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Autore: InvisibleWoman    09/04/2022    0 recensioni
Una breve one-shot Sancolombo che in realtà non aggiunge nulla alla coppia, a ciò che abbiamo già visto. Diciamo che era una prova per me per capire se potevo scrivere di loro due, se riuscivo ad addentrarmi abbastanza nelle loro personalità e nella loro storia. Se vi va, leggete quindi senza alcuna aspettativa sul risultato, ma spero possa piacervi comunque!
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Marco ciondolava avanti e indietro davanti all’ingresso del palazzo dove abitava Stefania. Le vie quasi deserte, a quell’ora tarda della sera, e una leggera pioggerella che gli inumidiva il cappotto nero dentro il quale si stringeva, tenendo le mani dentro le tasche pesanti. Stefania non era lì. La vicina di casa, che aveva incontrato sul ballatoio, gli aveva detto che era andata al cinema con le amiche. Sarebbe potuto rimanere lì ad aspettarla, al chiuso e all’asciutto, ma l’aria pungente di quella sera gli dava, come uno schiaffo in pieno viso, la determinazione per rimanere, per dire la verità a Stefania, nonostante i suoi costanti rifiuti. E poi voleva restare da solo con lei, se l'avesse aspettata dentro, immaginava già le amiche con le orecchie tese alla porta, pronte a tenerli sotto controllo per assicurarsi che Stefania stesse bene.
Le aveva aperto il suo cuore, era stato lui stesso a porgerglielo tra le mani, dandole la possibilità di farne ciò che voleva. Avrebbe potuto accoglierlo, stringerlo a sé, invece Stefania, con quel muro che aveva creato tra di loro, lo aveva strizzato come un limone maturo, lasciandolo vuoto e smunto, privo di qualsiasi tipo di spinta emotiva. Non si era mai sentito così in vita sua. Non aveva mai avuto idea di cosa volesse dire amare veramente qualcuno e nonostante fosse spaventato da quel sentimento tanto quanto lo era Stefania, non riusciva a tirarsi indietro. Non era disposto a rinunciarci, perché la sola idea di non poterla più baciare, di non poter più scherzare con lei, di non poter più stringerla a sé come aveva fatto in villa, gli faceva tremare le gambe. Si sentiva persino stupido, come un adolescente in preda alla prima cotta. Le budella gli si contorcevano al pensiero di un suo ennesimo rifiuto, tanto da arrivare, nei momenti di maggiore sconforto, a maledire quel sentimento. Quanto sarebbe stato facile andare avanti senza mai scoprire che la propria vita poteva arrivare a dipendere da quella di qualcun altro? Lui che era sempre stato tanto sicuro di sé e delle proprie scelte, tanto indipendente e ribelle da prendere sempre il toro per le corna, senza lasciarsi intimidire dai giudizi e dalle aspettative, adesso si ritrovava da solo al buio a elemosinare un suo sorriso, un suo bacio, anche banalmente un cenno che poteva riaccendere in lui la speranza di riuscire un giorno a convincerla di poter diventare una cosa sola.
Quanto sarebbe stato più semplice poter usare la logica, anziché il cuore. Fino a qualche tempo prima, l’idea di una vita con Gemma non lo avrebbe reso infelice. Era intraprendente, affascinante, ambiziosa e, nonostante la sua estrazione sociale, aveva ottenuto facilmente l’approvazione dell’esigente zia Adelaide. Se gliene avesse parlato, era certo che persino Tancredi, tanto serio e responsabile quanto lui era scapestrato, si sarebbe lodato con lui per la prima scelta sensata della sua vita. Ma ciò che aveva senso sulla carta, non lo aveva necessariamente nel suo cuore. Con Stefania aveva scoperto che le emozioni raramente trovavano risposta in una spiegazione logica. Accadevano e basta. Non le si poteva controllare, non si poteva decidere quale sentimento dovesse avere la priorità su un altro. E certamente non potevano deciderlo gli altri al posto suo.
Aveva spiazzato tutti la sera prima con la scelta di interrompere la frequentazione con Gemma. Sua zia era andata su tutte le furie, Umberto, che ponderava sempre le proprie risposte cercando il favore di Adelaide, aveva cercato di riportarlo sulla retta via. Ma lui era stato intransigente. Davanti all’ennesima mossa di sua zia, forzando la mano una volta di troppo, non ci aveva visto più. Non poteva continuare quella messinscena. Non poteva continuare a fingere di amare una persona per la quale non aveva mai provato nulla se non attrazione. Non lo doveva solo a se stesso, lo doveva anche a Gemma. Non poteva continuare a prenderla in giro, quando nel suo cuore e nella sua testa c’era spazio solo per Stefania. Stefania, Stefania, Stefania. L’unico nome che la sua mente riuscisse a processare. Doveva costantemente ripeterlo ad alta voce ogni volta che l’aveva davanti, come per ricordare a se stesso che lei era davvero lì, che era reale. E che era riuscita talmente tanto a cambiarlo, da non poter più tornare indietro. Il punto di non ritorno era ormai stato superato. Non era confuso, come gli aveva detto Stefania, non lo era mai stato in vita sua. Marco sapeva bene ciò che voleva e non si faceva scrupoli ad ammetterlo a se stesso e agli altri. Non tentennava quasi mai. L’unica volta che l’aveva fatto era stato in quelle ultime settimane. Avrebbe potuto lasciare Gemma molto prima e per tante volte ci aveva seriamente pensato. Ma quel sentimento, a cui adesso sapeva dare un nome, era talmente forte e talmente estraneo a lui, da non riuscire a identificarne la fonte. Aveva dovuto far chiarezza dentro di sé prima di arrivare a quell’epifania. Ma da quando l’origine del suo malessere aveva trovato un proprietario, Marco non aveva più tentennato. Non gli importavano i rifiuti di Stefania, non sarebbe rimasto con Gemma solo perché lei non lo voleva. Voleva abbastanza bene a se stesso, e a lei, da sapere quale fosse la scelta giusta da fare, a prescindere da tutto. Ma Stefania doveva sapere. Se quel gesto poteva servire a farle capire che faceva sul serio, che le parole che le aveva rivolto avevano davvero un significato per lui, allora doveva fare ancora un altro tentativo. Non era disposto a rinunciare tanto facilmente. Nonostante i suoi rifiuti gli dilaniassero il cuore, dentro di sé lui sapeva che Stefania provava le stesse cose. Lo aveva sentito dal modo in cui si era stretta a lui in villa. Lo aveva visto nel modo in cui i suoi occhi lo guardavano. Lo aveva percepito da quel bacio che si erano scambiati pochi giorni prima. Marco lo sapeva e lei poteva continuare a negarlo quanto voleva, ma lui non si sarebbe arreso. Non ora che aveva finalmente scoperto l’amore quello vero, quel salto nel vuoto che faceva mancare la terra sotto ai piedi e toglieva il fiato, quello che portava ad affidare completamente la propria vita e la propria anima a un’altra persona.
Stretto ancora nel cappotto scuro sotto la tettoia sotto la quale aveva trovato riparo dalla pioggerella leggera primaverile, vide arrivare Stefania con le sue amiche e il respiro gli si mozzò in gola. Anche Stefania doveva aver provato esattamente la stessa cosa, perché la vide irrigidirsi e poi fermarsi, mentre le sue amiche la guardavano a disagio.
“Stefania, ti devo parlare” esordì lui facendo un passo verso di lei.
“Marco, non abbiamo niente da dirci” rispose, cercando di trascinare la venere bionda con la quale conviveva. L’altra, la sarta, sembrava confusa e si era già riparata sotto la stessa tettoia dove si era prima rifugiato lui stesso. Ma Irene, se ricordava bene il nome, non aveva intenzione di muoversi e strattonò Stefania, spingendola a guardarla. Con un’espressione inequivocabile la convinse a rimanere ad ascoltarlo e le sussurrò qualcosa che lui non riuscì a sentire.
“Basta fare la martire” le disse piano Irene. “Prenditi ciò che ti spetta” e le lasciò il braccio, allontanandosi rapida per raggiungere la sarta, per evitare che Stefania potesse pentirsi e cambiare idea. Prima di entrare, però, lanciò a Marco un’occhiata minacciosa e gli disse, senza tante cerimonie e riguardo: “Se la fa soffrire le spezzo le gambe.” Per un istante Marco rimase spiazzato dalla schiettezza di quel commento, tanto da non riuscire a ribattere prima che lei sparisse al di là del portone. Ma far soffrire Stefania era proprio l’ultima cosa che voleva.
“Vieni qua sotto” allungò una mano a Stefania per spingerla a raggiungerla e ripararsi dalla pioggia.
“Che cosa vuoi, Marco? Lasciami in pace, ti prego” gli disse esasperata. Quella situazione la stava snervando e non ne poteva più di sentire lo stomaco chiuso, quel mal di testa costante, gli occhi gonfi e quel senso di oppressione al petto che le impediva di respirare a pieni polmoni. Voleva solo scappare via, fingere di non esistere e scomparire. Non si era mai sentita tanto colpevole in vita sua. Una parte di sé voleva correre tra le sue braccia, spegnere il cervello senza più pensare alle conseguenze e lasciarsi andare. L’altra, invece, era tormentata da quella vocina nella testa che le ripeteva che il bene di Gemma era la cosa più importante. Non poteva farle questo, non poteva essere felice se dalla sua felicità dipendeva l’infelicità di una persona alla quale aveva imparato a voler bene nel corso di quei mesi. Per quanto si sentisse morire all’idea di perderlo, doveva lasciarlo andare. La sua famiglia era più importante, perché lui non riusciva a capirlo?
“Ho lasciato Gemma” le rivelò diretto, senza giri di parole. La guardò negli occhi, cercando di leggerci del sollievo, qualcosa che potesse ridargli speranza. Ma lei sembrava spaventata.
“No, perché l’hai fatto, Marco? Gemma sarà distrutta” iniziò a dire in preda al panico, coprendosi il viso con le mani.
“E a noi non ci pensi?” le chiese lui spazientito. L’affetto per Gemma non poteva contare più della loro felicità. “Volevi davvero che la sposassi quando è di te che sono innamorato?” continuò sconvolto. “Volevi che dormissi con lei al mio fianco, quando nella mia testa ci sei solo tu?” Si avvicinò a lei e le prese il volto con le mani che lei ancora nascondeva con le sue. “Per te il bene di Gemma è davvero più importante del mio? Preferivi che fossi infelice pur di non disturbare la sua serenità?” le domandò disperato all’idea di essersi sbagliato tanto sulla portata dei sentimenti di Stefania.
“No. Marco, tu sei solo confuso, non puoi…” provò a dire, con gli occhi velati di lacrime.
“Non puoi decidere tu cosa provo e per chi, Stefania” la interruppe quasi offeso. Non permetteva a nessuno di decidere per lui, non lo avrebbe permesso nemmeno a lei, non quando l’unica certezza che aveva in quel momento fosse proprio quella di essere innamorato di lei.
“Quello spetta solo a me” rimarcò con decisione, spingendola a guardarlo con occhi sperduti. Quanto avrebbe voluto gettargli le braccia al collo e baciarlo. Perché doveva continuare a tormentarsi così? Aveva senso rinunciare anche lei alla felicità, se ormai Marco aveva preso una decisione? Non amava Gemma, non sarebbe tornato con Gemma. Il suo sarebbe stato solo un sacrificio inutile che non avrebbe portato giovamento a nessuno, e che Gemma non avrebbe apprezzato in ogni caso. Immaginava già quanto stesse soffrendo e quanto le avrebbe rinfacciato di essere stata lei la causa di quella rottura. Non poteva nemmeno darle torto. Aveva ragione, era tutta colpa sua.
“Io non posso…” sussurrò piano.
“Non puoi o non vuoi?” chiese Marco con voce rotta, fissando gli occhi nei suoi in modo che non potesse mentirle.
“Non posso” ripeté lei, non trovando il coraggio e la forza di dirgli una bugia. Non poteva godere della sua felicità sapendo che questa avrebbe fatto soffrire Gemma. Non poteva distruggere la loro famiglia per sempre. Non poteva, ma, Dio, quanto lo voleva.
Marco continuò a indugiare con le mani sul suo viso, le asciugò delicatamente le lacrime con il pollice e avvicinò la sua fronte a quella di lei.
“Ma lo vuoi, tanto quanto lo voglio anch’io” le disse con rinnovata convinzione.
“Non sempre ciò che vogliamo corrisponde a ciò che è giusto” disse lei con un filo di voce, cercando di ritrovare dentro di sé quella parte razionale che le avrebbe dato la forza per tirarsi indietro.
“E cosa sarebbe giusto, sentiamo? Fingere di non provare niente? Negarsi la possibilità di essere felici?” le chiese con impeto.
“Sì” sussurrò lei. “Se significa fare il bene di qualcun altro.”
“Ma il bene di chi, Stefania?” cercò di portarla alla ragione. “Io non sposerò mai Gemma. Io non amo Gemma. Amo te, Stefania. E niente di ciò che mi dirai mi farà tornare sui miei passi.”
Lei lo guardò in silenzio, con il cuore che sembrava minacciare di schizzarle fuori dal petto e un nodo in gola che non riusciva a mandare giù. Forse Irene aveva ragione e doveva smetterla di sacrificarsi. In nome di che cosa, in fondo? Marco era convinto: non sarebbe tornato da Gemma e lei avrebbe sofferto in ogni caso per la loro separazione. Che senso aveva che fossero infelici in tre? Eppure le sembrava così ingiusto essere felice mentre la vita di Gemma andava in pezzi. Quanto sarebbe stato più semplice preoccuparsi meno degli altri ed essere un po’ più egoista. Irene le diceva sempre che doveva imparare a mettersi ogni tanto al primo posto, ma lei non ci era mai riuscita. Però era stanca. Era stanca di soffrire, di dover essere sempre lei quella a doversi fare da parte. Perché non poteva essere felice almeno per una volta?
“Stefania…” sussurrò lui con gli occhi lucidi, in procinto di aprirle il suo cuore ancora una volta. Ma non era più necessario. Stefania gli credeva. I suoi occhi, il modo in cui le parlava, non mentivano. Senza pensarci due volte avvicinò le labbra a quelle di Marco. Il sapore salato delle sue lacrime si mischiò a quello della sua lingua. Avvicinò una mano alla sua guancia e la lasciò scendere pian piano leggera lungo il collo, come se avesse quasi paura di toccarlo, come se farlo l'avrebbe pietrificata all'istante, mentre le loro lingue si univano in uno sfogo troppo a lungo represso. Ora che aveva colmato ogni distanza, prendendo lei per la prima volta l’iniziativa, dando retta non più alla sua vocina interiore ma ai consigli della sua migliore amica, non pensava alle conseguenze. In cuor suo sapeva che dopo essersi allontanata da lui, l'incantesimo si sarebbe spezzato e il senso di colpa sarebbe tornato a prendere il sopravvento. Ma in quel momento, quando lo aveva così vicino a lei, così onesto e sincero mentre le chiedeva semplicemente di amarlo, Stefania non riuscì a pensare al dopo. Non poteva. Era felice, perché tutto quello che desiderava era lì davanti a lei.

 
  
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