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Autore: Flofly    10/04/2022    2 recensioni
Cadere può fare paura ma a volte è l'unico modo per correre incontro al futuro.
Andromeda Black e i momenti prima di chiudere per sempre con la sua famiglia
Scritta per il contest dell'Angolo di Madame Rosmerta su fb #AcordediAquaviola
Personaggi: Serpeverde
Genere: Introspettivo/Romantico/angst ( focus introspettivo)
Canzone promt ricevuta da Kamy "I Am falling in all the good I find my selfo longin' for a change" ( A Star is Borno-Lady Gaga)
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Andromeda Black | Coppie: Ted/Andromeda
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dai Fondatori alla I guerra
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frammenti

I’m falling

In all the good times I find myself longin’ for change



Volare non è qualcosa di cui una strega possa avere paura, di certo non una come lei.

Ma di cadere sì, quello era stato il timore che le avevano instillato sin da bambina: cadere dalla vertigine che solo il nome e il prestigio della purissima e antichissima famiglia Black poteva garantire; cadere da un mondo in cui si era temuti e rispettati per il proprio sangue; cadere dall’alto di quel cielo di cui loro stessi portavano i nomi: Cygnus, Orion, Sirius, Regulus, Bellatrix, Andromeda.

Cadere e sapere di non avere nessuno che ti avrebbe aiutato a rialzarti.

La paura l'aveva inseguita per anni, ma ora non riusciva più a fingere, a pretendere di non svegliarsi ogni giorno con il cuore chiuso dal terrore di diventare come loro, di ignorare il terrore che provava guardando sua sorella trasformarsi in un mostro. Anche quando il grande salone di Villa Black risuonava di musica e risate, l’unica cosa che voleva era correre fuori e ballare sotto la pioggia sino a crollare esausta sull’erba e il fango di un posto qualsiasi nel mondo. Ovunque, purché lontano da li.

Non era una brava persona, Andromeda Black, non lo era mai stata. Non nel senso comune, almeno: aveva mentito, tramato, usato gli altri per il proprio tornaconto, subito il richiamo seducente delle Arti Oscure. Tutto questo e anche di più. E si era sentita viva nel farlo, non poteva negarlo né aveva alcuna intenzione di rinnegare quella parte di sé, abituata a librarsi sopra ogni regola imposta al resto del mondo.

Perché quando sei una Black, la legge del mondo funziona in modo diverso. Quella nella sua testa e nel suo cuore, invece, la inchiodava ogni giorno alle proprie responsabilità: da quel primo bacio al sapore di sale con Ted, però, si guardava allo specchio e non sapeva più chi fosse, divisa tra l’immagine che la società aveva di lei e la sua reale natura che si dibatteva ogni giorno più forte per arrivare in superficie.
C’erano giorni in cui pensava di non esserne in grado, di non poter infliggere un tale dolore a Narcissa per lasciarsi abbracciare dall’amore di Ted. Erano state lei e Bellatrix ad imporsi per il nome, incantate di fronte alla bellezza di quella neonata dai capelli dorati e gli occhi azzurri come il cielo d’estate. I loro genitori non si erano opposti più di tanto, troppo delusi dal fatto di non aver generato il tanto sospirato erede maschio e, soprattutto, ben consci che le due figlie maggiori avrebbero potuto trasformare la loro vita in un inferno, se solo lo avessero voluto.

Era passato così tanto tempo da allora, a volte si chiedeva se quei ricordi della sua infanzia fossero reali o se li fosse costruiti per poter allungare il tempo in cui aveva modo di portare ancora la sua maschera fatta di carne, prima che le bruciasse l’anima. Di quei ricordi ora non era rimasta che polvere di ricordi. Bellatrix, quella sorella così simile a lei da scambiarle spesso per gemelle, era ormai persa nella spirale fatale di Lord Voldemort e Andromeda sapeva bene che non c’era niente e nessuno che avrebbe potuto spegnere quell’Ardimonio malato che si era impossessato del suo cuore e della sua mente.

Il pensiero tornò a Narcissa, la sua piccola Cissy, la sua principessina dalla lingua tagliente, così diversa da lei e Bellatrix, ma dannatamente testarda come tutte le Black. Non l’avrebbe mai perdonata, ne era assolutamente certa.

Sì, perché quel giorno Andromeda Black avrebbe tradito la sua famiglia.

E lo faceva per il peggiore dei motivi: l’amore, puro e semplice. Per un Tassorosso. Sanguemarcio. L’unico che poteva accettare anche il suo lato oscuro senza giudicarla. Il solo che poteva amarla.

Andromeda sospirò, fermandosi a guardare il suo riflesso: i suoi stessi grandi occhi scuri la osservavano prima indagatori e poi rilassati, finalmente riconoscendo quell'immagine che per troppo tempo era stata solo nella sua mente.

o aveva corteggiato, temuto, atteso. E, infine, il grande giorno era arrivato: l’avrebbero diseredata, avrebbero cercato di bloccare i suoi fondi, non le avrebbero più rivolto la parola. Di lei sarebbe rimasto solo un lembo di tessuto divorato dal fuoco del loro odio. 

Accarezzò la fotografia che teneva in mano un’ultima volta. Se lo ricordava bene quel giorno, poco dopo che Narcissa era stata smistata a Serpeverde causando la gioia incontenibile delle sorelle.

Toujours Pur

era stata Narcissa a scriverlo con la sua calligrafia chiara ed elegante sul retro della fotografia, tutto il loro essere in poche lettere, davvero bastava così poco a definirle? Quando era successo? Chi aveva deciso che fosse quella l’unica cosa che contasse e non l’amore, quel sentimento assurdo e imprevedibile che l’aveva travolta un pomeriggio d’estate?  Guardò sé stessa nella foto ridere alla macchina fotografica e stringere forte la sorella minore che tentava senza troppa convinzione di divincolarsi imbarazzata mentre Bellatrix le cingeva entrambe in un abbraccio irruento.

Gioia, soddisfazione, tenerezza. Certo vedeva tutto quello.

Ma c’era di più.

Poteva riconoscere anche da lì la sua stessa paura, quella di non poter seguire il suo cuore, di rimanere per sempre intrappolata nella gabbia che lei stessa si era lasciata cucire addosso.

Je t’aimerais toujour, quoi qu’il arrive, scrisse poco sotto, la frase di un libro per bambini che le ripeteva spesso pettinandole i capelli per farla addormentare dopo un brutto sogno mentre Bellatrix dava la caccia ai mostri sotto al letto.

Nei giorni lontani aveva desiderato ardentemente un cambiamento che finalmente era arrivato lasciandole con la paura di accettare quello che era diventata. Ma non poteva tornare indietro, vedeva la felicità che l’attendeva sull’uscio del giorno che stava per nascere e la sua luce era così invitante che non poteva più ignorarla.

C’era un’ultima cosa da fare, prima di scomparire. 

In punta di piedi scivolò nel dormitorio dove sua sorella era ancora nel mondo dei sogni. Si soffermò un attimo a guardarla, resistendo al tentativo di toccarla, certa che si fosse svegliata non avrebbe più avuto il coraggio di andarsene.

Tra qualche ora il suo mondo sarebbe cambiato.

Una manciata di decine di minuti e non sarebbe stata più la stessa persona.

Solo poche ore e la sua caduta si sarebbe arrestata.

“Guardami mentre mi tuffo, Cissy…”, mormorò appena, lasciando la fotografia sul comodino.

Scivolò silenziosa nella sala comune, prendo l’unica sacca che aveva deciso di portare con sé.

“Non farlo, Drom. Te ne pentirai”. 

Poco più di un sussurro nella stanza rischiarata appena dalle luci morbide lasciate sempre accese. Sogghignò internamente, era certa che Lucius avesse intuito qualcosa, la conosceva troppo bene. E come al solito aveva preferito pretendere che andasse tutto bene, che ben presto anche lei li avrebbe raggiunti nel circolo dei Mangiamorte. Chissà quante volte se l’era ripetuto nella sua testa intossicata dai discorsi di Voldemort.

“Trattala bene o non ci sarà posto al mondo in cui potrai nasconderti”, rispose lei invece, togliendosi il mantello con lo stemma e lasciandolo sul divano accanto al ragazzo sostenendo lo sguardo furioso degli occhi grigi come il metallo fuso.

“Non ti perdonerà mai”, continuò il ragazzo, uno strano tono di supplica nella voce che raramente gli aveva sentito in tanti anni. “Ti prego non farle questo. Ti aiuterò io, possiamo superarla.”

Andromeda sospirò avviandosi verso la porta. 

“Prenditi cura di lei, Lucius”, disse, sfiorandogli la guancia con un bacio. Poi uscì senza più guardarsi indietro, la porta della vita che aveva sempre conosciuto che si chiudeva per sempre dietro di lei.

Ted l’attendeva lì fuori, tranquillo, come se non stessero per scatenare l'odio e la vendetta di una delle famiglie più antiche del mondo magico. 

In mano solo una borsa leggera, dalla quale spuntava un ombrello con i tassi, quello che aveva con sé quando l'aveva trovata a cercare una Passaporta nascosta in una panchina nel villaggio Babbano dove quell’estate stava aiutando i suoi genitori. Un regalo di Arthur, la stessa persona che ora li stava attendendo a Hogsmeade per portarla via, nasconderla, fino a quando non si fossero calmate le acque.

Un Weasley, figlio di una Black diseredata, la summa di quello che la sua famiglia aveva sempre disprezzato.  Non c'erano dubbi, il senso dell'umorismo non era mai mancato nella vita di Andromeda quasi-non-più Black,

Un ombrello, una Passaporta mai esistita, l'odore delle scogliere a picco sul mare, una canzone stonata.E tutta una vita da scoprire davanti a loro.

No, cadere non faceva davvero più paura.

 


Dopo aver scritto e pubblicato "Basilikòs" ho messo di nuovo mano a questa vecchia storia, aggiungendo qualche dettaglio dei  "miei" Ted e Andromeda, sistemando anche la grafica.

La storia era stata dal prompt proposto da Kami su l'angolo di Madame Rosmerta su Fb

I’m falling

In all the good times I find myself longin’ for change.

 

 

   
 
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