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Autore: MercuryGirl93    31/03/2022    2 recensioni
*LA STORIA VERRA' A BREVE ELIMINATA*
Federico, ragazzo introverso e apatico, subisce la sua vita con passività, insoddisfatto della famiglia e delle sue amicizie. Sarà l'incontro con Emma, vivace quanto misteriosa, a spronarlo a cambiare e ad accendere in lui la curiosità di guardare il mondo con occhi diversi.
Ma chi è Emma? Una favola vissuta da Federico ad occhi aperti o una persona vera, in carne ed ossa?
Mentre il mistero di questa figura quasi fiabesca vi accompagnerà tra le righe di questo racconto, l'amore sarà il garante di una crescita personale e di un introspezione sempre più profonda di un ragazzo smarrito.
Dalla storia:
"Emma sbuffò esasperata. –Mi baci o no?
Federico la osservò: aveva le guance tinte di rosso, anche se la cosa poteva passare inosservata dato il buio. La trovò irresistibile, quell’insistenza quasi infantile che aveva nel volerlo baciare era deliziosa e inaspettata. - No.
-E perché? - domandò indispettita, sfoggiando la sua migliore espressione contrariata: le labbra arricciate, gli occhi verdi taglienti.
-Perché il tuo chiederlo mi ha fatto passare la voglia –
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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XII Violetta
 
Nella mitologia greca si narra di una ninfa di nome Io, che era amata segretamente da Zeus. Per nasconderla da sua moglie Era, Zeus la trasformò in una bellissima mucca bianca. Tuttavia, Io era abituata a mangiare cibo umano, e non poteva sopportare di nutrirsi con le comuni erbe di cui si nutre una mucca. Fu così che Zeus trasformò le lacrime della sua amata in profumate e bellissime violette, che solo a lei fu permesso di mangiare. *
 
A Federico non era mai capitato di essere così profondamente sincero con qualcuno, non era mai arrivato a mettersi così a nudo.
Non gli erano mai piaciute le dimostrazioni verbali di affetto, i discorsi sulla profondità dei sentimenti. A dispetto di ciò che ci si poteva aspettare da qualcuno così emotivamente riservato come lui, tuttavia, non provò alcun tipo di vergogna o tentennamento nel dire ad Emma che la amava così esplicitamente. In cuor suo, lo aveva sempre saputo, ma non si aspettava di essere in grado di dirlo con una tale leggerezza e semplicità.
Era stato istintivo, lo aveva pensato e detto, senza curarsi di come lei avrebbe potuto reagire. Voleva solo che lei lo sapesse.
-Mi ami? – fece lei, scostandosi dal suo abbraccio.
Emma mise una distanza tra i loro corpi che Federico voleva fare sparire.
Certamente non si aspettava che lei ricambiasse, non lo pretendeva neanche, ma non voleva che lei si ritraesse spaventata a quella rivelazione, come invece stava facendo.
Federico inclinò la testa di lato, studiandole il viso. -Sì, ti amo – ripeté candidamente. Anche rinnovare quella rivelazione non gli costò alcun tipo di sforzo.
-E me lo dici così? – borbottò Emma confusa, afferrandosi il viso.
Scoppiò a ridere di gusto davanti alla smorfia buffa di lei: -E come te lo dovrei dire scusa?
-Non lo so – gesticolò confusamente lei. -Non così! – disse, indicando prima sé stessa e poi lui.
Federico si rese conto di quanto lei fosse spiazzata da ciò che le aveva detto. -Perché fai così? 
Emma lo guardò, mantenendo sempre una distanza imbarazzata tra i loro corpi. Si toccò il viso, i capelli, le pieghe della gonna, in evidente difficoltà. -Perché tu… Non dovevi dirlo così… - balbettò confusamente, confermandogli ulteriormente quanto lei fosse nel pallone. -Ma poi, cosa significa che mi ami?
A quel punto, Federico sentì nascere in sé un leggero fastidio, lo stesso che aveva sentito quando lei lo aveva respinto, poco tempo prima. Si sentiva nuovamente allo stesso modo, rifiutato.
Non puntava a sentirsi ricambiato, non cercava alcun tipo di risposta, voleva solo che lei lo sapesse.
Emma avrebbe potuto anche stare zitta, prendere atto della cosa, e andare avanti, senza dirgli un bel niente; lui lo avrebbe accettato di buon grado.
-Ma che stai dicendo? – se ne uscì, spazientito, incrociando le braccia al petto.
-Dico che ti sbagli, non mi ami – borbottò lei di rimando, riacquisendo una strana sicurezza. Era come se nella confusione dei pensieri che le avevano attanagliato la testa avesse trovato una chiave di lettura appropriata.
Federico rise, ma senza divertimento. -Tra tutte le risposte possibili, questa era sicuramente la meno plausibile.
-Ma cosa ti dovrei dire? – insisté lei. -Non è possibile questa cosa.
-Lo sai che non puoi sindacare sui sentimenti altrui?
Emma a quel punto si sedette sul letto: si torturava le mani in maniera nervosa, esprimendo un palese disagio per tutta quella situazione.
-Perché stai facendo così? – la punzecchiò lui, riacquisendo un po’ di dolcezza. Aveva capito che lei fosse in difficoltà e anche se non aveva chiari i motivi, voleva essere accomodante, per lei.
-Federico tu non sai un bel niente di me – disse lei, rimarcando una verità che in fondo sapevano entrambi. Si passò una mano sul viso prima di proseguire: - Insomma, come puoi dire di amare una persona che non conosci affatto, ti rendi conto di quanto sia difficile per me crederti? Tu non mi ami, ami l’idea che ti sei fatto di me, ami il modo in cui ti faccio sentire.
In fondo, anche il punto di vista di Emma era più che ragionevole: era vero che Federico amava quelle cose, anche se non era tutto limitato a quello. Perché lei fosse così intimamente sconvolta dalla situazione, invece, restava davvero un mistero per lui.
-Amo quello che sei – spiegò lui, calmo.
Emma ancor prima che lui completasse la frase, già aveva preso a scuotere la testa. -Non sai niente Federico – ripeté ancora, come un mantra confuso da cui non riusciva a venire a capo. -Non doveva andare così.
-Ma cosa stai dicendo? – sbottò, ormai infastidito.
-Forse mi sono spinta troppo oltre, con te – disse lei, parlando più con sé stessa che con lui.
A quel punto lui si sentì punto nell’orgoglio. -Non ti sei spinta in nessuna direzione, se proprio devo dirla tutta. Hai lasciato che le cose andassero avanti senza condividere un bel niente di te – fece lui, sempre con la sua solita calma, nonostante si sentisse in agitazione. -L’unica cosa che posso fare io è prendere atto dei miei sentimenti, dirteli, ma se tu ritieni che non sia il caso di continuare allora è un problema tuo, perché io i passi avanti li ho fatti mentre tu sei rimasta sulle tue.
Emma, gli occhi verdi spalancati, riacquisì un po’ di calma. Probabilmente vedere lui così pacato l’aveva incoraggiata verso lo stesso approccio. -Io non so come dirtele, certe cose.
-Allora non ti senti spontanea con me se hai difficoltà di comunicazione, però va bene così a questo punto… La sola cosa che non posso accettare in tutto questo è che tu mi dica che i miei sentimenti sono falsi, questo non te lo posso permettere.
Federico aveva sempre avuto difficoltà nel processare ed esprimere le emozioni. Il fatto di essersi sentito così a suo agio con esse da condividerle apertamente con lei era davvero un gran passo avanti per lui. Emma lo conosceva, sapeva quanto fosse anaffettivo, e Federico pensò fosse ingiusto che lei biasimasse i sentimenti di lui, non credeva di meritarselo dopotutto.
Non aveva mai preteso che lei gli dicesse che lo amasse a sua volta, ma non pensava che lei lo prendesse moralmente a schiaffi in quel modo.
Lei lo guardò seria, ma non si sbilanciò a chiedergli scusa. Probabilmente, lei era davvero convinta dell’inconsistenza dei sentimenti di lui e non voleva ritrattare la sua posizione.
Si avvicinò e gli fece una carezza sul braccio. -Forse è il caso di prenderci un po’ di spazio.
-Credo proprio di sì- confermò lui, tranquillo. Aveva bisogno di starsene un po’ per i fatti suoi.
Dal fare di lei, dal modo malinconico in cui gli carezzò il viso, sembrava trasparire che non si sarebbe fatta più vedere.
Federico non si scostò dal tocco di lei. -Allora ciao- le disse, suonando più freddo di quanto non volesse, in fin dei conti.
-Posso averlo un bacio? – chiese lei, con quell’aria infantile che a lui piaceva tanto.
Non glielo negò, ma fu evidente la mancanza di trasporto da parte sua: aveva già iniziato a porre del distacco, così che nei giorni successivi potesse sentire meno la sua mancanza.
Emma, mentre lo baciava, chiuse gli occhi e gli carezzò il collo, respirando a pieni polmoni l’odore di lui, come a volerne fare scorta. Al contrario di lui, era evidente che voleva ricordare quel loro ultimo incontro in ogni piccola parte.
Quando si scostò gli sorrise tristemente, riservandogli un’altra carezza sul viso dalla quale lui non si ritrasse. -Ciao – bisbigliò lei un po’ affranta.
Federico la guardò in silenzio mentre lei scendeva giù dalla finestra e si allontanava tra le luci della sera, forse per l’ultima volta.
 
Preso dalla creatività, Federico si sistemò comodamente sul dondolo in giardino e, quasi per esorcizzare il suo malessere, prese a disegnare Emma sul suo letto, ad attenderlo, con lo stesso vestito bianco che le aveva visto indossare poco prima.
Il viso di lei era sempre impresso nella sua mente e rappresentarla era la sola cosa che gli consentiva di sfogarsi da quel pensiero fisso.
Si sentiva un po’ spezzato, ma non triste: salutare Emma gli aveva fatto male, ma in cuor suo sapeva che forse era la cosa giusta se lei non si sentiva tanto a suo agio da aprirsi. Troppe cose della vita di lei erano taciute per chissà quale ragione e si era sempre sentito come se stesse con uno spettro più che con una persona. Probabilmente, lasciarla andare era la cosa giusta.
-Sembra che ti sia passato sopra un treno – rise suo padre, arrivando di sottecchi. Si accomodò al suo fianco sgraziatamente e rumorosamente, facendogli tremare la mano con cui stringeva il carboncino.
-Ma va’, il livido sta già sbiadendo – scherzò lui, alludendo al segno incontrovertibile del pugno di Marco sul suo viso.
-Ma io mica parlavo di quello – sbadigliò il padre. -T’ho visto poco fa tutto mogio mogio mentre scendevi le scale con i tuoi attrezzi da disegnatore.
Federico sapeva di non essere mai stato trasparente sulle sue emozioni: aveva sempre sentito il dovere di mostrarsi controllato, forte, di cemento. Di recente, tuttavia, aveva iniziato a lasciarsi un po’ più andare, al punto da dire ad Emma ciò che provava. Probabilmente, aver scoperchiato quella parte sentimentale di sé gli aveva fatto perdere i freni inibitori, così che diventasse palese anche la sua tristezza, come in quel momento.
Giancarlo indicò con il mento il ritratto su cui stava lavorando, già pregno di dettagli: -È lei?
-Già- sospirò lui, un po’ amaro. -Credo che mi abbia lasciato.
Il padre non disse niente, prese il disegno dalle mani del figlio e lo esaminò con un fare quasi chirurgico. -Che vuol dire ‘credi’?
-Che ha detto di volere spazio, ma da sempre non è che un eufemismo per scaricare qualcuno – ridacchiò.
-Madonna, e che ci voleva a dirti “Ti lascio” - disse Giancarlo con fare un po’ critico. -Queste donne pur di essere delicate finiscono per non esporsi mai.
Federico sapeva che i commenti del padre avevano l’intento di fargli sentire un po’ di solidarietà maschile, ma neanche quella era sufficiente a tirargli su il morale.
Giancarlo, non contento, proseguì: -Ma poi che le hai fatto, di grazia, per farti scaricare?
-Sbaglio o avevi detto che questioni sentimentali non ne volevi sapere?
-Ah, l’ho detto? – rise il padre, dandogli un buffetto sul viso. -Mentivo, scemo, puoi dirmi quel che ti pare.
Federico sollevò le braccia come in segno di resa. -No, perché ti avviso che è una cosa super sentimentale.
Il padre lo guardò con un sopracciglio sollevato, in attesa.
-Le ho detto che la amo.
-Ammazza, mi ci vorrà tutto l’aiuto del mondo per questa conversazione – sbuffò il padre.
-Io ti avevo avvertito.
-Che faccio, chiamo tua madre?
Federico fece spallucce. -Non che cambi qualcosa, sono stato comunque scaricato.
-E allora? – lo incalzò il padre. -Per quale motivo dirle che la ami l’ha portata a scaricarti?
A quello domanda, però, Federico non sapeva rispondere.
Era come se Emma avesse sempre tenuto il freno a mano messo nel relazionarsi con lui, come se in nessuno dei momenti trascorsi insieme fosse stata davvero spontanea in tutto, a differenza di quello che Federico aveva pensato; era arrivato a realizzare quel pensiero proprio in quel momento, con il padre. Probabilmente era quello il motivo per cui lei non riteneva ammissibile che lui potesse essersi innamorato di lei, anche se comunque era la realtà dei fatti. Emma lo aveva letto e compreso, gli aveva alleggerito l’anima, e Federico non solo le era grato per aver tirato fuori da lui qualcosa che neppure sapeva di possedere, ma anche per averlo beneficiato della sua presenza. Emma era eterea, bellissima, nessuna ragazza mai incontrata era come lei; Federico era curioso di ogni cosa di lei e allo stesso tempo in totale ammirazione.
-Ma che ne so- se ne uscì alla fine. -Ha dato di matto e mi ha detto che non so niente di lei.
-Beh, questo te lo avevo detto anche io – intervenne Giancarlo, cercando di non apparire troppo saccente nel far notare al figlio quel dettaglio.
Federico gli fece una smorfia annoiata. -Mica non ne sono consapevole.
-E allora perché ti sei accontentato?
-Boh- borbottò confusamente. -Forse volevo che lei avesse il suo spazio, che si prendesse il suo tempo per esporsi. Non volevo farla scappare tempestandola di domande, a me andava bene stare con lei e basta.
Giancarlo si massaggiò le tempie. -L’hai fatta scappare comunque dicendole che la ami, però.
-A questo c’ero arrivato – sbuffò di rimando. -Però l’ho pensato e gliel’ho detto, ho disattivato il filtro bocca-cervello.
Ci fu un attimo di silenzio tra i due. Giancarlo lasciò andare il ritratto di Emma sul dondolo, come se lo avesse esaminato abbastanza da comprendere delle cose a cui Federico non era ancora arrivato.
-Comunque, sono sicuro di una cosa.
-Sarebbe? – chiese Federico, curioso.
-Probabilmente hai accettato passivamente di essere scaricato senza cercare di far nulla a riguardo.
Federico non rispose a quel sospetto, confermando a Giancarlo che avesse ragione.
In fin dei conti, non aveva provato in nessun modo a dissuadere Emma dalla sua decisione: l’aveva lasciata libera e basta, come se quello che lei avesse deciso fosse più importante anche della sua stessa volontà.
Si pentì di non aver speso una parola in più e imputò il tutto al suo orgoglio, che ancora una volta aveva parlato al suo posto. Non sapeva dire se le cose potevano andare diversamente, ma lui si era comportato come il vecchio sé stesso, quello che non era mai riuscito ad avere ciò che voleva.
Giancarlo diede una pacca sulle spalle del figlio, probabilmente dopo aver compreso che era nato in lui del senso di colpa. -In fin dei conti, si dice che le cose che amiamo vanno lasciate andare. Se torna dopo che l’hai lasciata libera di fare ciò che vuole, puoi essere certo di essere corrisposto.
Federico sorrise, grato di quella pseudo-consolazione che il padre gli stava riservando. -Ma questa frase l’hai pescata dai Baci Perugina? – ironizzò.
-Ho un libricino in cui mi sono appuntato delle frasi melense da rifilare a te ed Alberta quando avete problemi di cuore.
-Consiglierò ad Alberta di chiedere alla mamma, allora.
-Furbo – ridacchiò Giancarlo. -Così i consigli buoni li tieni tutti per te.
-Diciamo che questa conversazione non mi ha svoltato la giornata – lo scimmiottò.
-Allora vedi se la ragazzetta che è alla porta te la svolta!
Federico si sentì un tuffo al cuore. -Emma?
Giancarlo aggrottò le sopracciglia, scuotendo la testa. -Cavolo, sei proprio fissato con questa ragazza – constatò. -No, comunque, è Annamaria, chiedeva di salutarti anche se è tardi. È in salotto con Alberta e tua madre da quando sono qui, quindi, faresti meglio ad andare a salvarla.
Balzò in piedi. -Sarà fatto.
Si incamminò a grandi passi verso l’interno di casa, rimuginando sulle parole di Giancarlo e sulle cento cose che avrebbe potuto dire ad Emma e che invece aveva taciuto. Il fatto che forse non avrebbe più avuto occasione di dirgliele gli fece contorcere lo stomaco di dispiacere.
Quando raggiunse il salotto, Annamaria stava subendo le richieste della sorella piccola con un enorme sorriso sul viso.
-A Fede piace moltissimo fare sposare le Barbie – stava dicendo la piccola alla bionda.
Federico fu sorpreso di vederla in ottima forma: giusto quel pomeriggio l’aveva vista ancora spenta, triste, leggermente apatica. In quel momento, invece, sembrava diversa, con i capelli biondi profumati e il viso struccato ma sereno.
-Ciao – le disse, interrompendo la conversazione dei presenti.
Si sentì addosso lo sguardo inquisitorio e curioso di Simona. Del resto, lo aveva visto difendere a spada tratta la dignità di Annamaria contro Marco e da giorni si comportava come se stesse nascondendo una ragazza, era logico che la madre pensasse che si trattasse proprio della ragazza bionda che aveva davanti.
-Ciao – ricambiò Annamaria, riservandogli un bellissimo sorriso.
-Vieni – le disse Federico, indicandole il piano di sopra.
Annamaria non se lo fece ripetere una seconda volta e si incamminò.
Albertina continuò a giocare con le bambole. -Ma poi Anna viene? – disse distrattamente, senza neanche guardare il fratello.
-Penso che poi andrà a casa sua – le disse, carezzandole i capelli scuri per poi incamminarsi anche lui verso il piano superiore.
Giancarlo raggiunse il salotto proprio mentre Federico stava salendo gli ultimi quattro gradini delle scale, appena in tempo per sentire Simona mormorare curiosa se Annamaria fosse la ragazza di Federico.
La bionda, intanto, si era accomodata alla scrivania della camera.
-Che succede? – le chiese, chiudendosi la porta alle spalle. Ripensò a Emma e al fatto che poco prima erano soli anche loro, in quella stessa stanza.
-Stai bene? – domandò di rimando Anna, studiandogli da lontano il viso.
Scacciò via il pensiero di Emma, certo che fosse quello a farlo apparire malinconico e fiacco agli occhi degli altri, come era successo poco prima con il padre.
-Sì – la liquidò. Non voleva raccontarle quello che era successo visti i problemi che già aveva lei. -Tu piuttosto?
-Marco si è venuto a scusare a casa mia, mi ha portato un mazzo di fiori – rispose Anna, atona.
Federico si accomodò sul suo letto, sfilandosi via le scarpe.
-Che dovrebbe significare? – borbottò severamente. Non riusciva a mandare giù l’idea che Annamaria lo potesse perdonare per un gesto così mediocre e banale come quello di regalarle dei fiori.
La bionda si alzò dalla sedia e raggiunse Federico sul letto. Non si stese, nel timore di apparire troppo sfacciata, ma si posizionò abbastanza vicino da studiare il viso dell’amico.
-Guardati, mica ti facevo così protettivo – gli sorrise, inclinando la testa di lato.
Federico non disse nulla. Quella giornata si era già esposto a sufficienza sotto il punto di vista sentimentale, aveva bisogno di una pausa.
-Ad ogni modo – proseguì lei con un sorriso malinconico. -Vedere le sue scuse false mi ha dato il coraggio di andarlo a denunciare, sono andata giusto poco fa, prima di venire qui. Volevo solo dirti grazie, per quello che hai fatto per me, ti sei dimostrato un vero amico come non ne ho mai avuti in vita mia.
Non voleva dare a Emma il merito di ciò che aveva fatto per Annamaria, ma in fondo sapeva che se lei non lo avesse spronato a cambiare lui non sarebbe stato così aperto da empatizzare la situazione della bionda, per poi aiutarla. Emma gli aveva tirato fuori una sensibilità che non sapeva neanche di possedere, e per questo non se la sarebbe mai tolta dalla testa. Avrebbe avuto sempre il pensiero di lei ad accompagnarlo, giorno dopo giorno, e il rimpianto di non aver trascorso con lei più tempo.
Annamaria si accomodò meglio sul letto e fu in quel momento che tra i cuscini scorse un oggetto anomalo: tirò fuori un fiore dallo stelo piccolo e dallo sgargiante colore viola.
-E questo? – domandò, studiandolo incuriosita. Dopo aver constatato che anche Federico fosse confuso a riguardo glielo porse: -La violetta significa “Ricordami”.
Federico non poté fare a meno di pensare che fosse stata Emma a metterlo lì, e si sentì nuovamente triste.
 
La violetta indica timidezza, pudore e profondità di sentimenti. Regalare un mazzo di violette significa quindi dichiararsi apertamente ad una persona, tant’è che nell’Ottocento gli uomini più giovani usavano portare all’occhiello della giacca una violetta proprio per indicare che erano ancora in cerca di una moglie. Nel corso degli anni il significato più diffuso della violetta nel mondo è un invito a pensare alla persona da cui il fiore è stato ricevuto, pertanto donare una violetta significa, senza troppi giri di parole, “pensami”.
 
*Fonte: www.ilcalendariodellorto.com

 
 
Buongiorno a tutt*! 
Nell'ultima settimana ho notato una crescita nei numeri delle letture e di questo vi voglio ringraziare tantissimo: ogni volta che ricevo una nuova recensione mi sento molto ispirata dalla scrittura ed inizio a buttarmi sui capitoli successivi. Il sostegno che mi date è per me molto importante!
Fatemi sapere che cosa ne pensate del capitolo. 
Il prossimo appuntamento è per giovedì prossimo!
Vi mando un forte abbraccio.
   
 
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