Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: Ombrone    09/04/2022    1 recensioni
Questa è diventata la mia storia più vista e più seguita. Grazie a tutti! Farò del mio meglio perché i prossimi capitoli siano all'altezza!
Una storia d’amore di 2000 anni fa.
Il giovane patrizio Marco Valerio Corvino torna a Roma nella sua casa dopo aver prestato servizio sul limes in una lontana provincia, troverà qualcosa che non si aspettava e per capire come affrontarla dovrà scoprire il lato nascosto di se stesso.
Il mio è un tentativo, mi direte voi quanto riuscito, di scrivere una storia d’amore, romantica, ma verosimile per la sua epoca, questo significa che al suo interno troverete situazioni, discorsi, atteggiamenti e comportamenti che potrebbero disturbare ed offendere, e che per gli standard del XXI sono inammissibili (o addirittura illegali). I personaggi stessi potrebbero sembrarvi antipatici o immorali o violenti: mi son sforzato di renderli realistici rispetto all’ambientazione e fargli seguire comportamenti considerati normali, morali o addirittura meritori per il primo secolo dopo cristo, un epoca molto lontana e molta diversa dalla nostra.
Commenti e anche critiche benvenuti e incoraggiati. Stimolano a scrivere e servono a migliorare!
Genere: Erotico, Romantico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Non-con, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Storico
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
La festa era ufficialmente destinata a festeggiare un qualche anniversario di una qualche vittoria militare di un qualche antenato dei Giunii ed era, a mio parere, un po’ troppo sopra le righe: con ballerine e giocolieri che si mischiavano tra gli invitati, ma era affollata del meglio della società romana. 
Incontrai più di un collega senatore e più di un amico, tra cui l’immancabile Catualda. Era oggetto dello sfrontato, svergognato interesse di una matrona, sposata, di cui non farò il nome per iscritto. Lo sciagurato sembrava gioirne e di essere più che disposto ad approfittarne in maniera indecente. Gli volevo troppo bene per rimproverarlo, ma di sicuro abbastanza per prenderlo da parte e consigliargli quantomeno una maggiore discrezione. Se a Roma non avrebbe rischiato di essere affrontato da un marito geloso con la spada in pugno, come accadeva nella sua terra natia, c’erano altri metodi, addirittura sotterranei, ma non meno  letali con cui un marito tradito poteva vendicarsi in questa città.
Con mio sollievo seguì il mio consiglio e anche la sua aspirante seduttrice si acquietò, se poi si rincontrarono in altre occasione e in altro luogo più riservato non ne ho idea e non ho mai indagato.
Giunia, ero lì per lei, in fin dei conti, mi fu presentata dalla sua stessa madre ad inizio festa, quando venimmo ricevuti. Fu una normale introduzione, senza lasciar intendere che ci fosse altro che la normale cortesia verso degli ospiti considerati, ma la maniera in cui ci squadrammo fu tutt’altro che normale. Il suo sguardo fu così insistente e penetrante da costringere sua madre a intervenire e allontanarla con una scusa. Lei ubbidì, con un sorriso malizioso sulle labbra.
Aveva ragione mia madre, ammisi con un sospiro di sollievo, era decisamente bella.
Era sorprendentemente alta, forse solo un palmo o due meno di me, un fisico statuario dalle forme piacenti. Le folte sopracciglia evidenziavano dei begli occhi neri con un esotico taglio allungato, i capelli erano anche loro neri e folti composti in una raffinata acconciatura che valorizzava la forma del viso, la bocca era grande, con magnifiche labbra tinte di un rosso seducente, che si aprivano su denti bianchi e dritti. Il trucco e le vesti sembravano usciti dai versi di un libro di Ovidio talmente erano curati e perfetti in ogni dettaglio. Anche i suoi modi erano eleganti e intenzionalmente studiati, si muoveva con cura e grazia
A prima vista sembrava sicuramente interessante e sicuramente attraente.
Certo in una donna e specialmente in una moglie non bisognerebbe cercare solo questo. Sempre per restare Ovidio:

Prima sit in vobis morum tutela, puellae:
ingenio facies conciliante placet.
Certus amor morum est: formam populabitur aetas,
Et placitus rugis vultus aratus erit;
Tempus erit quo vos speculum vidisse pigebit
Et veniet rugis altera causa dolor.
Sufficit et longum probitas perdurat in aevum,
perque suos annos hinc bene pendet amor.

Ragazze, badate che la forma del vostro carattere sia la vostra prima preoccupazione: il
vostro aspetto è piacevole quando la vostra disposizione è accattivante.
L'amore per il buon carattere è sicuro: l'età devasterà la tua bellezza,
e un viso piacevole sarà solcato dalle rughe;
Ci sarà un momento in cui addolorerà guardarti allo specchio
e il dolore diventerà un'altra fonte di rughe.
L'onestà getta le basi e dura a lungo,
e da questo l'amore dipende nel corso dei suoi anni


Crudele, ma vero. Intanto però un dubbio me lo ero levato: non era spiacevole all’occhio.
La persi di vista durante la festa, io facevo il mio dovere di ospite mischiandomi alla folla e godendomi l’intrattenimento e lei era trattenuta dai suoi doveri di figlia dell’anfitrione. Il che mi addolorava, avrei voluto avere modo di scambiarci almeno qualche parola, ma a quanto pare condividevamo lo stesso desiderio perché fu lei, all’improvviso a comparirmi accanto.
Era ormai piuttosto avanti per la serata e mi ero seduto un po’ in disparte. Ero distratto a guardare un giocoliere e la sua particolare abilità di equilibrista, quando dal nulla sentii una presenza accanto a me.
“Marco Valerio.” E me la trovai a pochi centimetri seduta sul mio stesso divanetto. Aveva una voce piena, armonica e gradevole.
“Giunia Silana.” Le risposi, altrettanto formale e senza molto fantasia, colto di sorpresa da quella apparizione. Fu lei a venirmi in aiuto e a mandare avanti la conversazione.
“Vi state divertendo? Vi piace la festa?”
“Molto. Veramente organizzata con gusto, ottima compagnia oltretutto, vi sono grato per l’invito.” Poi aggiunsi. “E sono contento di avere avuto l’occasione di conoscervi.”
Pensavo di aver gettato un amo, pure con una certa galanteria, atto ad avviare la conversazione su una direzione meno formale, magari per conoscerci un attimo meglio, ma venni sorpreso, di nuovo, dalla sua reazione.
“Così dovremmo sposarci.” Disse, senza mezzi termini. “Diventare marito e moglie. Voi cosa ne pensate? Vi interesso?”
Rimasi meravigliato da tanta spavalda franchezza, poi mi ricordai cosa avesse detto mia madre: che aveva “un carattere”. Non mi dispiaceva neppure quello. Decisi di ricambiare la sincerità.
“Giunia Silana, che siete bella, non sarà certo io il primo ad avervelo detto. Immagino. Lo sapete. Per il resto non vi conosco, non ancora almeno. E invece io come vi sembro a questa prima vista?”
“Non siete spiacevole.” Rispose con un sorriso furbo.
“Beh, è un inizio di complimento. Poteva andare peggio!” Risi di cuore e lei si unì a me.
“Qui c’è troppa confusione per parlare.” Disse con voce cospiratoria.  “Seguitemi in un posto più tranquillo. Vedete quella porta a destra? Vicino alla statua del fauno?” Annuii. “Entrate lì, a destra c’è un'altra porta che dà sul giardino interno, attraversatelo. Io sarò dietro il pergolato. Aspettate un attimo prima di seguirmi. Non fatevi notare.”
Detto questo se ne andò, la seguii con lo sguardo: si mischiò un attimo con la folla, salutò un paio di persone, scambiò una battuta con un'altra ragazza, poi prese la porta che mi aveva indicato lanciandomi uno sguardo complice prima di scomparire.
Decisamente “un carattere” non sapevo se essere intrigato o spaventato di potermela trovare come moglie.
Dopo un po’ anch’io mi alzai. Vagai un attimo tra le persone e poi mi infilai per la stessa porta e seguii le sue indicazioni. La trovai dove mi aveva detto, sotto il pergolato alla luce della luna
“Vieni Marco, si sta meglio qui, si può parlare con calma.” Disse, in un greco elegante con un bel accento.
“Ti piace la calma Giunia?” Chiesi nella stessa lingua, e con lo stesso tono informale.
I suoi occhi mi studiarono. “No, non sempre, mi piace stare tra la gente, ma a volte la calma serve. A te Marco?”
Assentii. “Mi piace la calma. Ci si riflette meglio, ma mi piace la compagnia, la buona compagnia.” 
Rise piano. “Mi sembra di capire che tu la preferisca, ma a me le feste piacciono.”
“Che festa sia dunque.” Dissi. “In buona compagnia.”
“In buona compagnia.” Acconsentì. “Mio padre dice che sei colto e di buone letture. Cosa ti piace?”
“Molte cose diverse, amo Tacito o Pollione, trovo Cicerone illuminante, o Zenone…. Sono decisamente favorevole allo Stoicismo. Per diletto leggo i lirici greci quanto posso. Mi piace il teatro se ben messo in scena. Abbiamo un’ottima biblioteca sia qui a Roma, nella villa a Baia.”
“Mio padre me lo diceva che avete una biblioteca molto ben curata.”
“Sono lieto… spero che abbia parlato bene di me anche su altro.”
“Sì.” Concesse. “Sembra avere stima di te.”
“Bene.”
“Mio padre, io lo so, a volte sbaglia a giudicare.”
Venia dignus est humanus error - Ogni errore umano merita perdono.” Gli risposi citando, in latino, Livio.
Cuiusvis hominis est errare: nullius nisi insipientis, - È cosa comune l'errare; è solo dell'ignorante perseverare nell'errore.” Ribatte lei, con Cicerone
“Siete severa con vostro padre, sono sicuro che non sbaglia così spesso. E spero che non sbagli su di me soprattutto.” Tornai al greco
“No, hai ragione, sono stata esagerata per il gusto della citazione…. Ma ti piace Cicerone hai detto… Su di te mi concedo ancora il dubbio.” Disse, ma sorridendo.
“Io ti ho detto cosa mi piace leggere, dimmi invece cosa piace a te.”
“I lirici greci, anche a me, molto. E poi adoro Omero. Il mio preferito è Apollonio Rodio, però.”
“E allora sarai felice sapere che le Argonautiche sono in biblioteca sia a Roma che a Baia.” Questo mi guadagnò un sorriso, ma pacato e controllato, non luminoso come quelli di Filinna, mi trovai improvvisamente a paragonare. “Scrivi anche?”
“Qualche verso, tu?”
Scossi la testa. 
“Ormai solo i miei discorsi… da ragazzo componevo anch’io, almeno pensavo… ma in verità non ho talento. Meglio che mi limiti alla prosa. Di cattivi poeti ce ne sono già troppi.” E questo le strappò una risata, anche lei ben dosata, non travolgente come quelle di Sabra.
“Come ti chiamano a casa?”
“Marco. Semplicemente. Perché? Te?”
“Mio padre mi ha sempre soprannominato Nausicaa, perché, da piccola, amavo l’Odissea.” Sorrisi all’idea.
“Beh… mi morderò la lingua e non dirò quello che sicuramente tutti dicono.”
Questa volta rise di vero cuore e recitò lei, per me, i versi del VI canto di Omero con le parole che Ulisse dedica a Nausicaa.

“εἰ μέν τις θεός ἐσσι, τοὶ οὐρανὸν εὐρὺν ἔχουσιν,
Ἀρτέμιδί σε ἐγώ γε, Διὸς κούρῃ μεγάλοιο,
εἶδός τε μέγεθός τε φυήν τ' ἄγχιστα ἐΐσκω·
εἰ δέ τίς ἐσσι βροτῶν, οἳ ἐπὶ χθονὶ ναιετάουσι,
τρὶς μάκαρες μὲν σοί γε πατὴρ καὶ πότνια μήτηρ
τρὶς μάκαρες δὲ κασίγνητοι· μάλα πού σφισι θυμὸς   
αἰὲν ἐϋφροσύνῃσιν ἰαίνεται εἵνεκα σεῖο,
λευσσόντων τοιόνδε θάλος χορὸν εἰσοιχνεῦσαν.

Se un dio tu sei, fra quanti nel vasto cielo hanno loro dimora,
ad Artemide, la figlia del grande Zeus, ti voglio assomigliare,
per la bellezza e la grandezza della tua figura.
Ma se mortale tu sei, fra quanti abitano sulla terra,
tre volte beati il padre tuo e l’augusta tua madre, e beati
tre volte i fratelli, ché per te il loro cuore sempre si scalda
di gioia, quando vedono che un tale germoglio
fa il suo ingresso nel campo di danza.”


Si interruppe e io completai con gli ultimi due versi, sempre sorridendo:

“κεῖνος δ' αὖ περὶ κῆρι μακάρτατος ἔξοχον ἄλλων,
ὅς κέ σ' ἐέδνοισι βρίσας οἶκόνδ' ἀγάγηται.

Ma anche, e più di tutti, nel suo cuore, beato, quell’uomo
che carica di doni ti porterà nella sua casa.”


Lei scoppio di nuovo a ridere schernendosi. “Appunto, ma io sono molto diversa dalla Nausicaa incontrata da Ulisse.”
“Così come io non sono Ulisse, assolutamente no, credo di essere molto meno avventuroso, e saggio. E quindi, dimmi, in cosa saresti così diversa? Non pensi di poter rendere felice tuo marito?”
“Chi lo sa forse… Ti prendi un rischio Marco Valerio.”
“La vita è un rischio, Giunia o Nausicaa, ma dimmi in cos’altro sei diversa?”
“Non sono assolutamente come Nausicaa, Marco. Lei taceva, io invece mi prendo quello che voglio e lo dichiaro.”
Prima che potessi fare qualunque cosa, anche solo meravigliarmi, mi spinse con forza contro il muro e mi baciò.
Fu un bacio lungo, non appassionato, ma sensuale. Di certo non c’era solo istinto, ma anche esperienza e stranamente la cosa, invece di scandalizzarmi, mi incuriosì e stimolò. Le sue mani mi accarezzavano il petto. Ricambiai, io con foga, Mi piaceva il suo profumo era raffinato e leggero, così diverso da quello forte ed esotico di Sabra o da quello fresco e pulito di FiIinna.
Le sue mani si fecero più ardite e le mie la imitarono, ma quando le cinsi i seni, erano grandi, sodi e pesanti, allora si staccò di colpo da me, ansimante.
“Adesso basta, Marco Valerio.” Disse scostandosi. “Di più lo avrai solo dopo avermi sposata.”
Mi leccai le labbra guardandola, infiammato dal desiderio, ma recuperai il controllo e tentati d far tornare il mio respiro normale.
“Allora pensi di sposarmi?” Chiesi.
“È una possibilità, ci rifletterò.” Si capiva che mentiva e che aveva deciso. “Credo che con te si possa parlare… e anche altro.” Sorrideva impudente. “Adesso torniamo di là. Separati. Prima che si noti troppo la nostra assenza.”
“L’avranno notata.” Ribattei. Alla festa c’erano occhi attenti.
La mia affermazione la fece ridere. “Di sicuro, un po’ di pettegolezzi sono divertenti da scatenare, ma non troppi! Adesso torniamo.”
Quando fece per allontanarsi, però la riafferrai e con una mano sulla nuca riportai le sue labbra sulle mie. Ci baciamo di nuovo e solo dopo la lasciai.
“Arrivederci Giunia Silana. A presto.”

--------------------------------

Come previsto la nostra assenza era stata notata e i pettegolezzi iniziarono subito a correre per la città suscitando il fastidio di mia madre. Pensare che ero stato proprio io a fare la morale a Catualda consigliandogli discrezione!
Non fu, però, un grosso problema: era evidente a tutti che sotto c’era qualcos’altro, qualcosa di grosso, e proprio quando, dopo pochi giorni, l’interesse della città raggiunse il suo apice, uscì voce di un nostro imminente fidanzamento con somma soddisfazione di tutti.
In verità, ci volle ancora più di un mese prima di arrivare a un formale fidanzamento, agli sponsalia, ma come d’uso iniziai a frequentare la casa di quella che sarebbe diventata la mia fidanzata. Erano come da prassi visite estremamente formali, sempre in presenza di un accompagnatore, ma almeno avevamo occasione di parlarci e conoscerci un po’ di più.
Giunia era pacata e profonda, amava circondarsi di una affascinante aura di mistero e segreti non detti, era intelligente, non vi erano dubbi, colta, anche se forse un po’ troppo superficialmente alla moda, era sensata e con piedi per terra, con gioia di mia madre, apprezzava i lussi e i piaceri della vita ma senza esagerazioni. 
Faceva del suo meglio per sedurmi, a volte i nostri accompagnatori si concedevano appositi attimi di distrazione. Non era rovente e sensuale come Sabra, o dolce e amabile come Filinna, ma era un mistero da esplorare. Una sfida. In effetti, mia madre sembrava aver fatto una scelta accurata, la vedevo al mio fianco come moglie, padrona della mia casa e come madre della prossima generazione dei Valeri.
Gli amici, soprattutto Catualda, non mancarono di congratularsi e festeggiare e ovviamente prendermi bonariamente in giro, senza nascondere un po’ di invidia (Lucio in particolare non aveva poi avuto molta fortuna con la scelta della sua sposa e non appena lei era rimasta incinta lui aveva trovato occasione per starle lontano). Da parte mia approfittai ampiamente della loro collaborazione. Nessun corteggiamento è veramente completo senza dei versi dedicati alla fanciulla, ma, come accennato, la mia scarsa vena poetica era giunta alla fine già negli anni dell’adolescenza, e così i versi che le dedicai vennero scritti, diciamo, in collaborazione, a più mani. Quello che uscì era sicuramente meglio di quello che avrei potuto fare da solo.
A casa, Eryx, iniziò, con il beneplacito di mia madre, a presentarmi tutta una serie di progetti di ristrutturazione di un lato del peristilio interno allo scopo di creare un alloggio moderno e confortevole per noi sposi. 
La cerimonia di fidanzamento venne organizzata in una delle tenute della famiglia di Giunia fuori Roma e nell’organizzazione si riconosceva la sua mano e che aveva iniziato a capirmi. La cerimonia degli Sponsalia era ormai da molte generazioni decaduta fino ad essere poco più una festa e un banchetto. Giunia conoscendo le mie idee (mi prendeva in giro definendo il mio stoicismo “deliziosamente antiquato”) aveva invece fatto in modo di mantenere per la nostra cerimonia quanto bastava delle antiche tradizioni per darmi soddisfazione: organizzò. con la massima eleganza e senza nessuna pretenziosità, la libagione per gli dei, il sacrificio di un vitello e un venerando aruspice per leggerne le interiora (e la sua divinazione fu molto favorevole alle nostre nozze). 
La festa che ne seguì, in quell’elegante ambiente agreste, culminata con me che le infilavo l’anello di fidanzamento sotto un cielo azzurro e terso, fu una giornata memorabile che fu ricordata per parecchio tempo a Roma. 

--------------------------

Tornai a Baia due settimane dopo il fidanzamento. Il momento era di quanto più inadatto ci potesse essere: la stagione era ormai troppo avanzata e il clima decisamente pessimo, grigio e piovoso, e lo stesso viaggio da Ostia a Pozzuoli fu terribile a causa del mare mosso. 
La ragione ufficiale, o meglio ufficiosa, fu che era necessario per mettere al sicuro Catualda. Come era scontato che prima o poi succedesse aveva osato con la donna sbagliata, non la matrona della festa, un'altra, e adesso era decisamente meglio che non si facesse vedere a Roma per un certo periodo.
Per il momento si sarebbe fermato da me a Baia, poi ci avrebbe pensato Gaio, che se lo sarebbe portato in Sicilia dove aveva avuto un incarico al seguito di un suo zio che era Propretore della provincia.
Parlo di ragione ufficiosa, perché non voglio nascondere che per me il viaggio a Baia aveva anche un altro scopo. La notizia del mio fidanzamento era ovviamente arrivata anche lì veloce come il vento, Cleone ne aveva subito approfittato per mandarmi un biglietto di auguri e dei versi dedicata a Giunia (che erano stati estremamente graditi) e io onestamente volevo aver modo di parlare con Filinna, per rassicurarla. Dirle che non sarebbe stata abbandonata e che le mie promesse verso di lei rimanevano sempre valide, non volevo che temesse di finire un’altra volta in disgrazia e che io mi potessi dimenticare di badare a lei.
Contavo di parlare la sera del mio arrivo, ma fu nel primo pomeriggio che ebbi occasione di incrociarla, stavo passeggiando in giardino con Catualda, approfittando di un raro momento di sole, quando lui mi diede di gomito con aria cospiratoria.
“Amico mio, siamo spiati da una graziosissima creatura.” Fece indicandomi Filinna, che faceva, finta, si capiva, di essere occupata dietro una delle siepi. Poi alzò a voce rivolgendosi a lei. “Ehi ragazza, vieni qui, avvicinati che il tuo padrone è qui.” Per poi aggiungere, fortunatamente a voce più bassa. “Che vorrebbe anche lui parlarti, ma è troppo timido per chiamarti.”
“Catualda, smettila!”
Non raccolse ovviamente il mio consiglio e quando lei ci si avvicinò, decisamente intimorita dall’essere stata chiamata a gran voce in quella maniera, continuò a dare spettacolo. “Che occhi che hai fanciulla, io sono barbaro e non saprei lodarli con versi appropriati, spero che almeno il tuo sciagurato padrone li canti in maniera adeguata!”
“Smettila di prenderla in giro!” Intervenni in sua difesa, vedendola ondeggiare tra il confuso e l’impaurito. Ogni cosa fuori dall’usuale può spaventare uno schiavo che deve rimettersi esclusivamente alla benevolenza altrui. 
“Ma io sto prendendo in giro te, mica questa splendore di donna.” Si rivolse a lei con aria confidenziale. “In verità ho scoperto che sa citare bene, ma di suo con le rime è poco portato, lo sapevi?”
Filinna guardava me cercando indicazioni e aiuto, non sapendo come rispondere e comportarsi di fronte ad un atteggiamento simile. Catualda sembrava invitarla alla confidenza, ma tutta la sua esperienza le diceva quanto potesse essere sbagliato trattare con troppa familiarità qualcuno di rango superiore, sono sempre situazioni in cui è troppo facile compiere errori pericolosi.
“Catualda.” Ripetei. “Smettila, la stai mettendo a disagio.” Catualda a certe situazioni doveva ancora abituarsi.
“Mi succede con le belle donne.” Ribatté spavaldo. “Ma questa è tutta tua, amico, si vede. Ora vi lascio, che direi volete essere lasciati soli.” Le rivolse un saluto, come se fosse una dama di rango, e se ne andò lasciandoci soli e perplessi.
“Mi dispiace, che ti abbia spaventato.” Le feci. “Non è cattivo e non ce l’aveva con te, scherzava con me.”
“Cosa voleva?” Mi chiese ancora innervosita.
“Da te niente, Filinna, ce l’aveva con me.” Poi aggiunsi. “Non c’era nulla di cui preoccuparsi, c’ero io” 
“Sì Padrone.” Rispose senza guardarmi. 
“Ci sono io.” La provai a tranquillizzare. Annuì senza parlare, cambiai argomento. “Come stai? Tutto bene qui a Baia?”
Finalmente alzò gli occhi.
“Sì, tutto bene, stiamo tutti bene.” 
Le nuvole coprirono il pallido sole invernale, privandoci del poco tepore che ci concedeva. Una folata di maestrale ci colpì e la vidi incurvare le spalle e stringersi la stola in intorno al corpo.
“Vieni.” Le feci. “Andiamo in un posto più riparato.”
Mi seguì, risalendo una delle scalinate che portavano alle terrazze superiore, a metà salita per aiutarla, le tesi, senza pensare, la mano e quasi sussultati quando lei la prese, sentendo la sua stretta. Raggiungemmo una parte riparata del giardino. Un angolo pensato appositamente per essere battuto dal sole, ma riparato dai venti nelle giornate fredde. La posizione lo privava della vista sul golfo, ma lo rendeva intimo e riservato.
“Ho saputo di Aristo.” Dissi parlando del fratello. Girando intorno a quello che volevo dirle senza decidermi. “Tuo padre mi ha scritto che aspetta un figlio.”
“Sì, una grande notizia. Siamo tutti molto felici per loro.” 
Malgrado la presunta felicità, non sorrideva e mi decisi di provare ad andare al punto. Perché mi sentivo sempre un vigliacco di fronte a lei? Con uno sforzo decisi di affrontare l’argomento senza altre esitazioni.
“Hai saputo, la mia di notizia, vero? Che mi sono fidanzato?” 
“Sì, padrone. Ci è giunta notizia, è una cosa molto bella. Sono felice per voi.”
Gli occhi di Filinna dicevano tutto.  Ero contento che si fidasse di me abbastanza da non voler nascondere le sue emozioni, dall’altra mi dispiaceva vederla così, preoccupata o addirittura rattristata.
Sul fondo, devo essere onesto, che il mio vano amor proprio sarebbe stato forse ferito se lei avesse mostrato indifferenza.
“Volevo parlarti Filinna.” Le tenevo ancora la mano, mi accorsi, lei non me l’aveva lasciata e io l’avevo tenuta, gliela accarezzai. “Volevo dirti, che per me non cambia niente, tutto quello che ti ho sempre detto rimane valido. Tutto, baderò a te, non ti succederà niente di male, ci penserò io.” Non succederà come quando ti abbandonai partendo per la Pannonia, pensai, senza dirlo. “Sarai liberata con tuo padre, o anche prima, se vuoi, lo sai. Te lo giuro.” 
I suoi occhi erano piantati nei miei e vedevo chissà quante emozioni passarle in volto. 
“La Padrona… la nuova Padrona non ce l’avrà con me?” Si sentiva l’ansia nella sua voce.
“No, che vai a pensare, Filinna, perché mai dovrebbe? Tranquilla, ti ripeto non succederà niente di male.”
Non vedevo nessuna possibile ragione per la quale Giunia dovesse avere qualcosa contro Filinna, o, Filinna forse temeva addirittura questo, esserne gelosa? Sarebbe stato ridicolo. 
Certo però le donne alle volte possono avere reazioni imprevedibili, percui forse potevo capire le sue paure, in fin dei conti aveva già patito per le esagerazioni di mia madre 
“Filinna, hai la mia parola, non ti succederà nulla, non c’è ragione perché Giunia debba avercela con te e in caso ti proteggerò.” Le mie erano, forse, parole vane: quanti uomini avrebbero discusso o negato qualcosa alla loro novella sposa? Il pensiero mi balenò in mente e lo respinsi. Non avrei mancato alle mie promesse questa volta.
Le accarezzai il viso, per unire il mio tocco alle parole, e lei mi abbracciò all’improvviso, lasciandomi di stucco. Una simile familiarità in pubblico con la servitù era assolutamente inappropriata, mai avrei immaginato che Filinna potesse osare tanto, ma nessuno ci vedeva e capivo le sue paure. La lascia fare.
Era un abbraccio inusuale: non era quello dettato dl fuoco della passione, o quello languido che segue la soddisfazione dei desideri, era quello di chi richiede conforto, protezione, semplice affetto. Ricambiai, stringendola, godendomi il suo calore, il suo profumo e il suono del suo respiro. 
“Andrà tutto bene.” Ripetei con voce dolce
“Posso venire da te stanotte?” Mormorò.
Un’altra ragione per essere ancora più sbalordito mai prima era stata tanto diretta, mai tanto audace, ma a quanto pare era un pomeriggio pieno di sorprese.
“Certo…” E aggiunsi. “Allora il regalo che ti avevo portato te lo darò stasera.”
“Un regalo?” Si staccò da me per guardarmi.
“Un regalo, una sciocchezza.” In verità, era un bel cofanetto di legno intarsiato con una serie di strumenti, spazzole, pettini e altri ammennicoli che le donne usano per truccarsi a cui avevo aggiunto due vasetti di profumo. 
Le occhi le diventarono improvvisamente lucidi.
“Non piangere per favore. Mi rattrista.” Dissi e allungai una mano ad asciugarle una lacrima.

-------------------------------

Rientrai a Roma dopo pochi giorni, lasciando Catualda da solo, sarebbe rimasto a Baia alcune settimane in attesa che Gaio lo raggiungesse per continuare verso la Sicilia. Mi scrisse più di una volta nella sua permanenza, ringraziandomi e raccontandomi quanto apprezzasse la compagnia di Cleone e di Aristo che lo stavano aiutando a perfezionare la sua pronuncia latina e aiutandolo a studiare il greco.
Filinna, pure, lo aiutava, era stupefatto da quanto fosse colta, scriveva, e lodava la sua capacità come insegnante. Mi invidiava, concludeva.
Avevo passato le notti a Baia con lei. Notti venate da una malinconia agrodolce e avvertibile. Avevo passato momenti felici con lei, ma il futuro era insondabile. L’unica cosa che sapevamo di certo era che sarebbe stato diverso e che qualcosa era finito.
Alla scatola di trucchi di e profumi avevo aggiunto una raffinata stola dai colori brillanti, che avevo comprato sul posto. Glielo diedi l’ultima sera, ci si avvolse stringendoselo intorno alle spalle. Ero bella disse, ma nemmeno quello riuscì a farla sorridere.
Pianse quella notte, me ne accorsi, quando venni svegliato da un movimento, mi dava le spalle, girata sul fianco verso la finestra. Provò a resistere quando la afferrai e la avvolsi in un abbraccio, poi si arrese, la tenni stretta in silenzio finché non la sentii finalmente scivolare nel sonno.

-----------------------------------

La malinconia o le lacrime, però non ebbero spazio dopo il mio ritorno a Roma. Se non fossero bastati i miei impegni ufficiali come Questore e Senatore e quelli più ufficiosi come confidente dell’Imperatore e futuro genero di uno dei membri più influenti del senato, venivo coinvolto sempre più nei preparativi per il matrimonio.
Era un impegno sicuramente gioioso, ma avevo sperato che se ne occupassero Giunia con l’aiuto della sorella, di sua madre e della mia, mi rendo conto che è la vana speranza di molti futuri mariti, ma in verità venivo spesso coinvolto su decisioni e scelte organizzative che mi sarei risparmiato.
Il mio futuro suocere se la rideva, attirandosi l’ira delle figlie e della moglie avvisandomi che quello era solo l’inizio, ma mi veniva spesso in soccorso, portandomi via con la scusa che servivo a lui.
Malgrado, a sentire le lamentele delle donne, sembrasse impossibile organizzare con successo tutto quanto e che la giornata rischiava di essere un disastro e che saremmo stati svergognati di fronte a tutta Roma, finalmente il giorno fatidico arrivò e fu un meraviglioso.
Come da tradizione arrivai alla casa della sposa accompagnato da un gruppo di amici in festa, i loro canti e i loro scherzi mi aiutarono a sopportare a vincere l’ansia e la tensione, e la loro presenza mi scortò tra la folla di curiosi che già si era iniziata a radunare in attesa del corteo nuziale e della scontata distribuzione di doni.
Lo stesso Imperatore, nel suo ruolo di Pontefice Massimo, ci concesse l’onore di celebrare il sacrificio propiziatorio, che venne effettuato con perfezione e senza errori o ripetizioni, chiaro segno di approvazione degli dèi. La successiva lettura delle interiora confermò la predizione di un matrimonio lungo, felice e fertile.
A quel punto, visti gli auspici favorevoli, potemmo procedere: l’atto di matrimonio venne sottoscritto e potei sollevare il velo rosso del Flemmum di Giunia scoprendo il suo volto sorridente e felice. Ci prendemmo a vicenda la mano e recitata la classica formula (Ubi tu Marcus, ego Giunia, dove sei tu Marco, sarò io Giunia), diventammo marito e moglie. 
Il corteo con cui tornammo a casa mia, la nostra casa, per il banchetto e la festa, fu un altro momento memorabile.
Preceduti dai trombettieri e dagli araldi e seguiti dal meglio delle società romana, attraversammo le strade assiepate di gente che ci festeggiava a cui venivano distribuiti dolci regali e monete. 
Quello che colpì di più la folla di sicuro fu una aggiunta al corteo, forse sopra le righe, che mia moglie aveva chiesto e ottenuto (come non potevo concedere alla mia sposa un suo desiderio): la presenza di animali esotici e meravigliosi. Escluse fiere eccessivamente pericolose (come leoni o come un orrido rinoceronte), ci seguiva comunque un notevole caravanserraglio che scatenò la frenesia della plebe e su cui spiccava una bestia eccezionale, raramente vista a Roma: un camelopardo, a volte chiamato giraffa.
Una bestia dal manto maculato e dal collo sproporzionatamente lungo, talmente alto da poter guardare dentro al primo o al secondo piano di una insula. Animale affascinante devo confessare, con piccole corna in cima alla testa e degli occhi enormi e apparentemente dolcissimi. In verità il suo guardiano mi aveva spiegato che sono animali abbastanza mansueti, ma comunque temibili e che i loro calci sono talmente pericolosi che persino i leoni se ne tengono alla larga.
Il banchetto per gli ospiti era stato organizzato nel grande atrio e con la massima attenzione su tutti i dettagli dal menu, alla servitù, fino all’intrattenimento, mentre fuori ci era stata organizzata una distribuzione di cibo e vino per la plebe.
L’Imperatore, molto sensibilmente declinò l’invito alla festa, riteneva che la sua presenza avrebbe privato noi sposi della dovuta attenzione, ma della casa imperiale parteciparono sua figlia Claudia Antonia e sua nipote Agrippina Minore sorella del defunto Caligola e che veniva ritenuta una delle donne più belle di Roma. Adesso che Claudio Cesare era vedovo, le voci e i pettegolezzi la ritenevano una potenziale candidata a diventare sua moglie
Con lei vi era suo figlio Lucio Domizio, un adolescente un po’ grassottello, a cui stava iniziando a spuntare la prima barba. Un ragazzo timido, sgraziato come molti giovani uomini di quell’età, ma intelligente e sensibile, come avevo scoperto in un paio di occasioni in cui avevo avuto modo di parlargli.
Solo a sera tardi, venne il grande momento e accompagnato dai frizzi e dai lazzi degli ospiti presi in braccio Giunia e la portai in camera. E finalmente chiusi le porte alle nostre spalle.

---------------------------------------------

I primi mesi di matrimonio, furono un periodo di gioia e felicità, senza nessun dubbio. 
Non si trattava solo della scontata attrazione fisica tra novelli sposi. Quella non mancava, naturalmente, passavamo le notti, e anche parte dei giorni, a conoscerci, a scoprirci, diventando sempre più complici.
Ci raccontavamo a vicenda e scoprii dove aveva imparato a baciare prima di conoscermi, da un cugino di cui era innamorata pazza da ragazzina, e anch’io le raccontati le mie prime esperienze con Sabra e con la mia generosa cugina.  
Giunia si dimostrava sempre più la moglie perfetta per le mie esigenze: era intelligente e spiritosa, dalla battuta pronta e allegra, a volte pungente, colta e pienamente in grado di svolgere le sue responsabilità. Mia madre aveva avuto pienamente ragione nella sua scelta e, con sollievo, vedevo che pure tra di loro andavano d’accordo, senza contrasti visibili. 
Come avevo già accennato il matrimonio aveva rafforzato la mia posizione e il mio prestigio e nessuno metteva in dubbio la mia possibilità di essere rieletto Questore o addirittura Edile, si parlava apertamente di fare una eccezione per me, malgrado non avessi l’età sufficiente.
A questo, va detto, contribuiva personalmente Giunia, che aveva una grande dote di sviluppare le giuste relazioni sociali e le cui qualità le fruttavano istintiva simpatia e amicizia.
Con la buona stagione decidemmo di partire. Giunia aveva un desiderio che mi aveva confessato fin da prima del matrimonio: visitare la Grecia, cosa, che malgrado il padre le avesse concesso di tutto, non le era mai riuscito a fare. Malgrado volessi soddisfarla, e avessi anch’io il desiderio di tornare a visitare quelle terre, in Grecia non avevamo la possibilità di andare. Gli impegni mi impedivano di allontanarmi da Roma per così tanto tempo, così le proposi in alternativa di recarci a visitare la Sicilia, saremmo stati ospiti di Gaio e suo zio, avrei reincontrato Catualda e avremmo fatto visita alla tenuta che avevamo lì, che io stesso non avevo mai visto.
Avremmo viaggiato fino a Baia insieme a mia madre e a zio che si sarebbero fermati lì per l’estate. Saremmo poi partiti per la Sicilia da Pozzuoli, con una delle triremi della flotta. Al ritorno ci saremmo fermati di nuovo a Baia, dove a quel punto ci sarebbero stati anche i suoi genitori, per poi ripartire per Roma tutti insieme.
L’idea venne apprezzata e approvata.
   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: Ombrone