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Autore: JulesB    06/04/2022    2 recensioni
"Ripensare al tentativo goffo e impacciato di Deku lo faceva ribollire, sia di rabbia sia di gelosia. Quel dannato nerd aveva raccolto tutto il coraggio che aveva e un po’ balbettando un po’ urlando aveva chiesto a Ochaco di accompagnarlo al ballo. E lei non aveva nemmeno fatto finire il ragazzo di parlare che aveva già accettato. Katsuki aveva dovuto assistere a quel siparietto tragicomico in cortile, sotto gli occhi di tutti i presenti. Se Deku fosse andato al ballo con Ochaco, allora chi era lui per non partecipare? "
Genere: Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Izuku Midoriya, Katsuki Bakugou
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Il sottile e lungo specchio all’angolo rifletteva la figura alta e snella di Katsuki, in quel momento troppo occupato ad allacciare la fascia di seta rossa attorno alla vita per notare che era rimasto solo nella stanza. I suoi compagni se ne erano andati di fretta e furia, troppo eccitati dall’idea di passare una serata in compagnia delle loro dame, a danzare e divertirsi. Katsuki non voleva andarci. Aveva cercato in ogni modo di rifiutarsi, persino l’idea di trovare un’accompagnatrice lo aveva fatto sentire a disagio, ma quando aveva visto Deku chiedere ad una ragazza Tassorosso di accompagnarlo al Ballo del Ceppo, Katsuki aveva deciso che niente avrebbe potuto impedirgli di partecipare.

Ripensare al tentativo goffo e impacciato di Deku lo faceva ribollire, sia di rabbia sia di gelosia. Quel dannato nerd aveva raccolto tutto il coraggio che aveva e un po’ balbettando un po’ urlando aveva chiesto a Ochaco di accompagnarlo al ballo. E lei non aveva nemmeno fatto finire il ragazzo di parlare che aveva già accettato. Katsuki aveva dovuto assistere a quel siparietto tragicomico in cortile, sotto gli occhi di tutti i presenti. Se Deku fosse andato al ballo con Ochaco, allora chi era lui per non partecipare? Katsuki, con tutta la sfacciataggine di cui era capace, aveva chiesto a Camie, l’unica ragazza che gli era venuta in mente così su due piedi e soprattutto l’unica ragazza che sembrasse non avere paura di lui, di accompagnarlo al Ballo del Ceppo. Beh, più che una domanda era suonato come un ordine, ma Camie, e in generale tutta la scuola, conosceva il temperamento di Katsuki, e lei aveva accettato entusiasta senza esitazione.

Quando Katsuki finì di sistemare la fascia, non senza imprecazioni, si rese conto della solitudine in cui lo avevano abbandonato. Raccolse la giacca dal suo letto e la mise mentre osservava attentamente la sua immagine riflessa, nonostante lo specchio non fosse così largo da mostrarlo interamente. La sua immagine era divisa a metà. Katsuki fece una smorfia di disagio, arricciando le labbra e il naso, perché pensava che persino lo specchio lo stesse prendendo in giro. Un ragazzo a metà, ecco come era e come si sentiva. Lo specchio glielo stava solo ricordando in quel momento.

Si girò di spalle e si sforzò per evitare di pensarci. Aveva scelto di partecipare al ballo, di chiedere a Camie di accompagnarlo, e quindi si sarebbe divertito. O, perlomeno, avrebbe provato con tutto sé stesso a farlo.

Katsuki respirò a fondo, riempì i polmoni e gonfiò il petto, poi prese ad attraversare la piccola camera a grandi falcate e uscì dalla sua Casa, prima che cambiasse nuovamente idea e abbandonasse l’amica ad affrontare quella serata da sola. Aveva detto a Camie che l’avrebbe attesa all’ingresso della Sala Grande e aveva mantenuto la parola, ma quando Katsuki arrivò lei era già lì ad aspettarlo.

Certo che Katsuki la notò, certo che Katsuki la trovò di una bellezza delicata, quasi eterea, ma quello che avrebbe dovuto provare (cuore che faceva le capriole e altre stronzate lette da qualche parte) mancava. Un sorriso cordiale e impacciato si aprì piano sul volto di Katsuki, che raggiunse la sua dama e allungò una mano per stringergliela in saluto. Si sentì un perfetto idiota nel momento stesso in cui allungò il braccio verso l’amica, ma ormai il movimento era iniziato e le dita della mano si erano distese al suo comando silenzioso. Ignorò le occhiate e le risa di altri compagni attorno a loro, concentrando lo sguardo duro sul viso morbido di Camie. Lei rise, strinse la mano nella sua e diede una leggera scossa.

“Scusa,” bofonchiò Katsuki. Ritirò immediatamente la mano, come se la mano di Camie gli stesse bruciando la pelle, e la nascose nella tasca dei pantaloni.

Camie lo guardò incuriosita, le labbra appena incurvate all'insù in un lieve sorriso, ma non disse nulla. La ragazza si limitò a prendere Katsuki sottobraccio e insieme entrarono in Sala Grande.

Ovviamente con la magia non si erano risparmiati e Katsuki restò a bocca aperta: la Sala Grande era irriconoscibile. Delle stalattiti scendevano minacciose e fluttuavano soffici sulle teste degli studenti; il tetto sembrava non esistesse più, come se avesse lasciato spazio ad una notte buia e infinita, cosparsa di fiocchi di neve sospesi come piccole stelle. Mentre i due attraversavano la sala per raggiungere un gruppetto di amici, Katsuki allungò una mano e sfiorò con le dita i tendaggi bianchi, che morbidi coprivano le pareti. Non aveva mai visto la Sala Grande addobbata in quel modo e Katsuki aveva sempre pensato che niente avrebbe potuto nascondere l’austerità di quel luogo, ma si sbagliava. Sembrava di camminare in un sogno.

La sua attenzione e la sua meraviglia, però, si spostarono presto. I suoi occhi lo cercarono e lo trovarono subito: Deku, in un completo nero, che rideva con Shoto, Ochaco aggrappata al suo braccio come se avesse paura di vederlo scappare da un momento all’altro. Ecco quella sensazione che avrebbe dovuto provare nel vedere Camie: il cuore in gola e le mani che iniziarono a tremare; il respiro corto e affannato. Il nerd si era tirato a lucido, con i capelli morbidi che gli pizzicavano la fronte e la base del collo, ed era un incanto.

Katsuki cercò di distogliere lo sguardo, aveva paura che Deku si voltasse e lo trovasse imbambolato a fissarlo. Eppure, una forza magnetica stava trattenendo i suoi occhi sull’amico, combatterla fu una vera agonia. Katsuki non sentì nemmeno la voce di Kirishima che lo chiamava ripetutamente, non percepì nemmeno lo strattone che Camie diede al suo braccio.

Finché Deku si voltò e piantò i suoi occhi verdi in quelli di Katsuki. Tutto sembrò congelarsi attorno a Katsuki, dalla sua vista sparì ogni cosa che non fosse Deku e il sorriso timido che gli stava dedicando. La bocca di Katsuki si schiuse di qualche millimetro, secca e asciutta; l’agitazione si stava spandendo nel suo petto ed ebbe bisogno di fare qualche respiro profondo per ricomporsi.

A quello stupido ballo avrebbe dovuto andarci con Deku. Desiderava solo quello. Si odiava per non aver avuto il coraggio di… beh, fare nulla. Alla fine del quinto anno era entrato in rapporti pacifici con Deku e al rientro a scuola, dopo quell’estate, avevano iniziato a passare molto tempo insieme. Mai in compagnia di altre persone, solo loro due. Si erano incontrati per caso alla Guferia pochi giorni dopo l’inizio delle lezioni e, invece di scendere dalla Torre e tornare al Castello, avevano passeggiato fino alle rive del Lago Nero. Si erano seduti su quegli scomodi sassolini e avevano parlato finché non avevano visto il sole calare.

Da quel momento entrambi si erano cercati con lo sguardo ogni volta che si intravedevano e silenziosamente si erano sempre trovati alla Guferia. Katsuki pensò di essersi innamorato e da un lato si odiava per quello. Katsuki non voleva andare al ballo perché sperava che la notte del Ballo del Ceppo lui e Deku si sarebbero incontrati alla Guferia, ma quando aveva visto quella scenetta patetica si era odiato e aveva odiato Deku. Un sentimento, nei confronti dell’amico, che era durato molto poco. Non sarebbe mai riuscito genuinamente a odiare un ragazzo straordinario come lui, nonostante fosse un Grifondoro.

Sarebbe stato così strano se, ad un certo punto della serata, avesse chiesto a Deku di ballare insieme a lui? Katsuki conosceva già la risposta: sì. Non solo perché erano due ragazzi e ad Hogwarts tutti erano etero sulla superficie, ma anche perché nessuno avrebbe sospettato della sua insolita amicizia con Deku e avrebbe attirato su di sé tutti gli sguardi curiosi e scioccati degli amici.

No, non avrebbe mai avuto il coraggio di chiedere a Deku di concedergli un ballo.

Katsuki mosse un piede, come catturato dall’energia magnetica che Deku emanava, ma venne prontamente fermato dal suono squillante di trombe, un suono festoso e allo stesso tempo solenne. I campioni delle scuole stavano per fare il loro ingresso in Sala Grande, con i loro accompagnatori, vestiti e abbelliti come solo agli eroi si dedicava quel lustro e quell’eleganza.

Tutti i presenti si fecero da parte, chi a destra e chi a sinistra, nascondendosi tra i tavoli tondi posti su ogni lato della Sala, e aprirono un corridoio ai campioni. Fecero il loro ingresso nei loro abiti migliori, sotto uno scroscio sciabordante di applausi e incitamenti dei loro compagni. Solo in quel momento Katsuki fu in grado di distogliere lo sguardo da Deku e concentrarsi sui campioni.

Ammirò i loro abiti lussuosi brillare sotto la luce fredda e invernale della Sala Grande, i loro mantelli volteggiare liberi, i loro nasi fieri e all’insù, maestri di portamento. Katsuki conosceva solo di vista l’eroe di Hogwarts, i suoi capelli biondi e a spazzola, ribelli persino in un’occasione dai tratti così formali. Sapeva che Mirio Togata avrebbe voluto portare il suo ragazzo, una persona molto timida di Tassorosso, ma in quella veste ufficiale Mirio aveva evitato, citando il Preside, “di sfidare l’autorità”. Katsuki non capiva che decoro ci fosse nell’imperativo di nascondersi e fingere di non essere fieri di ciò che si era. Proprio davanti a lui, dal lato opposto della Sala, Tamaki Amajiki applaudiva timidamente l’ingresso del suo amato, accompagnato dalla loro migliore amica.

Istintivamente, Katsuki cercò con lo sguardo Deku per una seconda volta, ma la folla lo aveva inghiottito. Ormai aveva perso le speranze, ma soprattutto avrebbe dovuto dedicare ogni sua energia nel fare compagnia a Camie e ai suoi amici, che si aspettavano da lui se non totale collaborazione, almeno una migliore tolleranza dell’evento.

Allora Katsuki si spostò insieme al suo gruppetto di amici e si avvicinarono a quel palco improvvisato sul fondo della sala, dove normalmente i professori e le professoresse occupavano il loro posto durante i pasti. Al posto del lungo tavolo di legno era stata messa una piattaforma rialzata, dove una band stava suonando il lento che avrebbe fatto da apertura all’intera serata di festa. Davanti a quel baldacchino, i tre campioni si misero in posizione e dopo qualche secondo di incertezza e immancabile imbarazzo – dopotutto erano sotto lo sguardo di ben tre scuole – le tre coppie iniziarono a danzare.

Katsuki perse presto interesse, la sua immaginazione volò a lui che stringeva Deku tra le braccia e ballava con lui in quel modo dolce e delicato. Non notò nemmeno l’ingresso di alcuni professori e qualche audace studente, che accompagnarono le danze dei campioni. La festa ebbe inizio e generò una particolare ebrezza febbricitante tra i presenti, tutti studenti adulti e con una scatenata voglia di divertirsi.

Katsuki venne trascinato in qualche ballo impacciato seguendo una musica veloce e molto ritmica, evitò attentamente di avvicinarsi troppo a Camie o di sfiorarle il corpo stretto in quell’abito rosso fiammante. Fece qualche pausa, forse troppe, per bere e mangiare qualcosa, per riprendere fiato, per stare un po’ da solo. Tutto quel movimento e quella vita sociale, inusuali per Katsuki, lo avevano quasi privato di ogni energia e soprattutto gli avevano fatto dimenticare Deku per qualche ora.

Però lo rivide e l’immagine che si presentò davanti ai suoi occhi gli fece sentire una morsa attorno al cuore. Deku stava facendo volteggiare Ochaco con un’eleganza senza pari, mai vista fino a quel momento sulla pista da ballo. Sembrava che Deku avesse estratto la bacchetta e avesse lanciato un incantesimo di levitazione sulla giovane ragazza, che si stava divertendo e non riusciva a smettere di ridacchiare e guardare Deku come se fosse la cosa migliore del mondo. Beh, Katsuki poteva capirla benissimo. Anche per lui Deku era la cosa – persona – migliore del mondo.

Da una parte Katsuki avrebbe voluto sedersi e godersi quello spettacolo di volteggi e risa, facendosi inebriare ogni senso dal modo in cui Deku muoveva abile i piedi, dal modo in cui i suoi capelli gli ricadevano sulla fronte e sugli occhi a ogni giravolta, dal modo in cui i suoi occhi sembravano brillare e riflettere i fiocchi di neve sospesi leggiadri sul soffitto infinito. Dall’altra parte, però, così facendo avrebbe ignorato i suoi amici, Camie e tutto il mondo circostante, rendendosi non solo imbarazzante, ma anche antipatico. E patetico.

Con la testa bassa, quasi cercando di nascondere ogni emozione che avrebbe potuto tradirlo, si congedò senza tanti preamboli dai suoi amici e se ne andò dalla festa. Katsuki fu così impaziente di andarsene che, però, andò a sbattere contro un grande vaso all’ingresso della Sala Grande: il suo naso si infilò tra boccioli di elleboro, le sue braccia si allungarono istintivamente attorno all’alto vaso e insieme caddero rovinosamente a terra. Imbarazzato, con il rossore che dalle guance si allargò fino alla punta delle orecchie, si rialzò e con un veloce colpo di bacchetta, accompagnato al mormorio di un incantesimo riparatore, sistemò il vaso e corse fuori dalla Sala Grande.

Il piano era quello di uscire quasi in punta di piedi, senza far notare a nessuno la sua assenza, ma grazie a quella gigantesca gaffe, Katsuki aveva marciato lungo l’atrio e fuori, nel cortile centrale, con gli occhi dei presenti puntati sulla sua schiena, che gli bruciarono nell’orgoglio come tante piccole schegge.

Il gelo invernale subito gli riempì i polmoni, facendolo annaspare mentre l’aria pungente gli beccava la pelle del volto e del collo, rallentando il movimento delle sue mani e dei suoi piedi. La corsetta si rallentò e si tramutò ben presto in cammino, finché Katsuki non si ritrovò sullo stretto ponticello che conduceva fuori e dentro Hogwarts.

La luna era grande nel cielo notturno e il suo fascio di luce risplendeva sulle acque del lago, dove le creature che lo abitavano si stavano agitando e creavano delle piccole incrinature sulla superficie. Il riflesso bianco sembrò scosso tanto quanto il cuore di Katsuki, che non ne voleva sapere di calmarsi.

Che insana idea la sua, andare al ballo solo perché sapeva che Deku ci sarebbe stato, per poi finire verso lo scoccare della mezzanotte, quando la festa era ancora nel vivo e il divertimento sembrava non finire, da solo su quel piccolo ponte.

L’ideale sarebbe stato andare sulle rive del Lago Nero e sedersi davanti alle sue acque, su quei sassolini scomodi che gli pungevano il fondoschiena e lo facevano brontolare ogni volta. Ma senza Deku non ne valeva la pena. Quello era il loro posto e andarci da solo avrebbe suggellato l’idea che effettivamente lo era, ma Katsuki si rifiutò di arrendersi a quel pensiero che lo stava tormentando da ore.

Se Deku fosse stato con lui, si sarebbero seduti a parlare del più e del meno, di niente, delle infinite e noiose lezioni di Pozioni, degli allenamenti di Quidditch, e mentre Katsuki brontolava a bassa voce della scomodità di quel posto, Deku avrebbe estratto la bacchetta e fatto spuntare dalla sua punta qualche scintilla scoppiettante che lo avrebbe distratto e rilassato.

Katsuki scosse la testa e si disse di smetterla di pensare a quel ragazzo dall’aria sbarazzina in altri termini che non fossero quelli dell’amicizia. Si decise a restare fermo su quel ponte, con le braccia incrociate sulla balaustra e lo sguardo fisso sulla luna piena davanti a lui. Poteva sentire gli schiamazzi del Ballo, grida in festa e musica alta che gli arrivavano come un vento lieve. Forse, se si fosse concentrato abbastanza, avrebbe invece potuto sentire gli ululati dei lupi mannari che popolavano la Foresta Proibita.

Katsuki decise di rientrare non solo perché l’aria invernale stava iniziando a intorpidirlo, ma anche perché – nonostante la Foresta Nera fosse lontana da quell’ingresso – era da solo e aveva paura che qualche mannaro si sarebbe inoltrato fino a quel punto. Gli incantesimi di difesa della scuola avrebbero impedito l’eventuale ingresso della creatura nei suoi confini, ma Katsuki decise che quella sera non era adatta a vedere un lupo mannaro dal vivo, il pelo ispido e puzzolente non lo interessavano.

Fingendo una calma che non possedeva, Katsuki ripercorse il ponte fino al cortile interno e si chiese fino a che punto la sua mente, pur di non pensare a Deku che ballava con Ochaco, lo avrebbe spinto a creare finti pericoli, come il lupo mannaro coraggioso fuori dalla Foresta Proibita, per distrarlo.

 In cortile, Katsuki notò qualche coppietta sfuggita dalla Sala Grande che si stava intrattenendo nel cortile, seduta sotto un albero o su una panchina nascosta a sbaciucchiarsi; un gruppo di studenti presumibilmente del quarto anno, invece, stava tentando di creare fuochi d’artificio e se la professoressa di Trasfigurazione li avesse beccati, non solo avrebbero fatto perdere molti punti alla loro Casa, ma sarebbero stati in punizione a lungo.

Katsuki fece il suo ingresso nell’atrio e sbirciò nella Sala Grande. Si avvicinò a passi lenti per non essere visto, anche se nessuno era nei paraggi, e raggiunse le porte spalancate. La musica si era fatta più dolce e melodica, un’armonia quasi impercettibile e leggera.

Lo sguardo di Katsuki vagò per la sala, notando piacevolmente che la festa era finita. Nessuna traccia di Camie, anche se Katsuki immaginò di doverle delle scuse il giorno dopo, solo se lei si fosse avvicinata a lui per pretenderle; nessuna traccia dei suoi amici, di Kirishima o di Kaminari, che probabilmente erano in giro per il Castello a cercare guai.

Quasi tutti gli studenti se ne erano andati, ne restavano pochi che ancora ballavano, una manciata avrebbe potuto dire. Katsuki notò una coppia al centro del palco, proprio sotto la band che cantava dolci parole e suonava lievi melodie, e cercò di sorridere, ma con un angolo della bocca all’insù a rivelare una smorfia piuttosto che un sorriso. Mirio e Tamaki stavano finalmente vivendo il loro momento: stretti l’uno tra le braccia dell’altro, Tamaki con la fronte appoggiata dolcemente alla spalla di Mirio, una mano di Mirio affondata tra i capelli lunghi e morbidi di Tamaki, la coppia stava ballando quel lento, a brevi passi, senza nessuna fretta nei loro movimenti e nei loro gesti.

Katsuki si fermò a guardarli, catturato dalla purezza e dall’innocenza del loro ballo, quando sentì qualcuno tossicchiare alle sue spalle. Sentì improvvisamente il gelo percuotergli il corpo e un’unica goccia di sudore gli scese dalla nuca lungo la schiena, facendolo rabbrividire.

“Kacchan.”

Katsuki sentì quel suo nomignolo e subito si tranquillizzò, dandosi dello stupido. Per un attimo aveva pensato che Kirishima lo avesse trovato e stesse per prenderlo in giro, chiamandolo guardone perché si era soffermato a osservare la coppietta ballare. Ma era Deku, solo lui lo chiamava in quel modo. E solo lui poteva chiamarlo in quel modo.

“Deku?” chiese comunque Katsuki, incerto. Aveva quasi paura di girarsi, di trovare qualcuno che avesse visto lui e Deku in una delle loro uscite, li avesse spiati e ora cogliesse l’occasione per prendersi gioco di lui. Ecco fino a dove lo avrebbe spinto la sua mente.

“E chi altri.”

Katsuki inspirò a fondo e si voltò. L’amico era seduto su un gradino a metà scala e lo guardava con un sorriso beffardo. Deku era seduto con le gambe larghe e gli avambracci appoggiati sulle ginocchia; i capelli erano scompigliati a causa delle folli danze in cui si era lanciato sia con la sua dama sia con il suo gruppetto di amici; la fronte era leggermente imperlata di sudore.

“Che ci fai ancora in giro?” chiese Katsuki, fu quasi un sussurro.

“Aspettavo te,” rispose Deku. “Ho visto che sei sparito e aspettavo che tornassi.”

“Tutti mi hanno visto sparire,” brontolò Katsuki, ricordandosi della gaffe fatta un’ora prima.

Deku rise e si rialzò, poi con un grande balzo saltò ai piedi delle scale, atterrando solo a pochi metri da Katsuki. “Vero, ma solo io ti ho aspettato. Ho visto Kirishima scappare con Kaminari poco fa in cortile.”

Allora quelli che aveva visto Katsuki rientrando non erano studenti del quarto anno che cercavano di innescare fuochi d’artificio, ma i suoi amici. Si sarebbe divertito a prenderli in giro per l’imminente punizione, un po’ meno per la perdita dei punti alla loro Casa.

“Due idioti,” mormorò Katsuki, e scosse il capo scocciato, ma trattenne una risata divertita al pensiero dei suoi amici alla solita ricerca di guai. “Perché mi hai aspettato?” chiese infine, trovando un goccio di coraggio per fare quella domanda. In realtà, temeva la risposta.

“Non volevo andarmene a letto senza aver ballato con te.” La voce di Deku, così come lo sguardo, si fece seria. Katsuki si chiese dove avesse trovato tutta quella temerarietà, ma dopotutto da un Grifondoro non poteva aspettarsi nient’altro.

Katsuki, però, non riuscì a rispondere. Per tutta la durata del Ballo del Ceppo non aveva avuto il sentore che Deku lo cercasse o che volesse parlargli, tanto meno ballare con lui. Si conoscevano da anni, avevano cominciato a parlarsi assiduamente solo all’inizio dell’anno e, nonostante entrambi fossero arrivati in pochi mesi a una conoscenza profonda l’uno dell’altro, Katsuki non si sarebbe mai aspettato di udire quelle parole.

“Non…” provò a dire Katsuki, indicando con il pollice la stanza alle sue spalle.

Deku scosse il capo ridendo e accorciò la piccola distanza che li separava con un ampio passo. I due si guardarono negli occhi qualche secondo, Katsuki si perse nel verde smeraldo degli occhi di Deku e si riscosse solo quando Deku appoggiò una mano sul suo fianco.

Katsuki sentì il cuore balzargli in gola, ma combatté l’istinto di scansarsi. Senza tanti preamboli, mosso da un coraggio che pensava di non avere, appoggiò con fermezza la mano destra sulla parte bassa della schiena di Deku e spinse il proprio bacino contro il suo. Deku, senza indugio, prese la mano libera di Katsuki e la strinse nella sua, le loro dita si intrecciarono e per un breve istante Katsuki sentì una piccola scossa elettrica.

 La musica arrivava fino a loro e loro vi si abbandonarono. Katsuki era impacciato nei movimenti, non sapeva bene dove mettere i piedi, così decise di seguire Deku e i suoi passi. Ben presto, si dimenticò di dove fosse. L’atrio della Sala Grande non esisteva più, sembrava di volteggiare tra le nuvole con Deku tra le sue braccia, e non ebbe nemmeno paura che qualcuno potesse sorprenderli. I loro sguardi non si scollarono un secondo, rivelando emozioni che entrambi avevano da sempre ignorato, emozioni che erano rimaste assopite nei loro cuori, ma che in quella serata magica – in ogni senso – erano fiorite dal loro bocciolo.

La band attaccò con un’altra canzone, lasciando che quella vecchia diventasse un ricordo riecheggiante per le spesse mura in pietra del Castello. Li raggiunse ora un suono calmo; il chitarrista pizzicò le corde della sua chitarra con un ritmo quasi malinconico, seguito poco dopo dalla batteria e dal basso; la voce bassa e rauca del cantante li avvolse e le parole di quella canzone si fecero largo nei loro cuori.

The world was on fire, and no one could save me but you, it is strange what desire will make foolish people do.

Katsuki spostò lo sguardo dagli occhi brillanti di Deku e scese a guardargli le labbra, sottili e rosee. Se avesse avuto a sua disposizione la Felix Felicis, Katsuki non avrebbe esitato un secondo nel bere la pozione fortunata per poter baciare Deku, sentire il sapore delle sue labbra e conoscerne la morbidezza, che sognava e agognava da tanto tempo. Sarebbe stata del tutto inutile, però, addirittura sprecata, perché Katsuki vide Deku chiudere lentamente gli occhi e avvicinare il volto. Quindi, avevano avuto la stessa idea. Quindi, anche Deku voleva essere più che un amico.

Katsuki ingoiò il nodo che sentì in gola e chiuse a sua volta gli occhi. Il suo cuore trottava nel petto, Katsuki poteva sentire il rumore secco di ogni colpo, e si leccò le labbra per inumidirle prima di quel bacio tanto sperato.

Le sentì. Sentì la bocca di Deku sfiorare la sua, un contatto quasi impercettibile, una piuma che scivola e si posa, ma entrambi sussultarono e si staccarono quando sentirono la voce possente e minacciosa del Preside rimbombare per l’atrio e la Sala Grande. Katsuki per un secondo pensò di essere morto o che stesse per fare quella fine, se il Preside li avesse visti in quell’atteggiamento intimo. Girò la testa per controllare che fossero ancora soli, che il Preside era nella Sala Grande e non lì con loro, e quando notò il vuoto dell’atrio si rilassò, anche se i nervi gli restarono a fior di pelle.

Il Preside, però, si fece sentire anche lì fuori: la festa era finita, la mezzanotte era passata da un pezzo e gli studenti ancora fuori dai loro letti sarebbero stati un mese in punizione se non fossero rientrati tutti nei rispettivi dormitori, nonché avrebbero fatto perdere un’immane quantità di punti alle rispettive Case.

E così Deku gli scivolò via dalle dita, dalle braccia, là dove prima c’erano le sue labbra ora era il vuoto. Deku, con un passo felino, si era spostato dal corpo dell’amico come se stesse andando a fuoco e lui si fosse scottato. E, in effetti, Katsuki sentiva l’intero corpo avvolto dalle fiamme, come se fosse un’araba fenice in procinto di bruciare e rinascere dalle sue ceneri. Il bacio di Deku, se ci fosse stato, gli avrebbe fatto quell’effetto: di rinascita.

“È ora di andare, Kacchan,” bisbigliò Deku. Aveva le mani incrociate sul suo petto e si torturava le dita, chiaramente impaurito. Katsuki capì benissimo lo stato in cui era l’amico, perché nonostante il terrore iniziale, era difficile scrollarsi di dosso la sensazione di essere visti e colti in flagrante.

Katsuki riemerse dal tepore delle sue sensazioni e combatté con la nausea che stava iniziando a scuoterlo. Aveva ragione. Erano stati già troppo fortunati e non era il caso di sfidare ulteriormente il destino indugiando in quello spazio aperto.

“Sono d’accordo,” gli rispose Katsuki dopo i primi attimi di silenzio. Tutto d’un tratto la stanchezza si impadronì del suo corpo e l’adrenalina che lo aveva mosso fino a quel momento, svanì. Katsuki aveva bisogno di infilarsi sotto le sue lenzuola fresche e pulite e chiudere gli occhi, di tormentarsi la mente con le immagini di quel quasi bacio, e abbandonarsi così a un sonno dolce.

“Ci vediamo tra qualche settimana,” lo rassicurò Deku, ma Katsuki non capì. Cosa stava succedendo? Perché avrebbe dovuto aspettare settimane? Certo, non si era immaginato una sessione di pomiciata nascosto nella Stanza delle Necessità già il giorno dopo, ma nemmeno tutta quella distanza.

“Perché?” chiese Katsuki, stordito, e si massaggiò la nuca imbarazzato. Quella domanda gli era uscita con un tono supplichevole, quando in realtà avrebbe voluto suonare disinteressato. Distaccato.

“Le vacanze di Natale, te ne sei dimenticato? Io torno a casa domani mattina.” Deku ridacchiò e smise finalmente di torturarsi le mani. Si slacciò il papillon verde che aveva stretto al collo, sospirando di sollievo, e lo lasciò a penzolare tra le sue dita. Katsuki allungò una mano e ne sfiorò il tessuto liscio, poi chiuse una estremità tra indice e medio e fu come se quel piccolo pezzetto di stoffa li stesse connettendo.

Sì, Katsuki se ne era dimenticato. Anche lui sarebbe partito il mattino dopo, aveva già fatto le valigie e in realtà non vedeva l’ora di allontanarsi per un po’ dal Castello, senza lezioni o esami o punti da accumulare e partite di Quidditch da vincere.
“Anche io torno domani mattina,” mormorò Katsuki, più a sé che a Deku. “Ci vediamo al rientro? Io credo di tornare qualche giorno prima.” Era, ovviamente, una bugia. Katsuki non aveva in programma il rientro al Castello se non la sera prima dell’inizio delle lezioni, ma sapere che forse c’era una minima opportunità di poter passare qualche giorno, senza tutti gli studenti e i professori tra i piedi, con Deku… beh, rimetteva in prospettiva l’intera vacanza di Natale.

Deku lo guardò con incertezza, il suo sguardo scrutava qualcosa sul viso di Katsuki. Katsuki non capì cosa stesse facendo e corrugò la fronte, alzando le spalle, e spostò lo sguardo all'ingresso della Sala Grande.

“Mi piacerebbe, Kacchan,” sussurrò Deku, e una leggera tinta rossa gli colorò le guance. “Penso che rientrerò anche io qualche giorno prima." Katsuki annuì con sicurezza e nascose le mani all’interno delle tasche dei pantaloni da cerimonia. “’Kay,” si limitò a dire. Avrebbe voluto dire altro, non voleva che il suo tempo con Deku finisse subito, erano rimasti poco insieme e da soli quella sera ed era ancora presto per congedarsi, nonostante la stanchezza gli appesantisse il corpo, ma Mirio uscì dalla Sala Grande, con la cravatta legata in testa, sicuramente ancora ebbro delle sue danze con Tamaki, e prese Deku sottobraccio.

Il papillon sfuggì dalle dita di Deku come un elastico ben tirato e si avvolse attorno alla mano di Katsuki. I suoi occhi caddero sul cravattino verde che gli legava la mano, ma non disse nulla e non provò a fermare Deku.

Poi Katsuki alzò di scatto gli occhi e li puntò sul gruppetto di ragazzi che stava salendo le scale verso la loro Torre tra risa e schiamazzi. Li guardò andare via, salire oscillando le scale, e Deku si voltò a osservarlo mentre Mirio lo usava come appoggio, e si salutarono in quel modo: uno scambio di sguardi e nessuna parola. Katsuki sperò di avergli comunicato tutta la sua impazienza di rivederlo presto e da solo, di passare del tempo insieme e finalmente poterlo baciare. Ma era consapevole che tutto quello, in un solo scambio di qualche secondo, era impossibile da comunicare tacitamente.

Chissà se Deku sarebbe veramente tornato qualche giorno prima. Katsuki non ne aveva la certezza, ma ormai aveva preso la sua decisione: sarebbe rientrato al Castello prima dell’inizio delle lezioni e avrebbe aspettato Deku al loro solito posto, alla Guferia. Se Deku per un qualsiasi motivo non si fosse presentato al loro solito posto, avrebbe usato la scusa di dovergli restituire il papillon per rivederlo.

Quanto sarebbe stato bello se Deku si fosse davvero presentato.
 
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Katsuki rientrò a scuola qualche giorno prima e non come il suo solito all’ultimo momento, solo nella speranza di vedere Deku e riprendere il discorso da dove l'avevano lasciato.

Aveva sperato che la Scuola fosse quasi deserta, come ogni anno, ma si era dimenticato del piccolo dettaglio del Torneo Tremaghi. Quell’anno al Castello, oltre agli studenti di Hogwarts, c’erano gli studenti di ben altre due scuole di Magia e Stregoneria: l’affollamento era soffocante. Molti studenti di Hogwarts erano rimasti perché desideravano tenere compagnia agli studenti stranieri e perché avevano intessuto con loro legami d’amicizia.

Quindi no, il desiderio di Katsuki di approfittare di sale e corridoi vuoti, di aule studio silenziose e una Sala Grande semideserta era sfumato. Però, comunque, avrebbe visto Deku nel loro posto “segreto”, tale solo perché nessun altro studente si sarebbe incontrato tra i gufi.

Tutto sommato, Katsuki era contento di essere tornato con anticipo, anche se il nervosismo non lo lasciava in pace. Appena rimesso piede nel Castello, Katsuki era corso nella sua stanza a lasciare il suo baule, pronto a schizzare fuori e andare alla Guferia. Non sapeva se Deku fosse tornato o meno, ma era certo che in caso lo avrebbe trovato – o aspettato – lì.

Prima di uscire, Katsuki prese dal baule il papillon verde che gli era rimasto dal Ballo del Ceppo e se lo infilò nella tasca dei jeans. Se per puro caso Deku non si fosse presentato al loro tacito appuntamento, avrebbe avuto una scusa perfetta per fermarlo qualora lo avesse visto e avvicinarlo. Avrebbe potuto tranquillamente dire di aver trovato il papillon per terra e averlo raccolto perché sicuro appartenesse a Deku, evitando l'imbarazzo di raccontare la verità su come l’aveva ottenuto. Anche se probabilmente Deku si ricordava bene tanto quanto lui quel momento.

Infilato il cappotto, Katsuki cercò di trattenersi dal correre fino alla Guferia e ci riuscì. Percorse silenziosamente i corridoi, salutando qualche compagno, e uscì a testa bassa per il cortile per evitare che qualcun altro lo notasse e fermasse. Era appena tornato da casa e già aveva bisogno di mandare un gufo? Sarebbe stato sospetto. Ma forse era solo lui che si poneva tutti quei problemi e nessun altro compagno avrebbe notato quel dettaglio.

Per sua fortuna non incontrò nessuno sul suo cammino e arrivò alla Torre in tempo di record; aveva velocizzato il passo appena si era allontanato dal Castello e la camminata rilassata di poco prima si era trasformata in una corsetta. Non voleva lasciare Deku ad aspettarlo al freddo sulla cima di quella Torre e, soprattutto, gli era terribilmente mancato. Erano stati giorni piacevoli quelli trascorsi nel tepore di casa sua, circondato dalla famiglia, ma ogni giorno si era svegliato e coricato pensando a Deku, al loro ballo silenzioso, ma soprattutto al loro quasi bacio. Quello lo tormentava più di ogni altra cosa.

Katsuki salì in cima alla Guferia a passi svelti, due gradini per volta, con l’assoluta certezza che Deku fosse lì in cima ad aspettarlo. E quando voltò l’ultima curva cieca delle scale a chiocciola e non lo vide all’ingresso ad aspettarlo, ci rimase male. Aveva davvero creduto che Deku fosse rientrato a scuola, aveva davvero creduto di salire e vedere le sue guance arrossate dal freddo e la spessa sciarpa di Grifondoro, che esibiva sempre con orgoglio, avvolta attorno al collo per scaldarsi.

Katsuki sospirò deluso e decise di aspettare. Forse Deku stava rientrando in quel momento, forse stava percorrendo la stessa strada su cui Katsuki aveva camminato poco prima. Una lunga serie di forse e di domande si accavallarono nella sua mente, e Katsuki lasciò che lo sguardo scivolasse al campo di Quidditch che avrebbe dovuto essere deserto in quel periodo di vacanze. Qualche studente più coraggioso, però, si sarebbe inoltrato per allenarsi nonostante l’aria gelida, sicuramente i fanatici stavano cavalcando le loro scope in quel momento, lanciandosi Pluffe seguendo nuovi schemi di gioco o scansando Bolidi furiosi che li avrebbero disarcionati.

Katsuki non riuscì ad aspettare oltre, il freddo gli stava mangiando le ossa nonostante il cappotto pesante, così decise di rientrare al Castello e chiedere a qualcuno se per caso avesse visto Deku. Un tentativo disperato e debole, certo, ma funzionale al suo obiettivo.

Rientrò al Castello, deviando prima verso il campo da Quidditch per spiare brevemente gli allenamenti non previsti, e sulla strada del ritorno incontrò Camie.

Katsuki sgranò gli occhi e cercò di passare inosservato sollevando il colletto del cappotto e nascondendo parzialmente il viso spigoloso dietro di esso. Non la vedeva da quando l’aveva abbandonata in Sala Grande durante il ballo ed era sicuro che se lei l’avesse visto avrebbe preteso – giustamente – spiegazioni.

Il suo piano, ovviamente, non funzionò affatto. Pensava di avercela fatta, girando il volto dal lato opposto di quello dove stava passando Camie, ma lei lo afferrò per un lembo del cappotto e lo tirò verso di sé, e Katsuki inciampò nei suoi stessi piedi.

“Bakugo Katsuki,” ringhiò lei, stringendo nel pugno il lembo che aveva afferrato. “Chi non muore quando ti abbandona al Ballo del Ceppo si rivede.”

Katsuki fece una smorfia e si liberò della presa ferrea con un movimento agile e secco.

“Scusa?” disse lui, incerto. Quando aveva invitato Camie non aveva pensato che sarebbe potuto finire in quella situazione e le sue vacanze erano state occupate dal pensiero di Deku, non dal fare ammenda con l’amica. Non l’avrebbe mai detto ad alta voce alla ragazza, ma Camie non aveva occupato uno solo dei suoi pensieri.

“Sei sparito con un grande chiasso e non sei più tornato!” Camie lo punzecchiò sullo sterno con la punta del dito. “E Midoriya nemmeno ti ha seguito! Sei riuscito a incontrarlo poi?”

Katsuki sentì la terra tremare sotto di lui e inghiottirlo. Fu come se i lunghi tentacoli del Tranello del Diavolo gli stessero avvolgendo le gambe e lo stessero trascinando lentamente nell’abisso.

“Mi… Mido…” balbettò Katsuki, sbattendo ripetutamente le palpebre. Si era per caso lasciato sfuggire qualcosa durante il Ballo del Ceppo e non se lo ricordava più?

Camie scoppiò a ridere e gli diede un’amichevole pacca sulla spalla. “Oh, non è un segreto,” confessò lei, e si morse le labbra per trattenere un’altra risatina. Katsuki la guardò ancora sconvolto e incapace a parlare. “Almeno, non per me. Hai passato la serata a guardarlo, è stato facile capirlo. E poi io ho passato la serata a guardare una ragazza di Corvonero. Non so se la conosci, si chiama…”

Katsuki non ascoltò per sbaglio nemmeno una delle cose che Camie gli stava raccontando. Vide la sua bocca muoversi, gli occhi brillare, le mani gesticolare, ma non udì o percepì niente. Era tutto ovattato. Katsuki pensò solo al fatto che Camie lo aveva beccato a guardare Deku e allora… chi altri lo aveva visto? In quanti sapevano, ora, quanto fosse patetico? Katsuki ripensò agli incantesimi che conosceva, cercò di ricordare se riuscisse a preparare una qualche pozione utile, qualsiasi cosa che potesse aiutarlo ad uscire da quella situazione. Era disperato.

“E comunque mi sa che farò la mia mossa durante l’ora di Divinazione,” concluse Camie, ignara del fatto che Katsuki non avesse sentito nulla. Katsuki, però, si era risvegliato e quell’ultima frase gli giunse chiara. Decise di annuire con convinzione e sperare che quell’argomento fosse ufficialmente concluso. “Non mi hai ancora detto niente di quello che è successo tra te e Midoriya.”

"Non è successo niente tra me e Deku," gracchiò Katsuki, alzando un sopracciglio e guardando l'amica con quel suo modo accigliato. Guardandola in quel modo scostante sperò di dissuaderla dal fare altre domande o dall’interessarsi troppo in affari che non la riguardavano.

"Non ci credo," si lamentò in tutta risposta lei. Camie chiuse gli occhi e strinse tra le dita la radice del naso; inspirò a fondo prima di riaprirli. "Mi hai mollata e non vi siete nemmeno baciati? Oh, Katsuki!"

Katsuki fece una smorfia di fastidio, un suono lamentoso che gli uscì dalla gola come un grugnito. Non aveva bisogno che anche Camie gli ricordasse il fallimento del Ballo del Ceppo, c'era già la sua mente a ricordarglielo puntuale come un orologio ogni cinque minuti.

"Ci sto lavorando," mormorò Katsuki. Forse non si stava poi sforzando molto, in fondo era solo salito alla Guferia e aveva aspettato, nient'altro, ma era già un passo in più rispetto al nulla di prima.

Katsuki vide Camie roteare gli occhi, poi attaccò di nuovo a parlare e Katsuki, questa volta, invece di evitare di ascoltarla, le disse che doveva rientrare alla svelta al Castello. Usò una scusa banale, doveva incontrarsi con Kirishima e lì fuori aveva freddo, e si congedò dalla ragazza senza troppi preamboli. Alla fine, Camie lo aveva perdonato alla svelta e Katsuki non aveva più niente da dirle.

Rientrò al Castello e si incamminò verso la sua Casa, per passare il tempo nella Sala Comune insieme ai suoi compagni e, in quel modo, cercare di distrarsi e non pensare a Deku.

In Sala Comune, Katsuki si sedette su una poltrona e ascoltò i compagni raccontare delle loro vacanze passate al Castello, di tutte le cose divertenti e grandiose che avevano fatto con gli studenti stranieri. Katsuki li ascoltò come meglio poté, con una mano infilata in tasca a stringere tra le dita quel papillon ormai sgualcito.

E fu così che passò i due giorni seguenti: in Guferia o in Sala Comune. Di Deku neanche l'ombra. Si rifiutava di andare dai suoi amici a chiedere quando sarebbe tornato; quindi, Katsuki preferì di gran lunga andare ogni mattina e ogni pomeriggio alla Guferia ed aspettare, nonostante soffrisse il freddo.

Il pomeriggio prima dell'inizio delle lezioni non fu diverso. La notte precedente aveva iniziato a nevicare e non aveva smesso sin dopo l'ora di pranzo. L'intero suolo scolastico era ricoperto di neve bianca, una vista suggestiva e silenziosa. Nessuno studente, quel giorno, si sarebbe inoltrato per le aree circostanti il Castello. Nessuno, tranne Katsuki.

Era la sua ultima possibilità e non ci avrebbe rinunciato, anche se le sue speranze si stavano affievolendo e la sua mente aveva iniziato a suggerirgli cose del tipo che Deku era già rientrato a Hogwarts, ma non aveva assolutamente voglia di vederlo e stesse cercando di evitarlo in ogni modo.

Eppure, Katsuki cercò di combattere ogni pensiero negativo e si ritrovò a camminare anche quel pomeriggio in direzione della Guferia. Il suono dei suoi passi venne attutito dalla neve e Katsuki, mentre camminava, ammirò il modo in cui i suoi stivali neri affondavano in quel mucchio di ghiaccio morbido. 

Il campo da Quidditch quel giorno era davvero deserto, nessun allenamento imprevisto e non autorizzato. Perché volare in quel cielo marmoreo sarebbe stato da pazzi, soprattutto quando si poteva passare il pomeriggio davanti al camino dove scoppiettava un fuoco vivace, a bere una tazza di cioccolata calda.

Tutte cose a cui Katsuki rinunciò volentieri per Deku e la speranza di vederlo, anche se ormai credeva che la magia del bacio interrotto fosse ufficialmente svanita e le cose sarebbero tornate a come erano prima del Ballo del Ceppo: amici che occasionalmente passeggiavano insieme.

Salì fino alla cima della Guferia molto lentamente, aggrappandosi alla balaustra, e prestò attenzione a ogni gradino per non scivolare e finire in infermeria proprio durante l'ultimo giorno di vacanze natalizie. Rabbrividì alla possibilità di dover passare tra le mani di Madama Chips e scosse le spalle per svegliarsi da quell’orribile pensiero.

Quando finalmente arrivò in cima alla torre, tra i gufi appisolati e appollaiati, notò l'assenza di Deku.

Katsuki sbuffò e si mise a camminare fuori e dentro la Guferia per scaldarsi, con le spalle strette e la sciarpa della Casa ben avvolta attorno al collo. Guardò la distesa di neve e il Castello in lontananza, nella sua imponenza, e iniziò a fare pernacchie con la bocca, senza un particolare motivo, solo per interrompere quella quiete tombale che lo circondava.

Katsuki pensò mentalmente a qualcosa da dire a Deku quando l’avrebbe visto. Una frase ad effetto oppure una battuta sul fatto che lo stesse aspettando da giorni?

Dopo aver considerato per qualche secondo la battuta, ci rinunciò. Non era bravo con l’umorismo e sicuramente la frase che sarebbe dovuta risultare divertente, e alleggerire un pochino la tensione sulle sue spalle, sarebbe suonata come una infelice lamentela. E già si immaginava la sorpresa e forse il dolore attraversare quegli occhi verdi.

Katsuki alzò gli occhi al cielo e osservò la coltre di nuvole bianche e grigiastre torreggiare sopra di lui. Chiuse gli occhi e inspirò a fondo, pregando affinché non ricominciasse a nevicare, perché non aveva voglia di rinunciare anche quel giorno. Aveva deciso che sarebbe rimasto lì fuori finché non avrebbe iniziato a fare buio, incapace di lasciare che quell’ultimo tentativo di incontro segreto svanisse.

Non seppe quanto tempo passò quando sentì un rumore di passi. Fu un suono frettoloso e bagnato, il ciaf ciaf sulla neve sciolta e consumata era inconfondibile. Il cuore gli saltò in gola e iniziò a battere con impeto. Non aveva ancora pensato a cosa dire, non sapeva nemmeno come comportarsi, però istintivamente mosse i piedi e uscì dall’interno della torre, lasciando i gufi addormentati e stretti nel loro piumaggio alle sue spalle.

Katsuki si mise sulla cima delle scale e aspettò, finché Deku comparve. Un secondo prima il vuoto, il secondo dopo un cespuglio di capelli verdi spuntò dalla curva delle scale nella sua direzione, un acceso contrasto con il candore della neve e del cielo che lo circondavano.

“Kacchan,” fu quasi l’urlo di Deku, ma Katsuki non riuscì a decifrare il tono. Sorpreso? Contento? Deluso?

“De…” provò a salutarlo Katsuki, ma non ne ebbe il tempo.

“Scusami!” disse subito Deku, fermandosi un gradino più in basso rispetto a lui. Non lasciò il tempo a Katsuki di dire nulla. “Sarei dovuto rientrare prima, lo so, ma mia madre ha insistito perché rimanessi fino all’ultimo. Sono riuscito a convincerla a farmi rientrare oggi e sono arrivato al Castello poco fa.” Katsuki alzò un sopracciglio sorpreso e aprì la bocca per chiedergli se perlomeno avesse sistemato le sue cose nella sua Casa, ma quando Deku iniziava a parlare era difficile interromperlo. “Le ho dovuto dire che avevo un impegno da Prefetto, ovviamente non è vero. L’importante è che ci abbia creduto, no?”

Katsuki lo guardò con la fronte corrugata. Era una domanda alla quale Deku si aspettava una risposta? Però si era fermato e lo guardava con occhi grandi e speranzosi, colmi di un’energia febbrile che raramente gli aveva visto.

“Appena ho sistemato tutto,” attaccò di nuovo Deku, senza lasciare il tempo a Katsuki di registrare quello che stava accadendo, “sono corso qui perché mi aspettavo proprio di trovarti qui. Spero tu non mi stia aspettando da troppo tempo, sai? Perché oggi fa proprio freddo,” Deku incrociò le braccia e appoggiò le mani guantate sulle spalle, stringendole. “Infatti non ho incontrato nessuno né per il cortile né venendo qua, persino il campo da Quidditch è deserto e di solito qualche studente ne approfitta per allenarsi e…”

Mentre Deku ancora parlava, Katsuki si stufò. Non aveva fatto altro che muovere quella boccaccia da quando si era fermato nella sua salita e Katsuki si era spazientito. Capì che Deku era nervoso e stava cercando di riempire il silenzio con tutto quel suo blaterare senza capo né coda, ma Katsuki non riuscì a sopportarlo oltre.

Conosceva un solo modo per zittirlo una volta per tutte, anche se significava affrontare le sue paure e compiere un gesto rischioso. Non troppo, comunque, perché quello era stato il motivo della costante ricerca l’uno dell’altro, ma Katsuki aveva ancora dubbi e tutte quelle paure non erano improvvisamente scomparse. Però Deku non riusciva a smettere di parlare e iniziò a tediarlo come il suono di una Mandragola. Così Katsuki tolse le mani dalle tasche profonde del suo cappotto e afferrò con entrambe la sciarpa giallorossa di Deku. Lo tirò verso di sé, chiuse gli occhi e poggiò le sue labbra contro quelle di Deku.

Il silenzio li circondò, finalmente Deku aveva smesso di parlare. E dato che nient’altro li stava disturbando, Katsuki iniziò a registrare nella mente la portata di quel suo gesto imprevisto. Stava baciando Deku. Aveva pensato a quel momento dalla mancata possibilità durante il Ballo del Ceppo e ora stava accadendo veramente.

Le labbra di Deku erano secche e così fredde che quasi non le sentì nemmeno contro le proprie, ma Katsuki pensò che anche le sue fossero così dopo tutto quel tempo tra la neve. Cercò di non pensarci e di godersi quel momento, di godere del fatto che Deku aveva sciolto le braccia e appoggiato le mani sui suoi fianchi. I capelli di Deku iniziarono a solleticargli la fronte, mentre si premeva più contro il corpo immobile di Katsuki.

Fu un bacio molto casto che nessuno dei due osò approfondire o interrompere, congelati labbra contro labbra.

Il freddo, però, l'ebbe vinta e Katsuki rinunciò a quel bacio innocente. Si staccò di poco, giusto qualche centimetro, e aprì lentamente gli occhi.

Deku lo stava guardando con uno strano luccichio nello sguardo, le labbra dischiuse tremavano appena e si erano leggermente arrossate.

"Kacchan," fu un sussurro e Katsuki pensò di averlo sognato.

Il suo nomignolo pronunciato da Deku in quel modo gli mandava ogni volta una scossa lungo la spina dorsale. Tremò, ma non per il freddo.

"Deku," lo chiamo Katsuki a sua volta. "Io…" non sapeva che dire. Cosa si diceva a un ragazzo dopo averlo baciato per la prima volta e per di più nel posto meno romantico del mondo?

"Che ne dici di rientrare al castello?" domandò Deku. Le sue mani erano ancora appoggiate sui suoi fianchi e la loro vicinanza era ancora ristretta, ma Katsuki interpretò quella richiesta come un rifiuto.

Probabilmente aveva interpretato male ogni segnale e ogni gesto, persino il loro intimo ballo nella Sala Grande la sera prima del rientro a casa per le vacanze. Era stato dannatamente stupido e impulsivo e forse aveva perso Deku per sempre.
"Qui fuori si sta gelando," continuò Deku, ignaro dei pensieri che affollavano la mente del ragazzo di fronte a lui.

"Okay," fu la risposta di Katsuki. Liberò Deku dalla sua presa e lasciò che le braccia gli cadessero lungo i fianchi.

Anche Deku spostò le sue mani e diede subito le spalle a Katsuki. Scesero insieme per le scale, uno dietro l'altro, avvolti dal silenzio, nessuno dei due ebbe il coraggio di dire qualcosa. Qualsiasi cosa.

La neve tornò a scendere dal cielo come soffice cotone, posandosi sui loro cappotti scuri. Katsuki roteò gli occhi e sbuffò, si era già stancato di quel freddo.

Ai piedi delle scale, Deku aspettò che Katsuki fosse al suo fianco e lo prese per mano. Katsuki sussultò, ma lasciò che Deku intrecciasse le loro dita. Si maledisse per aver messo i guanti e non poter sentire il tocco di Deku contro la propria pelle.
Katsuki lanciò un'occhiata a Deku e notò dei fiocchi di neve cadere e appoggiarsi sulle sue lunghe ciglia; notò Deku con le spalle strette e la testa china per evitare che il freddo gli pungesse il viso. Era così carino che avrebbe voluto riempirgli le guance di baci e scaldarlo tra le braccia.

Ew, pensò immediatamente dopo Katsuki, cosa gli aveva fatto quel ragazzo goffo e scombinato?

Deku lo scoprì a guardarlo e Katsuki si irrigidì, strizzando la mano stretta in quella di Deku, e cercò di spostare lo sguardo davanti a sé.

Tossicchiò imbarazzato e cercò di uscire da quella situazione spinosa. "Che ne dici di riscaldarci davanti al primo camino libero che troviamo?" propose a Deku, e cercò di suonare disinibito e distaccato.

Sentì Deku ridacchiare al suo fianco e poi avvicinarsi, spalla contro spalla. Katsuki ringraziò l'inverno - e il fatto di essere rimasto fuori così a lungo - per avergli arrossito le guance prima che quella vicinanza lo facesse.

"Una splendida idea," rispose Deku con un tono allegro e leggero. "Così possiamo continuare il discorso che abbiamo interrotto alla Torre."

"Quale disco-" chiese inconsapevole Katsuki, però poi afferrò quello che intendeva davvero Deku. "Oh. Oh. Okay."

Deku rise di nuovo e Katsuki si sciolse a quel suono melodioso. Ancora non riusciva a capacitarsi di quanto fosse stato facile baciarlo e di come, in effetti, non lo avesse perso. Anzi, Deku si era solo più avvicinato a lui.

Quello alla Torre era stato il primo bacio, se così si poteva chiamare, ma Katsuki non vedeva l'ora di scoprire come sarebbe stato baciarlo per davvero.

La strada per il Castello era breve, ma decisero di deviare, senza chiederselo, verso il Lago Nero nonostante stesse nevicando. Passeggiarono mano nella mano indisturbati lungo la riva, una brezza gelida e leggera accarezzò loro la pelle. Quella volta, però, non si fermarono a chiacchierare del più e del meno, ma si diressero subito verso il Castello.

Katsuki sorrise involontariamente. Deku, gli incontri segreti, il ballo, l'attesa alla Guferia, il bacio, la passeggiata… tutto quello era stato un lungo viaggio che lo aveva portato finalmente a destinazione: la felicità.







note: se ci sono errori nel mondo di Harry Potter, vi chiedo scusa ma non leggo i libri da quando sono piccolx e i film li ho visti l'ultima volta diversi anni fa! Per il resto, errori a parte, spero vi sia piaciuta! 
 
   
 
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