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Autore: Ghost Writer TNCS    02/04/2022    2 recensioni
Da sempre le persone hanno vissuto sotto il controllo degli dei. La teocrazia del Clero è sempre stata l’unica forma di governo possibile, l’unica concepibile, eppure qualcosa sta cambiando. Nel continente meridionale, alcuni eretici hanno cominciato a ribellarsi agli dei e a cercare la verità nascosta tra le incongruenze della dottrina.
Nel frattempo, nel continente settentrionale qualcun altro sta pianificando la sua mossa. Qualcuno mosso dalla vendetta, ma anche dalla volontà di costruire un mondo migliore. Un mondo dove le persone sono libere di costruire il proprio destino, senza bisogno di affidarsi ai capricci degli dei.
E chi meglio di lui per guidare i popoli verso un futuro di prosperità e progresso? Chi meglio di Havard, figlio di Hel, e nuovo dio della morte?
Questo racconto è il seguito di AoE - 1 - Eresia e riprende alcuni eventi principali di HoJ - 1 - La frontiera perduta.
Genere: Avventura, Azione, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie '1° arco narrativo'
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11. La disfatta

Nelle ultime settimane il regno di Havard aveva fatto grandi progressi. Dopo Bakhmiŝ e Ganshada, altri villaggi e piccole città erano finiti sotto il suo controllo, così come altri gruppi di predoni nomadi. Aveva messo le basi per una nuova e fruttuosa rete di commerci, e allo stesso tempo poteva contare su diverse centinaia di uomini pronti a impugnare le armi in suo nome.

In alcuni casi era stato costretto a usare la forza per imporre la sua autorità, ma ormai le voci sul suo conto si stavano diffondendo. I ricchi erano interessati alle prospettive di guadagno offerte dai commerci, gli schiavi desideravano riconquistare la libertà, e il resto del popolo era affascinato dalla promessa di un futuro migliore. Di recente, al suo arrivo in un villaggio, erano stati gli stessi abitanti ad aprirgli le porte e ad accoglierlo, impazienti di entrare a far parte del suo dominio.

A insospettirlo era il fatto che, sebbene la sua fama continuasse a crescere, il Clero non l’aveva ancora attaccato. Per lo meno non in forma organizzata. Aveva avuto degli screzi con alcuni sacerdoti – per lo più devoti a Nergal – ma si era sempre trattato di divergenze personali. Divergenze che aveva messo a tacere senza però schierarsi troppo apertamente contro gli dei, almeno in pubblico.

Forse era proprio questo il motivo del silenzio del Clero: finché le persone continuavano a pregare gli dei, probabilmente per loro era indifferente chi fosse al governo delle città. O forse gli dei erano davvero troppo presuntuosi per considerarlo una vera minaccia, e anzi vedevano le sue conquiste come qualcosa di temporaneo.

Di certo questa immobilità del Clero era solo un vantaggio per Havard, che così aveva tutto il tempo per fare le sue mosse e porsi in una situazione di vantaggio, o per lo meno di limitare il suo svantaggio numerico.

Era tardo pomeriggio e il pallido si trovava in un campo militare. I suoi uomini lo stavano allestendo secondo le tradizioni dei nomadi, adattandolo a ospitare circa duecento guerrieri e i relativi monoceratopi. Non erano un vero esercito, ma erano ben equipaggiati, con armi e armature di ferro, e anche qualche dozzina di bacchette.

«Havard, sono arrivati tutti» lo informò un orco.

Il figlio di Hel annuì e tornò all’interno della sua tenda. Era più grande delle altre e al centro c’era un ampio tavolo su cui era stata aperta una mappa della zona. Era piuttosto rozza, ma bastava a rappresentare il territorio pianeggiante e la pianta della città che avevano preso di mira: Kandajan.

Insieme a lui c’erano altri sette uomini, tra cui un troll e un goblin.

«Kandajan è a meno di un’ora da qui, possiamo attaccarla anche durante la notte» affermò Reton, l’ex schiavo conosciuto a Bakhmiŝ. Come promesso, un fabbro gli aveva costruito una protesi di ferro, e Nambera aveva provveduto all’incantesimo necessario per permettergli di muoverla. Era un artefatto nettamente più rozzo di quello dell’orchessa, ma riusciva a supportarlo perfettamente durante le battaglie.

«Attaccheremo dopo l’alba, quando avranno aperto i portoni per far uscire i contadini» stabilì Havard. «Forse in questo modo riusciremo a raggiungerli prima che riescano a chiuderli.»

«Non penso che faremo in tempo» ribatté l’oni Endo. «La pianura è troppo esposta, ci vedranno subito. Ma sono d’accordo che attaccare durante la notte, con i cancelli chiusi, sarebbe altrettanto complicato.»

«Se chiuderanno i cancelli, io e il mio drago ci occuperemo di danneggiarne uno, così che Bah’soit e gli altri troll possano sfondarlo.»

«Lascia fare a noi» annuì il troll, fiducioso della forza del suo popolo. Anche lui era un ex schiavo, per la precisione era il fratello minore del troll ucciso nella miniera di Ganshada. Quando aveva saputo che Havard aveva dato pace all’anima di suo fratello, si era subito offerto di servirlo.

Nell’ultimo mese il figlio di Hel era entrato in contatto con un villaggio di troll, ma gli abitanti avevano rifiutato di partecipare alla sua campagna e gli avevano chiesto di essere lasciate in pace. Senza tanti giri di parole gli avevano spiegato che ne avevano abbastanza delle scorribande degli orchi e che non erano per nulla interessati all’idea di avere a che fare con loro. In ogni caso alcuni degli schiavi liberati, come Bah’soit, avevano deciso di combattere al suo fianco per ringraziarlo e per evitare che altri loro simili finissero di nuovo in catene.

«Dobbiamo dare priorità a rinforzare le armature superiori dei troll?» chiese il goblin. Aveva una vistosa bruciatura sul viso, ma non l’aveva rimediata sul campo di battaglia, bensì in una fucina. Lui era infatti un fabbro-alchimista, il capo della squadra militare di Havard. I goblin erano più agili ma nettamente più deboli degli orchi, di conseguenza si erano specializzati nello sviluppo tecnologico per sopperire alla disparità fisica. Il figlio di Hel sapeva che il loro supporto sarebbe stato fondamentale nella guerra contro il Clero, per questo non aveva perso l’occasione di reclutarli.

«Sì, dobbiamo evitare a tutti i costi che l’assalto si trasformi in un assedio» confermò il pallido.

Gli orchi erano guerrieri nati, ma non erano abituati ai lunghi assedi, e soprattutto non aveva abbastanza approvvigionamenti per sfamare le truppe.

Havard diede ulteriori disposizioni ai suoi capitani in modo che tutti sapessero cosa fare, dopodiché li congedò. Avevano tutti bisogno di riposo in vista dell’imminente attacco.

Una volta che i guerrieri ebbero lasciato la tenda, Nambera fece discretamente il suo ingresso.

«Havard, quando vuoi la cena è pronta.»

Lei e altri volontari – soprattutto donne – si erano presi l’incarico di preparare il cibo per i guerrieri, così da poter dare il loro contributo pur senza impugnare un’arma.

Il pallido annuì. «Grazie, arrivo subito.»

All’orchessa bastò uno sguardo per riconoscere un velo di esitazione nei suoi occhi. «Qualcosa non va?»

Il figlio di Hel si concesse un sorriso un po’ amaro. «Non posso nasconderti proprio niente, eh?»

Lei ricambiò con un sorriso materno. «Temo di no. Riguarda lei

Lo sguardo di Havard si oscurò. «Una volta presa la città, potrò avere giustizia per mia madre» disse a bassa voce, come se non volesse che le sue parole giungessero a orecchi indiscreti. «Finalmente l’anima della sua assassina finirà nel regno di Hel.»

Nambera gli si avvicinò. «È per questo che vuoi prendere Kandajan? Per poter giustiziare il priore che la governa?»

Lui esitò. «Potrei dirti che prenderla fa comunque parte del mio piano, però…» Serrò i pugni. «Sì, lo faccio soprattutto per arrivare a lei.»

L’orchessa poggiò delicatamente una mano sulla sua spalla e lo osservò con attenzione. «Perdonami, ma non credo sia questo che ti turba in questo momento.»

Havard non riuscì a nascondere il suo stupore.

«Ti prego, dimmi cos’è che ti preoccupa davvero.»

Il pallido scosse il capo. «Non è niente.»

«Se non me lo dici, non ti posso aiutare. E lo sai che continuerò a preoccuparmi finché non me lo dici.»

«È… È una sciocchezza, davvero.»

L’orchessa si limitò a fissarlo, in attesa.

«Pensavo che, con tutte queste persone che credono in me, mi sarei sentito più… non so, più potente. Più divino. Invece mi sento come prima. La mia magia non è aumentata, e le mie percezioni nemmeno. Sento la loro fiducia, ma forse non mi vedono davvero come un dio.»

«Havard, sei il loro capo e loro credono in te. Probabilmente devi solo abituarti a sentire le loro preghiere.»

Il figlio di Hel annuì. «Probabilmente hai ragione. Grazie, Nambera.»

Lei gli sorrise con dolcezza. «Ora vieni, prima che la cena si freddi. O che i tuoi uomini finiscano tutto. Non per vantarmi, ma credo sia venuta particolarmente bene.»

Lui annuì. «Se sei tu a dirlo, deve essere davvero ottima.»

All’alba del giorno seguente, come da programma, Havard e i suoi uomini attaccarono Kandajan con una carica frontale. Il loro obiettivo era di cogliere in controtempo le guardie, invece i difensori sbarrarono i cancelli senza pensarci due volte, incuranti degli schiavi e dei loro controllori rimasti chiusi fuori.

Havard fece avvicinare il suo giovane drago al cancello, pronto a indebolirlo con il fuoco e la sua magia di putrefazione, ma qualcosa lo costrinse a fermarsi: due inquisitori in groppa ad altrettanti draghi. Uno dei due scatenò delle palle di fuoco contro le truppe del pallido, l’altro invece si lanciò in un volo radente, lasciando dietro di sé un denso fumo velenoso.

Grazie alle benedizioni degli dei, quei due guerrieri del Clero potevano massacrare orchi e monoceratopi a decine senza nemmeno sfruttare il fuoco dei loro draghi.

Havard ordinò subito la ritirata e si lanciò all’inseguimento di uno degli inquisitori: doveva far guadagnare tempo ai suoi.

Puntò il suo bastone d’ossa e colpì un’ala del drago del nemico con l’incantesimo di putrefazione. Immediatamente la membrana cominciò a corrompersi e l’animale ruggì di dolore. L’inquisitore lanciò una palla di fuoco, ma il giovane drago di Havard riuscì a schivare. L’orco pallido evocò una barriera e in questo modo riuscì a proteggersi finché il nemico, costretto a terra, non fu fuori portata.

Restava un solo inquisitore.

Il figlio di Hel si guardò intorno, ma una nuvola di fumo lo investì dall’alto. Lui e il giovane drago di foresta respirarono il veleno e subito cominciarono a tossire.

L’orco lanciò un altro incantesimo contro il drago del nemico, e anche questa volta la magia andò a segno, costringendo il drago dell’inquisitore ad atterrare. Ora il guerriero del Clero non avrebbe più potuto inseguirli, ma ormai il suo attacco era andato a segno: il pallido e la sua cavalcatura avevano respirato il fumo velenoso, se non facevano qualcosa presto sarebbero morti anche loro.

Dovevano sbrigarsi a tornare indietro. Nambera sarebbe stata in grado di guarirli. O almeno lo sperava: non conosceva nessun altro in grado di contrastare il veleno di Tezcatlipoca.

Guardò sotto di sé. I suoi guerrieri stavano fuggendo in maniera disordinata: alcuni gruppi non erano nemmeno diretti al campo. Ma con il suo giovane drago preda del veleno e la minaccia degli inquisitori alle spalle, non aveva il tempo per riunirli e riportare l’ordine.

Poteva elencare diverse ragioni per quella sconfitta, ma la verità era che la vendetta l’aveva accecato. Non erano pronti ad affrontare un simile nemico, e i suoi subordinati ne stavano pagando le conseguenze.

Tossì ancora.

Per colpa della sua avventatezza stava rischiando di perdere tutto. Anni di preparazione, settimane di battaglie e una fiducia faticosamente costruita sulla promessa di un futuro migliore.

Era così che sarebbe finita?


Note dell’autore

Ciao a tutti!

Come preannunciato dal titolo, in questo capitolo vediamo la prima vera sconfitta di Havard, nonché ciò che era stato anticipato nel prologo. Il pallido ha voluto affrontare un nemico troppo forte, e per questo le sue forze sono state sbaragliate.

Sconfitta a parte, in questo capitolo ho avuto modo di citare nuovamente l’assassina di Hel, ma avrò modo di approfondire questa priora più avanti. Perché di certo Havard non rinuncerà a vendicare sua madre, a prescindere da quante batoste dovrà subire.

In più abbiamo anche uno scorcio dei dubbi del pallido riguardo ai suoi poteri divini, che per il momento non si sono ancora manifestati come avrebbero dovuto (secondo Havard almeno). Ma anche questo è un tema che tornerà più avanti.

Cosa farà adesso Havard? Di certo non getterà la spugna, ma dovrà riconsiderare almeno in parte le sue strategie.

Grazie per essere passati e a presto ^.^


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