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Autore: My Pride    30/03/2022    1 recensioni
~ Raccolta Curtain Fic di one-shot incentrate sulla coppia Damian/Jon + Bat&Super family ♥
» 79. With all my life
Le note di Jingle Bells risuonavano a ripetizione negli altoparlanti del centro commerciale e diffondevano quell’aria natalizia che si respirava in ogni punto della città di Gotham, dai piccoli magazzini, negozi di alimentari e ristoranti ai vicoli che circondavano ogni quartiere.
[ Tu appartieni a quelle cose che meravigliano la vita – un sorriso in un campo di grano, un passaggio segreto, un fiore che ha il respiro di mille tramonti ~ Fabrizio Caramagna ]
Genere: Fluff, Hurt/Comfort, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Bat Family, Damian Wayne, Jonathan Samuel Kent
Note: Missing Moments, Raccolta, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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You're my sunflower (and I'm a better man today) Titolo: You're my sunflower (and I'm a better man today)
Autore: My Pride
Fandom: Super Sons
Tipologia: One-shot [ 4148
parole fiumidiparole ]
Personaggi: Damian Bruce Wayne, 
Thomas Alfred Wayne-Kent (OC), Jonathan Samuel Kent
Rating: Giallo
Genere: Generale, Slice of life, Fluff
Avvertimenti: What if?, Slash, Hurt/Comfort
Easter Calendar: 16. X si ferisce durante una normale azione quotidiana
Uovo di Pasqua: "E adesso?"


SUPER SONS © 2016Peter J. Tomasi/DC. All Rights Reserved
.

    «Ti ho detto che sto bene, J».
    Damian ripeté quella frase per l'ennesima volta mentre, seduto sul divano a roteare gli occhi, era al telefono con Jonathan, il quale aveva ricevuto la chiamata da parte di Tommy riguardo l'incidente che lo aveva coinvolto di prima mattina.
    In realtà non era stata esattamente una tragedia, se volevano metterla in quei termini: mentre lavorava come suo solito alla fattoria in assenza del compagno, la protesi si era bloccata e lui aveva perso il controllo della trincia, la quale nello sbandare gli aveva preso - per fortuna, se vista in certi termini - proprio la protesi e ne aveva sminuzzato in parte il piede prima di rompersi a causa dell’attrito dovuto al materiale di cui era fatta. Damian era riuscito a spegnere quell'aggeggio infernale prima che potesse causare altri danni, seppur imprecando tra sé e sé per qualche taglio abbastanza profondo che si era comunque procurato all'altezza degli avambracci; Thomas stesso, nel sentire tutto quel fracasso e Asso abbaiare, era corso fra i campi per raggiungere il padre e, vedendolo a terra e sanguinante, aveva sgranato gli occhi nel chiamarlo a gran voce mentre si avvicinava in fretta e furia per aiutarlo ad alzarsi.
    Anche se con un grugnito, Damian aveva dovuto arrendersi all’evidenza e si era poggiato contro il figlio per incamminarsi verso casa, cercando di rassicurarlo che, no, quelli erano dei semplici graffi - non lo erano, ma non importava - e sarebbe bastato semplicemente pulirli con del disinfettante; la protesi ormai inutilizzabile era stata staccata non appena rientrati, e Damian aveva richiesto a Tommy di andare a prendere la stampella che teneva riposta in camera per potersi muovere per casa come i primi periodi. Per tutto il tempo in cui si era dato una lavata, aveva dovuto rassicurare il figlio che stava bene e che non c’era nulla di cui preoccuparsi, per quanto non fosse riuscito a frenare la raffica di domande con cui Thomas lo aveva bombardato mentre gli ripuliva le ferite e le ricopriva di pomata antibiotica prima di poterle fasciare.
    Il peggio era arrivato quando, nonostante gli avesse detto di non farlo, il suo caro figlio traditore aveva chiamato Jon, spiegandogli tutto con la voce che aveva lasciato trasparire agitazione. Ed era quello il motivo per cui Damian stava ancora tentando di tranquillizzare il compagno, anche se Jon non aveva fatto altro che ripetere di star cercando un volo da Metropolis al piccolo aeroporto di Hamilton. Accidenti a lui.
    «Se chiamo il mio capo e gli dico cos’è successo, sono sicuro che--» cominciò Jon, ma Damian lo interruppe con uno schiocco di lingua.
    «Dico davvero. Pensa all’articolo, non a me».
    «Hai rischiato di farti male sul serio, D!»
    «Non che non sia abituato a cose peggiori…» rimbeccò sarcastico e, se avesse potuto, avrebbe sicuramente visto Jon assottigliare gli occhi con la comica espressione di chi cercava di fulminare qualcuno con lo sguardo. Dire che anni prima ci sarebbe riuscito davvero era quasi ironico.
    «Lo sai che questo non mi tranquillizza, vero?»
    Damian sospirò pesantemente, scuotendo la testa. Non aveva tutti i torti, quindi forse in parte lo capiva. «Ti assicuro che sto bene, habibi», provò ancora. «Avrò bisogno di una nuova protesi, ma va tutto bene. C'è Thomas qui con me».
    «Per quanto mi fidi di nostro figlio, ha solo quindici anni, non--»
    «--non devo ricordarti cosa facevamo noi due a quell’età, vero, J?» gli rese noto, e dalla cornetta gli giunse un profondo borbottio, certo che Jon avesse gonfiato le guance come un bambinone e che, all'ovvietà di quella costatazione, stesse dicendo chissà cosa tra sé e sé.
    «Okay, d’accordo», si arrese infine Jon. «Questo non significa che non possa essere preoccupato».
    «E lo capisco ma, sul serio, sto bene», replicò Damian per l’ennesima volta. Presto o tardi si sarebbe tatuato quelle parole sulla pelle, magari proprio in fronte, in modo da farlo capire al compagno una volta per tutte. «Tornerai dopodomani, quindi pensa a lavorare e stai tranquillo, J».
    Jon tacque per un lungo momento, poi sospirò nella cornetta. «…chiama per qualunque cosa, okay?» disse in un sussurro, e Damian si massaggiò le tempie prima di annuire, rendendosi conto solo in un secondo momento che Jon non poteva vederlo.
    «Lo farò», disse quindi e, anche se era a miglia di distanza, dal tono di Jon capì che stava finalmente sorridendo.
    «Grazie, D… ti amo».
    «…anch’io. Ora piantala di essere sdolcinato».
    «Mai», ridacchiò, schioccando un bacio nel ricevitore. «Salutami Tommy. Ci sentiamo», accennò, indugiando ancora un attimo prima di salutarsi un’ultima volta, e Damian si ritrovò ad osservare il cellulare e a sentire ormai il “tu-tu-tu” della linea.
    Amava Jon, era il suo mondo, ma a volte era così protettivo che doveva ricordargli che non era solo un semplice uomo di campagna, bensì un ex vigilante cresciuto dalla Lega degli Assassini e poi da Batman. Inoltre continuavano a tenersi in allenamento, ma quello era semplicemente stato un incidente e gli incidenti capitavano a chiunque, eroi o meno.
    Damian scosse il capo e abbandonò il cellulare sul divano, allungando una mano per afferrare la stampella e aiutarsi con quella per rimettersi in piedi. Aveva fatto comunicare a Maylin che aveva avuto un incidente e che la clinica sarebbe rimasta chiusa per almeno un paio di giorni - il tempo di avere una protesi nuova, a ben vedere -, ma che avrebbe comunque preso dei casi urgenti a casa se fosse servito, anche se per il bene degli animali sperava sempre che non ci fosse lavoro da fare; aveva anche chiamato suo padre per farsi mandare una nuova protesi, e aveva dovuto tranquillizzare anche lui e Selina a riguardo, dato che entrambi erano sembrati piuttosto agitati nonostante tutto. Sperava solo che non facessero trapelare la notizia e che non arrivasse anche alle orecchie di tutti i fratelli, oppure non gli avrebbero dato pace.
    Sospirando, Damian si incamminò attentamente nel soggiorno per poter imboccare la porta e andare all’ingresso, deciso a dare una mano a Tommy per quanto concesso dal suo momentaneo handicap. C’erano ancora molte cose da fare, e di certo non poteva lasciare tutto nelle mani del figlio; così, una volta sul portico, dovette schermarsi gli occhi con una mano quando il sole ferì il suo sguardo, muovendo qualche passo incerto con la gamba destra e il bastone. Erano anni che non lo usava, e doveva ammettere a sé stesso che era strano vedere nuovamente quel moncherino che lasciava pendere flosciamente il pantalone che stavolta non aveva annodato.
    Cercando di scacciare qualunque pensiero stesse cominciando ad affacciarsi nella sua mente, Damian zoppicò verso il pollaio per occuparsi frattanto di raccogliere le uova, ma fu proprio in quel momento che accadde l'impensabile: la stampella affondò nel terreno morbido e le viti alla base cedettero, piegandola a metà; incredulo e senza più un appiglio, lui rimase in precario equilibro e si affrettò ad afferrare lo steccato davanti a lui per non rischiare di cadere. Sul serio? Non toccava quella dannata stampella da anni e adesso quell'inutile pezzo di ferro aveva deciso di abbandonarlo proprio nel momento del bisogno. Per l'ennesima volta in quella mattinata, Damian imprecò. E adesso? Merda, la cosa stava cominciando a diventare alquanto ridicola.
    «Baba!»
    La voce improvvisa di Thomas lo riportò alla realtà e Damian per poco non sussultò, gettando uno sguardo in giro alla ricerca del figlio; lo vide sbucare alla sua destra, proprio dal lato delle stalle, con un po’ di terriccio che sporcava il suo viso e le maniche arrotolate della camicia di flanella che indossava; si era legato i ciuffi ribelli in un codino, e aveva scoperto del tutto la fronte sudata. A quindici anni, Thomas sarebbe potuto tranquillamente sembrare la copia sputata di uno dei due, se solo avessero condiviso lo stesso sangue. Anche così, però, aveva le sopracciglia folte dei Wayne e la stessa aria solare dei Kent… o almeno una parte di essa, visto il modo in cui aveva aggrottato la fronte mentre si avvicinava a passi pesanti con le mani strette a pugno lungo i fianchi.
    «Che ci fai qui? Ti avevo detto di restare a casa», bofonchiò Tommy, sbattendo le palpebre alla vista della stampella non appena lo raggiunse e la notò. «Che è successo?» chiese incredulo, ma Damian schioccò solo la lingua sotto il palato.
    «Niente di che, sì è rotta».
    «...non è che stavi facendo qualcosa che non avresti dovuto fare, vero?»
    Damian roteò gli occhi, e stavolta fu lui a sembrare un bambino. «Sei peggio di Jon», replicò nello scuotere il capo, ma Tommy sbuffò e gli avvolse un braccio intorno ai fianchi, passandosi lui stesso uno di quelli di suo padre sulla spalla, ignorando le sue lamentele e rimostranze mentre tornavano verso casa.
    «Baba, ti voglio bene, ma a volte sei proprio uno sconsiderato».
    «-Tt-, è una cosa di famiglia. E non devi preoccuparti per me, Thomas».
    «Tommy», rimbeccò immediatamente il ragazzo, e Damian sollevò lo sguardo al soffitto, roteando gli occhi.
    «D'accordo... Tommy», si corresse. «Comunque dico sul serio. Sono fiero del tuo senso di responsabilità, ragazzo, ma non hai bisogno di fare tutto da solo».
    Guidando letteralmente il padre verso la cucina passo dopo passo mentre lo teneva contro di sé, alla fine Tommy, tra un borbottio e l'altro, gli scoccò un'occhiata. «Per favore, baba... lasciamelo fare». Per quanto schietta, la sua voce sembrava carica di aspettativa. «Sono abbastanza grande da potermi occupare di tutto mentre aspetti che nonno B ti porti la protesi nuova», soggiunse nell'aiutarlo a sedersi su uno degli sgabelli, facendo attenzione a non farlo cadere a causa della gamba mancante. «Ti preparo un the, papà ha detto che ti rilasserà».
    «Ha detto così, eh?» Damian non poté fare a meno di arcuare un sopracciglio nel vedere il figlio annuire, scuotendo brevemente la testa mentre si accomodava e abbandonava la stampella di lato. Così lasciò correre, carezzando distrattamente la testa di Asso prima che quest’ultimo cominciasse a trotterellare dietro Thomas, speranzoso di ricevere qualcosa da mangiare nel vedere il suo padroncino affaccendarsi un cucina tra bollitore e zucchero.
    Costretto a star seduto su quello sgabello, Damian sospirò e scosse la testa. I geni della famiglia Kent riuscivano ad aggirare le linee di sangue e a creare dei piccoli raggi di sole, non avrebbe potuto usare una parola diversa. L'influenza di Ma' Kent era più forte del DNA stesso. Mentre vedeva Tommy occuparsi dell’acqua, però, Damian notò che a volte il figlio gli scoccava qualche occhiata, e che il suo sguardo cadeva, inconsciamente o meno, proprio sul suo arto mancante. Adesso che Thomas era consapevole del loro passato, forse la storia dell'incidente stradale non reggeva più e poteva capire il suo voler silenziosamente fare domande.
    «Sei curioso di sapere come l’ho persa, non è così? Come l’ho persa davvero, intendo», disse di punto in bianco Damian, e Tommy, che aveva dato le spalle al padre proprio in quel momento per cercare un filtro, sussultò nell'essere stato scoperto. Eppure era stato abbastanza discreto… no?
    «Scusa, baba, io--»
    «Non scusarti», lo interruppe immediatamente. «È normale che tu sia curioso».
    Tommy si massaggiò il collo, un po’ a disagio. «È solo che… fino a pochi mesi fa non sapevo davvero nulla della nostra famiglia. Sembra tutto così… nuovo», ammise. Era successo un po’ per caso, in realtà, ma seguire zio Jason di sotto lo aveva portato in quella che aveva scoperto essere la batcaverna, ed era rimasto a dir poco esterrefatto di conoscere davvero cosa si nascondeva dietro alla famiglia Wayne e rispettive conoscenze. Non sapeva cosa lo avesse sconvolto di più, se sapere che suo nonno era stato Batman e i suoi zii erano stati dei Robin - e relative nuove identità -, o capire che anche il suo baba lo era stato e che il suo papà era un kryptoniano che aveva rinunciato ai suoi poteri per amore. Forse era rimasto stranito per tutto, ma c’erano ancora troppe domande.
    «Perché lo è». La voce di Damian lo distrasse dai suoi pensieri, e anche il fischio del bollitore che si affrettò a togliere dal fuoco. «Sono molte informazioni da immagazzinare e con cui scendere a patti, soprattutto per un ragazzo della tua età. Ma sei abbastanza grande per conoscere la verità, ora che hai scoperto chi siamo davvero».
    Tommy indugiò per un momento, finendo col mettere il filtro nell’acqua prima di avvicinarsi al bancone con il bollitore e la tazza del genitore, adocchiandolo. «…non l’hai persa in un incidente d’auto quando avevi diciannove anni, vero?» chiese, e Damian scosse la testa.
    «No», ammise. «Prendi il kit, vuoi? Ti racconterò tutto mentre ci occupiamo di cambiare la fasciatura».
    Anche se incerto, Tommy gli scoccò una nuova occhiata e fece un breve cenno d'assenso col capo, uscendo di gran carriera dalla cucina per andare a prendere ciò di cui aveva bisogno; raggiunto il bagno, aprì l'armadietto dei medicinali e arraffò bende, pomata e disinfettante, imbracciando il tutto prima di tornare dal padre e accomodandosi a sua volta su un altro sgabello.
    «Dammi il braccio, baba», disse infine e, seppur tergiversando, alla fine Damian lo allungò verso di lui e osservò il modo in cui il figlio cominciava delicatamente a disfare la fasciatura per scoprire i tagli che gli segnavano la pelle, cercando di fare più piano possibile. Tommy non gli fece pressioni, ma Damian poté benissimo vedere, mentre passava l'ovatta pregna di disinfettante sul lungo squarcio che gli tagliava il braccio, il modo in cui di tanto in tanto gli gettava un'occhiata.
    Damian si morse il labbro inferiore, cercando le parole adatte per raccontare al figlio quella storia. Non era più un bambino, e non poteva più vivere con l’illusione di tenerlo lontano da quel mondo… ormai sapeva. «Stavamo combattimento», disse infine, sentendo lo sguardo del figlio fisso su di sé mentre, a tentoni, cercava quella pomata sul bancone. «Eravamo tutti lì riuniti nel cuore di Star City». Si interruppe solo per sibilare un po' quando Tommy strinse la fasciatura intorno al suo braccio, vedendolo sgranare gli occhi qualche momento dopo.
    «Scusa, baba, ti ho fatto male?» chiese accorato, ma Damian agitò una mano in risposta.
    «Non è niente», lo tranquillizzò, ed entrambi si presero un momento, sia per far sì che Tommy finisse di occuparsi al meglio delle sue ferite, sia per scendere a patti con ciò che stava per raccontare. Per quanti anni fossero passati, ogni volta che ci pensava gli sembrava di ritornare a quei giorni.
    Per un po' nessuno dei due parlò, anche se fu Tommy stesso ad allungare la mano per riempire lui stesso la tazza dopo essersi assicurato che il the fosse rimasto abbastanza tempo in infusione; la porse al padre, il quale fece un piccolo cenno di ringraziamento col capo prima di guardare la sua immagine distorta sul pelo dell'acqua.
    «Eravamo a Star City», riprese Damian, rigirandosi quella tazza fra le mani. «Darkseid… un alieno della peggior specie… aveva attaccato la terra con le sue Furie, un corpo di élite votato alla guerra. La battaglia è stata dura, abbiamo dovuto abbattere molti parademoni - dei servi di Darkseid, se vuoi metterla in termini molto semplici - e ne arrivavano sempre di più, persino tuo nonno Clark stava accusando la stanchezza della lotta».
    Damian si interruppe, inspirando pesantemente dal naso come se ciò potesse in qualche modo calmare il battito del suo cuore. Aveva imparato sin da giovane a controllarsi, ed erano passati anni da quando era successo… eppure raccontarlo a suo figlio aveva cominciato a provocare uno strano disagio. No, non doveva lasciarsi sopraffare in quel modo dalle sue emozioni, dal trauma che aveva subito... doveva essere calmo e distaccato per non farsi prendere inutilmente dal panico.
    «E poi… cos’è successo?» lo riscosse Tommy, così Damian soffiò sulla sua tazza, bevendo finalmente un sorso.
    «Stavo combattendo insieme agli altri», continuò, ma solo dopo aver gustato un po’ la sua bevanda. «Eravamo tutti così impegnati a respingere l’attacco che non mi sono accorto in tempo di ciò che era successo. Stavo per colpire una delle Furie al petto… quando ho perso improvvisamente l’equilibrio». Damian strinse forte la tazza fra le mani, a tal punto che le sue nocche divennero bianche. «Solo dopo mi sono reso conto del perché. Mad Harriet, un'altra Furia… mi aveva troncato di netto la gamba all’altezza del ginocchio».
    Tommy deglutì distintamente, ma fu abbastanza bravo a non farsi sfuggire una singola parola, preoccupato che farlo avrebbe potuto far chiudere il suo baba a riccio. Il suo papà gli aveva sempre detto che era un tipo particolare, che esprimeva le sue emozioni in un certo modo e che non gli piaceva parlare del suo passato... e, da quando aveva capito che era stato Robin, e che la sua vita era stata ben più di questo, poteva capire perché.
    «Quando me ne sono reso conto...» riprese Damian con un lungo sospiro. «Ho urlato così forte che mi è sembrato di sovrastare i rumori della battaglia, perdevo talmente tanto sangue che avevo le mani appiccicose e la vista aveva cominciato ad annebbiarsi… ho sentito solo il tuo papà gridare il mio nome e la puzza di carne bruciata prima di svenire. Mi sono risvegliato giorni dopo nel mio letto… e ho realizzato che la mia gamba non c’era più».
    Cadde un pesante silenzio fra loro, così pesante che, se avessero prestato ascolto con attenzione, forse sarebbero persino riusciti a sentir battere l’uno il cuore dell’altro. Tommy aveva sgranato gli occhi e si era portato una mano alla bocca, stringendo l’altra in un pugno sulla coscia. Tra tutte le situazioni in cui aveva pensato che il suo baba avesse perso una gamba, mai avrebbe creduto che fosse stato uno scenario talmente devastante e traumatico.
    Con gli occhi lucidi, allungò una mano per poggiarla su quella del genitore e si sporse verso di lui, abbracciandolo stretto con un impeto tale che Damian, preso alla sprovvista, per poco non cadde all’indietro per lo slancio con cui il ragazzo si era gettato contro di lui; incerto, si ritrovò a poggiare una mano sulla sua schiena e lasciò che Tommy lo stringesse forte, mollando la presa sulla tazza solo per intrecciare le dita con quelle del figlio che, nel frattempo, aveva affondato il viso contro l’incavo della sua spalla. Persino Asso si era avvicinato nell’avvertire che qualcosa non andava, poggiando il muso su quel che restava della gamba sinistra di Damian come a volergli dare conforto. Oh… dannazione.
    «N-Non volevo farti ricordare c-certe cose», balbettò il ragazzo con un fil di voce, e Damian a quel punto lo strinse più forte contro di sé, facendo sì che premesse la fronte contro il suo collo.
    «Va tutto bene, Tommy…» sussurrò nel far scorrere le dita fra le ciocche dei suoi capelli, liberando qualche ciocca dal suo codino. «Non hai fatto niente di sbagliato».
    «M-Ma…»
    «Niente ma, ragazzo». Damian lo allontanò da sé, ma solo per afferrargli il viso con entrambe le mani e guardarlo dritto negli occhi, in quei profondi occhi azzurro e marrone che lo avevano rapito quindici anni addietro. Per quanto fossero dilatati e inghiottiti dalla pupilla, Damian riusciva ancora a scorgerne in parte le iridi. «Se ciò che ero non può più farmi del male, allora vale anche per ciò che mi è successo. Quello è il passato». Si chinò verso il suo viso, baciandogli la fronte con dolcezza e devozione. «Il mio futuro è proprio qui davanti a me».
    Stavolta Tommy tirò su col naso e si strinse nuovamente contro il corpo del genitore, tenendolo stretto in quel momento di nuova consapevolezza che avevano condiviso. Essendo venuto a conoscenza del suo passato - anche se il suo baba aveva avuto paura che potesse odiarlo per questo -, sapeva quanto avesse sofferto e quanto aveva dovuto lottare per avere la sua redenzione, esattamente come sua nonna Talia. Il suo baba non si apriva spesso e tendevano a tenersi tutto dentro, essere quindi riusciti a parlare era come se avesse tolto un peso dal petto di entrambi. E rimasero abbracciati per quelli che parvero interi minuti, ore, rimasero stretti l’uno all’altro finché persino il the non venne dimenticato e si freddò sul bancone, e solo in seguito Damian riuscì a convincere Tommy ad alzarsi e ad aiutarlo ad andare in soggiorno, accomodandosi sul divano.
    Con un plaid addosso ad entrambi, Tommy si era poggiato tutto il tempo contro di lui e non aveva voluto saperne di lasciarlo solo, chiamando Mandy - Damian era piuttosto sicuro che non fossero solo “buoni amici” come insisteva a chiamarla, dato il rossore sulle sue guance ogni qual volta si parlava di lei - per scusarsi e dirle che non sarebbe passato da lei per i compiti perché c’era stato un piccolo incidente - Damian aveva dovuto rassicurare persino la ragazza che lui stava, dato che aveva sentito subito la sua voce agitata - prima di mettersi a guardare un film.
    Damian aveva fatto un’eccezione per una volta e avevano mangiato davanti alla TV, ricordando a Thomas di non esagerare con il gelato e di stare attento alla glicemia - guadagnandoci anche un “Ho quindici anni, baba, non sono un bambino!” piuttosto seccato da parte del ragazzo - prima di vederlo abbassare le palpebre poco a poco, rilassato dopo la stressante giornata che avevano passato. Damian aveva un po’ sorriso alla vista, ma non aveva avuto il cuore di svegliarlo, coprendolo meglio con il plaid mentre finiva di guardare il terzo film della serata, con un braccio intorno alle spalle del figlio e Asso accoccolato sul tappeto davanti a loro.
    Fu a quel punto, però, che Damian sentì una chiave girare nella toppa e raddrizzò subito la schiena in allerta, allungando l’altra mano per afferrare la lampada sul tavolino e usarla come arma se fosse servito; prima ancora che potesse anche solo pensare di lanciarla come se fosse un giavellotto, sulla soglia si parò Jon, il quale sollevò subito le mani in segno di resa non appena si rese conto di avere puntata contro di sé una potenziale arma mortale. Damian poteva trasformare in un'arma anche uno spillo, dopotutto.
    «Metti giù quell’affare, D, sono io», sussurrò in un sibilo, e Damian, seppur abbassando la sua arma impropria, arcuò un sopracciglio nel vederlo.
    «Che diavolo ci fai tu qui, J?» chiese a bassa voce per evitare di svegliare Tommy, il quale aveva mugugnato qualcosa e arricciato il naso, ma fu ben attento a far sì che dalle sue parole trasparisse lo scetticismo, anche se a Jon non parve importare affatto visto il modo in cui entrò in soggiorno, venendo ben presto raggiunto da Asso che gli fece le feste.
    «Ho detto al mio capo cos’è successo», disse ovvio mentre riduceva la distanza tra loro, con quel bel sorriso ad incurvargli la bocca morbida e carnosa. «Mi ha subito procurato un volo per raggiungervi».
    Damian scosse la testa. «Sei sempre il solito, J. Ti avevo det--»
    Non fece in tempo a finire la frase che le labbra di Jon si posarono immediatamente sulle sue come per zittirlo, ma Damian avvertì in quel bacio una certa urgenza, un volersi assicurare che tutto andasse davvero bene come Damian non aveva fatto altro che ripetergli tutto il tempo. E fu solo quando parve soddisfatto che Jon si allontanò, sorridendo se possibile ancora di più. Faceva scorrere lo sguardo da Damian a Tommy, e si abbassò per poggiare la fronte proprio contro quella del marito.
    «Nonostante le braccia fasciate, mi fa piacere vedere che è tutto okay», sussurrò nel carezzargli il viso.
    Damian sbuffò un po’ nel sentire quelle parole, ma sembrava tutto sommato rilassato e, forse, persino divertito. «Dovresti ascoltarmi quando ti dico che sto bene. Ricordati che sono il più grande, qui».
    «E io il più alto», scherzò Jon senza abbandonare il sorriso, passando una mano fra i capelli di Tommy che, arricciando di nuovo il naso, borbottò qualcosa nel sonno. «Fammi posto», accennò, e Damian arcuò un sopracciglio, anche se cercò di muoversi piano per fargli spazio e, al tempo stesso, evitare di svegliare il ragazzo.
    «Non sei stanco? Devi aver guidato per ore come un idiota».
    «Il suddetto idiota l’ha fatto davvero e adesso vuole accoccolarsi accanto ai due uomini della sua vita».
    «Il diabete lo avrò presto anch’io se continui così, J». Damian roteò gli occhi alla risata soffocata di Jon, ma nonostante tutto sorrise e, non appena il compagno si fu sistemato al suo fianco, finì col poggiare la testa contro la sua spalla, lo sguardo fisso alla TV senza vederla davvero. «Sono contento che tu sia qui», ammise, e Jon, sfiorandogli i capelli con un nuovo bacio, lo strinse a sé come se non volesse lasciarlo andare.
    «Felice di sentirlo»
.





_Note inconcludenti dell'autrice
Ed eccoci qua! Anche questo uovo di pasqua è stato aperto e questa è la seconda storia che posso presentare, storia scritta sempre per l'iniziativa #EasterAdventCalendar indetta sul gruppo facebook Hurt/comfort Italia.
Qui vediamo un Tommy già più cresciuto (che è anche a conoscenza di una parte del segreto di famiglia, per così dire) e che quindi comincia a domandarsi come il suo baba abbia davvero perso la gamba... e dopo una disgrazia dietro l'altra (oh, ma gli voglio bene a Damian, eh, giuro), alla fine ecco che proprio il suo caro papà gli racconta che cos'è successo!
Certo non è un'esperienza facile, ma almeno sono lì l'uno per l'altro e Damian ha imparato a non farsi sopraffare dal suo passato, soprattutto perché, come dice il titolo stesso, Tommy è il suo girasole... ed è un uomo migliore, adesso
Commenti e critiche, ovviamente, son sempre accetti
A presto! ♥



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