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Autore: e m m e    27/03/2022    1 recensioni
Quando scopre la possibile esistenza di un serial killer che abbandona cadaveri in giro per la sua città, Spider-Man inizia ad essere ossessionato dall’idea di trovarlo. Ha così inizio una caccia senza tregua per cui Peter non è psicologicamente pronto né tecnicamente preparato, e per la quale l’unico supporto incondizionato lo riceve dall’unica persona che è sempre stata pronta a darglielo: Deadpool.
Peccato che, per i due vigilanti, gli anni di lotta inizino a farsi pesanti, le spalle a piegarsi, le ragnatele a spezzarsi, i sentimenti a sfilacciarsi e il cuore… a non reggere.
Genere: Angst, Romantico, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Deadpool, Peter Parker/Spider-Man
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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9. Fight so dirty, but your love's so sweet; talk so pretty, but your heart got teeth

A New York la poca neve che cadeva a novembre non durava mai un cazzo.

Il tempo di raggiungere terra e nel migliore dei casi veniva immediatamente inghiottita dall’asfalto, nel peggiore se ne rimaneva lì, un lieve tappeto di pochi millimetri, che al primo levare del sole si scioglieva e si trasformava in un nevischio grigiastro, calpestato dai mille piedi frettolosi che invadevano le strade. Si ammucchiava per un po’ lungo i canali di scolo, un ammasso catramoso che a chiamarlo neve si sarebbe stati presi per pazzi e che per le dieci di mattina era già svanito del tutto, come se non fosse mai esistito.

Wade, come gran parte dei vigilanti di NYC, assisteva spesso all’arrivo di quelle nevicate improvvise e rapide, e al conseguente, lento deformarsi del manto nevoso. Non era il tipo da fare inutili paragoni, o metafore azzardate, ma a volte pensava alla neve della sua infanzia, quei ricordi nebulosi spazzati via dai fumi della WeaponX. Ricordava manti di metri e metri dove potersi lasciar cadere, svanire al di là di una coltre bianca, intonsa, intoccata. Si sentiva un po’ così, Wade Wilson: un tempo era stato una spolverata di neve sulle montagne del Canada, e adesso non era altro che un ammasso di fanghiglia che scivolava nelle fogne della Grande Mela.

«Hai premuto l’acceleratore su “depressione”, per caso?» domandò il mercenario a nessuno in particolare. Stava bisbigliando nonostante Spidey dormisse nella stanza di fianco e ci fosse una porta a separarli. Lui, come al solito, non dormiva. Si era appollaiato sul davanzale della stessa finestra da cui, poche ore prima, quel traditore di Daredevil si era dileguato. Era un davanzale bello ampio, Wade indossava solo un paio di mutande e dondolava una gamba fuori dalla finestra, l’altra era ben piantata al suolo e il vento gelido di novembre gli sputava in faccia manciate di nevischio acquoso. Il freddo lo aiutava a gestire il proprio corpo, che quella sera non sembrava volerne sapere di darsi una calmata. Avesse potuto si sarebbe strappato di dosso il primo strato di epidermide, ma sapeva per esperienza personale che, oltre ad essere estremamente doloroso e a volerci un sacco per ripulire, era anche estremamente inutile. Doveva solo aspettare che la sua pelle si decidesse a fare la brava.

Non era del tutto vero, poi, che ci fosse un’intera porta a separare Spider-Man da Deadpool. Ogni tanto Wade lanciava occhiate allo spiraglio che aveva lasciato aperto e da cui si intravedeva il letto, le coperte sparpagliate, un ciuffo di capelli scuri che emergeva dal piumone, la silhouette di un braccio che pendeva verso il pavimento. Le dita di Spidey non toccavano il suolo, ma la luce che filtrava dalla porta proiettava un’ombra dietro la sua mano e, poeticamente, l’ombra somigliava a un ragno. Wade sorrise appena, incapace di distogliere lo sguardo da quella prova fisica di Peter nel suo letto, delle sue mani su di lui, del suo respiro rapido che gli si infrangeva contro la bocca. La testa gettata all’indietro, i muscoli tesi, le dita che gli stringevano la nuca. Wade non aveva mai desiderato dei capelli con così tanta intensità come nel momento in cui era stato evidente che, se li avesse avuti, Spidey li avrebbe tirati fino a fargli venire le lacrime agli occhi. Rabbrividì, ma non per il freddo. Poi si diede un pizzicotto, per essere proprio sicuro-sicuro di non stare allucinando.

Si era immaginato di portarsi a letto Spider-Man in molti modi, in molte posizioni, in molte, discutibili situazioni, ma ciò che non aveva immaginato era il livello di intensità che avevano raggiunto quella sera. E si erano pure limitati a semplici lavoretti di bocca e di mano. Non la migliore performance della sua vita, doveva ammetterlo, ma Peter gli era sembrato estremamente soddisfatto e sentirgli pronunciare il suo nome con quel tono di urgenza aveva fatto cose al cervello di Wade che di certo il mercenario non si era aspettato.

«Evidentemente non te lo aspettavi nemmeno tu, cara scrittrice, visto che questo capitolo avrebbe dovuto essere POV Peter, no? Non potevi semplicemente darmi una smut decente e chiuderla qui? Che cazzo mi significa questo mal di vivere?! Lo sapevo che non dovevo fidarmi quando mi hanno scritturato per questa fanfiction!»

Mentre parlava coi suoi fantasmi immaginari, Wade si portò una sigaretta mezza divorata dal vento alle labbra. Era la seconda che si fumava nel giro di una mezz’ora e il pacchetto era ancora quasi del tutto pieno. A volte il bruciore del fumo l’aiutava a calmare i pensieri, ma quella sera i suoi pensieri tornarono a Brian Brett, alla sua faccia senza volto che si mescolava alla faccia di Francis, e poi alla faccia di ogni altro scienziato pazzo che prima o dopo aveva deciso di usare Wade come una cavia di laboratorio. Un miscuglio di facce deformate, che non lo aiutò affatto a capire come ritrovare Abby, ma aumentò a dismisura il suo vago e distante mal di testa.

Non si era mai preoccupato di raccogliere il cellulare da terra e Weasel non aveva ancora richiamato. Non che fossero passati mille anni, eh, al massimo un paio d’ore. Forse tre. Fuori da lì l’alba sembrava ancora qualcosa di lontano, di irraggiungibile.

«Il tuo piano è quello di morire assiderato o far morire me assiderato?» domandò la voce di Peter all’improvviso. Si era alzato dal letto, si era avvolto nel piumone che strusciava dietro di lui come una distorta immagine di un abito da sera, ed era emerso dalla camera. Con i capelli del ragazzo sparati in ogni direzione che lo supplicavano di infilarci le mani dentro – mmm? Era forse un nuovo kink? – Wade concentrò l’attenzione sul suo volto: gli occhi castani erano cerchiati di nero, esausti, le labbra sottili erano aperte in un sorriso appena accennato, ancora mezzo sonnolente. Se avesse potuto, Wade l’avrebbe obbligato a dormire per due giorni di fila. Poi l’avrebbe svegliato e l’avrebbe reso esausto tutto da capo.

Invece si limitò a prendere l’ennesimo tiro di sigaretta. «Avrei dovuto chiudere la porta, ma non riuscivo a smettere di guardarti il culo» dichiarò con un sorriso vago. Dalle labbra gli sfuggirono spire di fumo che vennero trascinate via dal vento. Wow, che poesia!

Peter roteò gli occhi. Wade ricordava ancora com’era stata la prima volta che glielo aveva visto fare senza la maschera. Aveva avuto come l’impressione che il novanta per cento delle reazioni che aveva prodotto in Spider-Man fino ad allora fossero state quasi tutte delle rotate di occhi. Non gli era dispiaciuto, perché non erano mai rotate di occhi esasperate. Non del tutto. 

«Non potevi guardarmi il culo da lì! E poi ero coperto.»

«Sottovaluti il potere della mia immaginazione, bimbo.» S’interruppe per un attimo, chiedendosi cosa stessero facendo e quando fosse iniziata quella cosa, qualsiasi cosa fosse. Si chiese se lui, Wade, non avesse sbagliato tutto, se non avrebbe fatto meglio a lasciar perdere quell’assurda relazione quando aveva scoperto che Spider-Man era solo un ragazzino. Trigger warning: grande differenza di età, caro lettore!

Ma Peter, quel Peter che gli stava di fronte, quello che si era rotto in mille pezzi senza far rumore, senza dirlo a nessuno, senza mai lamentarsi, quello che aveva raccolto i suddetti pezzi da solo, con l’unico, sporadico aiuto di un mercenario dal grilletto facile, quel Peter, be’, lui non era più un ragazzino. A quel Peter non importava se Wade fosse coperto da capo a piedi di cicatrici, se la gente lo vedeva e cambiava marciapiede, se ogni tanto, saltuariamente, Deadpool andava ancora a caccia di criminali internazionali per ammazzarli senza farli passare dal tritacarne della giustizia che, per la maggior parte dei casi, non tritava un bel niente. Quel Peter, che cercava ancora – con cocciuta disperazione, a volte – di dividere il mondo in bianco e nero, sapeva ormai riconosce alla perfezione una scala di grigi, quando ne trovava una sulla sua strada. E se quello non voleva dire essere maturi… be’, che cazzo ne sapeva Wade di cosa volesse dire essere maturi? La sua collezione di peluche di Hello Kitty poteva confermare.

Peter gesticolò nella vaga direzione della finestra. «Posso?»

Dovresti rimandarlo a dormire: guardalo… si regge in piedi per miracolo. E invece Wade gli fece cenno di avvicinarsi perché chi era lui per rifiutare la compagnia di Spider-Man? Non ci era mai riuscito e a quel punto, dopo averne assaggiato letteralmente il sapore, sospettava che mai lo avrebbe fatto.

Con sua sorpresa – ma grande soddisfazione – Peter non gli si sistemò di fronte, in un’immagine specchiata e rovesciata, pronto a guardarlo in faccia con quell’espressione sincera e candida a cui era estremamente difficile mentire. Invece si mosse rapido ed elegante come quando volteggiava tra i grattacieli e s’infilò con apparente facilità tra le gambe di Wade, appoggiandosi a lui come se il mercenario fosse lo schienale di una poltrona. Ah… per Spidey avrebbe potuto diventare anche una sedia a dondolo. Pun intended.

Era decisamente troppo facile abituarsi a quel tipo di intimità.

Il ragazzo era avvoltolato nel piumone come in un bozzolo, quindi non erano esattamente pelle contro pelle, ma nell’istante in cui si fu accomodato, Wade lo sentì tirare un sospiro. «Come fai a essere così caldo anche quando fuori si gela?» domandò in tono rilassato come se stessero facendo normale conversazione. Come se non si fossero incastrati l’uno nell’altro ore prima e non fossero ancora riusciti a disincastrarsi. Gli parve di essere nel bel mezzo di un’infinita partita di Twister, e Wade stava decisamente perdendo. Non che gli dispiacesse.

Ancora troppo impegnato nel cercare di accettare il fatto che Peter non solo sembrava disposto a stare a stretto contatto con lui, ma che era spesso il primo a iniziare suddetto contatto, Wade rimase in silenzio per un po’. Quando ritrovò la voce si assicurò di darle un tono divertito, canzonatorio. «È per attrarre gli insetti a sangue freddo.»

Non lo vedeva bene in faccia, perché la posizione non glielo permetteva, ma lo sentì sbuffare una risata stanca. «Aracnide!»

«Ehi, pensi che segua solo una dieta fatta di ragni?! Sono un tipo dai gusti facili, io. Basta che abbiano un minimo di tre zampe e non ho problemi.»

Spidey gli diede una lieve gomitata che venne intralciata dagli strati di tessuto e Wade si trovò a desiderare la sparizione del piumone. Per compensare circondò il ragazzo con un braccio, stringendoselo di più addosso. Peter tirò un po’ indietro la testa, appoggiandosi alla sua spalla e lui poté vedere un’ombra di sorriso sul volto giovane, affaticato e arrossato dal freddo. I capelli di Spidey gli solleticarono la pelle, aumentando leggermente il suo fastidio, ma per una volta non gli importò affatto. Avrebbe voluto scattare una fotografia per vantarsi col mondo intero: guardate! Questa persona perfetta ha scelto volontariamente moi, Deadpool!

«Non ti vedo quasi mai fumare» commentò Peter dopo un secondo, allungando gli occhi verso la sigaretta che Wade non aveva ancora finito.

Lui si strinse nelle spalle. «Non è che rischio un tumore ai polmoni!»

«Mi fai fare un tiro?» La voce di Peter era bassa, rilassata. La voce di qualcuno che è perfettamente a proprio agio nella situazione in cui si trova. O di qualcuno ubriaco di sonno.

«Uh? Ok…» Wade sollevò la mano che teneva la sigaretta schermata dal vento, nella parte interna dell’appartamento. Il braccio di Peter emerse quel tanto che bastava ma, invece di prendergliela dalle dita, il ragazzo si appropriò della sua mano intera, afferrandogli il polso con gentilezza e portandosi la sigaretta alle labbra. I polpastrelli di Wade gli sfiorarono il volto gelido, un principio di barba sulle guance, la leggera umidità delle sue labbra, il fiato che si tramutava in vapore a contatto con le cicatrici. Era una delle cose più sexy che Spider-Man avesse mai fatto, e probabilmente ne era del tutto inconsapevole.

Ignaro dei pensieri che vagavano per la mente di Wade, Peter prese una lunga boccata di fumo, cosa che disse al proprietario della sigaretta che non era la prima volta che fumava. Ma poi di che si stupiva? Era tutta la sera che Peter gli dimostrava che non era la prima volta che faceva parecchie cose. Grazie al cielo! Aveva sempre mal sopportato le story-line in cui Peter Parker rimaneva vergine fino ai trent’anni. Che gusto c’era?

Wade socchiuse gli occhi concentrandosi sulla sensazione di averlo per sé, talmente vicino che faceva quasi fisicamente male. Si figurò il fumo che viaggiava nei sentieri interni del corpo di Spider-Man, gli penetrava i polmoni e riemergeva, spandendosi dalle sue labbra alle dita di Wade, sfuggendo nell’aria, svanendo tra le ciglia socchiuse del ragazzo accoccolato contro di lui. O era morto, o stava per morire, perché non c’era nessuna versione della realtà in cui gli sarebbe stata concessa così tanta fortuna, così tanta intimità con qualcuno.

Peter gli lasciò andare il polso per infilarsi di nuovo nella sicurezza delle coperte. «Quindi? Perché non dormi?»

La domanda lo lasciò spiazzato, ma non così tanto spiazzato da impedirgli di lanciare la sigaretta ormai quasi finita nel vuoto alla loro sinistra e trovare un’apertura nel piumone per cercare di toccare più pelle possibile. «Un po’ difficile dormire con te nel letto, bimbo.»

Peter rabbrividì sotto il suo tocco e lui sorrise a mezza bocca.

«Non è la vera ragione, Wade.»

«No?» replicò Deadpool con la vaga sensazione di star per essere messo al muro. «E come lo sai?» aggiunse subito, obbligando Peter a piegare la testa di lato mentre lui affondava il naso nell’incavo del suo collo. Dai meandri delle coperte si spandeva un pigro calore addormentato, l’odore di Peter era il solito miscuglio di acidulo e fresco, come la corteccia di un qualche albero appena piantato. Wade gli piantò le labbra e la lingua contro il collo, cercando di distrarlo; una mano che gli toccava l’addome, i muscoli dello stomaco, la leggera peluria che proseguiva fino al suo inguine. L’altra mano che lo teneva fermo. Peter gli diede pieno accesso, e per un attimo Wade pensò che finalmente avrebbe ricevuto quella smut che tanto si meritava. Ma Spidey non si distrasse.

Sospirando Wade non desistette, ma non fu troppo stupito quando Peter continuò il suo interrogatorio. Vabbe’, la verità era che Deadpool era stato interrogato in situazioni ben peggiori di quella: poteva pur stringere i denti e sopportarlo.

«Non sei il tipo da starsene nudo di fronte al vicinato.»

«Un vicinato addormentato» rincarò la dose Wade, ma le sue parole erano fiacche, attutite dal sapore di Peter sulla lingua. Era qualcosa a cui non avrebbe più potuto rinunciare, già lo sapeva. Era fottuto a così tanti livelli che nemmeno si mise a calcolarli. Be’, almeno quella era una cosa IC. «Non stanno certo a guardare me.»

«DP… parlami. So che tra di noi le cose non sono… sistemate. Non so che altra parola usare.»

Wade sollevò la testa, appoggiandosi di nuovo allo stipite della finestra, tirando l’ennesimo sospiro. «Senza parole, Pete? E io che pensavo fossi un genio.»

Il ragazzo gli mise una mano sull’avambraccio. A Wade sembrò che la pelle gli schizzasse via dalle ossa, ma non fece il minimo movimento per allontanarsi. Pure la pressione di Peter contro il suo petto stava diventando dolorosa… eh, forse non avrebbe dovuto farsi quella doccia bollente.

Ignaro del suo malessere fisico, Spider-Man parlò di nuovo. «La gente mi sopravvaluta, lo sai.»

«Sei solo tu che ti sottovaluti, bimbo.»

«Stiamo cambiando discorso?»

Wade sospirò (quanti sospiri aveva tirato, quella notte?), ma oramai era stato messo con le spalle al muro per davvero e non nel senso più sexy. «Le avevo detto che sarebbe andato tutto bene» dichiarò dopo un secondo, scegliendo accuratamente uno tra i millemila pensieri che gli si arrovellavano nel cervello. «Ad Abby, dico. Lo fai sempre anche tu, quando le cose buttano male per i civili… e ogni volta la gente sembra rassicurata. Quando l’ho detto io però è suonata solo come una bugia.»

Ci fu un secondo di silenzio e Wade riuscì quasi a sentire il sonno svanire di botto dai pensieri del giovane uomo mezzo disteso su di lui. «Sono certo che anche Abby sia stata rassicurata» gli disse Peter dopo un attimo, lentamente. Era lo stesso tono che usava Spider-Man con la gente che salvava. Un tono quasi professionale. Wade sentì il bisogno immediato di distanziarsi da tutto e tutti, ma non si mosse.

«È probabilmente già morta» replicò a mezza voce, il tono altrettanto professionale, distaccato. Il cuore gli batteva rapido contro il petto, ma per un attimo gli parve quasi di vederselo di fronte agli occhi, grondante di sangue, una cosa viscida e inanimata che non gli apparteneva più.

Peter deglutì rumorosamente. «Non puoi saperlo.»

«Vuoi scommettere?»

«Wade…»

«No… meglio non scommettere su poveri bambini morti. Ti sei mai fermato a riflettere sul perché sei così ossessionato dai fratelli Spencer?»

Peter era rigido adesso. La sua mano non aveva abbandonato il braccio di Wade, vi stava aggrappato come se quello fosse l’unico appiglio di fronte a un baratro senza fine, ma Spider-Man non aveva bisogno di appigli: aveva le sue ragnatele a tenerlo su, checché avesse detto poche ore prima. Wade non era così idiota da credere davvero di essere l’unico punto fisso rimasto a uno come Peter Parker. Uno come Peter Parker non aveva bisogno di punti fissi. Era lui il punto fisso.

«Te lo dico io il perché» rincarò la dose Deadpool. «Vuoi sempre aiutare tutti. Vuoi aiutare il mondo intero, vuoi salvare tutti, sempre e comunque e non ti fermi mai a pensare che qualche volta la gente non può essere salvata. Non perché tu non sei abbastanza bravo, o abbastanza veloce, o abbastanza eroe, ma perché nessuno può vivere per sempre.»

«Tu puoi.»

«Eh, bella merda. Non è questo il punto, bimbo. Quello che dico è che… cerchi sempre di prenderti cura di tutti, me compreso.» Ed era quello il punto, non Abby, non il suo senso di colpa con cui avrebbe fatto i conti dopo, come ormai faceva da anni. No, il punto era quella sensazione di calore alla bocca dello stomaco quando Peter era vicino a lui, e pure quando non c’era, a dirla tutta. Quella specie di dipendenza di cui non riusciva a disfarsi. Quel qualcosa che gli impediva di ringraziare Spider-Man per ogni piccola cosa che faceva per lui, ma che rendeva Wade dolorosamente consapevole di cosa sarebbe stata la sua vita senza Peter.

Sentì il ragazzo muoversi appena, forse a disagio, ma non allentò la presa e Peter non cercò di divincolarsi. Avrebbe voluto tenerlo lì per il resto della vita.

«Non cerco di–»

«Non dire stronzate!» sbottò lui con un po’ troppa enfasi. «Pensi che non mi sia accorto che hai cambiato le lenzuola e sistemato questa fogna di casa? E non è nemmeno la prima volta. Oppure pensi che esista tanta gente disposta a togliermi di dosso i vestiti e ripulirmi dalle schifezze che mi ricoprono ogni volta che tiro le cuoia? C’è sicuramente una fila infinita di persone si metterebbe a litigare con Capitan America per me. Ti sei pure messo a fabbricare quella crema per la pelle in laboratorio – tra parentesi, roba pazzesca, che diavolo ci metti dentro? –, ma il punto è… lo fai con tutti. Ti prendi cura di tutti, e non lasci mai che nessuno si prenda cura di te. E quando non riesci a salvare tutti quelli che hanno bisogno di essere salvati ti assumi tutta la colpa. Te lo vedo fare da quando ti conosco. A volte mi chiedo come fai a respirare con tutto quel senso di colpa che ti pesa sulle spalle.»

Wade stava ancora parlando quando Peter sollevò la mano che teneva nascosta tra le coperte e andò a sfiorargli la guancia con le dita. Non si stavano nemmeno guardando e Wade era stato molto attento a modulare la voce perché i suoi veri sentimenti fossero attutiti il più possibile, ma per qualche ragione Spidey sembrava conoscerlo troppo bene per caderci.

E infatti: «Stai proiettando su di me qualcosa che riguarda anche te. E non te lo direi se non ci credessi.»

«No» confermò Wade a mezza bocca. «Sei troppo nobile per dirmi stronzate.»

«Non ti ho mai mentito Wade. Mai. Nemmeno una volta.»

Lo sapeva. Non c’era bisogno che Peter glielo dicesse. Ma non voleva neppure entrare nel cuore di quella conversazione, non voleva ammettere a voce alta quanto quella notte lo avesse segnato. Quanto si era avvicinato all’orlo del baratro dopo il risveglio nella vasca da bagno. Non aveva mentito quando aveva detto che Peter era ormai quasi l’unica cosa al mondo che lo rendeva felice di non riuscire a morire. Ma non si sentiva pronto ad ammettere quanto la sua presenza, quella sera, era stata davvero l’unica cosa in grado di trattenerlo dal perdere del tutto il contatto con la realtà.

I ricordi che Brett aveva risvegliato col suo esperimento da Allegro Chirurgo erano qualcosa a cui Wade preferiva non pensare. E l’idea che Peter avrebbe potuto non essere lì a raccogliere i suoi pezzi lo agghiacciava. Non voleva dipendere così tanto da un altro essere umano, ma ormai doveva iniziare a chiedersi se non fosse troppo tardi per tornare indietro, se Peter non l’avesse del tutto addomesticato. La volpe, il piccolo principe, quelle stronzate là, insomma! Lui, che dopo Vanessa aveva giurato che non avrebbe più permesso a nessuno di entrargli sotto la pelle. Che gran bel fallimento!

«DP…» lo chiamò Peter gentilmente. «Mi hai detto mille volte che il calore non è il massimo per la tua pelle. E stasera ti sei fatto una doccia così calda che usciva il vapore dal bagno.» Si interruppe, come ad attendere di essere bloccato, ma Wade era stanco di combattere e voleva fumarsi un’altra sigaretta. Solo che il pacchetto era lontano e prenderlo avrebbe significato spostare Spidey via da lui e non voleva perdere il contatto fisico. Dio, com’era diventato patetico!

«Mi sono fatto una doccia, sì» ammise dopo un attimo, dato che l’altro sembrava aver perso il dono della parola.

Peter si mosse quel che bastava per guardarlo da sotto in su. Un lampo di iridi scure, ciglia folte, cerchi neri attorno agli occhi. Cristo, ma perché era così perfetto? «So cosa vuol dire avere l’impressione che il sangue non si tolga mai di dosso.»

«Ah, sì» commentò Wade in tono amaro, distogliendo lo sguardo. «Immagino quanta gente hai fatto fuori, amichevole Spider-Man di quartiere.»

L’altro scosse appena il capo. La mano contro il volto di Wade era gelida, un toccasana per la sua pelle infiammata. «Non il loro sangue, Wade… il mio. Il tuo, in questo caso. Lo vedo quando rimani ferito. È vero che guarisci, ma ci sono cose che corrono più a fondo di una ferita fisica.»

«Pete…»

«Perché pensi che ti abbia fatto portare via dal posto in cui quel tizio ti ha––?» non concluse mai la frase, ma non ce n’era bisogno. «Sapevo che non sarebbe stato un bel risveglio. E sì, mi prendo cura di te, come fai tu con me. E tu lo fai da così tanto tempo che è diventato quasi naturale, mentre è una cosa che non dovrei mai dare per scontata.»

Wade avrebbe voluto rispondere qualcosa di pungente, qualcosa di irriverente. E invece se ne rimase zitto. Perché era vero che aveva passato lunghi minuti sotto l’acqua bollente a strofinarsi via l’impressione delle mani guantate di Brett. Perché sulle dita vedeva ancora il sangue di Abby, per la quale nutriva ancora una piccola speranza, checché avesse appena detto a Spider-Man. Perché l’acqua calda e il dolore che l’accompagnava trascinavano nello scarico il sangue invisibile assieme alla sensazione disgustosa delle ossa che si spezzavano e delle mani che scavavano dentro di lui e gli portavano via qualcosa che gli apparteneva.

«Quindi» continuò Spider-Man come se non ci fosse mai stato un lungo momento di silenzio. «Lascia che mi prenda cura di te. Te lo devo.»

Wade deglutì. «Me lo devi? Non mi pare molto romantico.»

«Sai cosa voglio dire.»

«Per mia sfortuna, so sempre cosa vuoi dire, bimbo» replicò subito lui, rinfacciandogli le parole che Peter gli aveva rivolto quella fatidica sera di fronte al murales di Tony Stark.

«E allora torna a letto» disse subito il ragazzo, voltandosi finalmente a guardarlo. Gli mise una mano all’altezza del cuore, laddove la pelle di Wade era più infiammata e bruciava al tatto. Come riuscisse a toccarlo in quel modo semplice, naturale, rimaneva un mistero. «Ti aiuterò a dormire.»

Avrebbe voluto rifiutare, ma gli occhi grandi e spalancati di Peter lo obbligarono ad annuire lentamente. Era impossibile dirgli di no. «Dovresti andartene sempre in giro senza maschera, Pete. Una sola occhiata come questa farebbe inginocchiare tutti i criminali di New York.»

Ignorandolo, Peter si alzò in piedi stiracchiandosi e tirandolo per un braccio, il piumone che gli pendeva floscio dalle spalle. «Dov’è che tieni quella stupida crema? Cristo, mi hai fatto quasi congelare!»

«Cosa hai intenzione di fare? Non sei pronto per Deadpool Junior, bimbo… credimi. Ti reggi a malapena in pieni. Domani ti dondoleresti tutto strano e la gente inizierebbe a farsi delle domande.»

Peter gli lanciò contro il primo oggetto che gli capitò sottomano. Era un telecomando. «Perché devi sempre fare così schifo?»

«È un talento naturale» replicò Wade, mentre chiudeva la finestra e udiva l’altro che trafficava in bagno. La sua pelle rimpianse immediatamente il vento gelido, ma sapeva anche lui di dover cercare di dormire almeno un paio d’ore. E in più voleva cercare di togliere di dosso a Peter quella cazzo di coperta.

Andarono in camera, con il ragazzo che praticamente lo spinse dentro, la testa mezza nascosta dal piumone. Wade allungò le mani aprendole e chiudendole a pugno per fargli cenno di avvicinarsi, ma non ottenne altro che di essere spinto sul letto.

«Aggressivo, Spider-Man?»

L’altro gli rivolse un sorriso che avrebbe voluto essere ammiccante o roba simile, ma che risultò essere solo un po’ maldestro. «Non mi conosci ancora, Deadpool».

Wade avrebbe voluto mangiarselo. Invece rimase fermo, mezzo seduto e mezzo disteso, a fissare quel ragazzo pazzesco che per qualche ragione trovava normale e sano dividere il letto con lui. Aveva pensato che Peter si sarebbe svegliato in preda ai sensi di colpa, e invece ce l’aveva ancora davanti, la coperta che ormai non lo copriva più, un paio di boxer che non ricordava di avergli mai prestato e un barattolo tra le mani che cercava di aprire nonostante il tappo scivoloso. Wade lo fissò nella penombra. L’aveva già visto senza vestiti prima di allora, e in ogni caso la tuta di Spiderman non nascondeva poi molto, ma l’assoluta tranquillità con cui gli si mostrava lo lasciava a bocca aperta. Era qualcosa che parlava di fiducia assoluta e c’erano davvero poche persone che si fidassero di lui a tali livelli. Forse nessuno.

«Che vorresti fare?» gli domandò, anche se ne aveva già una mezza idea. La cosa lo stuzzicava, e allo stesso tempo lo terrorizzava. Ma Wade Wilson era un vero uomo™ e avrebbe sopportato qualsiasi cosa da Spider-Man.

«Aloe, menta, verbena e camomilla, ah, e l’olio di mandorle e lavanda.»

Wade lo fissò senza capire. «Prego?»

Peter finalmente riuscì ad aprire il barattolo e immerse due dita nella mistura. «Sono alcuni degli ingredienti che uso per questa roba. Ne ho un barile pieno in laboratorio, ma non mi hai mai dato un feedback decente, quindi non sapevo se ti stava aiutando oppure no.»

Era davvero disposto a lasciare che Peter gli spalmasse addosso quella roba, visto che quella sembrava essere l’idea? Wade l’aveva usata da solo più volte e aiutava davvero, ma lasciarlo fare voleva dire lasciagli toccare la sua pelle disastrata per parecchio tempo e non era sicuro di…

Qualcosa di quei pensieri dovette trasparire sul suo volto, perché Peter si chinò un poco su di lui con un sorriso esausto. «Sarò gentile» lo rassicurò. «Non ti farà male.» Glielo disse con lo stesso tono che avrebbe potuto usare con un animale ferito. Non ti farei mai del male, gli dicevano quegli occhi enormi, sgranati su una faccia che a volte riusciva ad essere ancora infantile. Lascia che mi prenda cura di te… lascia che ci prendiamo cura l’uno dell’altro.

«Tutta questa faccenda sta diventando un po’ troppo hurt/comfort per i miei gusti» borbottò Wade lasciandosi cadere del tutto sul letto, vagamente consapevole di non avere la sua tuta addosso, così come lo era stato per tutta la sera. Come lo era sempre quando si trovava in abiti civili (o mezzo nudo). Avrebbe voluto la protezione della maschera di Deadpool, ma allo stesso tempo la sola idea di avvicinare la sua pelle infiammata alle cinghie e alle cerniere del costume lo fece rabbrividire. Era una delle reazioni peggiori che ricordava di aver mai avuto e si fece un appunto mentale di scuoiare vivo Brett, se l’avessero mai trovato.

Poi Peter si spalmò la crema sulle mani e iniziò ad applicargliela gentilmente sul petto, all’altezza del cuore, e Wade socchiuse gli occhi quasi all’istante. Era mille volte meglio del nevischio e del vento gelido. Era mille volte meglio di molte altre cose, a pensarci bene.

Sbirciò il giovane uomo che torreggiava sopra di lui con circospezione, cercando nei suoi lineamenti un minimo senso di disgusto, l’accennato desiderio di allontanarsi, di smettere di toccare quella pelle rovinata e in costante mutazione, le piaghe che si ricucivano da sole, il tessuto cicatriziale bianco e antico in alcuni punti, e rosso e tenero in altri. Un patchwork d’uomo, un mostro di Frankenstein dei tempi moderni.

Peter però si limitò a sorridere, premendo con entrambi i pollici per sciogliergli un nodo nei muscoli. «Dovresti rilassarti di più, DP. La tensione è causa primaria di infarti.»

Wade gli carezzò la parte esterna della coscia proprio sotto al sedere, l’unico punto che avrebbe potuto raggiungere senza muoversi troppo. «Vieni quaggiù e ti faccio vedere come mi rilasso.»

Lo sentì ridere a distanza, perché in qualche momento di quel trattamento aveva chiuso davvero gli occhi del tutto, concentrato sulla sensazione straniante delle mani del ragazzo su di sé, la frescura della lozione, la tensione che effettivamente lasciava il suo corpo. C’era nell’aria un vago odore di menta e il peso di Peter che mosse il materasso quando si arrampicò vicino a lui quasi non lo disturbò. Wade ebbe a malapena la forza di socchiudere gli occhi: non si era reso conto di essere così esausto. Eppure, quando il giovane si sistemò avvoltolandosi tra le coperte e allungò i piedi gelidi per incastrarli tra le sue gambe, in automatico Wade si allungò di lato e cercò la sua bocca fresca. La sensazione effimera e deludente di quel bacio sul tetto fu finalmente dissipata del tutto dalla semplicità con cui Peter gli diede accesso, bisbigliando il suo nome, come una carezza, una mezza preghiera.

Come se Wade valesse davvero qualcosa. 

Note: Titolo del capitolo tratto da Teeth, dei 5 seconds to Summer
  
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