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Autore: FluffyHobbit    30/03/2022    2 recensioni
[Un Professore]
[Un Professore]Sequel di "Tu non innamorarti di un uomo che non sono io"
Dal testo:
"Non vedo l'ora che arrivi stasera, 'o sai?"
[...]
"Ma se siamo svegli da tipo cinque minuti…"
[...]
"Sì, ma oggi è una giornata speciale e stasera lo sarà ancora di più."
Genere: Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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"Manuel!"

Esclamò sorpreso, senza riuscire a trattenersi. Manuel gli rivolse uno sguardo veloce e un rapido sorriso, era il suo modo per dirgli di pazientare ancora un attimo.

"Ma che, sta pure legato? Togligli le manette, Zucca."

Disse deciso, guardando l'uomo senza un briciolo della dolcezza che fino ad un istante prima aveva rivolto a Simone.

"Nun se ne parla nemmeno, è già tanto che t'avemo fatto entra’ qua."

Zucca fece per andarsene, ma Manuel gli si parò davanti come un toro che partiva alla carica.

"Ti ho detto che gliele devi togliere. O mi vuoi dire che lo dovete tene' attaccato come quelle povere bestie che tenete fuori, perché non sapete gesti' un ragazzino?"

"Stai tirando un po' troppo la corda, attento che se spezza."

Ringhiò Zucca in risposta, ma fece comunque ciò che Manuel gli aveva detto.

Simone finse di volergli dare una testata, sfidando l'uomo di fronte a lui, un po' a sottolineare le parole che aveva detto Manuel. La sua sola presenza lo faceva sentire più forte, più vivo.

"Scherza tu, scherza, tanto poi queste te le rimetto."

Esclamò l’uomo, agitandogli le manette davanti agli occhi.

Manuel sorrise sghembo alla scena, preferendo però non commentare per non tirare ulteriormente la famosa corda. Non era il momento di fare una gara d'ego.

"Hai visto? Aveva paura che gli facessi nero anche l'altro occhio."

Disse soddisfatto Simone, quando finalmente rimasero soli. Manuel lo guardò sorpreso per un attimo, poi gli rivolse un sorriso furbetto, fiero di lui.

"Ah, ma allora sei stato tu! Ti meriti un premio per quest’azione valorosa!"

Si avvicinò rapidamente a Simone, posò lo zaino a terra e si sedette accanto a lui. Non volendo perdere altro tempo, subito catturò le sue labbra tra le proprie in un morbido bacio, come prima cosa. Come seconda cosa, avvicinò le mani a quelle del suo ragazzo, avendo notato che fino ad un attimo prima si stava massaggiando i polsi.

"Posso?"

L'altro annuì e Manuel avvolse con delicatezza i polsi di Simone tra le proprie dita, cominciando a fare dei piccoli massaggi circolari.

"Dimmelo se ti faccio male."

Non era poi così improbabile, dal momento che le manette lo avevano riempito di graffi. Simone, però, non sembrava sofferente, almeno a giudicare dal suo meraviglioso sorriso.

"Non potresti mai."

Si allungò a dargli un altro bacio, ora che poteva, e poggiò la fronte sulla spalla di Manuel. Restò così per un po', a lasciare che il suo ragazzo continuasse con quei piccoli massaggi, ma ad un certo punto volle di più.

"Mi sei mancato."

Sussurrò, facendo scivolare via le mani da quelle di Manuel per poterle portare dietro di lui e stringerlo in un abbraccio. Fu doloroso per i suoi muscoli indolenziti, ma ne valse la pena.

"Anche tu, Simo', anche tu. Mi manchi ogni giorno…"

Manuel avvolse subito con le braccia la sua metà che da troppo tempo era lontana, stringendola al proprio petto per far incontrare di nuovo i loro cuori.

Simone scoppiò a piangere, travolto da quell'amore, e per la prima volta da quando era lì si lasciò libero di singhiozzare, non gli importava di essere sentito da Sbarra.

"Senza di te, non so nemmeno distinguere i giorni...mi sento impazzire, Manuel. Se non dovessi farcela ad uscire di qui..."

Mormorò tra i singhiozzi, dopo un po', tremando come un bambino tra le braccia del suo ragazzo.

Manuel lo strinse di più a sé, perché al momento non poteva fare altro. Avrebbe dato tutto se stesso per fare in modo che quell’abbraccio bastasse a proteggere Simone da tutto e da tutti. Quelle parole furono per lui come spine conficcate nel cuore e se fino a quel momento era riuscito a trattenere il pianto -pensava che tra loro due soltanto Simone avesse il diritto di piangere e poi lo conosceva, se lo avesse visto singhiozzare si sarebbe preoccupato per lui trascurando se stesso-, lacrime calde cominciarono a scorrergli sulle guance. Anche lui aveva un tremendo bisogno di quell'abbraccio.

"No, Simo', non le devi manco pensa' queste cose, hai capito? Tu da qua ci uscirai con le tue gambe e presto, anche."

Era una promessa che stava facendo a Simone, ma era anche un impegno che ricordava a se stesso. Proprio mentre si recava allo sfascio, aveva cominciato a sviluppare una specie di piano per salvare Simone e anche se doveva ancora parlarne con Claudio, si sentiva un po' più sicuro in quella sua promessa.

Per Simone era facile non pensare a quelle cose adesso che era stretto da Manuel, piccolo piccolo tra le sue braccia, ma diventava molto più difficile quando lui era lontano.

"Portami via adesso, ti prego. Non ce la faccio più…"

Implorò, sollevando il capo quanto bastava per guardarlo negli occhi. Per Manuel quegli occhioni pieni di lacrime e di dolore erano una tortura, ma non osò spostare lo sguardo. Anche volendo, comunque, non ci sarebbe riuscito.

"Non posso, adesso non posso...me dispiace, Simo'."

Sussurrò, la voce rotta sotto il peso della colpa. Cominciò a baciargli il viso bagnato, sperando che potesse essergli di qualche conforto, ed in qualche modo funzionò perché le lacrime, così come erano arrivate, piano piano si arrestarono. Manuel però non mise fine ai suoi baci, almeno non fino a quando sentì Simone allentare la presa intorno al suo busto, segno che era un po' più calmo, adesso.

"Grazie...e scusa."

Mormorò, facendo una carezza sul fianco di Manuel. Sapeva perfettamente che l'altro, se avesse potuto, lo avrebbe tirato fuori di lì già da giorni e che quindi se non lo aveva ancora fatto aveva i suoi motivi, non avrebbe dovuto fare quell'assurda richiesta.

"No, Simo', questa è un'altra cosa che non devi nemmeno pensare. Non hai niente per cui chiedere scusa."

Lo guardava negli occhi -ancora lucidi-, determinato. Era assurdo, per lui, che Simone, perfino quando era indiscutibilmente la vittima, trovasse un qualche motivo per cui scusarsi. Si era scusato per aver mostrato a Chicca la sua foto con Alice, nonostante Manuel se lo fosse meritato per tutta la sofferenza che gli aveva causato, ed ora si stava scusando per aver espresso una sua paura, una paura che lui provava per colpa sua.

"Sono io che devo chiedere scusa a te, è a causa mia se adesso stai qua. Ho trascurato un lavoro per Sbarra e lui s'è vendicato. Non devi scusarti per ciò che provi, non dipende da te."

Prese una mano di Simone e, sollevandola cautamente, la portò alle labbra, baciandola con devozione. Simone accennò un sorriso e gli accarezzò l'arco di Cupido con il pollice.

"E perché hai trascurato questo lavoro?"

Chiese con dolcezza, per niente inquisitorio. Aveva già un'idea della risposta, perché Manuel nell'ultimo mese non aveva fatto altro che passare del tempo con lui, ma voleva che lo dicesse. Non per sentirselo dire, ma perché Manuel ascoltasse se stesso.

"Perché ho preferito stare con te. Non riuscivo a starte lontano."

Manuel sorrise imbarazzato nel dare quella risposta, un imbarazzo piacevole che nasceva dall'amore, quello delle farfalle nello stomaco.

"Allora non devi scusarti nemmeno tu. Va bene così."

Il sorriso di Simone si fece più ampio mentre andava ad abbassare la mano e la sostituiva con le proprie labbra.

Manuel avrebbe voluto ribattere che non era esattamente come diceva lui, ma Simone come sempre sapeva metterlo a tacere.

"Hai il brutto vizio d'esse’ troppo buono con me. Per quello che ti sto facendo passare, dovrei scusarmi fino alla fine dei tempi e manco basterebbe."

Mormorò Manuel sul suo viso, mentre i loro respiri affannati si intrecciavano.

Simone scosse appena il capo, più testardo dell'altro.

"Ti ricordi cosa ci siamo detti…"

Chiuse gli occhi per un istante, non voleva dire 'il giorno in cui mi hanno rapito' e si prese un attimo per cercare un’alternativa. Quando li riaprì, erano velati di malinconia.

"...la mattina del nostro mesiversario?"

Non era un riferimento meno doloroso, dal momento che non avevano avuto occasione di festeggiare, ma era pur sempre meglio di ricordare quella forzata separazione che ancora gravava su di loro.

Manuel annuì, anche lui con gli occhi coperti dallo stesso velo. Certo che si ricordava, ricordava ogni minuto di quella mattina splendida. Così come ricordava ogni istante di quella terribile sera.

"Sì, ti ho promesso che avrei trovato una soluzione con Sbarra, che avrei chiuso. Certo, avrei dovuto pensarci prima…"

Simone, con un certo sforzo, prese il viso di Manuel tra le mani. Le sue guance erano ancora un po' bagnate e lui aveva tutta l'intenzione di far andare via le lacrime da quel volto amato. La barbetta dell’altro gli solleticava la pelle, una sensazione di cui non si sarebbe stancato mai.

"Avevi già iniziato a farlo, solo che io non lo sapevo e tu non te ne rendi conto nemmeno adesso. Hai scelto noi, non devi scusarti per questo."

Manuel sollevò una mano per poggiarla su una di quelle di Simone ed accarezzarla. Di solito scherzava sul fatto che quelle mani fossero quasi più grandi della sua faccia, ma apprezzava sempre tantissimo sentirle su di sé. Accennò un sorriso mesto, continuava a pensare che Simone lo stesse perdonando troppo facilmente.

Simone intercettò quei pensieri dietro i suoi occhi e alzò i propri verso il cielo per un istante.

"Senti, hai scelto me al posto di Sbarra, qualsiasi fidanzato sarebbe contento, no?"

Disse divertito e Manuel, a questo punto, non poté fare altro che mettere da parte i propri pensieri e ridere.

"Ma te da quando sei così cazzaro? Pure prima, con Zucca, che hai fatto finta de dargli una testata…"

Simone ridacchiò, facendo spallucce.

"Non saprei di preciso, da quand'è che ti conosco?"

Manuel rise di nuovo e Simone si unì alla sua risata in un attimo. L'ultima volta che le loro risate avevano riempito una stanza erano in camera di Simone -che ormai era di Simone e Manuel- a scambiarsi baci illegali e nessuno di loro due sapeva che sarebbe stata l'ultima. L'ultima fino a quel momento, almeno.

"Allora vedi che avevo ragione? Ti ho fatto diventare meno stronzo!"

Esclamò Manuel, tra gli strascichi della sua stessa risata. Simone lo guardò sollevando un sopracciglio, con lo stesso divertimento.

"Potrei dirti la stessa cosa, anzi te la dico! Ho risolto la domanda Manuelica."

E Manuel, allora, si sporse a dargli un bacio a fior di labbra.

"Manuel ringrazia."

Sussurrò, innamorato. Gli diede un altro bacio, poi si spostò quanto bastava a prendere lo zaino. Era andato lì con uno scopo preciso, in fin dei conti.

"Senti, io non so per quanto tempo Sbarra mi farà ancora stare qua, che ne dici di mangiare un attimo prima di riprendere a fare i cazzari?"

Simone sgranò gli occhi, sorpreso. Non se lo aspettava, ma in fondo era piuttosto stupido da parte sua non aspettarsi che Manuel facesse una cosa del genere.

"Mi hai portato da mangiare?"

"Certo! Che, te pare che te lasciavo digiuno?"

Aprì lo zaino, allungando per prima cosa a Simone una bottiglietta d'acqua dopo avergliela aperta. A Simone non passò inosservata quella premura, che gli fece nascere un sorriso sulle labbra. Era così facile sorridere, quando stava con Manuel.

"Allora, lo chef propone panini pollo e insalata, prosciutto e formaggio, salmone e maionese. Premesso che te li devi magna' tutti altrimenti lo chef s'offende, da quale vuoi cominciare?"

Simone si prese qualche momento per bere -moriva di sete, neanche a dirlo-, poi poggiò la bottiglietta a terra e fece spallucce.

"Scegli tu, per me è uguale."

Manuel annuì e tirò fuori la busta con i panini, tutti accuratamente avvolti dalla pellicola da cucina. Opera di Claudio, ovviamente, lui di solito ci litigava con quella roba.
Simone fece una risatina quando li vide.

"Questi non sono panini, sono bastoni! Ma quanto sono grandi, scusa?"

Manuel alzò gli occhi al cielo.

"Scusami, devo essermi perso un passaggio: per caso qua te servono arrosto tutti i giorni?"

Simone scosse il capo, con un sorriso appena accennato sul volto.

"No, non lo fanno…"

"Eh, allora non protesta' e magna, che ne hai bisogno."

Manuel gli parlò con gli occhi che traboccavano di premura e si sporse a dargli un bacio a fior di labbra. Avrebbe voluto poter fare di più.

"Grazie, Paperotto."

Sussurrò Simone, con dolcezza, e l'altro gli sorrise di rimando. Tentò poi di sollevarsi un po' sulle braccia per sistemarsi meglio contro il muro e il suo volto si contrasse in una fitta di dolore. In un attimo Manuel gli fu accanto per sostenerlo.

"Oh, che c'è?"

Chiese preoccupato, anche se poteva immaginare la risposta. Simone sospirò profondamente, in attesa che le fitte passassero.

"C'è che mi fa male ovunque. Che rugbista penoso che sono, eh?"

Rispose con un'autoironia che aveva il sapore della rassegnazione e Manuel si sentì morire dentro. Se avesse potuto, avrebbe scambiato il proprio corpo con il suo, per farsi carico del suo dolore.

"No, neanche un po'. Tranquillo, dai, poggiati a me."

Si sistemò dietro di lui, cautamente, e con delicatezza lo aiutò a poggiare la schiena sul suo petto. Simone sospirò sollevato a quel contatto, il petto di Manuel era decisamente più comodo del muro.

"Peso?"

Domandò, sollevando lo sguardo verso il suo ragazzo. Manuel scosse il capo, sorridendo dolcemente.

"Simo', è il vuoto che pesa, non tu. Te sei il peso più leggero del mondo."

Sussurrò, facendogli una carezza tra i corti ricci che ricadevano sulla fronte.

"Adesso mangia, così starai meglio."

Gli allungò un panino, dopo avergli tolto un po' di pellicola. Simone lo prese, ma non iniziò a mangiare subito, prima lo fissò per qualche secondo.

"Però non posso mangiare da solo, è deprimente, no?"

Disse, ripetendo più o meno le parole che Manuel gli aveva detto la prima volta che avevano cenato insieme. Aveva una gran fame, non poteva negarlo, ma il bisogno di condividere un pasto con Manuel era ancora più forte. Per lui significava un piccolo ritorno alla normalità, gli dava speranza.

Manuel accennò un sorriso, riconoscendo la sua stessa citazione, e poi fece un profondo respiro. Intuiva le motivazioni che spingevano Simone a fargli quella richiesta, anche lui aveva voglia di normalità.

"Sei te che hai bisogno de magna', non io, però...dai, damme un pezzetto, così ti faccio compagnia."

Simone sorrise a trentadue denti, estremamente grato, e spezzò un pezzo di panino per darlo al suo ragazzo.

Mangiarono in silenzio, Simone era troppo affamato per parlare e Manuel si prese quel tempo per osservare Simone, mentre gli accarezzava un fianco con una mano, delicatamente. Si accorse solo in quel momento che l'altro non indossava più la tuta degli allenamenti e non era neanche sporco come l'ultima volta che l'aveva visto. Si accigliò leggermente, perplesso, ma se Simone aveva avuto la possibilità di lavarsi, ne era contento.

"Ma dimme 'na cosa, t'hanno fatto lava'?"

Chiese mentre gli porgeva il secondo panino.

Simone ebbe un attimo di esitazione, non sapeva se dirgli proprio tutto. Per lui non era stata un'esperienza piacevole, anche per le cose che aveva sentito dire a Sbarra e a Zucca, ma non voleva far preoccupare ulteriormente Manuel.

"Sì, mi hanno portato a fare una doccia."

Rispose sbrigativo, dando subito un morso al pane per avere la bocca occupata. A Manuel quella reazione non convinse.

"Simo, t'hanno fatto qualcosa? Ti prego, se è successo qualcosa me lo devi dire…"

Simone scosse il capo, per poi buttare giù il boccone. Il problema era che se gli avesse riferito i commenti che quei due avevano fatto su di lui, sul suo corpo, Manuel avrebbe fatto il pazzo e si sarebbe messo nei guai.

"No, no, non mi hanno fatto niente, tranquillo."

In fin dei conti non era nemmeno tanto una bugia, materialmente Sbarra e Zucca non l'avevano neanche sfiorato.

"È stato solo un po' imbarazzante, ma...niente di grave, non ti preoccupare."

Manuel spostò leggermente il capo per osservare la sua espressione, per cogliere in quegli occhi grandi e bellissimi le parole che la bocca di Simone non pronunciava. Simone, però, teneva lo sguardo basso, fisso sul panino, e Manuel non poté vedere molto. Tornò sospirando nella posizione di prima e poggiò le labbra tra i ricci morbidi del suo ragazzo.

"Sei coraggioso, lo sai?"

Sussurrò dolcemente, riprendendo anche ad accarezzargli il fianco. Simone si sentì avvampare per l'imbarazzo, lui non si sentiva affatto così.

"Che c'entra adesso, scusa?"

"Lo so io cosa c'entra. Tu cerca di non dimenticarlo, me lo prometti?"

Gli diede un altro bacio tra i capelli, poi un altro ancora. Simone si sentiva al sicuro tra tutte quelle premure, poggiato a quel corpo che era il suo posto sicuro, il suo punto fermo. Il suo coraggio, che lui non vedeva - ma Manuel sì- proveniva senz'altro da lì.

"Te lo prometto, se anche tu mi prometti di non dimenticarti del tuo, di coraggio."

Manuel preferì non rispondere, limitandosi a posare qualche altro bacio tra quei ricci morbidi o ad accarezzarli con la punta del naso. La verità era che lui era soltanto un codardo, aveva paura di perdere Simone e quella paura lo paralizzava, gli impediva di affrontare Sbarra come avrebbe dovuto per paura -ancora una volta- di peggiorare le cose. Una persona con un po' più di fegato avrebbe corso il rischio, lui invece era impantanato.

Simone spostò leggermente il capo, sottraendosi quindi a quelle carezze, per guardarlo. Se Manuel restava in silenzio, voleva dire che era la sua testa a parlare.
"Non ci pensare, non è vero."

Manuel distolse lo sguardo, puntandolo verso il suo zaino poco distante. Cazzo, era incredibile il modo in cui Simone sapesse sempre leggergli dentro.

"Adesso sai leggere anche nel pensiero?"

Sorrise mestamente. Non era sulla difensiva, quei giorni erano finiti da tempo, era solo genuinamente sorpreso.

"Beh no, nel pensiero no, però nei tuoi silenzi...sì, diciamo che in quelli ho imparato a leggere qualcosa. E sto leggendo una cosa che sinceramente non mi piace."
Rispose Simone, paziente. Da quando stavano insieme Manuel gli parlava molto di più, gli raccontava ciò che provava e ciò che gli passava per la testa, ma c'erano ancora dei momenti -come questo- in cui si chiudeva in se stesso e le sue parole, se anche c'erano, non significavano niente. Simone aveva imparato a leggere tra le righe e aveva capito ad esempio che un 'chi me li passa i compiti di matematica?' significava in realtà 'torna, mi manchi da morire' e che un silenzio come quello era soltanto una richiesta d'aiuto.

"Me spiace, la prossima volta te porto qualcosa de più avvincente."

Manuel fece un respiro profondo e tornò a guardare Simone, per cercare di capire come lo vedeva lui. Si sentiva una persona migliore, negli occhi dell'altro.

"Tu cosa cambieresti?"

Sussurrò poi, quasi impercettibilmente. Simone gli prese la mano libera -quella non impegnata ad accarezzargli il fianco- nella propria.

"Cambierei il modo in cui ti vedi. Nemmeno io mi sento coraggioso, anch'io ho tanta paura, eppure per te lo sono e allora ci credo anch'io. Perché per te non può essere lo stesso?"

Manuel, istintivamente, strinse la sua mano, come se potesse bastare a scacciare via le sue paure.

"Perché tu stai affrontando le tue paure ogni cazzo de giorno, mentre io non lo riesco a fare. Se avessi affrontato Sbarra a muso duro, invece di assecondare le sue stronzate, adesso tu saresti già fuori di qui."

"O magari saremmo morti entrambi. Se l'avessi fatto, ti saresti trovato ad affrontare non solo Sbarra, ma anche tutti quelli che lavorano per lui. So che la matematica non è il tuo forte, però di sicuro capisci anche tu che saresti stato in inferiorità numerica, no?"

L'altro ragazzo accennò una risatina, poi scrollò le spalle.

"Avrei potuto chiamare la polizia, però."

"Mh, e perché non l'hai fatto?"

"Perché... perché Sbarra se ne sarebbe accorto e chissà cosa ti avrebbe fatto."

Simone gli sorrise, dandogli poi un bacio sulla guancia.

"E allora vedi che anche tu stai affrontando le tue paure ogni giorno? Pensa che in fin dei conti avresti anche potuto abbandonarmi, dopotutto stiamo insieme solo da un mese…"

Fu volutamente provocatorio con quella sua ultima frase, sapeva bene che Manuel non lo avrebbe mai abbandonato, ma voleva davvero che capisse quanto a fondo si spingesse il suo coraggio.

Manuel, pur cogliendo la provocazione e comprendendo il suo significato, sentì il bisogno di avvolgere Simone tra le braccia per fargli capire che no, quella non era un'opzione.

"No, questo non è proprio possibile. Questo mese è stato il più bello della mia vita, tu sei la cosa migliore che mi sia capitata nella mia vita e non ti abbandono, non lo dire neanche per scherzo."

Simone ridacchiò, mentre le sue guance si coloravano di rosso per quella dichiarazione inaspettata, che il suo cuore ricambiava con tutto se stesso.

"Allora hai capito cosa volevo dire?"

Manuel annuì in risposta, dandogli un bacio sulla guancia arrossata. Era anche un po' più calda, sotto le sue labbra.

"Sì, ho capito, mi hai convinto e ti ringrazio. Adesso però torna a magna', su!"

Simone fece una risatina e aprì l'altro panino, dando subito un bel morso.

"Per inciso, comunque, è tutto ricambiato, solo che tu ovviamente lo sai dire meglio."

Manuel sorrise sghembo, spostandosi a posargli un bacio sul collo. Era un modo per ringraziarlo.

"Anche te non sei stato male con le parole, però. Attento, che da matematico a filosofo è un attimo!"

"Ah no, per carità, basti tu! Appena torniamo a casa, ti faccio vedere se non sono un matematico!"

Ribatté divertito Simone, stando attento a non strozzarsi con il cibo.

Manuel gli diede un altro bacio sul collo, gli piaceva quella prospettiva, soprattutto la parte in cui sarebbero tornati a casa. Doveva crederci.

"Mh, non vedo l'ora."

Sussurrò sulla sua pelle e sentì distintamente l'altro ragazzo fremere. Decise di lasciarlo in pace, non era proprio il luogo adatto per mettersi a provocarlo, quindi tornò ad appoggiarsi al muro e lasciò che Simone finisse i panini indisturbato facendogli soltanto qualche carezza sul fianco. A quelle non poteva proprio rinunciare e anche Simone la pensava allo stesso modo. Stare così, con Manuel, aveva perfino attutito le vertigini.

"Erano boni i panini?"

Simone bevve un po' d'acqua, poi annuì.

"Boni come chi li ha preparati."

Rispose, volendo fare un po' il marpione. Manuel alzò un sopracciglio, divertito. Era positivo il fatto che Simone volesse giocare un po', voleva dire che tutto sommato stava bene.

"E allora ce sta un problema, perché li ha preparati Claudio. Come la mettiamo?"

Simone sorrise sghembo, rivolgendo a Manuel uno sguardo di sfida. Quanto gli erano mancati quei momenti di leggerezza.

"Io non vedo nessun problema, onestamente."

Replicò tagliente e Manuel trattenne a stento una risata.

"Cioè aspe', me stai dicendo che Claudio è bono? Più di me?"

Esclamò, fingendosi incredulo ed offeso. Nel frattempo, però, non aveva smesso un attimo di accarezzare Simone.

"Bono è bono, su questo non puoi dire niente."

Fece volutamente una pausa, solo per godere ancora un attimo della finta espressione offesa del suo ragazzo. In realtà, dalla luce nei suoi occhi, poteva vedere che era sul punto di scoppiare a ridere. Si stava anche mordicchiando l'interno delle guance, proprio per evitare la risata.

"Ma non lo è più di te, questo no. Tu sei il ragazzo più bello e più dolce di tutta Roma e io sono tanto innamorato di te. Solo di te."

Manuel si sciolse in un tenero sorriso, di quelli che secondo Simone potevano illuminare la notte, e sentì i propri occhi inumidirsi. Prima di incontrare Simone, nessuno gli aveva mai detto che fosse dolce, anzi molto spesso gli veniva detto che era uno stronzo. Forse, però, il motivo stava nel fatto che soltanto da quando aveva conosciuto Simone aveva abbassato le difese e aveva permesso alla propria dolcezza di venire fuori.

"E qua ce sta n'altro problema, perché anche io sono tanto innamorato del ragazzo più bello e più dolce de tutta Roma e no, sono sicuro che parliamo di due persone diverse. Che se fa?"

Simone scoppiò a ridere, ma presto quella risata venne interrotta da un violento attacco di tosse che lo fece scattare in avanti. Manuel si protese verso di lui immediatamente, preoccupato.

"Tranquillo, oh, calmo…"

Gli fece qualche carezza sulla schiena in attesa che l'attacco passasse, poi gli porse la bottiglietta in modo che si rinfrescasse la gola. Simone bevve avidamente, fino a svuotarla. Per fortuna Manuel ne aveva portate altre.

"Tutto bene, Simo'?"

L'altro annuì, schiarendosi poi la voce.

"Senti, mi potresti aiutare ad alzarmi un po'? Voglio sgranchirmi le gambe…"

“Certo, aspetta…”

Lo scostò delicatamente da sé, poi si accovacciò accanto a lui per aiutarlo a mettersi in piedi. Simone contrasse il volto in un’espressione di dolore e mugolò, aggrappandosi a lui con tutta la forza che aveva.

“Piano, piano, piano…”

Sussurrò l’altro, sostenendolo saldamente. Il suo viso era il ritratto della preoccupazione, Simone era conciato peggio di quanto pensasse.

“Solo un attimo…”

Mormorò Simone mentre poggiava il capo sulla spalla di Manuel, aveva di nuovo le vertigini. L’altro ragazzo sospirò e mise una mano tra i suoi capelli, accarezzandolo lentamente.

“Tutto il tempo che vuoi, non ti preoccupare. Ce sto io, ok?”

Simone accennò un sorriso, grato, e si prese tutti gli attimi che gli servivano. Quando si sentì pronto, fece cenno a Manuel di voler cominciare a camminare e insieme mossero lentamente i primi passi. Le gambe gli dolevano ogni volta che sollevava un piede e ogni volta che lo poggiava, ma sentì il dolore scemare dopo il primo giro della piccola stanza. Manuel era paziente e non gli metteva fretta, anzi per lui ogni passetto era una piccola conquista.

“E quindi…i panini li ha fatti Claudio? Come sta?”

“Sta bene, anche se è preoccupato per te. Mi sta aiutando tanto, è…beh, lo sai meglio di me com’è fatto, no? Sto da lui, in questi giorni…”

Simone posò su di lui il suo sguardo, chiedendogli di più soltanto con gli occhi. Manuel accennò un sorrisetto di circostanza.

“Da quando sei qui, non me la sono sentita di restare a casa tua…”

“Casa nostra.”

Lo corresse subito Simone e Manuel annuì appena. Faceva fatica a ricordarselo, se in quella casa non c’era la sua metà.

“Sì, casa nostra, scusa. È che lì ci sono anche tuo padre, tua nonna e…e immagino che anche a loro faccia piacere non avere tra i piedi il tizio che ti ha messo nei guai.”

Simone si morse un labbro, impensierito. Aveva pensato tanto a Manuel in quei giorni di solitudine, ma anche alla sua famiglia: si chiedeva come sua nonna avesse accusato il colpo, perché sì certo, era una donna forte, ma anche anziana e certe cose sono più dure ad una certa età; si domandava se avessero informato sua madre, che stava ancora a Glasgow, e temeva che potesse sentirsi inutile ed impotente, così lontana; anche suo padre gli mancava, nell’ultimo periodo avevano iniziato a ricucire un legame che si era strappato tanto tempo prima e Simone aveva finalmente saputo cosa avesse causato quello squarcio. Per suo padre, quindi, non doveva essere facile andare avanti con la paura di perdere anche il suo secondo figlio, l’ultimo rimasto. Sbatté le palpebre un paio di volte per scacciare le lacrime che gli appannavano la vista e istintivamente si strinse un po’ di più a Manuel.

“Come stanno, loro?”

Manuel sospirò profondamente, non c’era un modo piacevole per dire che la sua famiglia viveva nella paura che ogni telefonata di Claudio potesse portare una cattiva notizia.

“Hai già abbastanza pensieri, Simo’, e non te ne vorrei dare altri, ma non voglio nemmeno dirti una bugia. Per quel poco che li ho visti e da quello che mi dice Claudio, posso dirti che stanno male, sono preoccupatissimi per te, ma sono anche forti e resistono. Hai preso da loro, dopotutto, no?”

Simone curvò l’angolo delle labbra in un piccolo sorriso, sperava davvero che fosse così. Guardò di nuovo il suo ragazzo, solo per pochi attimi prima di tornare a concentrarsi sui propri passi, il tempo di capire dalla sua espressione triste che anche lui aveva bisogno di sentirsi chiedere come si sentisse. Era sicuro che nessuno gliel’avesse domandato, tutti troppo occupati a preoccuparsi di lui, ed era altrettanto sicuro che Manuel non avesse cercato l’aiuto di nessuno, preso dai sensi di colpa e dall’apprensione.

“E tu, invece, com’è che stai?”

Eh, come stava, bella domanda. Stava una merda, ma non poteva rispondere così a Simone. Non poteva dirgli che da quando lui non c’era aveva dimenticato cosa fosse la felicità, cosa fosse la serenità. Non poteva confessargli che di notte non dormiva perché senza di lui non avevano senso nemmeno i sogni e che di giorno non avrebbe voluto fare altro che sprofondare in un lunghissimo sonno perché anche la realtà faceva schifo, da solo. Come aveva detto prima, non voleva dargli altri pensieri, quindi si limitò a rispondere con una scrollata di spalle.

“Sto come mi vedi. Non ti preoccupare, me la cavo.”

Teneva lo sguardo basso, rivolto verso le scarpe di Simone come a voler controllare dove mettesse i piedi, ma era solo un modo per nascondere i suoi occhi in cui Simone sapeva trovare verità nascoste meglio di chiunque altro.

L’altro ragazzo non si fece convincere da quella risposta, che nel personalissimo dizionario di Manuel voleva dire qualcosa tipo ‘Sto uno schifo, ma tu stai peggio di me e io non ho diritto di lamentarmi.’, quindi si fermò e si mise davanti a lui, portando le mani sui suoi fianchi un po’ per reggersi e un po’ per tenerlo vicino e fargli capire che per lui c’era, c’era sempre.

Manuel si morse un labbro, continuando a tenere lo sguardo basso.

“Lo so che te la cavi, sei un maestro nell’arte del cavarsela, ma non basta, non va bene.”

Mormorò Simone, per poi posargli un bacio sulla fronte, tra i capelli in disordine.

“È un momento di merda, ma lo è per entrambi, lo so che ci stai male. Finché posso, adesso, vorrei fare qualcosa per aiutarti.”

Manuel lo sapeva, Simone si sarebbe privato anche dell’aria che respirava per dare ossigeno a lui: sempre generoso, sempre altruista, sempre pronto a farsi in quattro per lui, più di quanto meritasse.

“Se mi vuoi aiutare, allora non pensare a me.”

Sollevò finalmente gli occhi verso il suo ragazzo, incastrandoli nei suoi come faceva sempre. Era il miglior modo di parlarsi, quello.

“E non lo dico perché penso di non meritarmelo, anche se un po’ è vero, ma perché in questo momento devi pensare solo a te stesso, solo a resistere, capito?”

Prese il viso di Simone tra le mani, accarezzandolo con i pollici. Gli era cresciuta un po’ di barba in quei giorni e gli solleticava la pelle, era una sensazione che Manuel non aveva mai sperimentato, ma in quel momento non riusciva a godersela pienamente.

“Lo so che ti sto chiedendo tanto, ma…”

Simone lo interruppe, sorridendogli.

“Niente ma, va bene così. Se me lo chiedi tu, se dici che può aiutarti, allora lo faccio.”

Manuel ricambiò il sorriso, anche se più mestamente, e lo baciò a fior di labbra. Avrebbe proposto a Claudio il suo piano quella sera stessa, più un angolo del suo cervello ci pensava e più gli sembrava sensato.

“Dai, camminiamo un altro po’.

Propose Simone e Manuel tornò subito al suo fianco, reggendolo a sé.

“La prossima passeggiata, però, la facciamo in un posto più bello.”

Promise, allargando il proprio sorriso. Fecero qualche altro giro della stanza, andando un po’ a caso da un lato all’altro, finché Simone non decise di fermarsi.

“Stanco?”

Gli diede un bacio sulla tempia, premuroso, mentre l’altro annuiva.

“Sono proprio un rugbista penoso…”

Mormorò divertito e Manuel ridacchiò.

“Tranquillo, non lo dico a nessuno.”

Ribatté con lo stesso tono scherzoso, mentre lo aiutava a sedersi a terra. Si sistemò accanto a lui e tirò a sé lo zaino, prendendo subito una bottiglietta per farlo bere. Oltre a quella, però, tirò fuori anche un contenitore per alimenti, non molto grande, che attirò lo sguardo incuriosito di Simone.

“Che hai portato?”

“Un po’ di frutta, che fa sempre bene.”

Nello specifico, la piccola scatola era piena di ciliegie, fragole e di qualche pesca già sbucciata e tagliata. Di questo si era occupato lui, non Claudio.

Simone diede uno sguardo a quei frutti e poi al suo fidanzato, con un’espressione estremamente divertita.

“Manuel, non ti ho mai visto mangiare frutta da quando ti conosco.”

Il ragazzo sbuffò, un po’ come quando sua madre lo rimproverava per lo stesso motivo.

“Eh, c’è sempre tempo per cambiare idea, no?”

E quella non era nemmeno la prima cosa sui cui cambiava idea, considerando che fino a qualche tempo prima si ostinava a ripetere che non gli piacesse quel ragazzo che adesso teneva accanto a sé e da cui, se avesse potuto, non si sarebbe mai separato.

“Facciamo Lilli e il Vagabondo?”

Propose in aggiunta e Simone annuì contentissimo. Manuel, allora, prese un pezzetto di pesca e se lo portò tra i denti, avvicinandosi all’altro per fargli dare un morso. Poi fu il turno di Simone di tenere la fettina in bocca, mentre l’altro si avvicinava. Andarono avanti così per un po’, spensierati, finendo tutte le pesche e le fragole in poco tempo.

“E queste?”

Simone indicò le ciliegie, che erano più scomode da mangiare in quel modo.

“Beh, queste…ho un’idea, vie’ qua, dai.”

Lo aiutò a stendersi, facendogli poggiare la testa sulle sue gambe.

“Comodo?”

L’altro annuì, sorridente.

“E sapessi che bella vista che c’è da qui.”

Manuel ridacchiò imbarazzato, scuotendo il capo. ‘Questo me sta a diventa’ un marpione de prima categoria’, pensò, mentre prendeva una ciliegia e vi dava un morso per tagliarla a metà.

“Sicuramente non batte la mia, da qui vedo due stelle che sembrano due Soli.”

Avvicinò l’altra metà della ciliegia alle labbra di Simone dopo aver gettato il nocciolo nella scatola. Simone attese un attimo, però, e sorrise furbetto.

“Tu lo sai che il Sole è una stella, vero? Ti prego, dimmi che lo sai…”

Disse per provocarlo e Manuel fece un verso di stizza, poi sbuffò. Non era mica così ignorante, lui!

“Certo che lo so, ma ti pare? Questa è sublimazione, che ne vuoi capire, tu! E mo magnate sta ciliegia, prima che te la spiaccichi sul naso!”

Simone scoppiò a ridere e la risata di Manuel subito si unì alla sua.

A risate placate, Simone accolse il pezzo di ciliegia tra le labbra, approfittandone per posare una sorta di bacio sui polpastrelli di Manuel. Lui non se l'aspettava, ma gradì molto quel gesto che gli fece battere il cuore un po' più velocemente.

"Oh, non morde, eh…"

Lo avvertì, scherzoso, prima di porgergli un'altra metà di ciliegia, da cui aveva rimosso il nocciolo allo stesso modo della prima.

"No, faccio il bravo, promesso."

Simone fu molto bravo, non diede morsi, ma soltanto baci leggeri che erano diventati un po' come le ciliegie, uno tirava l'altro.

Manuel, per ringraziarlo di quei piccoli doni, aveva iniziato ad accarezzargli i capelli con dei lenti movimenti circolari, che Simone apprezzava sempre tantissimo. Continuò anche dopo che ebbero finito le ciliegie, quando Simone prese la sua mano libera nella propria, mettendosi ad accarezzarla. Era una parentesi perfetta in una situazione imperfetta.

"Ma lo sai che sembri proprio un cerbiattino?"

Esordì Manuel ad un certo punto, apparentemente a caso, ma in realtà stava seguendo un ragionamento coerente. Simone lo guardò incuriosito, sorridente.

"Un cerbiattino? E come ti è venuta, questa? È sempre sublimazione?"

Chiese divertito e Manuel fece una risatina.

"Un po' sì, dai. È che c'hai sti occhioni grandi e caldi, poi adesso hai mangiato le ciliegie piano piano, delicato, proprio come un cerbiatto. Sai cosa, Simo'? Mi sa che ho trovato il soprannome pe’ te!"

Era particolarmente fiero di quel soprannome, si era tormentato tanto per trovarne uno a Simone dopo che lui si era inventato 'Paperotto', ma nessuno di quelli che gli venivano in mente sembrava adatto a descriverlo.

"Scusa, ma un pezzo di ragazzo come me lo puoi mai chiamare Cerbiattino?"

Ribatté scherzosamente, ripetendo una protesta che Manuel spesso gli faceva. Manuel sorrise sghembo, furbescamente.

"È una cosa tenera, mi piace."

Fu lui, adesso, a citare il proprio fidanzato.

"Che, quando tu lo dici a me va bene, ma sei io lo dico a te non va più bene?"

Aggiunse e Simone scosse il capo. Andava più che bene, anzi.

"Mi piace tantissimo, invece. Grazie, Paperotto."

"Ah, di niente, figurati. Quindi adesso che facciamo, cambiamo il nome della società in Cerbiattino e Paperotto Associati?"

Domandò scherzoso e Simone fece una risatina.

"Così sembra uno zoo, meglio restare sul professionale."

"Perché siamo molto professionali noi, no?"

Ribatté Manuel, arruffandogli affettuosamente i capelli. La loro bolla scoppiò improvvisamente all'aprirsi della porta, e i due ragazzi furono prepotentemente riportati alla realtà.

"Interrompiamo qualcosa?"

Chiese la voce fredda di Sbarra, che in un attimo spense i sorrisi sul volto di Manuel e Simone. Insieme a lui c'era l'immancabile Zucca e un altro tizio dalla stessa aria poco raccomandabile che Manuel aveva visto di sfuggita, di tanto in tanto. Zucca sollevò Simone di peso, facendolo mugolare per il dolore.

"Oh, fa' piano, stronzo!"

Ringhiò Manuel guardandoli, mentre veniva sollevato a sua volta dall'altro tizio. Fece anche per spingersi verso Zucca, ma venne trattenuto con forza.

"Ah, piano, dici? E mo te faccio vede'!"

Gli disse Zucca, dando uno schiaffo a Simone sulla guancia già livida. Rise di gusto, mentre Manuel si dimenava.

"Va bene così? O forse è meglio così, aspetta…"

E così dicendo diede un pugno al ragazzo in pieno stomaco, facendolo piegare in due con un verso di dolore.

"Basta, smettila! Sbarra, fallo smette!"

Implorò Manuel, cercando ancora di liberarsi. Sbarra ridacchiò.

"Eh, io lo farei pure, ma non posso. Anzi, me sa che Zucca deve continua’."

Entrambi i ragazzi si voltarono verso il vecchio, che per il momento era rimasto sulla porta.
Entrambi ebbero paura per l'altro.

Sbarra si spostò un attimo di lato per prendere qualcosa appoggiato al muro. Era un tubo di metallo, un pezzo come un altro che era normale si trovasse in uno sfascio, ma quando Manuel lo vide sbiancò.

"Vedi, Manuel, c'ho riflettuto e devo di’ che nun m’è piaciuto il modo in cui ti sei rivolto a me, prima. Hai messo in mezzo pure l'esercito, hai esagerato, non trovi?"

Il vecchio, parlando, si era avvicinato al suo scagnozzo più fidato e gli porse il pezzo, che quello prese ghignando. Lo soppesò in una mano, per preparare il colpo. Simone intanto si agitava, cercando di liberarsi, ma Zucca lo spinse con maggiore forza contro il muro.

"Sì, ho esagerato, me dispiace! Non lo faccio più, te lo prometto! Ti prego, non lo fare…"

Esclamò Manuel, con il cuore in gola, mentre anche lui tentava inutilmente di liberarsi con qualche strattone. Anche i suoi tentativi di supplica furono inutili, ebbero soltanto l'effetto di far sghignazzare i tre uomini.

"Ma sentitelo, il leone è diventato n'agnellino! Manco la dignità c'hai…"

Scosse il capo, come se fosse stato deluso dal suo comportamento.

"Devi capi' che delle tue promesse non me ne faccio niente, ma proprio niente. Io me vedo costretto a fare questa cosa qua, che te credi che a me fa piacere?"

Sì, Manuel credeva fermamente che a Sbarra facesse piacere, anzi ne era sicuro, lo leggeva in quei suoi occhietti viscidi. Glieli avrebbe cavati, se avesse potuto.

"Mo scegli, gamba destra o sinistra? Secondo te a Simone quale serve de meno?"

"No, Sbarra, te prego, prenditela con me, non con lui! Sono io che ti ho mancato de rispetto, no?"

Supplicò ancora, terrorizzato, non potendo fare altro. Sbarra ancora una volta gli rispose con una risatina.

"Risposta sbagliata. Zucca, fa' un po' come te pare."

Simone cercò Manuel con lo sguardo, terrorizzato, e Manuel, con occhi altrettanto sbarrati, poté soltanto assistere impotente alla scena. Si sentì il fischio del metallo che fendeva l'aria e poi un crack secco, seguito da un urlo straziante. Per Manuel fu come se gli avessero strappato il cuore dal petto.

"No! Simo!"

Gridò, in lacrime. Sbarra gli si avvicinò e gli diede uno schiaffo.

"È solo colpa tua se adesso er pischello tuo sta così, ricordatelo la prossima volta che vuoi fare il fenomeno."

In un altro momento Manuel lo avrebbe guardato con occhi infuocati e lo avrebbe insultato, ma adesso il suo sguardo era solo per Simone -il suo cuore-, che si era accasciato a terra e gemeva per il dolore, la gamba piena di sangue era piegata in una posizione quasi innaturale.

Manuel si diede del coglione, si era sentito così forte a rispondere a Sbarra in quel modo, si era illuso di potergli tenere testa e invece ancora una volta Simone era finito a pagare per lui. Doveva salvarlo e doveva farlo il prima possibile.
   
 
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