I’m falling
In all the
good times I find myself longin’ for change
Volare non
è qualcosa di cui una
strega possa avere paura, di certo non una come lei.
Ma di cadere
sì, quello era stato
il timore che le avevano instillato sin da bambina: cadere dalla
vertigine che
solo il nome e il prestigio della purissima e antichissima famiglia
Black
poteva garantire; cadere da un mondo in cui si era temuti e rispettati
per il
proprio sangue; cadere dall’alto di quel cielo di cui loro
stessi portavano i
nomi: Cygnus, Orion, Sirius, Regulus, Bellatrix, Andromeda.
Cadere
e sapere di non avere
nessuno che ti avrebbe aiutato a rialzarti.
La paura l'aveva
inseguita per
anni, ma ora non riusciva più a fingere, a pretendere di non
svegliarsi ogni
giorno con il cuore chiuso dal terrore di diventare come loro, di
ignorare il
terrore che provava guardando sua sorella trasformarsi in un mostro.
Anche
quando il grande salone di Villa Black risuonava di musica e risate,
l’unica
cosa che voleva era correre fuori e ballare sotto la pioggia sino a
crollare
esausta sull’erba e il fango di un posto qualsiasi nel mondo.
Ovunque, purché
lontano da li.
Non era una brava
persona,
Andromeda Black, non lo era mai stata. Non nel senso comune, almeno:
aveva
mentito, tramato, usato gli altri per il proprio tornaconto, subito il
richiamo
seducente delle Arti Oscure. Tutto questo e anche di più. E
si era sentita viva
nel farlo, non poteva negarlo né aveva alcuna intenzione di
rinnegare quella
parte di sé, abituata a librarsi sopra ogni regola imposta
al resto del mondo.
Perché
quando sei una Black, la
legge del mondo funziona in modo diverso. Quella nella sua testa e nel
suo
cuore, invece, la inchiodava ogni giorno alle proprie
responsabilità: da quel
primo bacio al sapore di sale con Ted, però, si guardava
allo specchio e non
sapeva più chi fosse, divisa tra l’immagine che la
società aveva di lei e la
sua reale natura che si dibatteva ogni giorno più forte per
arrivare in
superficie.
C’erano giorni in cui pensava di non esserne in grado, di non
poter infliggere
un tale dolore a Narcissa per lasciarsi abbracciare
dall’amore di Ted. Erano
state lei e Bellatrix ad imporsi per il nome, incantate di fronte alla
bellezza
di quella neonata dai capelli dorati e gli occhi azzurri come il cielo
d’estate. I loro genitori non si erano opposti più
di tanto, troppo delusi dal
fatto di non aver generato il tanto sospirato erede maschio e,
soprattutto, ben
consci che le due figlie maggiori avrebbero potuto trasformare la loro
vita in
un inferno, se solo lo avessero voluto.
Era passato
così tanto tempo da
allora, a volte si chiedeva se quei ricordi della sua infanzia fossero
reali o
se li fosse costruiti per poter allungare il tempo in cui aveva modo di
portare
ancora la sua maschera fatta di carne, prima che le bruciasse
l’anima. Di quei
ricordi ora non era rimasta che polvere di ricordi. Bellatrix, quella
sorella
così simile a lei da scambiarle spesso per gemelle, era
ormai persa nella
spirale fatale di Lord Voldemort e Andromeda sapeva bene che non
c’era niente e
nessuno che avrebbe potuto spegnere quell’Ardimonio malato
che si era
impossessato del suo cuore e della sua mente.
Il pensiero
tornò a Narcissa, la
sua piccola Cissy, la sua principessina dalla lingua tagliente,
così diversa da
lei e Bellatrix, ma dannatamente testarda come tutte le Black. Non
l’avrebbe
mai perdonata, ne era assolutamente certa.
Sì,
perché quel giorno Andromeda
Black avrebbe tradito la sua famiglia.
E lo faceva per il
peggiore dei
motivi: l’amore, puro e semplice. Per un Tassorosso.
Sanguemarcio. L’unico che
poteva accettare anche il suo lato oscuro senza giudicarla. Il solo che
poteva
amarla.
Andromeda
sospirò, fermandosi a
guardare il suo riflesso: i suoi stessi grandi occhi scuri la
osservavano prima
indagatori e poi rilassati, finalmente riconoscendo quell'immagine che
per
troppo tempo era stata solo nella sua mente.
o aveva
corteggiato, temuto, atteso. E, infine, il grande giorno era arrivato:
l’avrebbero diseredata, avrebbero cercato di bloccare i suoi
fondi, non le
avrebbero più rivolto la parola. Di lei sarebbe rimasto solo
un lembo di
tessuto divorato dal fuoco del loro odio.
Accarezzò
la
fotografia che teneva in mano un’ultima volta. Se lo
ricordava bene quel
giorno, poco dopo che Narcissa era stata smistata a Serpeverde causando
la
gioia incontenibile delle sorelle.
Toujours Pur
era stata Narcissa a
scriverlo con
la sua calligrafia chiara ed elegante sul retro della fotografia, tutto
il loro
essere in poche lettere, davvero bastava così poco a
definirle? Quando era
successo? Chi aveva deciso che fosse quella l’unica cosa che
contasse e non
l’amore, quel sentimento assurdo e imprevedibile che
l’aveva travolta un
pomeriggio d’estate? Guardò
sé stessa nella foto ridere alla macchina
fotografica e stringere forte la sorella minore che tentava senza
troppa
convinzione di divincolarsi imbarazzata mentre Bellatrix le cingeva
entrambe in
un abbraccio irruento.
Gioia, soddisfazione,
tenerezza.
Certo vedeva tutto quello.
Ma c’era di
più.
Poteva riconoscere
anche da lì la
sua stessa paura, quella di non poter seguire il suo cuore, di rimanere
per
sempre intrappolata nella gabbia che lei stessa si era lasciata cucire
addosso.
Je
t’aimerais
toujour, quoi qu’il arrive, scrisse poco sotto,
la frase di un
libro per bambini che le ripeteva spesso pettinandole i capelli per
farla
addormentare dopo un brutto sogno mentre Bellatrix dava la caccia ai
mostri
sotto al letto.
Nei giorni lontani
aveva desiderato
ardentemente un cambiamento che finalmente era arrivato lasciandole con
la
paura di accettare quello che era diventata. Ma non poteva tornare
indietro,
vedeva la felicità che l’attendeva
sull’uscio del giorno che stava per nascere
e la sua luce era così invitante che non poteva
più ignorarla.
C’era
un’ultima cosa da fare, prima
di scomparire.
In punta di piedi
scivolò nel
dormitorio dove sua sorella era ancora nel mondo dei sogni. Si
soffermò un
attimo a guardarla, resistendo al tentativo di toccarla, certa che si
fosse
svegliata non avrebbe più avuto il coraggio di andarsene.
Tra qualche ora il
suo mondo
sarebbe cambiato.
Una manciata di
decine di minuti e
non sarebbe stata più la stessa persona.
Solo poche ore e la
sua caduta si
sarebbe arrestata.
“Guardami
mentre mi tuffo, Cissy…”,
mormorò appena, lasciando la fotografia sul comodino.
Scivolò
silenziosa nella sala
comune, prendo l’unica sacca che aveva deciso di portare con
sé.
“Non farlo, Drom. Te ne pentirai”.
Poco più
di un sussurro nella stanza rischiarata appena dalle luci morbide
lasciate sempre accese. Sogghignò internamente, era certa
che Lucius avesse
intuito qualcosa, la conosceva troppo bene. E come al solito aveva
preferito
pretendere che andasse tutto bene, che ben presto anche lei li avrebbe
raggiunti nel circolo dei Mangiamorte. Chissà quante volte
se l’era ripetuto
nella sua testa intossicata dai discorsi di Voldemort.
“Trattala
bene o non ci sarà posto
al mondo in cui potrai nasconderti”, rispose lei invece,
togliendosi il mantello
con lo stemma e lasciandolo sul divano accanto al ragazzo sostenendo lo
sguardo
furioso degli occhi grigi come il metallo fuso.
“Non ti
perdonerà mai”, continuò il ragazzo,
uno strano tono di supplica nella voce che raramente gli aveva sentito
in tanti
anni. “Ti prego non farle questo. Ti aiuterò io,
possiamo superarla.”
Andromeda
sospirò avviandosi verso
la porta.
“Prenditi
cura di lei, Lucius”,
disse, sfiorandogli la guancia con un bacio. Poi uscì senza
più guardarsi indietro, la porta della vita che aveva sempre
conosciuto che si
chiudeva per sempre dietro di lei.
Ted
l’attendeva lì fuori,
tranquillo, come se non stessero per scatenare l'odio e la vendetta di
una
delle famiglie più antiche del mondo magico.
In mano solo una
borsa leggera,
dalla quale spuntava un ombrello con i tassi, quello che aveva con
sé quando
l'aveva trovata a cercare una Passaporta nascosta in una panchina nel
villaggio
Babbano dove quell’estate stava aiutando i suoi genitori. Un
regalo di Arthur,
la stessa persona che ora li stava attendendo a Hogsmeade per portarla
via,
nasconderla, fino a quando non si fossero calmate le acque.
Un Weasley, figlio di
una Black
diseredata, la summa di quello che la sua famiglia aveva sempre
disprezzato.
Non c'erano dubbi, il senso dell'umorismo non era mai mancato
nella vita
di Andromeda quasi-non-più Black,
Un ombrello, una Passaporta mai esistita, l'odore delle scogliere a picco sul mare, una canzone stonata.E tutta una vita da scoprire davanti a loro.
No, cadere non faceva davvero
più
paura.
Dopo aver scritto e
pubblicato
"Basilikòs" ho messo di nuovo mano a questa vecchia storia,
aggiungendo qualche dettaglio dei "miei" Ted e Andromeda,
sistemando anche la grafica.
La storia era stata
dal prompt
proposto da Kami su l'angolo di Madame Rosmerta su Fb
I’m falling
In all the good times
I find myself
longin’ for change.