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Autore: Clementine84    01/04/2022    0 recensioni
“E se Nick fosse la sua anima gemella e tu li avessi divisi? Se non riuscissero a essere felici con nessun altro e passassero la vita intera insoddisfatti? Sarebbe colpa tua”.
Brian e Evelyn sono migliori amici, ma questa loro profonda amicizia giustifica la decisione del ragazzo di mettersi in mezzo nella storia tra la ragazza e Nick?
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Brian Littrell, Nick Carter, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Nulla di quanto narrato è reale o ha la pretesa di esserlo. Questo scritto è frutto della mia fantasia e non vuole, in nessun modo, offendere le persone rappresentate. I personaggi originali, invece, appartengono alla sottoscritta e ogni riferimento a persone reali è da considerarsi puramente casuale.
 

CHAPTER 1 – Evelyn

Agosto 1980 – Lexington (Kentucky)

Brian si alzò dal letto, avvicinandosi alla finestra della sua camera. Scostò la tenda e si affacciò, respirando la tiepida aria di quella mattinata estiva. Si guardò intorno per un po’, concentrandosi sugli uccellini che cinguettavano tra i rami degli alberi del giardino e domandandosi se sua madre gli avrebbe permesso di uscire a fare due tiri a canestro, nel pomeriggio. Le avrebbe promesso di non affaticarsi troppo e di non sudare, per quanto fosse quasi impossibile, in pieno agosto.
All’improvviso, la sua attenzione fu richiamata dalla voce di sua madre che parlava con qualcuno in giardino. Abbassò lo sguardo e la vide chiacchierare con la vicina di casa, la signora McBride, che teneva in braccio un neonato. Doveva essere una bambina, dato che era vestita con una tutina rosa.
Riflettendoci, Brian si ricordò che la vicina di casa era incinta quando era stato ricoverato in ospedale. Aveva dovuto restarci due mesi interi, tanto era brutta l’infezione che l’aveva colpito e, con il suo soffio al cuore, per un momento i dottori avevano addirittura pensato che potesse non farcela. Invece era sopravvissuto, non sapeva bene come e, dopo una lunga convalescenza in ospedale, l’avevamo rimandato a casa, solo due settimane prima. Ma era ancora convalescente, per questo sua madre non lo lasciava uscire volentieri. Lui però non ce la faceva più a stare chiuso nella sua stanza. Voleva uscire, giocare, rivedere i suoi compagni di scuola, anche se sapeva che avrebbe dovuto ripetere l’anno perché aveva perso troppi mesi e, quindi, avrebbe dovuto farsi dei nuovi amici.
Sospirò e si sporse leggermente dalla finestra, per sentire quello che le due donne si stavano dicendo.
“Come sta Brian?” chiese la signora McBride.
“Meglio” rispose sua madre, alzando gli occhi verso la sua finestra. Brian si tirò immediatamente indietro ma non fu abbastanza svelto e la donna lo vide. Infatti aggiunse, ad alta voce, senza staccare gli occhi dalla finestra “Ma è ancora convalescente e non dovrebbe prendere freddo. Non è vero, Brian?”
Con un sospiro rassegnato, Brian rimise la testa fuori dalla finestra.
“Scusa, mamma” disse. Poi, appiccicandosi in faccia un sorriso, aggiunse “Buongiorno signora McBride”.
“Ciao Brian” ricambiò la donna, soffocando un risata. “Sono contenta di sapere che stai meglio. Ci hai fatto prendere un bello spavento, sai?”
In quel momento, la bimba che teneva in braccio fece qualche versetto e la donna iniziò a cullarla per calmarla.
Incuriosito, Brian chiese “È la sua bambina?”
La vicina sorrise e annuì. “Sì, è nata due mesi fa, mentre tu eri in ospedale”.
“Come si chiama?” domandò Brian, continuando a osservare la bimba.
“Si chiama Evelyn” rispose la donna poi, guardando la mamma di Brian, le chiese “Può scendere a conoscerla?”
Jackie annuì e, lanciando un’occhiata al figlio, sentenziò “Se prometti di metterti la sciarpa e di non scendere le scale di corsa”.
Brian si affrettò ad annuire. Qualsiasi cosa pur di uscire da quella stanza.
Si allontanò dalla finestra, prese la sciarpa di cotone che aveva abbandonato sulla sedia della scrivania e se la avvolse intorno al collo, nonostante facesse decisamente troppo caldo per portarla. Poi aprì la porta della sua camera e iniziò a scendere lentamente le scale.
Attraversò il giardino e si avvicinò alla staccionata che divideva la loro proprietà da quella dei McBride.
“Eccolo qui, il nostro eroe” lo accolse la vicina, non appena lo vide.
Imbarazzato, Brian affondò le mani nelle tasche dei pantaloncini e le rivolse un debole sorriso. “Non sono un eroe” replicò. “Non ho fatto niente”.
“Come no?” obiettò lei, rivolgendogli un sorriso affettuoso. “Sei guarito perfettamente da quella brutta infezione, non è mica da tutti sai?”
Il bambino abbassò lo sguardo e si lasciò sfuggire una risatina nervosa. Non sapeva mai cosa dire quando qualcuno gli faceva notare quanto fosse stato coraggioso ad aver, a tutti gli effetti, scampato la morte. Non era merito suo. Lui non aveva fatto proprio niente. Era solo stato fortunato.
“Bene Brian,” sentì sua madre dire “questa signorina qui è Evelyn”.
Brian fece un passo verso la signora McBride e sbirciò tra le sue braccia. La bimba, pelle chiarissima e un ciuffo di capelli scuri, come quelli della madre, teneva la testa girata verso il petto della mamma, quindi non riusciva a vedere molto. Una manina microscopica, con minuscole ditina raggrinzite, spuntava dalla manica della tutina e Brian alzò d’istinto una mano per sfiorarla. Prima di toccarla però, si fermò, guardando sia sua madre sia la vicina.
“Posso?” chiese, incerto.
Entrambe le donne sorrisero e fecero sì con la testa, così Brian posò delicatamente la sua mano su quella della bimba.
Quello che successe dopo, sarebbe rimasto impresso nella memoria di Brian per tutti gli anni a venire e considerato come un momento chiave della sua vita. Il momento in cui aveva incontrato la sua anima gemella, colei che sarebbe diventata non solo la sua migliore amica, ma la sorella che non aveva mai avuto.
La bimba mosse leggermente la manina, circondando un dito di Brian con le sue minuscole ditina. Poi girò la testa, puntandogli addosso due enormi occhi celesti, i più azzurri che Brian avesse mai visto nei suoi cinque anni di vita. E di occhi azzurri Brian se ne intendeva dato che anche i suoi erano di quel colore.
I due bambini restarono a fissarsi per un lungo istante, come ipnotizzati uno dall’altra. La bimba non dava segno di voler mollare la presa sul dito di Brian e lui, d’altro canto, non osava muoversi di un millimetro, per paura di spezzare quella connessione che si era creata tra loro o, peggio ancora, di farla scoppiare a piangere.
Nel frattempo, Jackie e la signora McBride assistevano alla scena in silenzio, con un mezzo sorriso sulle labbra. Finalmente, dopo un tempo imprecisato che a Brian sembrò lunghissimo ma che, invece, dovevano essere solo una manciata di secondi, la vicina di casa sentenziò “Le piaci, Brian”.
Senza allontanare la mano, Brian alzò lo sguardo sulla donna. “Davvero?” chiese e lei annuì.
“Chissà, magari quando cresce potreste diventare amici” propose.
Brian annuì. “Mi piacerebbe” ammise.
Ed era la verità. Per quanto quella bambina fosse piccolissima, rispetto ai suoi cinque anni, c’era qualcosa di magnetico nel suo sguardo e Brian ne era rimasto ipnotizzato. Quando la sua manina si era stretta intorno al suo dito, aveva sentito qualcosa muoversi, dentro di sé, e aveva capito all’istante che loro due erano destinati a stare insieme.
Come non lo sapeva, ma sicuramente sarebbe successo. Ne era certo.

  
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