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Autore: Feisty Pants    03/04/2022    1 recensioni
In una scuola americana, lontana dalla Spagna e dalla storia dei Dalì, i figli degli ex rapinatori vivono la propria adolescenza con spensieratezza, gioia ed energia, senza sapere di avere, come genitori, i ladri più geniali della storia. La vita trascorre normalmente per i Dalì, ormai intenti a lavorare e a seguire una routine che li entusiasma, ma la tranquillità non durerà per sempre: presto la verità verrà a galla, portando con sé rischi e pericoli.
Genere: Azione, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Bogotà, Il professore, Nairobi, Rio, Tokyo
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Incompiuta
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CAPITOLO 21

“Noi andiamo…” comunica Bogotà, stringendo la guancia alla piccola Leya che saluta tristemente la propria famiglia.

“Torneremo presto vedrai! Riporteremo a casa tua sorella e i cuginetti, capito?” prova a tranquillizzarla Nairobi, notando la dodicenne particolarmente preoccupata.
Tokyo rivolge un sorriso alla migliore amica, per poi apprestarsi a salutare la propria bambina insieme a Rio.
Tutto quello le sembra assurdo: in pochi giorni le fatiche di anni e anni si erano riversate come un fiume in piena, su sponde che reputavano solide e sicure e che, invece, si stavano inondando facilmente.

Tornare ad imbracciare un fucile non era ciò che Silene desiderava. La nascita delle sue bambine l’aveva resa una persona completamente diversa, donandole un genere di ricompensa e amore a cui non avrebbe rinunciato nemmeno per tutto l’oro del mondo.

In qualche giorno la serenità era svanita e con loro tutte le menzogne e i sacrifici. Leya aveva rischiato un rapimento, Nieves era sequestrata da chissà chi e i Dalì si erano riuniti per riconquistare i propri tesori a costo della vita.

L’idea di salutare la figlia minore pugnala Rio e Tokyo nel cuore, non riuscendo a darsi pace per quel lieto fine così drasticamente modificato.

“Non devi avere paura… capito?” rompe il ghiaccio Silene, accarezzando la guancia rosea di Leya appena stuzzicata dallo zio Bogotà.

“E se hai paura, ti viene un attacco di panico o altro, lo devi dire a Daniel e Monica… capito?!” la mette in guardia Rio, non sottovalutando le preoccupazioni della minore.

“Ce lo prometti Leya? Che dirai tutto a loro?” rincara la dose Tokyo, rivolgendo uno sguardo a Monica che le annuisce prontamente, cercando di donarle quel poco di serenità che potevano garantirle.

“Sì, ma… mi promettete che non sgriderete Nieves?” cambia discorso Leya, dimostrandosi nostalgica e malinconica a causa della sorella maggiore.

“Certo, perché pensi a una cosa del genere?” domanda Rio confuso, guardando anche Tokyo.

“Perché anche io e Nieves abbiamo bisticciato… lei aveva il ragazzo e finché non me l’ha confidato mi teneva lontana. Lei sapeva tutta la vostra storia, ma vi voleva comunque proteggere! Lei aveva provato a controllarmi il computer dicendomi di stare attenta perché sapeva di questi rischi. Non siate cattivi con lei, perché ha sempre cercato di farmi del bene” comunica la bambina aprendo completamente il proprio cuore e dimostrando lo stesso identico animo d’oro del suo papà.

“Ti assicuro… che l’ultima cosa che vorrei fare con Nieves è alzare la voce” risponde subito Tokyo, inginocchiandosi e guardando negli occhi la figlia per dimostrarle di dire la verità.

“La riporteremo qui e la nostra famiglia sarà ancora più bella di prima. Non litigheremo più e ci diremo sempre tutto… ok?” si aggiunge Rio, per poi dare vita a un abbraccio familiare dove l’assenza di Nieves pesa come un macigno.

Un altro struggente saluto si intrattiene in una stanza vicina e vede come attori Raquel, Sergio e Andres.

“Io so di aver sbagliato, ma non voglio chiedervi del tutto scusa” se ne esce Andres con fare serioso, attirando l’attenzione dei genitori che vedono, in quell’atteggiamento, una nuova alzata di testa.

“Io ho sbagliato perché ho infranto leggi, mi sono comportato male, ho pensato alla fama e mi sono dimostrato anche un ragazzo orribile in amore. Vi ho mentito, ma io dovevo sapere di più!” si apre il giovane mettendosi una mano sul cuore, angosciato da quel peso che lo occultava fin da bambino.

“Mi avete cresciuto con il continuo riferimento a uno zio defunto. Sono stato figlio unico proprio per ricordare quanto fosse unico lui! Assomigli a zio Andres di qui e a zio Andres di là… quando sono venuto a sapere della sua storia, inizialmente non ho visto la grande persona che idolatrava papà e ho voluto imitare quei tratti negativi della sua persona! Tu stesso me lo dissi… quando ricevetti il pugno da Ramon…” continua Andres affranto, esternando un dolore dovuto a un errore educativo.

“La verità è che su questo non mi va di chiedervi scusa, perché io sono andato a cercarmi qualcosa che avrei dovuto sapere! Non mi va di chiedervi scusa, perché io rimango comunque Andres Marquina! Io mi chiamo Andres, io SONO Andres… e non sono mio zio” conclude Andres con le lacrime agli occhi e i pugni chiusi, segno di uno sfogo che attendeva il momento giusto per irrompere.

Raquel e Sergio rimangono attoniti da quella spiegazione, senza parole e impotenti non potendo fare a meno di confermare quanto esplicitato. La prima a parlare, però, è proprio Raquel che rivede nel figlio la stessa sofferenza vissuta personalmente.

“Non devi chiederci scusa perché hai ragione su tutto. Sai… io non volevo chiamarti Andres, per il semplice motivo che non incontrai personalmente Berlino, ma avevo studiato i suoi fascicoli e il pregiudizio nei suoi confronti fu davvero notevole” spiega Raquel, guardando negli occhi Sergio sapendo di dover trattare un tema già affrontato privatamente.

“Quello di tuo padre, però, non è una ossessione! È un gesto d’amore… Andres è stato come un padre per lui e ha anche dato la vita per permettere la buona riuscita del piano di papà. Andres è stato per Sergio un padre: lo stesso padre che lui ha cercato di essere per te” afferma Raquel sorridendo, mostrando un tratto favorevole a quel nome che stava ormai stretto.

“Io ho sempre fatto fatica a parlare di mio fratello, soprattutto dopo la sua morte. Come dice tua madre, tu mi ricordi il buono che c’era in lui, ma stiamo parlando di ricordi! Qualcosa che non c’è più e che semplicemente tu mi aiuti a non dimenticare. Guardo te e ricordo tuo zio, ma tu non sei mio fratello e questo lo so bene! Grazie a te vivo il ricordo, ma ho imparato anche a vivere in quanto padre di un ragazzo che è esclusivamente mio, nato dal mio amore! Per me sei sempre stato unico Andres e ti chiedo scusa per non avertelo mai dimostrato” si confida finalmente il prof, riuscendo a rivolgere lo sguardo al figlio che ascolta attentamente ogni parola.

La situazione sembra finalmente risolversi e quella famiglia si ricongiunge in un abbraccio, superando le difficoltà appena scovate. Terminato il momento dei saluti, i Dalì si apprestano a partire con un aereo privato, valutando e correggendo il piano.

In men che non si dica il piano del professore viene architettato e una miriade di persone, appartenenti a varie regioni del mondo, si mobilitano per rispondere ai suoi comandi.

“Rio e altri tecnici stanno cercando di accedere al sistema informatico utilizzato dai rapitori. Dovrebbero riuscire ad agganciarsi al dispositivo che ha chiamato Leya al telefonino” afferma il professore seduto in aereo accanto a Rio, occupato a fissare il monitor.

“Dovremmo riuscirci senza problemi perché non sembrano esserci chissà quali sistemi di sicurezza!” afferma Rio, continuando a schiacciare tasti e decifrare numeri.

“Questa è ulteriore conferma che non essere polizia, giusto professore?” domanda Helsinki, preparandosi e riempiendosi di armi da vero militare.

“Giusto… proprio come ci eravamo detti. Rimane il fatto che non ho la più pallida idea di chi possiamo trovarci di fronte e l’imprevedibilità di questo può rendere il tutto molto più complicato” risponde il professore aggiustandosi gli occhiali.

“Quindi come ci muoviamo… professore?” domanda Tokyo, caricando una pistola in segno di motivazione.

“Spieremo la situazione in borghese, grazie a degli alleati, in modo da comprendere il posto e lo stile organizzativo. È molto probabile che lì dentro siano in molti, motivo per cui bisogna agire attentamente. Seguiremo poi con l’inviare dei veri poliziotti sul posto e farli entrare chiedendo informazioni e i permessi per il museo in questione. Una volta dentro non ci attende che irrompere con tutte le forze che abbiamo a disposizione e liberare i ragazzi” comunica il professore, titubante di fronte al piano.

“E chi mai ci aiuterebbe nella polizia? Da quando tu conosci delle persone disposte a stare dalla nostra parte?” chiede Bogotà, seduto accanto a Nairobi che non aveva ancora detto una parola, segnata da un dolore profondo che non riusciva ancora a metabolizzare.

“Raquel diciamo che ha le sue conoscenze… abbiamo Angel dalla nostra parte e con lui una squadra in incognito” risponde il professore con un largo sorriso, contento di quel rapporto d’amicizia mantenuto per anni.

“Perfetto professore ma sia chiaro: al primo rischio noi irrompiamo!” lo mette in allerta Tokyo, per poi ricevere l’approvazione di tutto il gruppo.

“Siamo dentro!” urla improvvisamente Rio, felice della propria riuscita di hackeraggio, mostrando il computer al gruppo.

“Che cosa hai trovato?” domanda il prof correndogli incontro, scrutando attentamente il monitor del piccolo dispositivo.

“Sono riuscito ad accedere a uno dei tanti computer e a una telecamera annessa che sto cercando di abilitare” spiega Anibal con le pupille piccole a causa del contatto con la luminosità.

Ancora qualche momento di attesa ed ecco una piccola immagine comparire davanti ai loro occhi. La telecamera inquadrava una stanza che pareva di controllo, con tanti computer e postazioni informatiche attive. Rio cerca di zoomare sugli altri dispositivi per scoprire preziosi dettagli, ma un movimento umano pare distrarlo. In un angolo della stanza, infatti, una figura era intenta a contorcersi su sé stessa. Rio non vedeva bene, ma la persona sembrava soffrire molto e stringersi la pancia.

“Chi diavolo è? Prova ad avvicinarti!” chiede il professore non riuscendo a mettere a fuoco la situazione. Rio fa tutto il possibile per migliorare la qualità dell’immagine, nonostante i pixel e le sfumature bianche e nere che non permettevano di comprendere nitidamente.

Un particolare, però, pare aiutarli a identificare l’individuo lasciando tutti senza parole.

“No, non posso crederci! Quello è Ramon! Lo riconosco dal ciuffo!” esclama sconvolto Rio, indicando il ragazzo sul monitor.

Nairobi, nel sentire quel nome, balza in piedi barcollando a causa delle turbolenze dell’aereo, per poi avvicinarsi al computer e spingere il professore per poter guardare con i propri occhi.

Ciò che le si palesa davanti riapre una ferita sanguinante e ne crea una nuova nel vedere il proprio figlio in certe condizioni.

“Non sta bene! Che cosa gli succede?!” ruggisce Nairobi portandosi una mano sul petto, raggiunta da Bogotà che reagisce nell’identico modo.

“Dobbiamo fare il più veloce possibile! Chiamo e pago altre persone per aiutarci perché i ragazzi sono in grave pericolo!” commenta Sergio alzandosi in piedi di scatto e mobilitandosi per il rinforzo.

“Amore mio, cosa ti hanno fatto?!” sussulta Agata con il desiderio di piangere, sentendo gli occhi sanguinare nel vedere il figlio così sofferente. Tokyo accorre in suo aiuto, accarezzandole dolcemente la schiena, ma anche per lei la visione pare un duro colpo da accettare.

“Lo stanno drogando o avvelenando…” spiega il professore con risentimento, amareggiato nel dover comunicare una notizia del genere.
  
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