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Autore: Nao Yoshikawa    14/04/2022    8 recensioni
Dieci nuclei familiari, dieci situazioni diverse tra loro: disfunzionali o complicate o fuori dalla cosiddetta "norma".
Anche se alla fine, si sa, tutti quanti sono all'eterna ricerca di una sola cosa: l'amore.
Byakuya detestava tornare al proprio appartamento, specie a quell’ora. Dopo la morte di Hisana aveva preferito andare a vivere da un’altra parte, in un luogo dove non avrebbe avuto ricordi dolorosi.
A Orihime piaceva molto l’odore di casa sua. Profumo di colori a tempera misto a biscotti appena sfornati.
Ishida era un po’ seccato, non solo per la stanchezza, ma perché odiava quando Tatsuki non rispettava i piani. Anche se comunque non si sarebbe arrabbiato a priori.
Rukia era provata, si poteva capire dal suo tono di voce. Era brava a nascondere i timori dietro una facciata di allegria ed energia, ma Ichigo la conosceva bene.
Naoko era indispettita. Possibile che nessuno capisse il suo dramma?
Ai muoveva le gambe con agitazione. Indossava delle graziose scarpette di vernice nera e molti le dicevano spesso che aveva il visino da bambola, con i capelli scuri e gli occhi di una sfumatura color dell’oro.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shoujo-ai, Yaoi | Personaggi: Gin Ichimaru, Inoue Orihime, Kurosaki Ichigo, Nuovo personaggio
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo
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Capitolo dodici

Se da un lato Yoruichi si sentiva più rilassata, da un lato non poteva che sentirsi più tesa. Adesso ne aveva la conferma: per Kisuke continuava a provare un’attrazione smisurata come se fossero stati una coppietta appena sposata e questo ero importante da comprendere. Non aveva mai avuto dubbi sui suoi sentimenti, ma allo stesso tempo non c’era dubbio che qualcosa la turbasse e sperava che la terapia l’avrebbe aiutata.
Doveva aiutarla, altrimenti non avrebbe saputo dove sbattere la testa.
Mentre pensava a ciò seduta alla sua cattedra, cercava di trovare la concentrazione per correggere i compiti dei suoi allievi. Li aveva messi sotto torchio in quel periodo, ma era conosciuta per essere un’insegnante pretenziosa; quindi, aveva deciso di utilizzare l’intervallo per portarsi avanti. Soi Fon era rimasta in classe e aveva notato l’espressione perennemente preoccupata e tesa della sua insegnante. Sapeva che non era opportuno da parte di un’alunna porre domande sulla vita privata agli insegnanti, ma aveva l’impressione che Yoruichi Shihoin avesse bisogno di parlare.
Così si avvicinò alla cattedra, con la schiena dritta e un leggero rossore sulle guance.
«Professoressa.»
«Oh, ciao Soi Fon. Cosa posso fare per te?» domandò distratta. Teneva gli occhiali sul naso, ne aveva spesso bisogno durante la lettura.
«Nulla, volevo solo sapere se fosse tutto a posto. Per lei, intendo» Soi Fon si morse il labbro. Voleva provare a mostrarsi matura, ma il fatto di essere una diciassettenne con poca esperienza in tutto non aiutava. Yoruichi si tolse gli occhiali e sospirò.
«E io che pensavo di essere brava a nascondere i miei malesseri. Comunque non è niente di cui tu debba preoccuparti.»
La ragazza però voleva saperne di più. Voleva che lei si fidasse.
«È tutto a posto, a casa?» insistette.
Ovviamente Soi Fon sapeva del suo matrimonio con il brillante primario Kisuke Urahara. Aveva avuto occasione di vederlo si sfuggita qualche volta e per quanto le ispirasse simpatia, non poteva evitare di invidiarlo.
«Nulla di cui tu debba preoccuparti» ripeté Yoruichi. Confidarsi con una studentessa non era certo il massimo, doveva fare attenzione a mantenere le giuste distanze e lo sapeva bene. Ma allo stesso tempo Soi Fon stava iniziando a porre domande molto dirette.
«Oh, no! Lei e suo marito state divorziando?» domandò battendo una mano sulla cattedra e facendo sussultare la donna.
«C-Cosa? Oh, no, non è così!» balbettò, arrossendo. «È soltanto un periodo… un po’ strano.»
Anche se non le stava dicendo poi molto, bastava guardarla per capire che c’era qualcosa a tormentarla, qualcosa che forse nemmeno lei sapeva ben spiegarsi.
«Capisco. Io di uomini non ne capisco molto, anche perché non m’interessano. Lei è etero?»
Quest’ultima domanda aveva avuto intenzione di pensarla senza dirla e invece nella foga l’aveva pronunciata ad alta voce. Si portò le mani davanti la bocca, mortificata.
«N-no, volevo dire… mi dispiace, questi non sono affari miei e… e…»
Mentre Soi Fon andava in iperventilazione, Yoruichi si ritrovò a pensare che in effetti non si era mai posta il problema. Era stata con molti uomini prima d’incontrare Kisuke, aveva avuto con essi una vita sessuale molto attiva. Non era invece mai stata con una donna, perché l’occasione non le era capitata. Quindi non avrebbe saputo dire con certezza se l’idea le piacesse o no.
«So che vuoi darmi una mano e sei molto cara per questo. Ma non preoccuparti, queste sono cose da adulti.»
Soi Fon arrossì e per l’ennesima volta desiderò sparire. E dire che era partita così bene, ma con quella domanda inopportuna si era bruciata la sua occasione. Non poteva saperlo, ma quella domanda posta per errore aveva iniziato a far pensare Yoruichi, la quale per la prima volta si stava ritrovando a porsi domande sulla sua sessualità, quando credeva che oramai fosse fin troppo grande per certe cose.
 
Non era abitudine di Rangiku andare a lasciare personalmente Rin a scuola, di solito per quello c’era l’autista. Ma aveva pensato fosse una buona occasione, visto che aveva dato appuntamento a Momo prima di andare a lavoro. Inoltre, sua figlia sembrava molto contenta della cosa, mentre le stringeva una mano.
«Penso che mi piaccia di più andare a piedi che in auto» confessò. Si sentiva quasi normale.
«Dici davvero? Allora forse dovremmo farlo più spesso» disse Rangiku.
Rin era strana da un po’, questo lo aveva ben capito, ma adesso se ne andava in giro con quell’aria malinconica e triste che le dava da pensare.
«Tesoro mio, è tutto a posto? C’è forse qualcosa di cui vuoi parlare?»
Rin arrossì e serrò le labbra. Da cosa poteva cominciare?
Ieri per la prima volta le mie compagne mi hanno vista piangere. Una di loro mi ha aiutata ed è stato strano. Io non ho mai avuto amiche. Perché non ne ho bisogno, ma non so se mi sto sbagliando.
Pensarlo era facile, ma dirlo a parole era fin troppo complicato.
Così sorrise e i suoi occhi già sottili si ridussero a due fessure.
«Sto bene, benissimo.»
Rangiku stava per dirle non è vero che stai bene e forse la colpa è anche mia, anche nostra, ma erano arrivati a Rin si staccò dalla sua mano, salutandola e correndo verso scuola.
Momo era già lì, vestita con buon gusto e sobrietà come al solito. Le due donne si salutarono con un cenno del capo e l’espressione seria e poi insieme iniziarono a camminare, mentre parlavano del futuro dei rispettivi figli.
«Mi fa davvero piacere che tu la pensi come me» disse Rangiku ad un certo punto. «Insomma, combinare un matrimonio mi sembra un po’ precoce e poi credo che Rin e Hayato debbano essere liberi. Come lo siamo state noi, insomma.»
«Certo che sono d’accordo con te. Il fatto è che Sosuke non mi ascolta» sospirò Momo rassegnata. Suo marito non la prendeva mai in considerazione, figurarsi per qualcosa di così importante.
«Oh, ci parlerò io se sarà il caso! E anche Gin, se non mi ascolta giuro che lo caccio di casa. E sono seria! Questo non è certo un gioco!» disse con energia e per un attimo Momo desiderò essere con lei. Desiderò avere la sua tempra e la sua determinazione, di certo Rangiku sapeva come farsi valere e ascoltare, al contrario suo.
«Comunque meglio non dire niente ai nostri figli, non mi sembra il caso» aggiunse Rangiku. «Sono ancora troppo piccoli per capire e poi non c’è problema. Perché, come detto, questa cosa salta. E sarà come dico io.»
A Momo venne da sorridere.
«Wow. Tu sei proprio forte, Rangiku» non poté fare a meno di mostrarle la propria ammirazione. Rangiku ammiccò.
«Lo sei anche tu, solo che devi imparare a lasciar venire fuori la tua forza. Oh!» esclamò ad un tratto guardando l’orologio che teneva al polso. «Ora devo andare, anche se mi piacerebbe parlare ancora con te. Ti chiamo più tardi.»
Momo annuì e la salutò. Aveva la forza e doveva solo imparare a tirarla fuori? E come?
S’incamminò, pensierosa. In qualche modo suo marito doveva ascoltarla, insomma, iniziava ad essere stanca di quella situazione in cui si sentiva più un soprammobile che una persona. Ad un tratto sentì un alito di vento freddo addosso perché una bicicletta le era passata accanto a tutta velocità, frenando di botto.
«Oh! Toshiro?» domandò. «Ma cosa ci fai qui?»
Toshiro non avrebbe mai detto che aveva seguito Rangiku a debita distanza e che si era impegnato a far apparire quell’incontro più casuale possibile.
Si stava comportando come un vero idiota.
«Vado all’università in bici» disse lui, imbronciato. «Per caso vuoi un passaggio?»
«Oh, non voglio disturbare. E poi non ho un posto dove andare, non lavoro neppure» disse arrossendo.
«Allora facciamo un giro» disse Toshiro guardando di fronte a sé.
«Umh… Ma non stavi andando all’università?»
Giusto, bravo l’idiota. Il ragazzo tossì.
«Tanto se perdo una lezione non finirà il mondo. Ma se non vuoi, va bene uguale.»
Momo sorrise. Un amico era proprio quello di cui aveva bisogno. Così si sedette sul portapacchi, su cui stava un po’ scomoda perché indossava una gonna. Ma le piacque, per un attimo si sentì un’adolescente, mentre Toshiro sfrecciava lungo la strada come se lei pesasse quanto una piuma.
Oramai iniziava a fare molto caldo e non appena fu possibile si fermò ad un distributore per prendere da bere.
«Vuoi un caffè freddo?» domandò Toshiro, che si sentì un po’ stupido a porre una domanda del genere ad una donna abituata allo champagne. Ma Momo annuì con energia.
«Perché no?» domandò.
Il sole era piacevole e quell’uscita improvvista si stava rivelando una piacevole alternativa alla sua quotidianità così deprimente.
«Tuo marito non avrà nulla da dire se ti ho portata a fare un giro, vero?» domandò non potendo nascondere una smorfia. Proprio non riusciva a nascondere quando qualcuno non gli piaceva, ma Momo non sembrò infastidita. La vide giocare per qualche istante con la linguetta della lattina.
«Non credo, mio marito non ha molta considerazione di me» si lasciò scappare. Non era opportuno confidarsi con una persona che conosceva da poco, ma con Toshiro le veniva naturale non tacere.
«Mi sa che lo avevo già capito. Tsk, che tipo, non è mica questo il modo di trattare le persone, soprattutto la propria moglie. Almeno, se io avessi una moglie…» lasciò la frase in sospeso. Lui non aveva nemmeno mai avuto una ragazza, non si era mai innamorato. Quindi che poteva saperne? «Insomma, perché non lo lasci e te ne trovi un altro? Io farei così al posto tuo.»
La cosa bella di Toshiro era che diceva quello che pensava senza filtri e Momo capì di apprezzare questa sua qualità. Lei era tutto il contrario.
«A volte ci ho pensato, sai? Ma non è così facile. Noi abbiamo un figlio.»
«Già, ma a parte questo, lo ami? Perché non mi sembra un tipo molto amabile.»
Momo era sempre stata convinta di sì. Ne era convinta anche adesso, forse lo amava più di quanto amasse sé stessa e questo iniziava a pesarle. Non ricordava una volta in cui si fosse messa al primo posto.
«Io…» mormorò, rossa in viso. Toshiro tossì, rendendosi conto di aver esagerato.
«Perdonami, la mia domanda era inopportuna. Non è il caso di parlare di questo, ma visto che ci siamo, forse dovresti divertirti per oggi e pensare a te. Forse non sembra, ma sono molto simpatico. O almeno così mi dicono» disse Toshiro indicandosi, con quell’espressione seria. Momo rise. Lui le piaceva, era giovan, per certi aspetti era più ingenuo e scapestrato, ma allo stesso tempo sapeva comprenderla.
«E sia» decise lei. «Almeno per una volta me lo merito, no?»
 
Naoko se ne stava seduta al suo banco con i pugni chiusi, osservando Rin. Quest’ultima era fin troppo tranquilla ultimamente, non che la cosa le dispiacesse, ma era strano. Quella bambina era fin troppo misteriosa, non sapeva nemmeno cosa le avesse detto Miyo. Qualsiasi cosa fosse stata, aveva sortito un certo effetto.
«Nao» la chiamò Kiyoko. «La stai fissando.»
«Lo so che la sto fissando! Mi fa innervosire, ecco tutto! Adesso vado e le chiedo quello che le devo chiedere» disse alzandosi. Kiyoko sospirò. Per una volta che Rin era calma, ecco che Naoko partiva in quarta. La bambina, sempre con il suo fiocco rosso in testa, batté una mano sul banco attirando l’attenzione di Rin.
«Ichimaru, ti devo chiedere una cosa»
«Che cosa?» domandò lei annoiata. Gli occhi di Naoko si ridussero a due fessure.
«Perché quella volta mi hai detto che sono la figlia di un delinquente? Guarda che non è affatto vero. Tu non puoi dire queste cose, capito?» ci teneva a chiarire. Naoko tendeva a rimuginare molto sulle cose che le venivano dette, anche se poteva non sembrare. Rin sospirò, non sembrava in vena di discutere.
«Guarda che non lo dico io, lo dicono i grandi. Una volta ho sentito i miei parlarne. E io volevo farti arrabbiare.»
Oh no, oh no, pensò Naoko. Quella doveva essere un’altra bugia da parte di Rin. Cosa c’era che non sapeva che riguardava la sua famiglia? Soprattutto, perché Rin ne era a conoscenza e lei no? Strinse i pugni e fece quasi per gridarle che era una bugiarda e tutto il resto, quando Miyo le poggiò una mano sulla spalla.
«Ciao! Mi raccomando, fate le brave ragazze. E Rin. Ricordati quello che ti ho detto, d’ora in poi se hai qualche problema, puoi parlarne con me.»
Rin annuì. Accidenti, quella ragazzina era sempre allegra e sembrava splendere di luce propria. Aiutava sempre tutti. Naoko pensò la stessa cosa e si espresse in modo più colorito.
«Miyo è così buona da essere insopportabile, uffa» si lamentò mentre se ne tornava al suo banco con più domande che risposte. Miyo rise e si voltò, quando qualcuno la urtò facendole cadere i libri che portava in mano.
«Hirako, ma sei ovunque» si lamentò Hayato. «Vai a chiuderti in biblioteca e basta, tanto per il resto sei invisibile.»
Miyo si chinò a raccogliere i libri e poi si alzò a guardarlo, dritto in viso.
«Oh, no, Aizen. Direi che sei tu quello invisibile. Ora ho da fare» disse passandogli accanto. I suoi insulti non l’avevano sfiorata e ciò fece sorridere Rin.
«Che stupida» si lamentò il ragazzino, per poi guardarla. «Adesso sei amica sua? Quella è tutta strana, non è come noi.»
Rin arrossì, guardando verso la finestra.
«A me lei piace» sussurrò, senza che nessuno la sentisse.
 
Shinji sapeva bene che Aizen non si sarebbe arreso con lui e dopotutto perché avrebbe dovuto? Quello per lui era un gioco. Per Shinji però no, aveva una vita già gin troppo incasinata, tra sua figlia, l’ex fidanzata molesta e il lavoro.
«Senti Hiyori, non è colpa mia se mi si è rotta l’auto, va bene?» domandò mentre cercava di non lasciarsi cadere il telefono di mano. «Arriverò in tempo e comunque non sono affari tuoi. Miyo è con me e fin quando è con me sono affari miei come la gestisco. Oh, fanculo…» chiuse la chiamata prima che Hiyori prendesse a urlare. Poi sentì qualcosa di umido sul viso: aveva preso a piovere e non aveva l’ombrello. E a prendere il treno all’ora di punta non ci pensava neppure. Dannazione, pensò, perché doveva piovere anche con il caldo atroce?
«Bene, fantastico. Che altro deve succedere adesso?» si lamentò.
Passò accanto ad un’auto accostata, con il finestrino semi abbassato.
«Shinji, dove te ne vai con questa pioggia?»
Lui si fermò, sbuffò e guardò verso l’alto.
«Mi prendi in giro, eh?»
Aizen se ne stava nella sua costosa auto tutto elegante e bellissimo come al solito. Shinji odiava quella sua espressione soddisfatta, anche se amava quando riusciva a togliergliela. Ci era riuscito tante volte.
«Aizen, tu sei uno stalker e se non la pianti giuro che ti denuncio veramente» disse passandosi una mano tra i capelli bagnati. «Il che è tutto dire per un avvocato.»
Aizen rise, come se lo stesse prendendo in giro.
«Anche io devo andare a prendere Hayato, volevo solo darti un passaggio. Però se vuoi prendere un treno affollato non c’è problema.»
Shinji si guardò l’orologio al polso. Non ce l’avrebbe mai fatta in tempo e d’altronde di cose doveva avere paura? Di lui? Ah, giammai. Non lo temeva affatto, temeva molto di più sé stesso.
«Vabbè, ho capito. Ma rimane il fatto che sei comunque uno stalker» disse salendo in auto. «Sono completamente fradicio. E giuro che se fai qualche battuta a sfondo sessuale scendo dall’auto in corsa.»
Sosuke rise di nuovo, mentre prendeva a guidare.
«Farò il bravo, promesso.»
Shinji era di fatto l’unico che avesse quel tipo di confidenza, anche più dei suoi amici, anche più di sua moglie. E forse di questo non doveva sorprendersi, dopotutto erano stati amanti. E questo era stato un errore che non doveva più accadere. Rimasero in silenzio, ma quando si fermarono ad un semaforo, Shinji iniziò ad essere nervoso. Era inevitabile che Aizen gli avrebbe parlato di quello.
«Shinji, mio caro. Non ti sono mancato neppure un po’?» domandò con quell’aria sempre un po’ melliflua e insopportabile.
«No, sentimi bene» rispose senza guardarlo. «Questa cosa l’abbiamo chiarita sette anni fa. Io non posso giocare a fare l’amante, non è corretto. Ho una famiglia, tu hai la tua.»
«Tu sei single, non c’è niente di male a divertirti.»
«Io sono single, ma tu no» finalmente Shinji lo guardò. «Diamine, mi fai così incazzare. Se mi vuoi così tanto perché non lasci tua moglie e la fai finita? Ti diverte  vedermi fare l’amante?»
Abbassò subito lo sguardo. Così non andava bene. Si era detto di mostrarsi pungente e distaccato, ma stava fallendo. Se Aizen avesse saputo che era ancora innamorato di lui, avrebbe avuto fin troppo potere. E già l’idea di essere innamorato di un uomo del genere era un grave affronto al suo orgoglio. E soprattutto, ancora peggio era non riuscire a decifrare le sue espressioni e intenzioni, nonostante lo conoscesse da anni.
«Oh, Shinji. Lo sai che per me non sei mai stato un semplice amante. Credi che sarei tornato da te, dopo tutto questo tempo?»
Shinji, a braccia conserte, arrossì e si rifiutò di guardarlo. Non aveva torto, ma sperare che lui l’amasse era fin troppo assurdo. E nemmeno lui lo amava. Non poteva amarlo ancora.
«Avresti fatto bene a non tornare. Non posso incasinarmi ancora» sussurrò anche se con poca convinzione. Nel frattempo erano arrivati di fronte la scuola e già Shinji si chiedeva come avrebbe spiegato a sua figlia perché si trovava in compagnia di quell’uomo.
«Non dire niente di strano, ci penso io» borbottò in un modo che fece ridere Sosuke.
Lo stava facendo ridere fin troppo. Ad un tratto vide Miyo che si guardava intorno e si sistemava lo zaino in spalle. Le fece segno di avvicinarsi.
«Papà, ma da dove spunti…? Oh, ma lei è…» disse Miyo curiosa. Sosuke sorrise.
«Sosuke Aizen. Sono un… amico di Shinji.»
Miyo chinò la testa di lato.
«Aizen? Come Hayato?»
Non le ci volle molto per unire i puntini sulle i.
 Hayato li raggiunse poco dopo e scioccarlo fu intanto il vedere suo padre in persona che veniva a prenderlo e, seconda cosa, stava parlando con quella ragazzina.
«Umh» disse schiarendosi la voce. «Papà, non ti aspettavo.»
«Hayato» lui fece un canno col capo. «Oggi ho finito prima. Allora, volete che vi riacc-»
Shinji però, già preparato a quella domanda, tirò Miyo per un braccio.
«Ti ringrazio, ma non dobbiamo andare a casa e poi non vorrei fosse di troppo disturbo. Ce ne andiamo, su Miyo.»
Quest’ultima non capì il perché di tanta fretta, il signor Aizen sembrava simpatico. Di sicuro più di suo figlio. Hayato sbuffò nel vederli allontanarsi.
«Quella ragazzina non mi piace. È tutta strana, non fa altro che leggere in biblioteca.»
«Ah, e così? Hayato, voglio che tu sia gentile con quella bambina» disse pensieroso.
Suo figlio non capiva. Perché avrebbe dovuto essere gentile proprio con lei?
«Perché? Non ha niente di speciale» provò a ribattere, ma una sua occhiata bastò a zittirlo.
«Perché lo dico io» concluse, senza aggiungere altro.
 
Anche a debita distanza, Shinji stava comunque correndo, al punto che Miyo iniziò a lamentarsi.
«Guarda che mi fai male così, ahiii!»
Lui si fermò di scatto, mollando la presa sul suo braccio. Quello che era successo era assurdo oltre ogni limite.
«Scusa Miyo. Ho un po’ perso la testa.»
«Me ne sono accorta» lei alzò gli occhi al cielo. «Sei tutto rosso, non ti ho mai visto fare così. Ma allora tu e quel signore siete amici, mi avevi detto che era un estraneo. Che succede?»
Quando assumeva quel cipiglio da persona più adulta della sua età, era difficile mentirle.
«Non succede niente. La nostra è un’amicizia un po’ particolare, siamo stati lontani per tanti anni».
Miyo arricciò il naso.
«Beh, lui mi sta simpatico, non è come Hayato.»
Shinji non osava nemmeno pensare come fosse quel ragazzino. L’unica cosa di cui si preoccupava adesso era che, ora che Sosuke Aizen era rientrato nella sua vita, difficilmente sarebbe uscito.
 
Per Renji quella era una bella giornata: quella pioggia improvvisa aveva lasciato il posto al sole sulla sua pelle, mentre aggiustava una vecchia moto. Questo riusciva a rendere piacevole perfino le chiacchiere di Ikkaku circa il matrimonio. Il suo socio, infatti, era un po’ stressato.
«Solo perché Yumichika lavora nella moda si sente in dovere di decidere tutto. Io odio già gli smoking, e se mi costringe a mettere qualcosa con le pagliette o i lustrini? Penso che potrei sclerare di brutto.»
«E dai Ikkaku, è solo per un giorno. Sii un po’ più felice» disse Renji mentre armeggiava con una degli strumenti.
«E chi ha detto che non sono felice?! Dico solo che io e la moda siamo due rette parallele. A proposito» disse indicandolo. «O ti tagli quei capelli oppure li tingi.»
«Potete scordarvelo» Renji infatti teneva troppo ai suoi capelli lunghi di un forte rosso accesso. Impegnato com’era a battibeccare con Ikkaku, non si era accorto di Byakuya che si stava avvicinando all’officina. Era la prima volta che andava a trovarlo sul posto di lavoro e forse avrebbe potuto evitare. Ma aveva bisogno di parlargli, anche se non aveva ancora in mente le giuste parole.
«Renji, Ikkaku» li salutò, cauto, con un cenno del capo. A Renji cadde la chiave inglese di mano.
«B-Byakuya» mormorò. Certo che in quel momento la loro differenza era evidente come non mai. Byakuya, con i suoi abiti eleganti e Renji, vestito come un motociclista di serie Z con i tatuaggi in bella vista e con la puzza di olio per motore addosso.
«Oh, ma guarda che bella sorpresa» ghignò Ikkaku, che da tempo aveva intuito qualcosa. «Fatemi indovinare: devo leggere tra le righe e lasciarvi un po’ di privacy.»
Renji annuì, grato di non dover stare lì a spiegare. Si sentiva un po’ nervoso, ricordava l’ultima volta in cui erano stati insieme e si rendeva conto che forse si era spinto un po’ troppo oltre: e se Byakuya avesse capito le sue intenzioni? Era questo ciò a cui mirava, ma allo stesso tempo temeva il cambiamento.
L’amore era un gran casino, molto più di quanto avesse immaginato.
«Byakuya, ma è successo qualcosa?» domandò cercando di apparire il più tranquillo possibile. Nemmeno Byakuya era del tutto tranquillo, era più teso del solito.
«Scusa se sono venuto fino a qui, ma non potevo aspettare. Solo che adesso che sono qui non so bene cosa dovrei dire. Forse dovrei solo essere diretto» lo guardò negli occhi, uno sguardo affilato. «Renji, c’è forse qualcosa che dovrei sapere? Intendo sulla nostra relazione.»
Dannazione, era successo. Renji tossì, cercò di guardare da tutt’altra. Desiderò scappare, e la consapevolezza di non potere lo stava mandando in panico.
«Merda… questo è il momento che ho temuto per tutti questi anni» mormorò, con lo sguardo basso. «Come lo hai capito?»
«Ho percepito qualcosa e Rukia mi ha dato la conferma. Non mi ha sorpreso il fatto che lei sapesse, ma vorrei sapere perché non me lo hai mai detto.»
«Tu cosa pensi? Eri impegnato, sposato, perché avrei dovuto dirtelo? Volevo metterci una pietra sopra, ma non mi è mai passata. Non credo che questa sia una cosa che può passare. E adesso mi sento uno stupido perché non era così che doveva andare.»
Si passò una mano sul viso. Le cose spesso non andavano come previsto, questo era chiaro. Adesso cosa sarebbe dovuto succedere? Byakuya non sembrava arrabbiato ma nemmeno pronto a ricambiarlo.
«Non sei stupido, solo che… Non me lo aspettavo. Ma vorrei mettere le cose in chiaro, lo sai che non è possibile.»
«Non è possibile perché sono un uomo e gli uomini non ti piacciono o perché ti sei fissato con l’idea di non essere mai felice?»
C’era una certa foga nella sua voce, anche una certa rabbia. Sapeva che non avrebbe dovuto, perché la situazione era delicata, ma in quel momento non si sentiva molto in sé. Byakuya non rispose subito. Che Renji fosse un uomo o meno, non credeva fosse un problema. L’essersi fissato con l’idea di essere infelice, quello poteva essere un problema ben più grande.
«Sono passati solo tre anni…»
«Sono passati già tre anni, vorrai dire. Andiamo, Byakuya. Tu pensi davvero che Hisana avrebbe voluto vederti così? Te lo dico io: no. E se non sono io e se non sarà nessun altro, vorrai rimanere da solo anche se dovessi innamorarti? Guarda che con questo tuo atteggiamento stai facendo preoccupare tutti. Tua sorella si sta facendo in quattro per aiutarti e anche io. Mi accontenterei perfino di saperti felice con chiunque piuttosto che con me, m’interessa solo che vai avanti, okay? Ma giuro, inizio a non sopportarti più.»
Si era pentito subito dopo di quanto detto. Non era attaccandolo che avrebbe risolto le cose. E il fatto che Byakuya non avesse alcuna reazione lo fece preoccupare.
«Mi dispiace, ho parlato troppo… io non volevo…»
«No, va bene. Sei stato sincero, quantomeno. L’ultima cosa che volevo era essere un peso. E d’altronde sono oramai spezzato, quindi faresti bene a non amarmi. Nessuno può amare una persona spezzata» disse laconico. «Ora, se non ti spiace, devo andare.»
Volle chiamarlo ma la voce non gli uscì. Era uno stupido, aveva rovinato tutto e adesso, ne era certo, non c’era alcuna speranza. Non per loro.

Kiyoko Schiffer disegnata da angelo_nero
 
Nota dell’autrice
Mi sono resa conto che non avevo ancora specificato le età di molti personaggi (di alcuni sì, ma di molti no, quindi li inserisco ora).
 
Ichigo e Rukia: 34
Ishida e Tatsuki: 34
Ulquiorra e Orihime: 34 & 33
Nnoitra e Nel: 34
Kisuke e Yoruichi: 44 & 40
Gin e Rangiku: 38 & 36
Aizen e Shinji: 45  & 29 (quindi sono quelli con la differenza di età più alta perché un po' di age-gap è sempre bello). 
Mayuri e Nemu: 44 & 32
Momo e Toshiro: 35 & 25
Chad e Karin: 34 & 30
 
   
 
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