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Autore: Sweet Pink    09/04/2022    3 recensioni
Impero Britannico, 1730.
Saffie Lynwood e Arthur Worthington non si potrebbero dire più diversi di così: freddo quanto implacabile giovane Ammiraglio della Royal Navy lui, allegra e irriverente ragazza aristocratica lei. Dire che fra i due non scorre buon sangue è dire poco, soprattutto da quando sono stati costretti a diventare marito e moglie contro la loro stessa volontà e inclinazione!
Entrambi si giurano infatti odio reciproco, in barba non solo al fatto di essere i discendenti di due delle più ricche e antiche famiglie dell'Impero, ma pure alla vita che sono sfortunatamente costretti a condividere.
Eppure, il destino non è un giocatore tanto prevedibile quanto ci si potrebbe aspettare, poiché sono innumerevoli i segreti che li tengono incatenati l'uno all'altra; segreti, che risalgono il passato dei Worthington e dei Lynwood.
E se, con il tempo, i due nemici si scoprissero più simili di quanto avrebbero mai immaginato, quale tremendo desiderio ne potrebbe mai derivare?
Genere: Romantico, Sentimentale, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Storico
Capitoli:
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No, non c’è l’ho fatta: un altro capitolo che ho dovuto spezzare in due parti a causa dell’eccessiva lunghezza…sta diventando una sorta di vizio, questo! (T.T) Sob!

Posso solo dirvi che la seconda parte la voglio pubblicare a tutti i costi entro la fine di questo stesso mese, quindi non perdiamo la speranza!

Avvertenza: Il seguente capitolo ha rating rosso, poiché alcune scene potrebbero urtare la sensibilità di qualcheduno. Quindi, procedete nella lettura con le dovute cautele.

Io sarò nel mio Angolo ad attendervi, a fine lettura! \(°u°)/



CAPITOLO TREDICESIMO

IL SEGRETO DI AMANDINE

L’inizio






Un vento fresco e gentile soffiava sulle cime verdi degli alberi, smuovendone le foglie verdi e producendo così un suono armonioso, che induceva chi lo ascoltava a fermarsi con il naso all’insù, in direzione di un cielo dall’azzurro ammaliante. In generale, una calma bizzarra regnava su tutto il parco circostante e l’uomo fermo sul sentiero di ghiaia chiuse per un momento gli occhi castani, lasciando che la brezza primaverile spettinasse i corti capelli grigi, finalmente liberi da qualsiasi opprimente parrucca ricciuta.

Come è diventato tutto silenzioso, da quando Saffie e Amandine non ci sono più.

“È inaudito!”

Dopo un sospiro pesante e rassegnato, Alastair Lynwood si voltò lentamente indietro – in direzione della candida villa che apparteneva al Casato da tre secoli a quella parte – e le sue iridi annoiate inquadrarono immediatamente l’alta figura di Cordelia venirgli incontro a furibondo passo di marcia, le dita pallide strette nervosamente sulla costosa gonna color lavanda e un’espressione di evidente irritazione stampata sul viso truccato. “Che accade, amore mio?” le chiese in tono piatto, quando la donna fu a portata di voce. “La Marchesa di Middleton ha di nuovo rifiutato il tuo invito al nostro Picnic sull’erba di Sabato?”

“Come se potessi veramente dare importanza alla presenza di Lottie Middleton!” sbottò di tutta risposta la Duchessa, portandosi di fronte al marito e aprendo di scatto un lezioso ventaglio fatto di piume, nascondendo il suo disappunto dietro di esso. “Ci crederesti, se ti dicessi che il Marchese ha dovuto cambiare per la quarta volta la sua dama di compagnia visto che ha scoperto come – di nuovo – ella non condividesse con la moglie solo ricami e passeggiate, ma pure le coperte?”

“Interessante” commentò monocorde Alastair, abbassando pigramente lo sguardo sulle iridi turchesi della donna che trent’anni prima era stato costretto a sposare: non l’aveva mai amata, la sprezzante Cordelia Bailey, ma aveva sempre trovato estremamente divertente la sua compagnia. “È una disgrazia, che dopo tanto tempo ancora non abbia imparato ad abbassare il suo tono di voce.”

Il Duca di Lynwood la vide chiudere il ventaglio di scatto e concedergli un leggero colpetto scherzoso sul petto; ed era il tradizionale segno con cui lei gli soleva dimostrare il suo altezzoso apprezzamento, quasi gli stesse concedendo chissà quale raro onore. “Fin troppo vero, mio signore. Fin troppo vero” gli disse, mentre l’ombra di un ghigno divertito sembrò passare su quelli che un tempo erano stati tra i lineamenti più ammirati dell’intera aristocrazia inglese. “Ma non sono stati ovviamente i vizi della Marchesa di Middleton a turbarmi oltre misura.”

Due iridi color turchese, le stesse ereditate da Amandine, si abbatterono al suolo e Alastair pensò di non aver più visto sua moglie sorridere da parecchio tempo. Considerò che probabilmente non sarebbe riuscito a strapparle una sola risata, poiché erano entrambi invecchiati di cent’anni nel giro di soli sei mesi e avevano visto il loro bel Paradiso bruciare davanti ai loro occhi, malgrado la crudeltà con cui avevano sempre cercato di preservarlo.

Avevano perso una figlia…la loro bellissima Amandine.

Mosso da un dolore incolmabile, Alastair afferrò con gentilezza le dita fredde della moglie, stringendole con una empatica comprensione che non era in effetti famigliare né a Cordelia, né a lui stesso. “Cos’è accaduto?” le domandò ancora, ammorbidendo la voce e cercando di scavare nell’espressione improvvisamente triste di colei che aveva davanti, come se non la conoscesse meglio di chiunque altro.

Cordelia scosse la testa bionda con noncuranza, evitando ostinatamente lo sguardo attento del Duca. “Oh, sono stati quegli inetti dei nostri servitori” mormorò, con il tono incrinato e le lacrime agli occhi. “Il baule con tutti i vestiti e i ricordi della mia piccola principessa, quello che avevo deciso di tenere una volta svuotata la sua camera...scopro ora che è stato erroneamente imbarcato insieme agli effetti di Saffie sull’Oceanic Stinger, o come si chiama la nave posseduta dall’ammiraglio Worthington.”

“È l’Atlantic Stinger, mia cara.”

“Non è questo il punto, Alastair!”

Il grido pieno di isterica disperazione spezzò in due la quiete di quel pomeriggio d’Aprile. In un gran frullo d’ali, uno stormo di spaventati passerotti volò via, mentre non un suono sembrò fender l’aria da quel momento in avanti; persino il Duca di Lynwood ammutolì di fronte alle lacrime della moglie che, da quando l’aveva conosciuta, era stata capace di piangere solo di fronte alle sue ridicole questioni e mai aveva dato alcun peso alla vanitosa superficialità dell’uomo con cui aveva condiviso la vita. “Non ho più niente di Amandine. Più niente!” esclamò, lasciando la mano di Alastair e portandosi le dita sul viso congestionato, nascondendo così il suo dolore e la sua vergogna dietro di esse. “Mentre abbiamo punito Saffie per la sua morte, sacrificandola all’ambizione di quell’uomo e ai nostri interessi!”

Un senso di colpa insopportabile da sostenere traboccava infine dalle labbra tremanti di Cordelia e, per la prima volta in cinquantun anni, il Duca si trovò indifeso e impotente di fronte ad una situazione che scoprì di non saper come gestire: sua moglie era sempre stata un appoggio silenzioso e mansueto, ma incrollabile; e ora la trovava in pezzi, distrutta giorno dopo giorno dalle crepe che avevano infranto la maschera. “Non abbiamo avuto scelta” provò a dirle cautamente, allungando le braccia verso il suo corpo da cigno elegante. “Dovevamo salvare il Casato e rispettare il patto stretto con Simeon. Non ho avuto scelta, Cordelia.”

“Non hai avuto scelta, perché solo chi vuole sopravvivere vince sempre” commentò la donna di rimando, crudele ed ironica. Si fece indietro, sfuggendo dalle mani tese di Alastair e continuò, incurante del trucco pesante ormai colato sulle guance bagnate di lacrime: “Siamo stati dei genitori orribili, che in verità hanno avuto la possibilità di scegliere fin dall’inizio e hanno invece deciso di essere meschini e crudeli, imperdonabili.”

Gli occhi castani del Duca si spalancarono sul vuoto, sorpresi.

“…imperdonabile, Alastair! Benjamin è come un figlio per me, lo sapete bene!”

“Il Cielo ci ha già punito per questo” fece la voce arrocchita della Duchessa di Lynwood, ora tinta di uno strano misto di rabbia e rimorso. “E adesso non mi resta altro che pregare per Saffie: se Dio vorrà castigarmi un’altra volta, allora esaudirà il tuo desiderio e la farà diventare uguale a te, più di quanto tu non l’abbia già plasmata.”

Senza aggiungere una sola parola, né aspettare alcuna risposta da un immobile Alastair, Cordelia decise di voltargli le spalle e avviarsi di tutta fretta lungo la china del sentiero di ghiaia, sparendo dalla vista del marito, lasciandolo solo con i suoi pensieri e le sue consuete macchinazioni. Con i suoi ricordi.

Ma non è il vostro vero e legittimo erede, Simeon” pensava di aver detto alla figura massiccia del suo amico di un tempo, entrato come un inatteso terremoto dentro al lussuoso studio di casa Lynwood. “Non insultate la mia intelligenza, ve ne prego; non dopo che l’orfano sotto la vostra protezione ha osato offendere il Casato in maniera irreparabile.”

Egli è parte dei Worthington, tanto quanto lo è Arthur” aveva quindi ringhiato Simeon, portandosi davanti alla scrivania dietro alla quale il Duca sedeva in tutta tranquillità e fissandolo con due taglienti occhi metallici. “Vuoi fare scoppiare uno scandalo?”

Un lucente sguardo castano si era sollevato pigramente, fermo e pericoloso come quello di un serpente in attesa di colpire. “No, ma sembra che tu lo voglia” aveva ribattuto Alastair, abbandonando a sua volta il formale voi di cortesia. “Il dottore è un Rochester: un figlio di plebei, di due dei tuoi più fedeli domestici per la precisione. Pensi sul serio che la tua reputazione e, soprattutto, quella di tuo figlio non ne risentiranno?”

Oh, Alastair sapeva benissimo che avrebbe visto il suo migliore amico di sempre vacillare di fronte alle sue ultime parole; esitare, se posto davanti alla prospettiva di distruggere la sfolgorante carriera del tanto amato Arthur: in fondo, un grande peso gravava sulle spalle di Simeon e si trattava del soffocante senso di colpa per non essere riuscito a sventare il rapimento non solo del figlio prediletto, ma anche della madre di quest’ultimo.

Non accetterò mai un plebeo nella mia famiglia ed è già tanto io non abbia fatto uccidere il tuo Benjamin per ciò che ha combinato” si era quindi sentito libero di continuare, poggiandosi pigramente con il capo grigiastro sul palmo aperto della mano ma, in verità, continuando a fissare Worthington con due occhi pieni di collera mortale. “Come credi io possa perdonare un'onta simile?”

Dall’alto, un’espressione di sprezzante indignazione si palesava sul volto severo di un Simeon fuori di sé. “Forse stai tralasciando il coinvolgimento di tua figlia nella faccenda” aveva mormorato infine l’ex Ammiraglio, sfoderando un freddo sorrisetto storto; e si era sporto in avanti lentamente, puntellandosi alla scrivania con le mani grandi e rovinate, decidendo di aggiungere, minaccioso: “Chi può dirlo, che non sia stata proprio lei a sedurre il mio figlioccio?”

A poca distanza dal suo, uno sguardo castano riluceva immobile e tagliente, glaciale. “Sembra tu abbia scelto la via dello scandalo e della rovina, Simeon.”

Un silenzio pesante era calato fra i due amici d’infanzia, impegnati ad affrontarsi su un terreno accidentato ed altrettanto periglioso, scomodo. Proprio nel momento in cui Alastair credeva di averla spuntata e di star piegando la volontà di Worthington ai suoi desideri, l’uomo di fronte a lui aveva schiuso le labbra e pronunciato le ironiche parole che avevano di nuovo cambiato tutto: “In questo caso, sarà la disgrazia ad abbattersi sul tuo Casato, Alastair…perché, davvero, non sarebbe opportuno ti informassi meglio sulle discutibili compagnie frequentate dalla tua primogenita nella Capitale?”

Ancora in piedi nello stesso punto del sentiero in cui la moglie l’aveva abbandonato, il Duca di Lynwood ricordò con dolorosa vergogna di essersi alzato di scatto dalla sedia, quasi come se Simeon gli avesse vomitato addosso una bestemmia irripetibile.

Ah, l’ho sempre saputo che, nel profondo, è la signorina Saffie la tua preferita” aveva commentato con vera crudeltà Worthington, raddrizzandosi e sorridendo infine di un oscuro divertimento. L’ex ufficiale aveva poi voltato le spalle robuste ed aveva scelto di sparire di scena, interrompendo così il loro colloquio. “Parleremo nuovamente, Alastair” aveva aggiunto solamente, fermandosi per un istante sulla soglia della stanza. “Raggiungerò mio figlio a Londra e vi risiederò per alcune settimane, o almeno fino alla sua nuova partenza per le colonie. Sentiti libero di scrivermi o raggiungermi in città, se mai avessi qualcosa di interessante da propormi.”

E, dopo un ultimo sorriso terribile, era uscito dallo studio, abbandonandolo in preda a una furia e una preoccupazione annichilenti, distruttivi.

Un tramonto dolce e caldo tinse di sfumature rosso sangue il cielo terso, ma Alastair Lynwood sembrò non curarsene affatto. Alzò lo sguardo sulla cupola magnifica che sovrastava la sua testa grigia, sentendosi in qualche modo giudicato da essa: era come se, dall’alto, gli occhi turchesi di Amandine lo guardassero con un odio profondo e riuscissero a vedere ogni cosa dentro di lui, peccati mortali compresi.

Lo so, ho costruito io le sbarre della vostra gabbia dorata. Io vi ho imprigionate.

Però tu, Amandine, hai stravolto le nostre vite nell’esatto momento in cui ti sei innamorata di quel maledetto Dottore.



§




C’era stato un giorno in cui si erano detti “Solo per questa volta” ma, da quando avevano iniziato, non erano più riusciti a fermarsi.

La battaglia decisiva contro la Mad Veteran si era infine conclusa senza troppe difficoltà, proprio come previsto dal tremendo Generale Implacabile; pure se, contro qualsiasi previsione, erano stati i momenti successivi allo scontro a decretare la vittoria del legame crudele di cui Saffie e Arthur non potevano più liberarsi: si erano arresi entrambi al suo potere, al disperato desiderio che ne derivava.

Avevano passato le pigre ore del pomeriggio in silenzio, sdraiati l’uno di fianco all’altra sul morbido letto dell’Ammiraglio, a malapena coscienti dei sobri festeggiamenti che si stavano consumando in tutta la nave. Similmente alla notte in cui si erano lasciati alle spalle il reciproco disprezzo, Worthington l’aveva stretta fra le braccia con lenta cautela e, in uno strano quanto sereno silenzio, aveva chiuso gli occhi verdi fra le palpebre, abbandonandosi ad un sonno ristoratore.

“Deve essere esausto” aveva pensato Saffie, alzando lo sguardo sul volto affascinante del marito. Il suo cuore impazzito martellava forte contro la cassa toracica, suggerendole che con tutta probabilità non sarebbe riuscita affatto ad addormentarsi tanto presto. “Grazie al Cielo non ha riportato alcuna ferita.”

Le iridi castane della ragazza si erano poi posate sulle sue stesse piccole dita, ben permute contro il petto nudo di Arthur, i polpastrelli a contatto con la ruvidità della sua bianca e malvagia cicatrice. Il respiro dell’uomo al suo fianco era regolare e tranquillo; ed egli non sembrava più l’oscuro e terribile Ufficiale che l’aveva imprigionata, condannandola a seguirlo fin nelle profondità del suo abisso. Pareva così umano e fragile, pure se lei poteva dire di non conoscere veramente nulla della sua vita.

Muoia all’inferno, se ha dimenticato chi è l’uomo che l’ha cresciuto!”

Di non sapere niente di ciò che era stato in passato.

Ovviamente, quella pacata stasi irreale non poteva durare per sempre: c’era stato anche il momento in cui era dovuta tornare nelle sue stanze, abbandonare il giaciglio condiviso con uno stranamente silenzioso Worthington che, da quando si era svegliato, le aveva dedicato solo due o tre parole imbronciate, come se non fosse affatto favorevole all’idea di vedere la moglie uscirsene dai suoi alloggi così presto.

“La battaglia si è appena conclusa e io sono stata assente troppo a lungo” aveva cercato di spiegargli Saffie in un sussurro imbarazzato, tradendo un rossore acceso che le aveva imporporato le gote in modo adorabile. Eppure, la ragazza si era accorta di aver nell’anima un’agitazione nuova e – per assurdo – felice. “Keeran sarà in pensiero per me.”

Dal canto suo, Arthur non aveva risposto alle sue parole esitanti e si era invece limitato ad osservarla con le sue incredibili iridi smeraldine, inseguendo con uno sguardo indecifrabile le mani della piccola strega lottare con le allacciature del semplice abito da giorno che aveva deciso di indossare. “Dimostri un’ardente preoccupazione per la tua serva” aveva commentato solo, lasciando andare il capo scuro contro la tastiera elegante del letto.

La signorina Byrne” l’aveva corretto Saffie senza voltarsi a guardarlo, ma bensì passando le mani sul tessuto stropicciato della gonna. “Come se l’ammiraglio Worthington non vegliasse in gran segreto sull’indisciplinato James Chapman.”

“A volte mi pento di aver preso quel ragazzino capriccioso sotto la mia protezione.”

Uno sbuffo divertito e scettico si era fatto sentire nella stanza. “Bugiardo” era stata l’unica parola uscita dalle labbra sorridenti della Duchessina che, davvero, scoprì di non riuscire in alcuna maniera a voltarsi e posare gli occhi sul corpo imponente del marito; appoggiato con la schiena alla spalliera del letto, l’elegante abbandono di Arthur lo faceva assomigliare ad una quieta e magnetica statua greca.

Saffie sapeva che, se si fosse girata verso di lui, sarebbe stato impossibile non cedere alla tentazione di tornare sotto le coperte e buttarsi nuovamente fra le sue braccia, dimenticare ogni cosa.

Anche se questo legame crudele non può essere amore.

Era stato quindi con un fastidioso groppo in gola che la ragazza aveva cominciato a camminare in direzione dell’uscio della camera, raggiungendone la porta in una manciata di eterni secondi: non capiva bene come dover prendere commiato da Worthington perché – ora che avevano entrambi attraversato il confine – cosa sarebbe potuto cambiare fra di loro?

Al di là della soglia, si udivano suoni confusi e indistinti; parole e risate piene di sollievo che le fecero intendere come le ore passate non avessero smorzato l’entusiasmo dell’equipaggio per il trionfo dell’Atlantic Stinger: grandi onori attendevano il Generale Implacabile a Kingston, ma pure tutti gli uomini della ciurma ne avrebbero goduto i conseguenti vantaggi.

Sulle sue mani, il sangue di centinaia di uomini, poiché non esiste alcuna pietà per chi incrocia il suo cammino!”

Ma in realtà tu non sei solo questo, Arthur.

“Certo che il Capitano Inrving è stato piuttosto avventato!” aveva esclamato con tono fin troppo gioioso un Ufficiale, probabilmente in piedi nel corridoio. “Concedere a tutti una sana bevuta…e un giro di Rhum, nientemeno!”

“Sono sollevato nel sapere la graziosa dama di compagnia della signora Worthington al sicuro insieme al nostro inflessibile medico di bordo” era stata la risposta di un altro, accompagnata da una sonora risata. “Per certo, lei e il piccolo figlio di Rochester staranno dando una mano a medicare i pochi feriti che abbiamo avuto.”

“Più Alcool per noi, allora!”

Una mano grande era entrata all’improvviso nel campo visivo di Saffie, premendo contro il legno della porta chiusa. “Te l’ho detto: ti preoccupi troppo per la ragazzina” aveva soffiato contro il suo orecchio una voce profonda, dalle sfumature tentatrici. “Sembra tu non abbia più nessuna scusa per andartene.”

La ragazza aveva sgranato gli occhi sorpresi sul vuoto e il cuore le era schizzato in gola in meno di un secondo, poiché ancora le mani di Arthur stavano provvedendo a imprigionarla crudelmente; ad accarezzarla con una leggerezza sì calda, ma irremovibile. Ricordava di essersi lasciata travolgere da un’alta e buia onda, che la lasciò annaspante e piena di brividi, tanto da costringerla ad appoggiarsi con le braccia alla porta davanti a lei.

“Sei scorretto” era riuscita a sussurrargli solo, tremante e rossa come una foglia d’Autunno.

Oh, lo sono sempre stato” le aveva risposto il marito in tono sarcastico, sorridendo contro la sua guancia bollente e parendole così lo stesso diavolo della loro prima notte di nozze. All’identica stregua dell’assurdo sogno di qualche settimana prima, le dita lunghe dell’uomo si erano insinuate lente fra le sue cosce e Saffie aveva boccheggiato, trattenendo con uno sforzo disumano la voce.

“Ma anche tu lo sei, Duchessina” aveva continuato il maledetto Worthington, soave come non mai, quasi godendo del dominio che riusciva ad esercitare sulla sua preda tremante. “Quanto lo sono io.”

Scorretti, egoisti e bugiardi, persino con noi stessi.

Siamo uguali, io e te.

In questo modo l’aveva fatta sua un’altra volta. Lì, contro la porta chiusa e con gli Ufficiali a portata d’orecchio, premendo una mano contro la sua bocca ansimante.

Non farti sentire” le aveva imperato una volta sola; e l’aveva fatto con una voce talmente irresistibile, che Saffie aveva deciso di punirlo per la sua sfrontatezza: aveva così girato il viso e incontrato le sue labbra sottili, baciandolo per prima e assaporando tutta la soddisfazione di essere riuscita a prenderlo in contropiede.

Così si erano presi l’uno con l’altra disperatamente, come se fosse stata una questione di vita e di morte e – da allora – non erano più riusciti a fermarsi, a farne a meno.

Le stanze dell’Ammiraglio erano infatti diventate il loro nascondiglio, il microcosmo a cui ritornavano e in cui volontariamente si rinchiudevano, sfuggendo in questa maniera alla sofferenza che in realtà continuava a essere dentro di loro. Avevano entrambi deciso di scordarla, poiché il loro crudele legame aveva il potere di cancellare qualsiasi consapevolezza o senso di colpa, tanto quanto nei mesi precedenti era riuscito a provocarne.

L’Atlantic Stinger e la Mad Veteran procedevano a vele spiegate in direzione della loro meta mentre, con una apparente noncuranza, Saffie e Arthur continuavano a rivolgersi a malapena la parola durante il tempo che trascorrevano sopracoperta. Sotto, al contrario, approfittavano di ogni occasione per poter bruciare la loro insaziabile passione, quasi fossero due amanti nascosti e non marito e moglie: se per la maggior parte delle ore ricoprivano il ruolo di Duchessina di Lynwood e Generale Implacabile – distanti nella loro routine giornaliera – non si poteva dire lo stesso dei momenti in cui si incontravano nella camera dell’Ammiraglio, dove potevano essere solo Saffie e Arthur.

Dove il passato non contava più nulla.

L’uomo l’abbracciava, sollevandola di peso e, quasi ridendo l’uno sulle labbra dell’altro, entrambi si lasciavano cadere sul letto pronto ad accoglierli.

Arthur le sorrideva e la guardava con una gentilezza che non era mai stata per lei.

C’erano state alcune volte in cui un scomodo pensiero si era infilato nella sua mente a tradimento, malgrado gli sforzi fatti dalla ragazza per non credergli terreno alcuno: alla stessa stregua di una fanciulla ingenua e impressionabile, la Duchessina si era chiesta se il marito avesse amato altre donne in quella famelica e sofferta maniera, se le avesse prese con l’identica disperazione; e, a causa di quel vergognoso dubbio, un nuovo sentimento sgradevole aveva cominciato ad affacciarsi di tanto in tanto alle porte del suo cuore.

Non trovi sia bellissimo, Saffie?”

Una gelosia che non aveva nessuna ragione di essere.

Una folata di vento caldo passò delicatamente sopra il suo viso e la ragazza castana sbatté due o tre volte le palpebre, rendendosi conto di essersi estraniata ancora dal mondo circostante e, di conseguenza, di non aver risposto alla domanda posta dalla sua domestica personale.

“Come hai detto, mia cara?”

Keeran alzò il viso paffuto su quello arrossato della padroncina e si concesse un leggero sbuffo d’insofferenza, parendo alla Duchessina un pulcino tutto scocciato: erano difatti passate quasi due settimane dalla morte di Douglas Jackson e se di primo acchito Saffie era stata in pena per le conseguenze che il dolore avrebbe potuto causare alla diciasettenne, di certo non si era aspettata di vederle una luce diversa nello sguardo già il giorno dopo. Ciò aveva portato la signora Worthington a chiedersi se la nuova impacciata determinazione di Keeran fosse merito solo del suo doloroso racconto, oppure non fosse in realtà accaduto altro che lei evidentemente ignorava.

In barba alle preoccupazioni nutrite dalla ragazza castana, la signorina Byrne aveva dimostrato un notevole cuore e un indomito coraggio fin dai momenti successivi alla battaglia avvenuta contro la Mad Veteran, poiché Benjamin Rochester stesso era rimasto piuttosto interdetto nel vederla comparire sottocoperta con un’espressione tesa stampata sul tremante viso pallido. Da quanto era stato poi raccontato a Saffie da un impressionato piccolo Ben, Keeran si era offerta di aiutare il medico di bordo e il personale al suo servizio nelle procedure necessarie a salvare quante più vite possibili, visto che non desiderava starsene con le mani in mano mentre diversi uomini di mare rischiavano la stessa sorte del povero Douglas.

“Sta-stavo chiedendovi della dimora che occuperemo a Kingston” ripeté infine l’irlandese, balbettando appena. “Come vostra dama di compagnia e domestica personale è mio dovere or-organizzare lo spostamento dei vostri effetti. E vi-vi assicuro che avete portato con voi non pochi bauli!”

La Duchessina si concesse un tenero sorriso divertito, di fronte al tono leggermente spazientito di Keeran. “Sembri cambiata, amica mia” pensò con vera ammirazione e, al contempo, ricordando il giorno in cui l’aveva incontrata per la prima volta: non era più un cucciolo sperduto e terrorizzato colei che le stava accanto, ma un’incantevole ragazza dagli occhi magnetici e alquanto determinati; la diffidenza impaurita che una volta vi si leggeva dentro era infatti sparita per sempre.

Hai infine scelto di vivere anche per Douglas e di provare a fidarti di coloro che ti circondano, me compresa.

“Non dovresti pensare a queste piccolezze, adesso” commentò Saffie con frivola noncuranza, sventolando la piccola mano in direzione della domestica. “Dovresti solo tenere compagnia alla sottoscritta e goderti il resto della traversata, perché necessiti di riposo. In fondo, io stessa non saprei darti troppe informazioni su ciò che ci attende al nostro arrivo.”

A Kingston. Il futuro che non ho scelto e a cui Arthur mi ha condannata senza pensarci due volte.

Uno strano e sgradevole brivido scosse interamente il suo corpo minuto, lasciandola preda di un freddo pungente che niente aveva in comune con quella calda giornata. La ragazza castana spostò quindi gli occhi oltre al parapetto della nave e osservò l’oceano scuro ruggire sotto di loro, poiché era stata distratta da un angoscia tanto improvvisa quanto terribile.

E non saremo più obbligati a occuparci l’uno dell’altra, né a frequentarci seriamente.”

Se Saffie aveva sempre aspettato con ansia il momento dell’arrivo nella ricca cittadina dei Caraibi Inglesi, ora la sola prospettiva non le provocava null’altro che un’agitazione dolorosa, accompagnata da un desiderio altrettanto scomodo.

Stupida. Tu non hai il diritto di illuderti, né di poter sperare che lui scelga di restarti accanto.

Il tuo posto non è al mio fianco, Duchessina.”

Grazie al cielo, venne la voce sorpresa di Keeran a riportarla con i piedi per terra. La diciassettenne scosse la ricciuta chioma corvina con fin troppa energia e – questo almeno non era cambiato – un acceso rossore imbarazzato si diffuse sul suo viso tondo in un attimo. “Lo sa-sapete benissimo che non sono affatto stanca!” esclamò subito, quasi mostrandosi scandalizzata dalle parole a dir poco rivoluzionarie della padroncina. “No-non comprendo cosa ve l’abbia suggerito, signora Saffie!”

“Oh, ma non hai passato gli ultimi tempi ad imparare dal signor Rochester i segreti del mestiere?” domandò ingenuamente l’interpellata, fingendosi tanto innocente quanto sorpresa. Il viso di nuovo sorridente della signora Worthington si rivolse a prua del vascello dove, ignara e zoppicante, l’alta figura da principe capriccioso di James Chapman incespicava sulle assi umide del pavimento: una stampella di legno a sostenerlo, l’ufficiale prediletto di Arthur controllava le attività massacranti dei marinai con incisa nei lineamenti una irritazione davvero notevole. E allora il ghigno divertito di Saffie sembrò allargarsi a dismisura, mentre quest’ultima decideva di aggiungere, soave: “Dicono tu abbia salvato la gamba al tenente Chapman; ma, d’altronde, so per prima quanto tu sia portata per il cucito”.

Un qualcosa di indefinito e muto attraversò le iridi di Keeran e lei seppe di aver fatto centro. A conferma di ciò, la sua domestica si voltò all’indietro di scatto e osservò ad occhi spalancati James parlottare freddamente con il nostromo.

Al solito, lo sguardo grigio del tenente non pareva comunicare altra emozione al di fuori della noia.

Mi sono dimostrato così terribile da non meritare nemmeno una tua parola?”

Mossa da un fastidioso senso di colpa, l’irlandese si costrinse a distogliere la sua attenzione dal ragazzo in questione e, anzi, spostò il viso rosso dalla parte opposta, in direzione del ponte di comando e dei suoi pomposi componenti. Di certo, aveva impiegato il suo tempo nell’aiutare il medico di bordo a medicare i feriti ed era altrettanto vero che era stata lei stessa ad occuparsi della ferita del tenente Chapman, ma Saffie non poteva sapere quanto le era effettivamente costato farlo.

Con il senno di poi, Keeran avrebbe preferito ricucire e disinfettare altri cento uomini, piuttosto che essere costretta a passare un’opprimente ora in compagnia dell’atteggiamento glaciale di James. Dimostratosi all’altezza di colui a cui aspirava, il tenente aveva difatti accompagnato all’altro mondo un discreto numero di anime ma – caso strano – era uscito dal conflitto con un taglio abbastanza profondo e, aveva pensato la ragazza mora, era stato forse a causa della vergognosa ferita che Chapman si era presentato davanti al signor Rochester coperto non solo di sangue, ma pure di un’abbondante dose di sprezzo.

Ovviamente, il fatto che il dottore l’avesse immediatamente lasciato alle cure di una ragazzina ingrata non aveva aiutato il suo stato d’animo. Il cuore fattosi improvvisamente pesante, Keeran ricordò il volto da bambino viziato di James farsi livido in un istante, mentre i suoi occhi chiari rilucevano freddi nella penombra della stanza, inchiodati su di lei; e la ragazza aveva cercato di ignorare qualsiasi timore, chinandosi sul suo corpo insanguinato senza proferire parola, ma cominciando a medicarlo come se nemmeno l’avesse riconosciuto.

Quando tutto era giunto a conclusione, il ragazzo non aveva voluto sentir le ragioni del signor Rochester e si era anzi alzato in piedi in un secondo, lasciandosi alle spalle una Keeran ancora seduta sul rozzo sgabello di legno, quasi si fosse già dimenticato della sua presenza nella stanza o, ancora peggio, non sopportasse di star vicino a lei un minuto di più.

“Fermo là, signore!” aveva esclamato un ignoto marinaio, non si sapeva se armato più di coraggio o avventatezza. “È questo il ringraziamento per chi vi ha appena salvato la pelle?”

La diciasettenne si era irrigidito subito sul posto, vinta dallo spiacevole presentimento che le aveva agguantato il cuore in un attimo: aveva saputo subito ciò sarebbe accaduto, le parole che lui le avrebbe dedicato ma, comunque, la sua voce altezzosa e ironica le era cascata addosso come fosse acqua ghiacciata.

“Quel che è giusto è giusto” aveva detto il tenente con voce sarcastica, decidendo evidentemente di sorvolare sulla mancanza di rispetto dell’uomo di mare al suo fianco. “Come ho potuto trattare chi mi ha salvato la vita con questa tremenda scortesia?”

Al solo ricordo della scena, Keeran chiuse gli occhi per una manciata di vergognosi secondi; pure se era impossibile ignorare il sentimento disturbante che le rodeva l’animo.

Perché anche in quel frangente il suo sguardo era quello di una persona annoiata e distante.

Così sola.

“Ho solo cercato di rendermi utile” mormorò piano, socchiudendo gli occhi neri e tornando a mettere a fuoco l’elegante ponte superiore, da dove vide spuntare un qualcuno di molto interessante. “Mi pi-piacerebbe trattenermi a parlare con voi, signora; ma credo di dover presto abbandonare la sc-scena.”

“E perché mai, di grazia?” chiese Saffie perplessa, lasciandosi al contempo sfuggire un’espressione abbastanza corrucciata: alla Duchessina non era sfuggito affatto il turbamento della sua dama di compagnia e poteva scommettere che quest’ultima stesse per aprirsi di nuovo con lei; cosa che accadeva raramente, malgrado la loro nuova confidenza. “Non pensavo di arrecarti offesa, quando mi sono concessa di scherzare sulla tua indole da angelo salvatore!” si trovò quindi ad aggiungere di tutta fretta, poggiando le esili dita sul morbido braccio di Keeran. “Sappi che sono pronta a porgerti le mie sincere scuse, amica mia.”

Dal canto suo, l’irlandese sorrise di un adorabile quanto impacciato divertimento e disse, schiudendo le belle labbra carnose: “Oh no, avete perfettamente ragione; ma pendo mi abbiate fraintesa, signora Saffie: insomma, non cre-credo desideriate essere salvata da colui che sta venendo da questa parte.”

Ovviamente, fu il turno di una certa Duchessina girarsi di botto, le membra rigide come quelle di una vecchia marionetta. E Saffie ebbe un tuffo al cuore nel medesimo istante in cui le sue iridi castane si posarono sull’Ammiraglio Worthington che, trincerato dietro alla solita maschera di contegno elegante, si faceva loro incontro in assoluta tranquillità, le braccia incrociate dietro alla schiena ampia.

Ed era lo stesso uomo coperto di cicatrici che la notte prima l’aveva posseduta con una fame disperata, assoluta.

La ragazza sentì le gote andare a fuoco, bruciare di un sentimento dolorosamente famigliare. I suoi occhi sgranati si incrociarono con quelli verdi di Arthur ed ella vi trovò una profondità disarmante, ma nessuna traccia di brutale severità; e quando un lieve sorriso affascinante increspò le labbra sottili dell’uomo, Saffie pensò che il suo povero cuore se la sarebbe letteralmente data a gambe dall'emozione, quasi lei fosse stata un’adolescente inesperta e non un’aristocratica ventisettenne sposata.

Dio, sei stupenda”

Come posso credere che tutto questo non sia un sogno?

“Buongiorno” salutò Arthur con voce profonda e cordiale, fermandosi rispettosamente a qualche metro dalle due fanciulle. “Spero di non avervi disturbate, signore.”

Nel tentativo di scongiurare l’infarto imminente, la Duchessina abbassò lo sguardo sul pavimento ed eseguì un’educata riverenza, inchinandosi insieme a una fin troppo sorridente signorina Byrne.

“Ne-nessun disturbo, A-ammiraglio” esordì la diciasettenne, ignorando il viso sbigottito con cui Saffie si era voltata a guardarla. Sfoggiando un coraggio mai visto prima, Keeran osò alzare gli occhi neri sulla figura minacciosa del Generale Implacabile e aggiunse, quietamente: “La signora Worthington stava giusto dicendomi quanto ormai ci sia rimasto ben poco da fa-fare, nella giornata di oggi!”

La mascella di Saffie cedette in un secondo, dalla sorpresa. Dal nulla, le parole insofferenti del marito riguardanti James Chapman affiorarono nella sua mente e la ragazza considerò che egli non aveva avuto poi tutti i torti: aveva commesso lei stessa un tremendo errore, nel prendere Keeran sotto la sua ala protettrice?

A quanto pare, il pulcino è uscito dal guscio senza che me ne rendessi conto.

“Fortuna che sono arrivato io a distrarvi, allora” commentò di rimando Arthur, dimostrando anche nei confronti dell’irlandese un’insolita gentilezza, molto simile a quella che Saffie aveva avuto modo di conoscere brevemente nel Northampton. “Vorreste farmi la cortesia di lasciarmi solo con mia moglie per un momento? Temo di dover conferire con lei in privato.”

Davanti al tono educato e calmo del Generale Implacabile, la Duchessina di Lynwood non poté trattenersi dallo spostare più volte gli occhi sgranati da lui alla sua domestica personale: Giusto Cielo, che stava accadendo da qualche tempo a quella parte sull’Atlantic Stinger?

La diciasettenne fece un cenno d’assenso con la testa ricciuta. “Ovviamente, Su-sua Eccellenza.”

“Vi ringrazio, signorina Byrne.

Una calda gratitudine si espanse nell’anima tormentata di Saffie che – buttando all’aria qualsiasi imbarazzo – sollevò il viso su Arthur, concedendogli un sorriso radioso, adorabile.

La mia serva ha un nome. Si chiama Keeran Byrne.”

Un altro inchino ossequioso all’Ammiraglio e alla signora Worthington, ed ecco che la diciasettenne era già partita verso la prua del vascello…diretta di gran carriera nella stessa direzione in cui erano guarda caso passati James Chapman e la sua stampella.

“Che abbia seriamente intenzione di diventargli amica?” pensò Saffie follemente mentre, del tutto sconvolta, seguiva con lo sguardo la morbida sagoma di Keeran allontanarsi.

“Di giorno in giorno più loquace, vedo” fu il commento caustico di Arthur Worthington, la voce bassa tinta da una sfumatura di sardonico divertimento. “Ormai hai portato la ragazzina su una cattiva strada.”

La Duchessina girò appena il viso nella sua direzione e inarcò un sopracciglio scuro, fingendosi indignata. “Non comprendo affatto il significato delle tue parole, Ammiraglio. Anzi, potrei persino decidere di esserne offesa a morte” buttò lì in maniera vaga, facendo spallucce. “Piuttosto, trovo aberrante che obblighi il caro James a prestare servizio sul pontile, considerate le sue condizioni!”

Uno strano ghigno si palesò sul volto virile di Arthur ed egli pensò che la piccola strega non si sarebbe mai stancata di provocarlo, di giocare con la sua pazienza; pure se – gli venne da considerare – trovava stupidamente semplice stare al suo gioco, se in cambio poteva vederla voltarsi verso di lui con quel suo adorabile viso da bambina gioiosa e sorridente.

E più vedeva il suo sorriso radioso, più era difficile mettere a tacere il suo insaziabile desiderio. Sopprimere la fastidiosa speranza che si era infilata dentro al suo cuore di nascosto, illuminando l’abisso di una luce tanto tenue quanto gentile…una luce, in verità, di cui Arthur si poteva dire genuinamente terrorizzato.

“…che sai solo fare del male? D’altronde, sei nato per portare disgrazia e morte a chi si avvicina a te.”

Come poteva anche solo pensare di avere il diritto di illudersi, di credere che lei volesse rimanere al suo fianco, quando era stato capace solo di ferirla e metterla in pericolo?

Di strapparla dalle braccia dell’uomo che aveva amato per davvero?

Non desiderando fare i conti con la morsa che si strinse improvvisa attorno alle sue viscere, il Generale Implacabile scosse la testa scura e fece un cenno di diniego, trincerandosi senza alcuna difficoltà dietro a una maschera di rilassata noncuranza. “Non ho alcun merito, né alcuna responsabilità nella decisione del mio zelante tenente” le disse infine, alzando le mani grandi come se si stesse discolpando di qualcosa o arrendendo. “Ma devo ammettere di vederlo piuttosto… distratto, ultimamente; e la ferita alla gamba ne è una prova.”

“Sei sempre così esigente nei suoi confronti?”

“Affatto. Esigo da tutti i miei uomini la stessa identica disciplina e pretendo che essi vi si attengano senza fiatare” fu la secca e monocorde risposta che Saffie ricevette. “Solo, mi stupisce Chapman sia uscito ferito da uno scontro come quello che abbiamo appena sostenuto. Una battaglia da niente.”

“…malgrado tu non sappia nulla della Marina Britannica e della mia vita.”

Dell'oscurità che aveva inghiottito il suo passato.

Stranamente, Saffie si astenne dal rispondere al marito e, anzi, si portò di un passo più vicina al parapetto lucido della nave, su cui appoggiò le piccole mani. L’Ammiraglio Worthington la vide abbassare il capo castano e sorridere con grande malinconia, le iridi luminose e tristi perse in lontananza, sulla linea di un orizzonte inesistente; la brezza marina agitò con dolcezza la gonna del suo abito chiaro ed ella parve ad Arthur un passerotto pronto a prendere il volo, scomparire per sempre.

Dal momento in cui hai accettato questo vergognoso legame, sei tu ad averci condannati a questa infelicità.”

Silenziose e delicate, le dita lunghe di Arthur si allungarono sotto il seno della ragazza, scivolando leggere lungo il tessuto del suo vestito beige. L’uomo l’attirò dolcemente indietro senza dire una parola e si chinò su di lei, portando il corpo minuto della moglie contro il suo, sfiorando con le labbra la pelle arrossata del suo orecchio. “Non manca molto all’arrivo: fra meno di un mese saremo nelle Colonie” soffiò sulle sue guance, abbassando la voce e tradendo al contempo una nota di strana incertezza. “Pensi di poter essere felice a Kingston?”

Bastò quell’unica domanda per far sobbalzare il cuore di Saffie dalla sorpresa e dall’agitazione perché – era chiaro come il sole sopra di loro – quelle parole esitanti non erano affatto nello stile dell’Arthur che aveva imparato a conoscere, né rispecchiavano il carattere adamantino e severo dell’uomo che fino all’ultimo aveva continuato a respingerla, allontanarla. Inoltre, inutile mentire, esse parevano aprire uno spiraglio su un qualcosa di diverso.

La ragazza arrossì leggermente, dall’imbarazzo, ma i suoi occhi castani rimasero comunque velati di una tristezza muta e nascosta; in fondo, entrambi erano consapevoli del fatto che la vita a cui stavano andando incontro non era quella desiderata da Saffie.

Eppure ora sono qui fra le tue braccia.

Una mano fredda raggiunse le dita lunghe di Arthur e ne accarezzò la ruvidezza. Saffie rilassò il capo sul petto del marito, aderendo con delicatezza alla sua figura solida e alta, quasi nascondendosi fra le pieghe del suo cappotto dorato ed elegante. “Non saprei” mormorò infine, alzando il viso sull’Ammiraglio e uccidendolo sul posto con uno sguardo costituito di luminosa onestà, attraverso un sorriso radioso e adorabile. “Ma non vedo l’ora di scoprirlo.”

Forse potremo risalire insieme questo nostro abisso di oscurità accecante.

Una bizzarra espressione di malinconica amarezza balenò sul volto attraente di Arthur mentre, in un attimo, quest’ultimo decise di mandare all’aria le rigide regole imposte dall’etichetta sociale e posare le labbra sottili sulla guancia della ragazza, baciandola con una tenerezza che le spezzò il cuore.

Ricominciare.

“Dieci minuti” sussurrò l’uomo, ritornando a parlarle con il solito tono da incantatore di serpenti. “È il tempo che ti concedo per raggiungere le mie stanze, signora Worthington.

E detto questo, l’Ammiraglio sciolse il loro abbraccio e si allontanò subito dalla figura sconvolta della moglie senza guardarsi indietro ma, bensì, camminando lungo il ponte sopracoperta come l’uomo più tranquillo del mondo intero; lasciandosi così alle spalle una Saffie tutta rossa e dal cuore a dir poco in tumulto.

“…signora Worthington.”

Gli occhi sgranati inchiodati sull’ampia schiena di Arthur, la Duchessina si portò inconsciamente le dita sulla pelle bruciante della guancia, lì dove il marito l’aveva baciata.

Era stato…diverso.

Stavolta Saffie non poté farne a meno, né riuscì a trattenersi: un sentimento caldo, dalla forza terrificante, si propagò dentro di lei all’improvviso e la invase da capo a piedi, riempiendola della stessa felicità che lei aveva tentato di reprimere in ogni modo possibile.

Tu sei mia. Solo mia.”

Una felicità che non pensava avere il diritto di provare e di cui, al contempo, era spaventata a morte.

Come posso credere che tutto questo non sia un sogno?



§



Oh, era davvero disgustoso l’odore che ancora permeava l’aria salmastra. Come nauseabondi erano i lamenti spaventati dei fantasmi tutt’intorno; pallide facce moribonde e patetiche…esseri che poteva dire di aver visto solo nei suoi incubi più spaventosi.

Solo che, allora, bastava aprire gli occhi per trovarsi al sicuro tra le confortevoli coperte e la compagnia dei suoi adorati animali di pezza.

Oh no, no e ancora no, marmocchio” diceva una voce lontana e aspra, crudele come quella di un diavolo in preda alla collera. “Non mi vorrai mica morire adesso, invero? Sono molte le lezioni che dobbiamo inculcare in quella tua nobile testolina.”

Era insopportabile e viscida, la sensazione lasciata dal suo stesso sangue che, scivolando lentamente lungo la sua gracile schiena, finiva per gocciolare sulle assi di legno umide e sporche del pavimento. Annichilente, il dolore provato da ogni fibra del suo piccolo corpo tremante.

Non lasciatelo svenire. Che gli venga sparso del sale sulle ferite.”

Oh, e la paura. Dio, se voleva tornare a casa. Se le lacrime versate avessero potuto fare in modo che suo padre apparisse come per magia e salvasse lui e sua madre da quell’incubo senza fine, da quegli uomini così cattivi.

Posso andare avanti così per ore, mentre dubito tu possa durare a lungo” aveva commentato la voce del diavolo, ora fattasi più vicina. Tra le nebbie grigie e tremolanti, il suo sguardo aveva colto una sagoma alta e inginocchiata, un viso malvagio incastonato da una massa di lunghi capelli nero pece. “Hai un coltello in mano. Usalo, piccolo Arthur.”

Un altro lamento spaventato e angosciante sembrava essere allora emerso dal nulla, trapassandogli l’anima terrorizzata. Esausta.

L’uomo dai lunghi capelli corvini gli aveva sorriso con una gentilezza agghiacciante. “Più esiterai, più io continuerò a punirti. Ti farò frustare fino a che non deciderai di piantare quella dannata lama nel collo del nostro povero prigioniero.”

Le sue piccole mani avevano continuato a tremare con violenza mai vista, stringendosi convulsamente contro l’arma affilata. Arthur si accorse di non riuscire a fare neanche un passo in avanti, di essere solo capace a tenere gli occhi fissi su un unico punto sotto di lui, perché tutt’intorno era pieno di gente morta.

Voglio tornare a casa. Voglio il mio papà.

Un peccato” aveva sospirato dopo poco il diavolo, alzando due taglienti iridi smeraldine su qualcuno di sconosciuto e facendo contemporaneamente un leggero cenno d’assenso con la testa. “Continuiamo, dunque! Sto per farti tanto di quel male che vorrai solo crepare, marmocchio.”

La frusta nera aveva cominciato a schioccare nell’aria e lui aveva strizzato gli occhi, intravedendo nel buio la sagoma alta ed elegante di Amandine Lynwood. Il bianco cadavere vestito di nastrini e seta azzurra si era voltato con noncuranza nella sua direzione, sentenziando freddamente: “Impossessarti di tutto ciò che non puoi avere, proprio come se fossi diventato lui in persona”.

Un pianto soffocato attirò l’attenzione di Arthur che, girando il viso livido di sudore freddo, incrociò gli occhi innocenti e distrutti dalle lacrime di Saffie. “Perché mi hai fatto questo?!” gli urlò la piccola strega, stringendo le dita esili attorno alle sbarre di una gabbia dorata, mastodontica. “Io mi fidavo di te e tu non hai fatto altro che mentire!”

No Saffie, io…” cominciò a dire l’uomo, il cuore in preda ad un turbamento doloroso e terribile. E stava per correre verso la ragazza imprigionata che venne trattenuto da una mano misteriosa, stretta attorno al suo braccio come una morsa d’acciaio.

Lei non sarà mai tua” gli disse Earl Murray, strattonandolo con forza. “L’hai strappata a me, l’uomo che ha amato al punto da abbandonare tutto. Il cuore di Saffie è mio, mio soltanto.”

Un battito di ciglia, e l’Ammiraglio Worthington si svegliò di soprassalto, ritrovandosi avviluppato nel soffocante abbraccio delle coperte. Immobile, l’uomo ascoltò il silenzio della stanza dove – assordante come il rintocco di una campana – era il suo cuore a emettere l’unico suono che potesse udire; mentre era un genuino ed aberrante terrore il solo sentimento che s’aggrappava alle sue viscere e contraeva i suoi muscoli tesi, pulsava nelle sue tempie velate di sudore freddo.

Sopra la sua testa bruna non vi era più il soffitto della camera, ma una orribile creatura che gli sorrideva crudele e lo fissava con due occhi pieni di accusa, riempiendo in realtà tutto lo spazio attorno a lui. Ancora, il senso di colpa sembrava volerlo inghiottire in un sol boccone.

Più esiterai, più io continuerò a punirti.”

Arthur si tirò su a sedere lentamente, facendo uno sforzo disumano. “Di nuovo” commentò fra sé, portandosi una mano tremante davanti al volto attraente, ma pallido come quello di un condannato a morte; tra le dita lunghe, risplendevano due occhi verdi e freddi, che traboccavano un sentimento oscuro e indescrivibile: dentro alla sua anima a pezzi, l’odio e la paura s’abbracciavano l’uno con l’altra, fondendosi e prendendo la forma di un demone impazzito. “Che siano maledetti. Che tutti, tutti loro siano maledetti.”

Non avere paura. La tua mamma non ti abbandonerà mai, Arthur.”

Bugie.

Proprio nel momento in cui il mostro stava per avventarsi su di lui, il tocco leggero e delicato di cinque piccole dita si fece sentire sul suo braccio, squarciando l’oscurità annichilente del suo abisso.

Le iridi chiare di Worthington scattarono spaventate alla sua sinistra perché, molto probabilmente, egli non sarebbe mai riuscito ad abituarsi a quella meravigliosa quanto terribile visione: un piccolo passerotto dormiva rannicchiato su sé stesso, ignaro e inconsapevole di apparire in realtà alla stessa stregua di un fragile miraggio. Gli occhi chiusi e una graziosa espressione rilassata sul visino da bambina sperduta, l’insopportabile Duchessina dormiva con il fianco rivolto verso di lui, mentre lunghe onde di colore s’allungavano tutt’attorno al suo corpo minuto, affascinante.

Porti un peso troppo grande. Non puoi continuare ad addossartelo, o ti ucciderà.”

Un sorriso triste, appena accennato, comparve sulle labbra del Generale Implacabile. L’uomo allungò lentamente una mano verso Saffie e le sfiorò la guancia con lenta cautela, accarezzandone la morbida pelle con le nocche delle dita. “Sei riuscita a comprendere anche questo, ragazzina?”

Stai mentendo. Tu odi te stesso molto più di quanto detesti me.”

Il solo fatto di averla lì, a completa disposizione, avrebbe dovuto riempire il suo animo famelico di malvagia soddisfazione ma – se doveva essere completamente sincero – provava un sentimento del tutto nuovo, dalla difficile definizione. Ed era la stessa forza che l’aveva portato ad interrogarsi in merito all’arrivo a Kingston, sulla ridicola apprensione che lo aggrediva ogni qual volta provasse a chiedersi cosa ne sarebbe stato di loro, se sarebbero riusciti sul serio a dimenticare tutto.

Il cuore di Saffie è mio, mio soltanto.”

A quanto pareva, la voce fastidiosa di Earl Murray non voleva saperne di lasciarlo in pace e , anzi, riecheggiava nella sua testa mescolandosi con le immagini ben più reali del suo orrendo diavolo.

Pure se lei non ti amerà mai?

Ipocrita. Come se tu fossi pronto ad ammettere di esserti innamorato di lei.

La mano di Arthur si discostò dal viso sereno della ragazza ed egli si passò nervosamente le dita fra le ciocche della sua chioma disordinata, tradendo in un unico gesto una dolorosa frustrazione.

No, non si trattava di ammettere alcunché. La verità era che non riusciva a comprendere chiaramente cosa provava per Saffie; e, in ogni caso, non sentiva sarebbe stato giusto indugiare sopra un pensiero che andava solo ad aggiungere altro terrore alla sua anima incatenata sul fondale dell’abisso.

Questo perché lei ancora non sa da quanto tempo la tua disgustosa ambizione l’ha imprigionata.

Forse sarebbe stato meglio per entrambi che lui non avesse smesso di respingerla, allontanarla: ora, era quasi impossibile mettere a tacere l’assurda speranza di poter trovare una sorta di redenzione e ricominciare così dall’inizio, come se il Generale Implacabile non avesse mai fatto del male alla famiglia della Duchessina e, soprattutto, a Saffie stessa. Come se non avesse condannato sé stesso e lei a un futuro che non avevano veramente scelto, voluto.

Incapace di sopportare un minuto di più il senso di colpa che permeava l’intera stanza, Arthur scese con un gesto agile dal letto sfatto e si infilò una camicia bianca alla meno peggio, allacciandola ovviamente fino al collo, nascondendo in questo modo il petto e la schiena vergognosamente marchiati.

Un peccato. Continuiamo, dunque!”

“Spero lui sia ancora sveglio. D’altronde, non mi risulta che abbia mai dormito per più di quattro ore consecutive” ipotizzò infine l’Ammiraglio, avviandosi a passo svelto in direzione del corridoio, quasi avesse intenzione di precipitarsi nello studio del suo seccante fratello adottivo.

Ad Arthur vollero esattamente cinque minuti netti per lasciarsi alle spalle la figura che da qualche tempo a quella parte era causa di gran parte dei suoi tormenti e presentarsi davanti alla porta degli alloggi di Benjamin Rochester. Sul ponte sopracoperta immerso nel buio della sera, nessun uomo di mare sembrò far caso all’alto e imponente Worthington che, senza curarsi di annunciare la sua presenza, faceva letteralmente irruzione nella stanza del medico di bordo. In realtà, Arthur stesso era a malapena cosciente di apparire come un uomo fuori di sé, ma sapeva di preferire la morte, piuttosto che essere visto di nuovo da Saffie ridotto in quelle condizioni, in particolar modo quando non c’era alcuna ferita a poterlo giustificare.

Credi potrebbe mai amare un uomo patetico come te?

E fu sopprimendo un’allucinante ondata di sofferenza che i suoi occhi verdi si scontrarono con due ferme iridi nere, piene di freddo distacco; ovviamente, Worthington comprese immediatamente che non sarebbe stato un colloquio né piacevole, né facile: a conferma di ciò, uno strano ed agghiacciante brivido gli corse lungo la spina dorsale a tradimento. “Ho bisogno dei tuoi servizi” sillabò infine l’uomo, forzandosi a far uscire le parole dalle labbra gelide. “Devi darmi un rimedio per…qualsiasi dannata malattia sia questo.”

Dal canto suo, Benjamin osservò con apparente indifferenza il Generale Implacabile fare un ampio gesto con il braccio, come se volesse mostrargli l’ampiezza della stanza. Dopo un breve momento di silenzio, il dottore si decise a parlare e lo fece con stampato in faccia un sorrisetto storto, dal scetticismo evidente: “Davvero incredibile. Non credevo avrei visto il giorno in cui ti saresti abbassato a chiedermi aiuto di tua spontanea volontà” commentò freddamente, voltandosi poi in direzione di una vetrinetta piena zeppa di flaconi scuri e riprendendo l’attività da cui l’arrivo dell’Ammiraglio l’aveva distratto; le sue mani aggraziate spostarono in maniera meccanica qualche boccetta di liquido, senza nemmeno leggerne l’etichetta o soffermarsi a pensare. “Non esiste una vera medicina, un reale rimedio, per placare le conseguenze del passato, Arthur. Ora come ora, posso darti dell’oppio per calmare i nervi, niente di più.”

Detto questo, il medico dell’Atlantic Stinger si rinchiuse nel suo miglior atteggiamento di glaciale cortesia, continuando a ordinare i suoi flaconi di vetro con noncuranza, senza sognarsi di degnare di un’occhiata l’imponente figura dell’uomo che un tempo aveva rappresentato non solo il suo migliore amico, ma pure il suo concetto di famiglia.

La tensione nella stanza si poteva tagliare con un cucchiaino e, per certo, Arthur sentiva che Benjamin stava a malapena trattenendosi dal vomitargli addosso tutta la sua collera repressa: Worthington lo conosceva forse meglio di chiunque altro, per cui gli bastava e avanzava osservare il suo viso affilato per indovinarne lo stato d’animo; inoltre, non aveva affatto ignorato il comportamento che il dottore aveva tenuto nei suoi confronti in quei ultimi giorni, evitandolo non appena ne aveva occasione.

E quando Benjamin parlò di nuovo, fu come se la temperatura fosse precipitata di botto, perché Arthur si irrigidì subito, impotente e indifeso di fronte al significato delle parole del medico di bordo.

“Non posso credere tu sia arrivato a tanto” aveva sibilato l’uomo, fissando il mobile come se nemmeno lo vedesse per davvero. “Anche se, forse, me lo sarei dovuto aspettare da te.”

L’ammiraglio chiuse gli occhi smeraldini per un infinito secondo e, quando li riaprì, essi non esprimevano altro se non un tormento incolmabile.

Perché sei tu il cattivo della storia, no?

“Benjamin” provò a richiamare la sua attenzione l’uomo, la voce bassa ora tinta di una serietà forzata, dall’incerto autocontrollo. No, si trovò a pensare Arthur, non poteva di certo crollare a pezzi in quell’istante, malgrado la tempesta dentro al suo cuore avesse appena iniziato a gonfiarsi, suggerendogli di essere in trappola…che non sarebbe mai riuscito a fuggire da sé stesso.

“Per poi passare tutto il tuo tempo libero in compagnia della Duchessina di Lynwood! Guarda caso, proprio la donna per cui avevi detto di non provare niente; o per meglio dire, per cui non avevi altro che disprezzo!”

“Benjamin.”

“Mi chiedo quando la tua ambizione cesserà di rovinare le nostre vite.”

Arthur…quante persone dovrai rovinare, prima di sentirti soddisfatto?

L’immagine delle mani sporche di sangue di Saffie balenò davanti ai suoi occhi ed Arthur fece un largo passo in avanti, avvicinandosi alla dinoccolata figura del medico di bordo. “Lo sai che è stato un matrimonio combinato” tentò di giustificarsi, in tono monocorde. “Lo hai sempre saputo, che non è stata una mia libera scelta.”

Benjamin allora si voltò di scatto verso il fratellastro, incurante dei lunghi capelli biondi che s’andavano ad intrecciare sul viso improvvisamente incollerito, finalmente libero da qualsiasi facciata. “Certo” sibilò, le iridi nere che brillavano di rancore da dietro gli occhialetti sottili. “Anche se non posso credere tu non mi abbia detto nulla di Amandine.”

“Cosa sai?”

Tutto” rispose il signor Rochester, avvicinandosi a sua volta ad un livido e sconvolto Arthur Worthington e, nel contempo, odiandolo per il granitico controllo che cercava di fingere ed imporre a sé stesso pure in quel frangente. “Avresti dovuto sposare lei, non la sorella maggiore; ma immagino la sua morte abbia sconvolto i tuoi ambiziosi piani.”

“Benjamin, lei…”

Il dottore non gli fece mai terminare la frase. Non curandosi della differenza di corporatura che intercorreva fra sé e il Generale Implacabile, Benjamin si scagliò in un secondo su di lui e lo spinse contro la parete alle sue spalle, premendo un braccio contro al suo petto ampio. “Non nominarla. Non tu” disse, il tono incollerito spezzato in due da un singhiozzo doloroso, tremendo. “Pensi che avrei sopportato di vederla girare liberamente per la nave con te al suo fianco?”

“No, non lo penso. Ma ho acconsentito al patto stretto tra mio padre e il Duca molto prima che tu mi comparissi di nuovo davanti, stringendo quella minuscola creatura fra le braccia.”

Ogni fibra del corpo del signor Rochester cominciò a tremare liberamente, mentre quest’ultimo lottava contro le lacrime comparse agli angoli delle sue iridi oscure. Contro una sofferenza immane, che non pensava di poter nascondere troppo a lungo.

“Sono andato nel Northampton per dovere nei confronti degli accordi presi da mio padre, Benjamin” si fece sentire la voce profonda di Arthur, anche lui impegnato a osservare il volto straziato del dottore senza sentirsi morire a causa del suo fedele senso di colpa. “Non potevo sottrarmene in alcun modo. Pure se c’è stato un...istante in cui ho pensato mi avrebbero concesso di riformulare un nuovo accordo.”

Mi avete solo colta di sorpresa, signore. Sono Saffie Lynwood, primogenita del padrone di casa.”

Dentro all’abisso, l'insaziabile e crudele ambizione con cui era cresciuto si contorceva su sé stessa perché, ormai, sentiva di non aver alcun potere. Avrebbe dovuto ricordare a Benjamin il suo posto di inferiorità sociale, minacciarlo di farlo mettere ai ferri per le sue parole, perché lui aveva ogni diritto di nascita per ottenere tutto ciò che desiderava; al contrario, la consapevolezza che esplose dentro all’animo di Arthur fu solo una: forse, sarebbe stato meglio per tutti se fosse morto molto tempo fa, se avesse deciso di essere una preda e non un predatore.

“Ma poi l’ho vista” si trovò ad ammettere in un sussurro, abbassando lo sguardo smeraldino. “Ed era davvero bellissima, Benjamin.”

E la sua ambizione aveva compreso subito di volerla per sé, che l’avrebbe portata via.

Perché faceva parte del suo terribile carattere, impossessarsi di tutto ciò che non poteva avere.

“Certo che lo era!” alzò la voce il dottore, quasi urlandogli addosso; mentre, inconsciamente, premeva con più forza il braccio contro il torace immobile di Worthington. “Ma non era solo questo! Lei non era solamente il trofeo tuo o della famiglia Lynwood: era sorprendentemente intelligente, buona e…e l’unica che io abbia mai amato! Lei era la mia Amandine!”

Due occhi neri, colmi di lacrime e sofferenza mortale, si sollevarono su quelli tormentati del Generale Implacabile e gli trapassarono il cuore.

“Esiste un abisso infinito fra il possedere e l’amare, Arthur! Puoi comprendere un sentimento del genere?!”

Un volto grazioso e sorridente, una cascata di capelli castano chiaro, tanto lunghi da sembrare quelli di un angelo caduto tra le lenzuola. L’immagine di un espressione di allegro divertimento, di intelligenza irriverente.

Non saprei. Ma non vedo l’ora di scoprirlo.”

Sì, sto cominciando a capirlo anche io, proprio ora che mi riscopro più crudele di quanto mai avrei immaginato.



§



La mattinata era appena iniziata e Keeran si era data come missione quotidiana la sistemazione dei numerosi effetti personali che la padroncina Saffie aveva portato con sé dall’Inghilterra; per quanto il giorno precedente la stessa Duchessina di Lynwood le avesse suggerito di lasciar perdere, la giovane irlandese era più che determinata nel dimostrare tutta la sua gratitudine e il suo impegno. Non aveva difatti dimenticato il racconto del doloroso passato di Saffie, né quanto si fosse sentita simile a lei almeno nella sofferenza e, dentro di sé, aveva compreso che la vicinanza della signora Worthington l’aveva aiutata a cambiare, in un qualche misterioso modo. Se il cambiamento fosse positivo o negativo, questo per Keeran era ancora tutto da vedere.

Eppure, è come se avessi capito che la mia esistenza può avere un valore.

Davanti ai suoi occhi neri comparve l’immagine di Douglas Jackson e lei credette per un attimo di poter sentire di nuovo il tocco gentile della sua mano rovinata accarezzarle dolcemente la guancia.

“… sono così felice di avervi potuto incontrare, dopo aver sofferto per una vita intera.”

Sotto un’immensa e spettacolare volta stellata, la diciassettenne aveva compreso che niente aveva importanza poiché, al di là di una esistenza di umiliazione, la sua anima continuava ad aggrapparsi alla vita con una determinazione disperata. Aveva conosciuto dieci anni di inferno e punizioni, costituiti solo da scherno e disgusto, non immaginando che da qualche parte potesse esistere un piccolo miracolo pure per una creatura dannata come lo era lei: invece, la vita le aveva fatto incontrare Saffie e Douglas, il capitano Inrving e Benjamin Rochester…e tante altre persone che si erano rivelate gentili nei suoi confronti, sconvolgendo giorno dopo giorno l’idea che aveva maturato di sé stessa.

Credi davvero che lui sarebbe stato felice, nel saperti morta a causa sua?”

Alla fine, anche James Chapman era stato in una qualche maniera buono con lei, pure se l’aveva dimostrato attraverso dei comportamenti tutti suoi.

Non puoi continuare a ignorare il fatto che ti ha salvata dalle acque scure.

E questo era un altro poco trascurabile problema.

Arrossendo dalla vergogna, la domestica finì di piegare la veste da camera di Saffie e si diresse con aria assente verso il fondo della camera da letto dove, abbandonati nella penombra, giacevano i bauli che non erano stati messi in stiva, il cui contenuto era stato evidentemente ritenuto necessario per affrontare la traversata.

“Non è tanto la questione di chiedere perdono al tenente per la mia scortesia a spaventarmi, quanto la prospettiva di rivolgergli la parola in generale” pensò Keeran sospirando; e si inginocchiò lentamente sul pavimento di legno, ben decisa ad aprire i bauli uno ad uno. “Da quale dei tre dovrei partire?”

Nessuna risposta emerse dal silenzio della stanza e la signorina Byrne si portò un dito sotto il mento, pensierosa. Le sue palpebre si abbassarono sulle iridi nere ed ella si maledì, visto che non riusciva ancora a scacciare il rossore bruciante comparso sulle sue gote paffute. “Oh! Se solo ieri avessi trovato il coraggio di avvicinarlo mentre era sul ponte di prua!”

Ma temo lui si prenda gioco di me un’altra volta…che mi chiami nullità.

Gli occhi della ragazza si schiusero malinconiche sopra un viso bianco, dall’espressione combattuta.

Continua a sembrarmi così solo. Triste.

Dal corridoio, le arrivarono le voci soffocate e pompose dei due Ufficiali di Guardia e, come risvegliatasi da un Incantesimo, Keeran sbatté due o tre volte le lunghe ciglia corvine, considerando che non sarebbe stato saggio passare il resto della giornata a rimuginare sul misterioso carattere di un certo qualcuno.

In generale, il tenersi occupata si era rivelato un ottimo metodo per distrarsi dalla sofferenza e, in virtù della sua decisione di vivere anche per Douglas, l’irlandese aveva passato quelle ultime due settimane fra i suoi doveri di dama di compagnia e gli insegnamenti generosamente elargiti da un paziente dottor Rochester.

Voi mi ricordate una persona a cui ero molto legato” le aveva detto un giorno, in tono vago e laconico. “Perché avete la stessa bontà di cuore.”

Così, la diciassettenne dovette ammettere che quei giorni erano in effetti volati senza che lei soffrisse in abbondante misura le continue assenze di una Saffie che, comunque, passava in sua compagnia la maggior parte della giornata. Keeran ancora non poteva dire di comprendere chiaramente il legame che intercorreva tra la sua padroncina e Worthington, ma ogni dubbio svaniva di fronte alla radiosa allegria della Duchessina di Lynwood: l’irlandese credeva di non averla mai vista così tanto sorridente come in quell’ultimo periodo.

“Non può che essere un bene, no?” pensò fra sé e sé Keeran, sporgendosi verso il baule posto contro la parete, quasi nascosto rispetto agli altri due. “Eh, questo credo di non averlo aperto neanche una volta, da quando ci siamo messe in viaggio.”

Uno scatto polveroso, e il chiavistello cedette con un suono secco e metallico, che parve rimbombare nell’intera camera da letto. Una volta aperto, il contenuto del baule si rivelò essere un caotico insieme di abiti piegati alla meno peggio, nastrini stropicciati e cofanetti pieni zeppi di gioielli luccicanti, di una bellezza che la diciassettenne pensava di non avere mai visto.

Questi oggetti non sono della signora Saffie.

L’irlandese non ne sapeva dire il motivo, ma fu questo il pensiero che si fece subito sentire nella sua mente confusa.

Timorosa e diffidente, la ragazza rovistò con cautela tra le vesti e le sue dita incontrarono un oggetto piuttosto spigoloso nascosto dalla morbidezza delle stoffe: misteriosamente avvolto in quella che a prima vista doveva essere una soffice stola color cipria, un quaderno dalla rilegatura in cuoio abbastanza rovinata comparve infine davanti al suo viso incuriosito.

Incantata – e con il cuore che batteva eccitato – Keeran lo aprì alla prima pagina, avida di informazioni.

In un istante, la presenza di una piccola sagoma intenta a inginocchiarsi al suo fianco entrò nel suo campo visivo, rischiando di farla saltare sul posto come una cavalletta impazzita.

“Mi sembrava di averti ordinato di riposare, cara la mia disobbedienti fanciulla!” scherzo un’ignara Saffie, poggiando una mano sulla spalla della sua domestica con il solito fare confidenziale. “Non volevo spaventarti, ma sono genuinamente curiosa di sapere cosa avevi in mente di tirare fuo…”

Gli occhi ridenti e luminosi della ragazza castana scivolarono con noncuranza sul quaderno che Keeran teneva aperto fra le mani pallide e, in un battito di ciglia, la frase finì sospesa per l’eternità.


DIARIO

Il mio nome è Amandine Lynwood, vivo nel Northampton e non penso che riuscirò mai a uscire da qui

















Angolo dell’Autrice:

*Se il Capitolo ti è piaciuto, spero prenderai in considerazione l’idea di votarlo e/o recensirlo*

Sono solo io che intravedo delle nuvole nere all’orizzonte?

Intanto, buondì! (°u°)/

Ne approfitto per farvi anche gli Auguri di Buona Pasqua in anticipo, visto che non penso di riuscire a fare uscire la seconda parte del “Segreto di Amandine” entro una settimana; mi impegnerò al massimo per pubblicare entro fine Aprile ma – vista l’importanza di questi capitoli – non posso proprio aggiornare nel giro di una settimana.

Vi ringrazio per la pazienza! (^u^)

Non lo nego, questo capitolo è stato abbastanza difficoltoso da redigere e l’ho in prima battuta scritto su carta. Sopra ogni cosa, è stata la parte centrale a darmi le maggiori difficoltà: descrivere in maniera chiara la confusione dei sentimenti di Arthur e Saffie non è stata cosa da poco, poiché volevo far capire quanto stiano dondolando fra la speranza di poter essere felici e la diffidenza, i dubbi, che ancora non li hanno abbandonati del tutto. Meh, più ci penso, più entrambi non mi sembrano due persone pronte ad amarsi veramente, ad essere oneste con sé stesse.

E non dimentichiamo i due elefanti nella stanza: Amandine e il terribile Diavolo. Da una parte si sta svelando la trama, dall’altra si comincia a intravedere qualcosa dell’intreccio. Sì, sì, non mi piacciono le cose semplici, lo so! (U.U) Di fatto, dovreste vedere quanti bigliettini e note mi sono fatta con le linee temporali, con le date di nascita ecc…ho anche riletto tutti i capitoli su Wattpad e Efp, per correggere qualche frase che magari creava qualche confusione/incoerenza! (^.^)”

Diciamo che sono più perfezionista nella scrittura e parecchio distratta nella vita vera! (U.U)

Sul resto, non voglio dire troppo, perché preferisco la storia si racconti da sé; ma posso dire con assoluta certezza che il Dottore sta diventando un personaggio a me molto caro! (*w*) E Arthur! Spero riuscirà a liberarsi del mostro che ha dentro, trovare una vera redenzione…magari insieme a Saffie?

Vedremo!

Voglio ringraziarvi ancora tantissimo per essere qui con me e per i commenti carinissimi che mi avete scritto sia sotto forma di recensione, sia come messaggi privati! (*w*) A me fa sempre felice sapere cosa ne pensate della storia, quindi se volete spendere due secondi del vostro tempo per recensirmi, io ne sarò entusiasta!

Un abbraccione virtuale,

Sweet Pink

AH! Dimenticavo!

Cosa ne pensate del titolo nuovo? “Away with you” mi piaceva, ma ho sempre saputo che sarebbe stato provvisorio, in fondo!!

See you soon


  
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