Serie TV > Altro - Fiction italiane
Segui la storia  |       
Autore: FluffyHobbit    14/04/2022    1 recensioni
[Un Professore]
[Un Professore]Sequel di "Tu non innamorarti di un uomo che non sono io"
Dal testo:
"Non vedo l'ora che arrivi stasera, 'o sai?"
[...]
"Ma se siamo svegli da tipo cinque minuti…"
[...]
"Sì, ma oggi è una giornata speciale e stasera lo sarà ancora di più."
Genere: Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Simone non aveva più un corpo, ma una massa di sofferenza fatta di carne livida e ossa spezzate.

Si sentiva così da quando Zucca l'aveva colpito a piena forza su quella gamba che non aveva più il coraggio di guardare, ma su cui continuava a posare gli occhi.

La prima volta che l'aveva fatto, dopo essere rimasto solo, aveva vomitato tutto ciò che aveva mangiato con Manuel. Era rimasto lì, disteso accanto alla sua pozza di vomito, per un tempo indefinito, con il cuore che gli batteva all'impazzata e la mente che non riusciva a fare altro che non fosse pensare a Manuel. Aveva visto Zucca e quell'altro tizio trascinarlo via mentre lui si dimenava e urlava il suo nome, un grido a cui Simone non era riuscito a rispondere per mancanza di forze. Fu l'ultima cosa che vide prima che il dolore gli facesse perdere conoscenza e il non sapere cosa fosse successo dopo lo faceva impazzire tanto quanto la gamba rotta, se non di più: quella, almeno, era una certezza.

Non sapeva di preciso cosa avesse fatto il suo ragazzo -se non che si era rivolto nel modo sbagliato a Sbarra-, ma era certo che anche lui avesse ricevuto una buona dose di colpi, anche solo per farlo stare buono. Pregò che la cosa si fosse fermata lì, che non avessero infierito ulteriormente, magari rompendo una gamba anche a lui o scatenandogli contro uno di quei cani assatanati che Sbarra teneva in gabbia, pregò che Manuel fosse riuscito a tornare a casa, da Claudio, e che fosse al sicuro.

Poteva quasi sentire la voce del suo ragazzo -e no, stavolta non si trattava di un'allucinazione- che gli dava dello stupido romanticone perché anche in quella situazione, con una gamba sfracellata, pensava a preoccuparsi per lui e non per se stesso. Ma anche volendo, che vantaggio avrebbe avuto a preoccuparsi di sé? Cosa poteva fare per migliorare la sua situazione? Assolutamente nulla.

Non poteva provare a sfondare la porta dello stanzino e se anche ipoteticamente ci fosse riuscito sarebbe stato riacciuffato ancor prima di riuscire a vedere il cancello dello sfascio. Non poteva salvarsi da solo, quindi che senso aveva pensare a se stesso? Manuel, invece, era fuori, era libero, poteva contare su qualcuno che lo aiutasse, poteva effettivamente tirarlo fuori da lì, come gli aveva promesso.

Certo, per come era fatto Simone e per quanto lo amava, avrebbe pensato a lui e al suo benessere anche se non fosse stato in grado di aiutarlo e perfino se Manuel non avesse nemmeno avuto l'intenzione di aiutarlo.

La verità era che Manuel era la sua metà e per Simone era naturale preoccuparsi per lui, pensare a lui con tutte le sue forze, così come anche Manuel faceva. Quell'essere unico che erano diventati era stato di nuovo violentemente separato dall'invidia degli dèi e loro avevano ripreso freneticamente a cercarsi, stavolta con il cuore e la mente, non potendolo fare con il corpo.

Quando recuperò un po' di forze e si sentì meglio, si trascinò il più possibile lontano dal suo stesso vomito, che puzzava in un modo da fargli girare la testa. Arrivare alla parte opposta dello stanzino gli sembrò come attraversare l'intero asse terrestre e ad ogni spinta che si dava la gamba gli faceva un po' più male, sempre più male, mentre strisciava sul pavimento duro e sporco.

Quando si fermò era senza fiato e prese a respirare a pieni polmoni -e ogni respiro era come una coltellata-, il sudore gli scorreva sulla pelle mischiandosi alla polvere, rivestendolo di una patina sottile che pizzicava da morire e per un po' fu scosso da brividi, nonostante lo stanzino fosse rovente. Crollò così, esausto, senza neanche rendersene conto.

Al suo risveglio era rimasto perfettamente immobile, non aveva provato a muovere nessun muscolo, totalmente paralizzato dal dolore che si era di nuovo diffuso ovunque, a partire dalla gamba rotta che gli sembrava andasse a fuoco per quanto la sentiva bruciare. Si chiese se fosse effettivamente possibile morire di dolore e quale fosse la soglia massima che un corpo umano potesse sopportare. Qualunque essa fosse, pensò, doveva impegnarsi a resistere anche oltre, come aveva promesso a Manuel.

Sentiva Sbarra discutere dall'altra parte della porta, segno che la notte era passata, e per tutto il giorno tese bene le orecchie per carpire eventualmente la voce di Manuel. Non gli piaceva l'idea che tornasse lì, preferiva pensarlo il più lontano possibile da Sbarra e da Zucca, ma non aveva altro modo per sapere se stesse bene, se fosse vivo.

Le ore passarono lente senza portare alcuna notizia di Manuel con loro e senza che nessuno entrasse in quello stanzino. ‘Meglio così’, si disse Simone, non aveva proprio voglia di avere un'altra conversazione con Sbarra e Zucca, non credeva che sarebbe riuscita a sostenerla, debole e stanco com'era.
All'improvviso la tranquillità di quella giornata fu interrotta da urla concitate, troppo confuse tra loro per permettergli di capire qualcosa. Era strano, però, che gli sgherri di Sbarra si lasciassero prendere dal panico, di solito era tutto sotto controllo in mano a lui. Dopo non molto Simone sentì aprire la porta e un uomo che non aveva mai visto in vita sua gli si avvicinò rapidamente.

"Simone, eccoti qua! Dobbiamo andare, non abbiamo molto tempo."

Simone si ritrasse d'istinto, trascinandosi dolorosamente a terra, perché aveva ancora in mente i commenti che Sbarra e Zucca avevano fatto mentre si lavava e, annebbiato dal dolore, in quel momento, con quello sconosciutodavanti, riusciva a pensare soltanto a quelli.

"Non ti avvicinare! Vattene!"

Urlò, per quanto gli fosse possibile.

L'uomo sconosciuto sospirò pazientemente. Avrebbe potuto sollevarlo di forza, ma non voleva fargli del male, quel ragazzo aveva già sofferto abbastanza.

"Fossi in te ci ripenserei. Sono l'ispettore Liguori e sto qua per riportarti a casa. Dai, vieni, non abbiamo molto tempo."

"Ti ho detto di andare via! Non mi toccare!"

Strillò Simone, con la voce che gli usciva a fatica e la gola che graffiava. Liguori alzò le mani, per dimostrargli che non aveva intenzione di toccarlo e gli rispose con voce calma, guardandolo negli occhi. In quelli del ragazzo vide soltanto paura, dolore e confusione ed era una vista che spezzava il cuore.

"Calmati, ti prego, così ti fai solo del male. Guarda qui…"

Portò una mano dentro la giacca, tirando fuori il distintivo.

"Sono un ispettore di polizia, voglio portarti via di qua e riportarti dalla tua famiglia e da Manuel. Paperotto, lo chiami così, giusto? Me l'ha detto lui."

Gli spiegò con un sorriso e Simone, a sentire il nome di Manuel, smise di agitarsi. Era l'unico punto fermo, l'unica sicurezza in quel mare di dolore in cui stava affogando da un tempo che gli sembrava infinito.

"Manuel…Manuel sta bene? È al sicuro?"

Domandò preoccupato, respirando affannosamente, e Liguori annuì, rassicurante.

"Sì, non ti preoccupare, sta bene e ti sta aspettando, in questo momento è a casa di Claudio. Sono sicuro però che starà ancora meglio quando saprà che tu sei uscito da questo postaccio."

Simone lo fissò ancora per qualche istante, cercando di capire se gli stesse mentendo, ma gli occhi di quell'uomo gli parvero sinceri, gli ricordarono quelli di Claudio -che a quanto pare conosceva- e decise di fidarsi, senza contare che gli aveva detto il soprannome di Manuel, che avrebbe potuto apprendere soltanto da lui.

Si fece aiutare ad alzarsi in piedi e appoggiandosi all'ispettore si fece portare fuori dall'ufficio di Sbarra, che in quel momento era vuoto.

"Tieni, usa questo."

L'uomo gli porse un fazzoletto di stoffa bagnato, facendogli segno di portarselo al viso e Simone obbedì immediatamente. L'aria era densa del fumo che volava verso di loro, intorno a loro, spinto dal vento e che proveniva dalla zona più lontana dello sfascio. Lì, vicino all'ufficio di Sbarra, non sembrava esserci nessuno.

"Ma che succede? Va a fuoco qualcosa?"

Liguori annuì, ispezionando rapidamente con lo sguardo i dintorni prima di iniziare a camminare, reggendo a sé il ragazzo.

"Un'idea del tuo innamorato, è un tipo sveglio…"

Spiegò rapidamente e Simone sorrise, innamorato e sorpreso, nascosto dal fazzoletto. Non aveva mai dubitato che Manuel, in qualche modo, sarebbe riuscito a tirarlo fuori di lì, ma certamente non si aspettava qualcosa di così eclatante, che sembrava uscita da un film.

Si aggrappò meglio all'ispettore, cercando di aumentare il passo, ma non bastò ad evitare che l'uomo accanto a lui venisse colpito da un proiettile, all'improvviso.

Liguori imprecò a denti stretti e si voltò verso la persona che aveva sparato, sparando un colpo a sua volta con la pistola che teneva nascosta sotto la divisa da pompiere. Simone sgranò gli occhi, come pietrificato, non aveva mai sentito il rumore di un proiettile. Era quasi assordante.

"Uagliò, tutto a posto?"

Chiese l'ispettore, rafforzando la presa su di lui. Lo vedeva scosso, ma era naturale.

"Sì, io...lei, piuttosto, è ferito?"

L'uomo scosse il capo, riprendendo a camminare.

"È solo un graffio, tranquillo. Forza, ci siamo quasi."

Salirono entrambi su un'ambulanza nascosta a poca distanza dallo sfascio e da quel momento Simone ebbe qualche difficoltà a rimanere lucido. Venuta meno l'adrenalina, infatti, erano tornati tutti i dolori con gli interessi, anche se in verità a poco a poco anche quelli andarono via, grazie ad una siringa di antidolorifici. L'ultima cosa che vide prima di abbandonarsi al sonno fu il braccio insanguinato dell'ispettore e un infermiere che se ne occupava.

Quando riaprì gli occhi non era più in ambulanza e si rese conto, seppur con la vista annebbiata,  di essere in una stanza bianca, di cui faticava a mettere a fuoco i dettagli. Davanti a lui, di spalle, vide una massa di ricci scuri che gli sembrò familiare.

"Manuel?"

Biascicò speranzoso, all'indirizzo di quella persona. Quando questa si girò, con un sorriso cordiale in volto, Simone capì che non si trattava di Manuel e si diede dello stupido per averlo anche solo pensato: per prima cosa indossava un camice bianco, il che era decisamente un indizio, poi era molto più alto di Manuel e anche i capelli erano troppo corti per essere i suoi.

"No, mi spiace, io sono il dottor Bonvegna, ma puoi chiamarmi Riccardo. E tu sei Simone, invece, giusto? Ben svegliato!"

Gli si avvicinò e Simone si accorse che aveva gli occhi verdi e le guance perfettamente rasate, a completare il quadro delle sue differenze con Manuel.

"Sì, sono...sono Simone. Dove mi trovo?"

Chiese con voce impastata, chiudendo gli occhi perché la luce gli dava fastidio. Era una domanda stupida, ma non poteva pretendere chissà cosa dal suo cervello in quel momento.

“Beh, capisco che tu possa esserti confuso con la suite di un hotel a cinque stelle, ma sei in ospedale, al San Camillo per l’esattezza.”

Rispose scherzoso il giovane medico, mentre andava a spegnere la luce che sembrava essere un problema per il ragazzo.

Simone si sentiva ancora troppo stordito per rispondere con una risata o un sorriso. Era contento per la buona notizia, naturalmente, anzi gli sembrava troppo bello per essere vero, essere riuscito ad uscire da quell’incubo. Si ricordò di esserci riuscito solo grazie all’uomo che lo aveva salvato e che era stato ferito, per cui si accigliò, preoccupato.

“In ambulanza con me c’era l’ispettore…l’ispettore qualcosa, gli hanno sparato…come sta?”

Domandò a fatica, la bocca impastata rendeva difficile articolare le parole.

“Lui sta bene, non ti preoccupare, lo abbiamo già mandato a casa. Ho spento la luce, puoi riaprire gli occhi, comunque.”

Simone sollevò lentamente le palpebre e si trovò molto meglio nella stanza in penombra, illuminata soltanto da un lampione fuori dalla finestra e dalla luce che proveniva dal corridoio. Proprio guardando fuori da quella finestra, si accorse che era notte fonda.

“Grazie e mi scusi per il buio…”

Il medico lo interruppe con un gesto della mano.

“Per prima cosa dammi del tu, che con questo lei mi fai sentire un vecchio bacucco. Per seconda, non ti scusare, ok? Io sono un dottore, sono qui per farti stare meglio e se la luce ti dà fastidio io ho il dovere morale di spegnere anche il Sole!”

Simone, adesso, rispose con una risatina. Era simpatico, quel dottore.

“Va bene, però lasciamo stare il Sole, è un po’ esagerato…”

Riccardo annuì, avvicinandosi di nuovo al letto.

“Come preferisci. Adesso guarda, ti faccio vedere una cosa…”

Gli mise sotto la mano un piccolo telecomando collegato al letto e gli fece sfiorare i due pulsanti con l’indice.

“Con questo in alto sollevi lo schienale, con l’altro lo abbassi, così ti è più comodo bere o mangiare. Immagino tu abbia sete in questo momento, no?”

Simone annuì appena e, come gli era stato appena spiegato, fece sollevare lo schienale del letto mentre il medico versava dell’acqua in un bicchiere e glielo porgeva. Bevve a piccoli sorsi, ma lo svuotò rapidamente.

“Allora, Simone, adesso ti spiego un po’ la tua situazione e poi ti lascio in pace, va bene? Sono abbastanza sicuro che tu te ne sia già accorto, ma hai una gamba rotta che ti devo chiedere di tenere il più possibile ferma. Per aiutarti ti abbiamo dato un supporto, poi appena sarà possibile ti mettiamo il gesso, per adesso pensiamo a stabilizzarti.”

Indicò delle flebo, appese sopra il letto.

“Sei parecchio disidratato, stiamo reintegrando i liquidi con queste. Non ti nascondo che sei stato fortunato, c'era un'emorragia e abbiamo dovuto operarti, siamo riusciti a salvare il muscolo giusto in tempo. Però sei stato  anche forte, se mi permetti. Io, per esempio, al tuo posto non sarei riuscito a resistere e a quest’ora altro che ospedale…”

Si interruppe, rendendosi conto che così avrebbe potuto spaventare il suo giovane paziente e si schiarì la voce.

Simone, dal canto suo, non era poi così turbato da quelle affermazioni, più di una volta aveva pensato che sarebbe morto in quello stanzino –per un motivo o per un altro- e il dottor Bonvegna gli stava soltanto dando la conferma scientifica.

“Avevo i miei motivi per resistere.”

Replicò con un mezzo sorriso, per fargli capire che non gli avevano dato fastidio le sue parole.

Il medico ricambiò il sorriso e i suoi occhi verdi si illuminarono di ammirazione. L’ispettore che aveva portato lì Simone aveva spiegato per sommi capi cosa fosse successo e Riccardo era rimasto colpito da quella storia. Non era facile per un ragazzo così giovane attraversare un’esperienza di quel tipo. Si chiese se tra quei motivi ci fosse quel Manuel che gli aveva sentito nominare prima, ma evitò di fare questa domanda ben poco professionale.

“Adesso però non devi più resistere, pensa soltanto a riposarti. Anzi, se non hai domande da farmi, ti lascerei appunto riposare…”

Simone non aveva domande di tipo clinico da fare, ma era praticamente certo che gli sarebbe stato difficile riposarsi, da solo. Sospirò.

“In realtà, vorrei solo sapere se la mia famiglia sa che sono qui e quando potrò ricevere visite.”

Il medico sorrise, comprensivo.

“Sì, abbiamo avvisato la tua famiglia e anche il tuo avvocato, l’ispettore che ti ha salvato è stato molto insistente su questo punto. Comprensibile, vista la situazione. Per quanto riguarda le visite, invece, se mi prometti che non ti affaticherai, potrai iniziare a riceverle già da domani. Però devi fare il bravo, intesi?”

Lo indicò con l’indice, fingendosi minaccioso. Simone annuì, più sereno.

“Lo prometto, grazie.”

Dormire quella notte sarebbe stato difficile, ma il pensiero di rivedere suo padre, sua nonna e naturalmente Manuel già l’indomani avrebbe aiutato a farla trascorrere più velocemente.

“Bene, allora adesso cerca di riposare. Per qualsiasi cosa premi quel pulsante e verrò io o un infermiere ad assisterti, non farti nessun problema. Sei al sicuro adesso, capito?”

Riccardo glielo disse guardandolo negli occhi e il suo sguardo era deciso, carico di solennità, diverso da quello giocherellone che aveva rivolto al suo paziente nel poco tempo trascorso insieme. Si era fatto carico di quel ragazzo e voleva che stesse bene sotto ogni punto di vista.

Simone annuì, sperando che il medico avesse ragione. Il ricordo di ciò che aveva trascorso non si cancellava certamente con un colpo di spugna e la paura di finire di nuovo nelle grinfie di Sbarra rimaneva ben ancorata nel suo cuore, ma il dottor Bonvegna, per quanto disponibile, sicuramente aveva altri pazienti di cui occuparsi e non poteva trascorrere tutta la notte a tenergli compagnia soltanto perché lui aveva paura di rimanere da solo.

Gli diede la buonanotte, allora, e chiuse gli occhi come se avesse voluto addormentarsi. La sua reale intenzione era di restare sveglio, ma un po’ grazie agli antidolorifici, un po’ a causa della stanchezza, finì per assopirsi davvero, accorgendosene giusto in tempo per sperare che una volta riaperti gli occhi avrebbe rivisto la stanza bianca dell’ospedale e non lo sgabuzzino buio dell’ufficio di Sbarra.
   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Altro - Fiction italiane / Vai alla pagina dell'autore: FluffyHobbit