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Autore: Feisty Pants    04/04/2022    1 recensioni
In una scuola americana, lontana dalla Spagna e dalla storia dei Dalì, i figli degli ex rapinatori vivono la propria adolescenza con spensieratezza, gioia ed energia, senza sapere di avere, come genitori, i ladri più geniali della storia. La vita trascorre normalmente per i Dalì, ormai intenti a lavorare e a seguire una routine che li entusiasma, ma la tranquillità non durerà per sempre: presto la verità verrà a galla, portando con sé rischi e pericoli.
Genere: Azione, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Bogotà, Il professore, Nairobi, Rio, Tokyo
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Incompiuta
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CAPITOLO 22

“Non ne posso più di starmene qui ferma a fare nulla!” urla Nieves in preda a un attacco di rabbia.

“Hai qualcosa in mente?” chiede Cecilia, agitata e preoccupata per quella situazione. Ormai erano rinchiusi da diverse ore, senza acqua o cibo e lontani da Ramon.

“Ssssshhh…” sussurra Dimitri cercando di concentrarsi. Le ragazze gli rivolgono uno sguardo dubbiose, vedendo l’amico intento a muovere lentamente le mani ammanettate.

“Che cosa stai facendo?” domanda Nieves corrugando la fronte.

“Sto provando a togliere la mano dalle manette. Grazie ai miei studi medici e di guerra l’ho visto fare una volta: uno si è slogato il polso riuscendo a liberarselo. Voglio provarci anche io, ma nel momento giusto” risponde lui, oscillando leggermente il polso destro.

Le ragazze stavano per ribattere quando, finalmente, il rumore della chiave all’interno di una serratura li obbliga a fare silenzio.

“Ah ecco i nostri ragazzi!” commenta un uomo calvo, entrando nella stanza con poca acqua e una pistola per proteggersi.

“Chi sei? Che cosa vuoi da noi?” domanda Nieves senza paura, affrontando immediatamente l’estraneo.

“Siamo il vostro peggiore incubo!” la sbeffeggia l’uomo, dando vita a una risata malvagia per prenderla in giro. La guardia si appresta poi ad avvicinarsi, porgendo una minima quantità d’acqua alle labbra dei prigionieri.

“Vi siete proprio sforzati eh” afferma coraggiosa Nieves, facendo una smorfia di fronte a quel misero sorso d’acqua.

“Volete farci morire di sete? Siete i peggiori sequestratori di sempre!” si aggiunge Cecilia, ridacchiando per quell’imbarazzante gesto disumanizzante.

“Sentite, ora avete rotto il cazzo!” si altera l’uomo calvo, inginocchiandosi davanti a Nieves e portandosi a pochi centimetri dal suo volto.

“Come sei irascibile!” lo schernisce Nieves, dimostrando la medesima forza della madre.

“Vedi di rigare diritto e non intralciare il mio operato!” ringhia l’uomo avvicinando il bicchiere alle labbra di Nieves che accetta le poche gocce senza ribattere.

“Ti sei dissetata ora? Simpaticona del cazzo?” continua l’uomo, spostando il bicchiere.

L’epiteto non piace a Nieves che, colma di rabbia, sputa in faccia alla guardia senza paure. Una Nieves con gli artigli e la stessa tempra di Tokyo, utile per sopravvivere emotivamente e psicologicamente a situazioni come quelle.

“Tu, brutta…” inizia a ringhiare l’uomo cingendo la mano attorno al collo della ragazza con l’intenzione di darle una lezione, ma l’arrivo di un collega pare interromperlo.

“Parigi, smettila!” lo blocca Leroy, giunto nel luogo appena in tempo.

La guardia, sentito il messaggio del capo, si allontana immediatamente dopo aver rivolto uno sguardo irato alla ragazza.

“Nomi di città anche voi?” domanda Cecilia, scrutando attentamente l’adulto dai capelli scuri.

“Ci si adegua alle missioni date” risponde Leroy, versando di nascosto un altro bicchiere d’acqua per tutti e tre i ragazzi.

“Perché ci dai da bere? Come facciamo a fidarci di te?” chiede Dimitri, guardando torvo l’uomo che gli stava porgendo un bicchiere.

“Io non ho mai accettato di volervi fare del male” risponde Leroy, tenendo d’occhio la porta e invitando Dimitri a bere.

“Accettato? Non è tuo questo piano?” domanda Cecilia dubbiosa, non capendo il motivo che si celava dietro a quel comportamento cordiale.

“Non posso dirvi nulla. Sappiate solo che non durerà molto questa storia!” si fa vago Leroy, offrendo il bicchiere anche a Cecilia e Nieves.

“Dov’è Ramon? Perché non è con noi?!” lo interroga Nieves, in pena per il ragazzo del quale non si avevano notizie.

“Il capo ha deciso così per lui. È in un’altra stanza” afferma Leroy facendosi vago, sapendo di rischiare molto con quelle informazioni.

“Ti prego… fa che non gli succeda nulla di male” lo supplica Cecilia, lasciando scorrere una lacrima lungo il viso. Quella situazione stressante li stava logorando e mettendo in mostra le più profonde fragilità.

“L’ho promesso a me stesso” prova a tranquillizzarla Leroy, guardandola negli occhi con tenerezza.

“Balle… perché dovremmo crederti?! Tu mi hai monitorata, mi hai seguita, mi hai fatta arrivare fino a qua, mi hai fatto scoprire la storia della nostra famiglia e ci hai rapiti. Perché ora cerchi di essere gentile?” sbotta Nieves alzando il mento, non fidandosi dell’estraneo.

Leroy attende qualche secondo prima di rispondere, dopo aver controllato nuovamente la porta sperando di non essere spiato.

“L’ho dovuto fare a causa di un ricatto che ancora ora mi vincola. Inizialmente mi erano state date delle mansioni informatiche che ho accettato… ma adesso hanno cambiato tutto e sto prendendo le distanze” prova a spiegare Leroy, con gli occhi sempre fissi alla porta.

“Provacelo allora… che sei dalla nostra parte” continua determinata Nieves, non cedendo.

Leroy sospira per poi compiere un gesto che gli sarebbe costato molto. L’uomo si avvicina a Nieves e, con fare svelto, la sgancia dalle manette.

“Ora sai che faccio sul serio. Vi chiedo solo di reggermi il gioco e liberarvi quando sarà il momento giusto” conclude Leroy, per poi uscire dalla stanza senza aggiungere altro.

L’aereo dei Dalì comincia la discesa per l’atterraggio e tutti appaiono ancora più motivati di prima. L’unica a non parlare più è Nairobi, vestita da militare e seduta silenziosamente in un angolo.
Bogotà, dopo averla lasciata sola per qualche minuto, decide di avvicinarsi alla moglie pur conoscendo il suo carattere.

“Amore…” prova a parlare Bogotà, una volta a due passi da lei.

“Non osare dirmi che andrà tutto bene, perché questo è un fottuto schema che si ripete” lo blocca immediatamente lei, evitando di guardarlo in volto. L’uomo, che conosce a menadito la compagna di vita, si appresta così a sederle accanto, dimostrandole la propria vicinanza anche senza esprimersi a parole.

Tra i due trascorrono altri minuti di silenzio, finché non è proprio Nairobi a parlare.

“Vedere Ramon così mi ha completamente distrutta. Non so cosa gli stiano dando, ma per un attimo ho rivisto Axel…” sussurra la donna, lasciando scorrere lacrime amare.

“Ho rivisto Axel contorcersi e piangere a causa di quel dannato liquore all’anice che gli dava il compagno di mia madre. Ho dovuto disintossicarlo e ci sono voluti mesi per aiutarlo a fidarsi di qualsiasi cosa gli si porgesse da bere” spiega Nairobi, ripercorrendo nella memoria quei disastrosi momenti.

“Ora Ramon è nella medesima situazione e io non posso evitarlo! Me lo stanno portando via, così come mi hanno fatto sparire Cecilia e io non ho potere! Io vorrei correre dentro quel cazzo di museo, raderlo al suolo e portarmi fuori i ragazzi… ma proprio come è avvenuto con Axel, sono altri che stanno scegliendo la sorte dei miei figli e io rimango qui, inerme, a guardare da delle sbarre!” si dispera Nairobi, coprendosi gli occhi con il palmo delle mani per cercare di ricacciare indietro quelle lacrime che si era ripromessa di non versare più.

Santiago prova la stessa sofferenza della moglie ma comprende, in quel momento, di essere molto più fragile di lei. La vera guerriera era sempre stata lei! Lui si era considerato indegno dei propri figli, mentre Nairobi non aveva avuto scelta. Rimasta incinta inaspettatamente ha tenuto quel bambino contro tutti e contro tutto, ma gliel’hanno portato via. Quella ferita si stava riaprendo troppo velocemente e sgorgava sangue scuro incessantemente.

“Non so dirti se andrà tutto bene, ma posso dirti che questa volta è diverso” spiega Bogotà, prendendole una mano con cautela e rigirandole gli anelli, indicandone poi uno in particolare: la fede nuziale che si erano donati 18 anni prima.

“Questa volta non sei da sola… siamo insieme e affronteremo tutto insieme! Non permetterò mai di farti rivivere ciò che è successo con Axel” promette Bogotà, stringendo la mano alla gitana che, però, la ritrae velocemente.

Agata sorride all’uomo per la gentilezza, consapevole di avere di fianco il padre dei suoi due gioielli, custode del suo medesimo dolore, ma in un momento come quello preferisce restare sola.

Nella vita era sempre stata sola e quella ferita le faceva uscire i medesimi artigli affilati che le avevano permesso di sopravvivere. Affidarsi e lasciarsi andare l’avrebbero distrutta… e lei, Nairobi, la pantera nera della banda, non poteva permettersi di mollare.

Bogotà vorrebbe ribattere, ma viene invitato da Sergio a scendere dall’aereo. La banda mette piede in un campo deserto, a qualche chilometro di distanza dal sito del museo.

Il gruppo viene immediatamente raggiunto da alcuni militari e alleati del professore che indicano loro l’accampamento.

“Abbiamo già perlustrato la zona. Nonostante il sequestro dei ragazzi, loro continuano l’attività artistica. Il museo è ancora aperto e molte persone si recano sul luogo per visitarlo. Non siamo ancora entrati, quindi non sappiamo effettivamente cosa sia esposto, ma possiamo confermarvi il proseguo dell’attività” risponde una vecchia conoscenza della banda.

Marsiglia, infatti, era giunto sul campo quanto prima e aveva già condotto alcune indagini per il suo amato professore.

“Grazie Marsiglia… avrei preferito rivederti in altre circostanze” risponde il prof, stringendogli il gomito e ringraziandolo per l’aiuto.

“La famiglia non si abbandona, professore!” aggiunge Marsiglia sorridendo sotto i baffi, per poi ascoltare il resoconto del proprio capo.

“Quindi non ci resta che attuare il piano: entrare con i poliziotti e chiedere i vari permessi per l’attività museale” afferma Sergio, aggiustandosi gli occhiali e guardando una casetta nel bosco che Marsiglia e gli alleati avevano allestito per la missione.

“I poliziotti sono già pronti professore… aspettano solo il segnale” aggiunge Marsiglia, indicando Angel e un altro gruppo di agenti in divisa davanti alla casetta.

“Perfetto, non c’è tempo da perdere! Rio, collegati con i tecnici all’interno dell’accampamento: dobbiamo cercare di osservare e capire il più possibile dalle telecamere della polizia” ordina il prof, aprendo la porta della casetta e facendo accomodare la squadra.

“Voi altri entrare, sistematevi e riempitevi di armi… la prudenza non è mai troppa” li avverte Sergio, guardando da lontano il gruppo di poliziotti allontanarsi.

“Ce la faremo?” domanda Raquel, unica rimasta all’esterno con il professore, dopo aver salutato ed essersi accordata con il collega di una vita Angel.

Sergio osserva l’ambiente circostante con una strana sensazione in corpo. L’adrenalina e il desiderio di vittoria rinascono dentro di lui ma, a differenza delle altre rapine, ora la posta in palio e il rischio di perdere qualcuno di caro è estremamente alto. Ora Sergio aveva un figlio, una moglie e tantissimi amici che considerava fratelli e sorelle, oltre al fatto che la sua mente non si era più allenata in strategia e pianificazione per più di 18 anni.

“Lo spero tanto” si limita a ribattere Sergio, sapendo di poter mostrare la propria titubanza alla moglie che, fiduciosa, gli accarezza la schiena per poi accompagnarlo all’interno della casetta.

L’accampamento in legno, in realtà, all’interno era stato fatto in cemento e materiale adatto per schermare i messaggi informatici e tecnologici. L’ambiente si strutturava in due spaziosi piani: uno adibito alla zona informatica con postazioni computer e uno con materassi, sacchi a pelo, provviste e rifornimenti.

Rio si mette subito all’opera, incoraggiato anche dal sostegno di Silene che gli si siede accanto nella speranza di poter vedere il più possibile dalle telecamere dei poliziotti.

Helsinki e Palermo si rivestono completamente di armi, trattenendosi poi a parlare con Sergio del da farsi e di come potersi comportare in caso di un “aprite il fuoco”.

Bogotà, dopo la reazione di Nairobi, segue le indicazioni del proprio comandante rivolgendo anche qualche parola all’amico Marsiglia. L’uomo, una volta riacquistata la razionalità, girovaga per la casetta alla ricerca di Nairobi, non trovandola.

“Qualcuno ha visto Nairobi?” chiede l’uomo dal piano superiore, rivolto ai tecnici in postazione. Tutti si guardando a destra e a sinistra, ma di Agata nemmeno l’ombra.

Silene e Santiago finiscono per rivolgersi il medesimo sguardo di terrore e, preoccupati, corrono all’esterno nella speranza di trovarla lì. Come volevasi dimostrare, però, il bosco appare vuoto e solo il canto di uccellini e il rumore di rami cadenti dagli alberi pare avvolgerli.

“Che cosa succede?” domanda Sergio raggiungendoli, avendoli visti correre fuori spaventati.

“Nairobi non c’è!” esclama alterato Bogotà, sapendo già che cosa fosse successo.

“Che cosa?! Dov’è?!” chiede Sergio impanicato e deluso nel trovarsi di fronte a un primo imprevisto.

“La motivazione mi pare ovvia: Nairobi è una leonessa e se le si toccano i cuccioli, lei si mette a cacciare” risponde Tokyo portandosi una mano alla fronte e scuotendo il capo, pentendosi di non averla tenuta d’occhio.

“Non parlare per metafore, che cosa intendi?!” la interroga Sergio, aprendo le mani con foga.

“Si sarà vestita da poliziotta e mimetizzata con il gruppo. Non è ovvio, professore? Nairobi è nella tana del lupo!”
  
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