopo. Sa che lo farei per forza, con Simone in mano sua e c'ha pure ragione, perché farei de tutto."

Claudio gli fece una carezza sulla schiena, comprensivo, perché capiva che quel ragazzo, in quel momento, si sentiva tutto il peso del mondo addosso.

"E per adesso, invece, cosa ti ha chiesto di fare?"

Manuel scrollò le spalle e si alzò, andando a recuperare lo zaino che aveva lasciato all'ingresso della cucina.

"M'ha dato gli indirizzi de un po' de gente che non vole paga', li devo minacciare con questa."

Mise sul tavolo, accanto ai soldi, la pistola avvolta da un panno che Sbarra gli aveva dato. Claudio sollevò gli occhi verso di lui, preoccupato.

"E tu che farai?"

"Che vuoi che faccia? Ci vado, no?"

Si morse il labbro, sentendo una stretta d'ansia intorno al proprio stomaco.

"L'ultima volta che mi ha chiesto de fa' una roba simile è stata un fallimento, ho avuto paura e non ce so' riuscito. Stavolta però è diverso."

Quella sera di qualche mese prima con lui c'era Simone e nello sguardo che si erano scambiati mentre lui si avvicinava al negozio aveva trovato un motivo per non andare oltre, per non fare una cazzata. Poi da quel tizio c'era tornato, da solo, perché aveva bisogno di sentirsi grande dopo la rottura con Alice, e gli era partito un colpo che per fortuna non aveva ferito nessuno, ma che a lui ogni tanto ancora sembrava di sentire.

Se avesse ammazzato quell'uomo, quel padre di famiglia, non sarebbe riuscito a dormire la notte. Lui non era così, non era come Sbarra voleva che fosse, era come Simone lo vedeva con i suoi occhioni pieni d'amore.

Almeno, voleva essere così.

"E cosa farai se una di quelle persone si rifiutasse di pagare? Se le minacce non dovessero bastare?"

Domandò Claudio, accigliato. Aveva paura che Manuel potesse compiere un gesto di cui si sarebbe pentito, un gesto che gli avrebbe fatto imboccare una strada difficile da ripercorrere in senso opposto. Manuel sbuffò, nervoso.

"Allora 'sta pistola la userò per davvero. Non mi sembra d'ave' alternative, no?"

Voleva essere come lo vedeva Simone, ma era proprio per lui che doveva trasformarsi in ciò che invece voleva Sbarra. Non gli piaceva l'idea di dover far male a qualcuno, ma Simone stava soffrendo, stava impazzendo, e Manuel non poteva sopportarlo. Non gliene fregava un cazzo della legge morale, con Simone in quelle condizioni.

"Manuel, ti prego, pensa alle conseguenze…"

Provò a dire Claudio, ma il ragazzo lo interruppe sbattendo una mano sul tavolo.

"Ci penso alle conseguenze, a quelle che pagherebbe Simone se Sbarra non avrà i suoi cazzo di soldi! Sei tu che dovresti pensarci, perché io non riesco a fare altro!"

Urlò, riversando tutta la sua frustrazione sull'avvocato. Gli tremava la voce, ma gli occhi erano più fermi che mai. C'era il fuoco dell'amore, in quegli occhi, e Claudio temeva che Manuel potesse scottarcisi.

"Anch'io ci penso, ma penso anche a te perché a quanto pare tu non pensi a te stesso. Rovinarti per salvare Simone non è una soluzione, capito?"

Sospirò.

"Senti, tu sai quanti soldi queste persone devono a Sbarra?"

"Sì, mi ha dato una lista…"

Manuel sospirò per sbollire la rabbia, poi gli porse un foglietto ripiegato che si era messo in tasca su cui erano riportati nomi e indirizzi di cinque persone con le relative cifre che dovevano pagare. Agitava nervosamente una gamba, nell'attesa che Claudio gli proponesse una soluzione alternativa. Non aveva cambiato idea, però, se fosse stato necessario avrebbe fatto ciò che doveva, perché l'unica cosa che contava era salvare Simone, anche a costo di rovinarsi la vita.

"Facciamo così: tu andrai da queste persone e non per minacciarle, ma per proporre un accordo. I soldi per pagare Sbarra ce li metto io, loro dovranno soltanto saldare il debito, così quell'infame avrà i suoi soldi e tu non dovrai sparare a nessuno. Che dici?"

Manuel scosse il capo, poco convinto.

"E che facciamo se questi, invece de paga' Sbarra, se intascano i soldi e basta? E poi scusa, ma non è una cifra un po' alta?"

Claudio mosse una mano in aria per scacciare quell'obiezione. Capiva che per il ragazzo fossero tanti soldi, ma per lui non era un grande problema darli via, soprattutto se doveva farlo per quei due ragazzi a cui si era tanto affezionato.

"Non finirò in bancarotta, non ti preoccupare, ma anche in quel caso lo farei volentieri. Però hai ragione, meglio aggiungerci un piccolo incentivo così da evitare furbate. Va meglio?"

Propose con un sorriso e Manuel annuì, sollevato e commosso. Claudio era davvero una brava persona, e dire che solo poco tempo prima gli avrebbe spaccato volentieri il naso.

"Non so se sei un folle o un santo, ma in ogni caso ti devo ringraziare…e ti prometto che troverò un modo per ripagarti."

Mormorò, accennando un sorrisetto. Claudio, invece, fece una risatina.

"Non sono né l'uno né l'altro, voglio solo aiutarvi. E tu, se vuoi ripagarmi, adesso mangi qualcosa e poi fili a letto, ok? Non accetto un no come risposta."

Manuel non poté fare altro che accettare la proposta, anche se il cibo non aveva più lo stesso sapore e il suo stomaco era più chiuso che mai, ma doveva sforzarsi di mangiare lo stesso per restare in forze. Certo, se avesse potuto, avrebbe portato volentieri a Simone quel piatto di carbonara fumante che Claudio gli mise davanti poco dopo.

Trascorse le tre sere successive ad incontrare le persone sulla lista di Sbarra, a spiegare loro per sommi capi la situazione e con sua grande sorpresa pagarono tutte e senza farsi aspettare. Bastò infatti soltanto un ulteriore giorno prima che Manuel si ritrovasse il numero di Sbarra sul display del cellulare. Gli diede appuntamento quel giorno stesso, nel tardo pomeriggio, e Manuel fu puntualissimo. Consegnò il proprio cellulare a Zucca senza neanche farselo chiedere e si lasciò perquisire senza protestare. Zucca controllò anche il suo zaino e prese la pistola che gli era stata prestata, poi fece una risatina quando vide il resto del contenuto.

"Te ne vai a fa' na scampagnata, dopo? Che te sei portato?"

Manuel aveva pensato di portare un po' di cibo per Simone, era da troppi giorni che non mangiava, e sperava che Sbarra -per quanto stronzo- chiudesse un occhio. Forse era un'impresa destinata al fallimento, ma valeva la pena tentare.

"Niente, Zucca, a te che sembra? So' due panini e un po' d'acqua per Simone, Sbarra ha detto che oggi me lo faceva incontra'."

L'uomo richiuse ridacchiando lo zaino e glielo riconsegnò.

"Te sei un po' troppo ottimista, ragazzetto."

Lo condusse nell'ufficio di Sbarra, che come sempre era seduto alla scrivania. Manuel ebbe bisogno di fare appello a tutto il suo autocontrollo per non spostare lo sguardo verso la porta dello stanzino, non doveva fargli pensare che sapesse già dove fosse tenuto Simone.

"Ah, Manuel, sei già qua? Me spiace, ma te devo liquida' subito che so' pieno de impicci. Tie' questi sono per te, per il servizio che hai fatto."

Gli allungò una busta sulla scrivania, a cui Manuel non rivolse nemmeno uno sguardo. Era incredulo, non si aspettava che Sbarra lo cacciasse così in fretta. Forse troppo ingenuamente, si aspettava invece che rispettasse la sua parte di accordo.

"Stavo quasi per farteli portare da Zucca per non farti arrivare fino a qui, ma già che ci sei pijateli e vattene."

Ma Manuel non aveva alcuna intenzione né di prendere i soldi né di andarsene. Si avvicinò alla scrivania e vi sbatté le mani sopra, sporgendosi poi infuriato verso Sbarra. Zucca fece per intervenire, ma il vecchio lo fermò con un gesto. Guardava Manuel con aria di sfida.

"Stai cacciando le palle, ragazzi’? Che vuoi?"

"Non fare il finto tonto con me, lo sai benissimo cosa voglio. Voglio vede' Simone, me l'avevi promesso."

Ringhiò, tenendo gli occhi fissi in quelli di Sbarra. Sì, stava cacciando le palle, perché si era ricordato di una cosa che Claudio gli aveva spiegato e che aveva deciso di sfruttare a suo favore, per portare un po' di sollievo a Simone. Il vecchio fece una risatina.

"Non ho mai fatto promesse a nessuno in vita mia, figurati se iniziavo da te, che non sei un cazzo. T'ho detto che te l'avrei fatto vedere se mi girava, ma mo nun me gira. Vattene, prima che te libero il cane contro."

Manuel scosse il capo, facendo un sorrisetto furbo.

"E te conviene che te la fai girare bene, invece, perché ho portato del cibo per Simone e voglio che mangi."

Sbatté di nuovo una mano sulla scrivania, facendo tremare qualche cianfrusaglia poggiata lì sopra.

"È vero, finché c'hai lui mi tieni per le palle, ma se gli succede qualcosa io ti giuro che chiamo pure l'esercito e questo posto de merda te lo faccio smonta' rottame per rottame finché nun trovano tutta la droga che nascondi e poi vediamo chi terrà per le palle chi."

Manuel era furioso, ma quella furia era tenuta sotto controllo e la sua voce era ferma, sicura, affilata. Non stava supplicando il Diavolo, come aveva fatto l'altra volta, gli stava ricordando di poterlo rispedire all'Inferno.

Sbarra rimase sorpreso e sollevò le mani in segno di resa.

"Nun me sembra er caso de metterse a fa' queste minacce, no? C'hai ragione, t'avevo detto una cosa e tu c'hai messo er pensiero. Poi sei stato bravo, mi hai fatto arrivare quei soldi in fretta, ti meriti un premio. Zucca, fa' na cosa, accompagnalo da quell'altro, va'."
 
                                                                                                     *****
 
Simone, da quando aveva ricevuto la breve visita di Manuel -quello vero-, non era più riuscito a tenere il conto dei giorni che passavano. Era sempre più stanco e ciò che sentiva intorno a lui era sempre più confuso, gli era diventato difficile capire se il chiacchiericcio che lo aveva aiutato a scandire il tempo fino a quel momento provenisse davvero dall'ufficio di Sbarra o fosse ormai parte integrante dei propri pensieri. Ogni volta che chiudeva gli occhi -e avveniva sempre più spesso- era sempre meno sicuro che sarebbe riuscito a riaprirli da lì a chissà quanto.

Avrebbe trovato quella prospettiva confortante, in fondo morire nel sonno non era poi un brutto modo per andarsene, se non fosse stato per il pensiero che c'era Manuel ad attenderlo. Non voleva lasciarlo solo e allora si sforzava di resistere ancora, con un'energia che non aveva, combatteva contro il suo stesso corpo per opporsi all'impulso di lasciarsi andare. Sollevare le palpebre era diventato lo sforzo più grande della sua vita.

"Ao, svejate!"

Esclamò una voce, quella di Zucca, accompagnandosi con schiaffi poco gentili sulla guancia già livida. Simone, con molta fatica, si fece guidare fuori dal sonno e quando riaprì gli occhi trovò sia Zucca che Sbarra davanti a lui. Che cazzo vogliono, adesso?

"Certo che te dormi sempre, eh? Mo però te devi alza', te porto a fa' na cosa."

Disse Sbarra, mentre Zucca gli toglieva le manette e lo sollevava di peso. Per fortuna, pensò Simone, perché da solo non sarebbe riuscito ad alzarsi. Rivolse a Sbarra uno sguardo confuso, erano giorni che stava lì e non l'aveva mai fatto uscire, ma non ottenne spiegazioni.

Un po' spinto e un po' sostenuto da Zucca, uscì fuori dalla piccola baracca e subito chiuse gli occhi, accecato dal Sole di quel pomeriggio estivo. Era una bella sensazione, però, sentirlo di nuovo sul proprio viso.

"E muoviti, forza!"

Ringhiò Zucca, spingendolo per l'ennesima volta per farlo avanzare. Simone però non riusciva a camminare bene, un po' perché non vedeva dove andava a causa della troppa luce, e un po' perché le sue gambe erano stanche, quasi atrofizzate per il troppo tempo ferme.

Inciampò più di una volta nei suoi stessi passi, causando le risate dei suoi aguzzini che non lo aiutarono a rialzarsi, anzi Zucca si divertì anche a fargli uno sgambetto, di tanto in tanto. Ebbe molte occasioni di farlo, dal momento che si stavano addentrando sempre di più nello sfascio, in un labirinto di carcasse tutte uguali.

Quando arrivarono di fronte ad un muro, Simone si bloccò per la paura. Gli sembrava una scena d'esecuzione degna di un film. Sbarra e Zucca scoppiarono a ridere.

"Sta' tranquillo, ragazzi’, nun te vojamo mica ammazza’. T'abbiamo portato qua per farti fa' una doccia. Co sto caldo ce vole, no?"

Spiegò il vecchio e Simone si accigliò, perplesso. Non era una gentilezza che si aspettava, ma del resto non si aspettava nemmeno che quella fosse effettivamente una gentilezza.

"Una...una doccia?"

Biascicò, confuso. Sbarra alzò gli occhi al cielo, mentre Zucca lo afferrò per un braccio, trascinandolo verso il muro.

"Mettiamo le cose in chiaro, è stata mia figlia che ha insistito. T'ha preso in simpatia, poi sai come sono le donne, no? Hanno il cuore tenero e le avrai fatto tenerezza…"

"No, secondo me questo non lo sa come sono le donne. È un frocetto."

Commentò Zucca, mentre armeggiava con una pompa lì vicino e Sbarra rise, sprezzante.

"Beh, adesso lo sa. Forza ragazzì, a casa tua te lavi vestito? Te vuoi spoglia’ o no? Nun te preoccupa’, a noi ce piacciono le donne, nun te facciamo niente."

Simone, senza altra scelta, si chinò sui talloni per togliersi scarpette e calzini e quando tornò su gli girò la testa, facendogli annebbiare la vista e portandolo ad indietreggiare alla cieca verso il muro, in cerca di un qualche sostegno. Restò così per qualche secondo, ma poi Sbarra e Zucca cominciarono ad urlargli di sbrigarsi, che non avevano tutto il giorno, e allora fece un paio di passi in avanti -nonostante fosse ancora intontito- per sfilarsi la maglia.

Un dolore lancinante gli attraversò i muscoli indolenziti delle braccia quando le sollevò, tanto da mozzargli il fiato e fargli venire le lacrime agli occhi, che subito abbassò per non farle vedere. Fu in quel momento che per la prima volta notò tutti i lividi sul proprio corpo, alcuni ancora violacei o rossastri, mentre altri avevano già assunto una sfumatura verdognola, uno accanto all'altro come in una sorta di grottesco mosaico. Provò a tastare qualche punto, ma smise subito per le fitte che avvertì.

Ci sto bene, pensò, in mezzo a tutti questi rottami. Sono come loro, sono diventato uno di loro.

Con un ultimo sforzo fece scivolare giù anche i pantaloncini e i boxer, rimanendo completamente nudo, e istintivamente andò a coprirsi il pube con una mano, gesto di cui si pentì subito per le risate che causò.

Sentire gli occhi di quei due sul proprio corpo lo faceva sentire sporco in un modo che quella doccia non avrebbe potuto lavare via, si vergognava e nemmeno lui sapeva bene il perché. Forse perché era convinto che nella sua vita si sarebbe spogliato soltanto per amore, soltanto per essere guardato dalla persona che amava.

Ripensò alle parole di Manuel e ritrovò un po' di coraggio, ma perso nei suoi pensieri non si accorse che Zucca aveva aperto la chiave dell'acqua e venne investito da un getto gelido che gli fece perdere l'equilibrio -già precario- e scivolò a terra.

"Oh, ma dormi 'n piedi?"

Esclamò divertito Zucca, mentre Simone si rialzava dolorante.

"Tiè, pija questa!"

Sbarra gli lanciò una saponetta, che Simone afferrò maldestramente al volo e con cui prese ad insaponarsi rapidamente. Tremava come una foglia, non sapeva se più per l'imbarazzo e la paura o per l'acqua fredda che scorreva sul suo corpo, e non riusciva a tenere a bada i propri muscoli.

"Certo che è caruccio 'sto pischello, però, eh? Secondo me c'è chi pagherebbe per divertisse una notte co lui…"

Commentò Sbarra dopo un po', e Simone sentì il proprio cuore saltargli in gola e lì battere all'impazzata, come a voler uscire dalla bocca. Sperò con tutta l'anima che quella conversazione servisse soltanto a spaventarlo, che non portasse a nulla di concreto.

Zucca annuì, ridacchiando.

"Co tutti i depravati che ce stanno, se potrebbero fa bei soldi, sì."

Le restanti risatine e commenti cattivi di Sbarra e Zucca arrivavano ovattati alle orecchie di Simone, il quale cercò in tutti i modi di pensare ad altro: al sorriso di Manuel quando riusciva a risolvere un esercizio di matematica tutto da solo e lui gli faceva i complimenti, ai baci che si scambiavano tra un capitolo e l'altro di scienze, al modo in cui Manuel marcava volutamente l'accento romano quando si metteva a recitare le poesie sul loro libro di inglese, creando un contrasto buffissimo che faceva piegare Simone in due dalle risate e che anche adesso, in quella situazione, gli fece accennare un sorriso al solo pensiero. Pensava a Manuel, insomma, ai momenti passati insieme e ai tanti altri che ancora avrebbero vissuto.

In questo modo, prima che se ne rendesse conto, Zucca chiuse l'acqua e Simone si ridestò come da un sogno. Gli allungarono un asciugamano e dei vestiti, quelli che stavano nel suo borsone da rugby, poi gli dissero di mettere la roba sporca in una busta e lui obbedì.

Come prima, tra spinte e passi incerti, si ritrovò ad attraversare il labirinto di metallo fino a ritornare allo sgabuzzino che ormai conosceva bene e nonostante tutto ne fu felice, perché i suoi muscoli non reggevano più e non vedeva l'ora di potersi sedere.

Sospirò profondamente quando rimase finalmente da solo, in quel buio che stava diventando più familiare della luce e che gli permetteva di nascondere le lacrime da occhi indiscreti.

Aveva sempre sentito dire che piangere fosse liberatorio, eppure ogni volta che aveva pianto in quei giorni si era sentito solo peggio, perché avrebbe voluto che ci fosse stato qualcuno -no, non qualcuno, Manuel- ad asciugargli il viso e puntualmente non c'era.

Anche quella volta non fece eccezione, pianse per ore senza sentirsi meglio e aveva ancora le guance umide quando vide aprirsi la porta: Zucca entrò per primo e subito dietro di lui scorse un paio di occhi scuri che in un istante trasformarono quella prigione in una casa.
   
 
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