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Autore: Nariko_koi    15/04/2022    1 recensioni
Regione dello Hubei, 1939.
Dopo essere stato ferito sul campo di battaglia e congedato, Wang Yao, tenente dell'esercito Nazionalista, si trova costretto a scortare il proprio aguzzìno lontano dal fronte. All'incarico di per sé insolito si aggiunge il fatto che Honda Kiku, l'ostaggio, non è un volto nuovo nella vita di Yao. Dopo aver condiviso un'estate sulle sponde rigogliose del Fiume Azzurro, i due si ritrovano a distanza di anni a camminare fianco a fianco indossando divise di schieramenti tra loro opposti. Yao è sfuggente, impenetrabile e pieno di collera, una collera di cui Kiku, incorruttibile e legato alla propria causa, non comprende fino in fondo la motivazione. Due spiriti fratelli, entrambi brillanti e inquieti, un ricordo che emerge da dietro la devastazione attorno ai passi dei due soldati, due nazioni senza speranze.
Sulla strada per Chongqing, il passato tornerà a chiedere la resa dei conti, e Kiku e Yao saranno costretti ad affrontare i loro demoni, nel tentativo di preservare la loro scarna, sofferta, umanità.
[NiChu/ChuNi] [Accenni ad altre coppie e personaggi]
Genere: Drammatico, Guerra, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi, Slash | Personaggi: Cina/Yao Wang, Germania/Ludwig, Giappone/Kiku Honda, Inghilterra/Arthur Kirkland
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Capitolo V
La veduta di Qinhuai
 
Durante l’estate del ’29 i Wang organizzarono una serata a Nanchino. Si trattava di una festa per celebrare i venticinque anni di carriera di Wang Lanhua come regista e attrice di teatro, e pertanto tutti i residenti della casa in campagna avrebbero dovuto traslocare nella capitale per il fine settimana. L’evento comprendeva la visione di un’opera di Ma Zhiyuan1, seguita da un rinfresco in casa Wang, tutto organizzato da Wang Long e dalla compagnia teatrale con cui lavorava Wang Lanhua come una sorpresa per quest’ultima. Questa sorpresa, secondo quanto sosteneva Yao, era una mera illusione.
«Perché dici così?»
Kiku, appoggiato braccia conserte alla ringhiera sul fiume, si era voltato a guardarlo. Lo scatto della testa fece ondeggiare il cappello di paglia che doveva, secondo Mei, proteggerlo dal sole, e che nell’intento lo faceva sembrare un pescatore. Yao, disteso su basso muretto con un cuscino sotto la schiena e separato dal vuoto solo dal legno della ringhiera, teneva il suo cappello calato sul viso. Il gracchiare delle cicale faceva da sfondo alla loro conversazione.
«Perché è una specie di maniaca del controllo. Se ha anche solo intuito che stiamo organizzando qualcosa sta’ pur certo che lo scoprirà e farà in modo di mettersi al comando all’insaputa di tutti.»  
«Dev’essere stressante.»
«Non ne parliamo. Penso che non ci sia niente di più stressante di una sorpresa per lei.»
«Quindi lo sa già?»
«Oh, ne sono certo. Non sarebbe così tranquilla, altrimenti. No, sarebbe un ammasso di tic nervosi col rossetto, te lo dico io.»
Kiku tossicchiò una risata dopo quell’affermazione, e Yao sogghignò di riflesso.
Giorni dopo erano già sul treno per Nanchino. Fu la prima volta che Kiku viaggiava in un vagone di prima classe, tutto arredato con poltrone bergère e tavoli da gioco. Lui e Yao dividevano lo scompartimento con Honghui e il signor Arthur, che sembrava apprezzare più di tutti i presenti esperienze di questo tipo. Da molto prima che salissero sulla carrozza si era lanciato in un lungo monologo sul ruolo degli inglesi nell’invenzione della locomotiva, e non si era fatto troppi problemi a elogiare l’importanza che la colonizzazione britannica aveva assunto per la diffusione del mezzo in Oriente. Quel comizio si rivelò talmente insistente che dopo qualche minuto Kiku non si sorprese della nuova uscita sarcastica di Yao.
«Quando ci racconti di come avete saccheggiato tutte le vostre colonie e sfruttato la nostra gente?»
Kiku intercettò con lo sguardo la gomitata discreta di Honghui contro il braccio di Yao. Il signor Arthur sbuffò. «Con te si finisce per prendere sempre gli stessi discorsi.»
«E con te si finisce per non affrontarli mai con serietà.»
«Stai ammorbando la mattinata.»
Yao sbuffò, un ciuffo di capelli gli si mosse davanti al viso spinto dal suo respiro. Dal posto dove era seduto, accanto al finestrino, un raggio di luce giallina gli tagliava una striscia verticale di viso ed evidenziava di bianco la peluria sottile della guancia, un occhio appariva di un marrone brillante. Da come si voltò di profilo verso il vetro, sforzandosi di dimostrare indifferenza, fu chiaro per Kiku che lo scambio l’aveva infastidito. Non si sorprese, quindi, quando nel bel mezzo del tentativo di Honghui di alleggerire l’atmosfera con un commento sulla trafficata vita della capitale, Yao si alzò dalla poltrona e annunciò di voler controllare se ai Li servisse qualcosa.
Non appena Yao si richiuse la porta dello scompartimento alle spalle, il signor Arthur stirò le braccia sul bastone da passeggio. «Che razza di carattere.» borbottò.
Honghui si lisciò le pieghe del chángpáo. «È solo un po’ nervoso per stasera, non dateci troppo peso.»
Il signor Arthur fece un cenno stizzito col capo. «Non mi sembra una cosa sporadica – e poi, rivolgendosi a Kiku: – tratta così tutti gli ospiti o solo gli occidentali?»
Kiku schiuse le labbra a vuoto, la sua mente cominciò a vagliare tutte le possibilità che aveva di chiudere la discussione in modo rapido e indolore.
«Lascia stare, non rispondere. Tanto ai miei occhi resta quello che è.»
Kiku deglutì e distolse lo sguardo, piantandosi il palmo della mano chiusa a pugno sui pantaloni. Quando capì che il signor Arthur stava di nuovo per pronunciarsi contro l’assente si impose di non partecipare a quello scambio, così disse che doveva usare i servizi e abbandonò lo scompartimento. Eliminò in partenza l’idea di girare a vuoto per il vagone. Non perché non fosse abbastanza interessato alle meraviglie della prima classe, ma perché, per quanto si sforzasse di fingere disinvoltura, sapeva di essere poco naturale quando camminava senza un obbiettivo. Così si incamminò dietro ai passi di Yao.
La carrozza della terza classe aveva sedili stretti e ravvicinati tra loro, e mancava dei tavolini da gioco e dei radiogrammofoni della prima classe. Dentro al vagone si respirava un’aria acre, di chiuso, ed era innegabile che molti dei passeggeri non possedessero abitudini igieniche delle migliori. Alcuni potevano essere in viaggio da prima che sorgesse il sole, forse addirittura da giorni, e le temperature non aiutavano a mantenere un’aria balsamica.
Trovò Yao in piedi a metà carrozza, ancorato alla maniglia che pendeva sopra al sedile del signor Li. Quando lo vide sembrò sorpreso, gli chiese se andasse tutto bene. Kiku disse che il viaggio stava diventando noioso. Il signor Li insistette perché Kiku si accomodasse al suo posto, dando il via a una serie di convenevoli interminabili da parte di entrambi, alla fine dei quali Kiku rimase in piedi.
Kiku era stato abituato sin da piccolo alle buone maniere e al garbo, ma i modi reverenziali dei signori Li raggiungevano vette a cui poche volte aveva assistito. Sembravano ossessionati dall’idea di dare conforto al prossimo. Il signor Li aveva una faccia rotonda da mela e una striscia di capelli che gli percorreva le tempie lasciando scoperta la parte superiore del cranio. La moglie teneva il capo nascosto sotto un velo e il figlio le stava seduto in braccio, in questo modo avevano permesso a un signore anziano di sedersi di fronte a loro accanto alla figlia. Il vecchio aveva le palpebre molli al punto da socchiudergli gli occhi e si portava appresso una gabbia con due cardellini. In quel quadro rustico Yao sembrava un elemento a parte, distinto rispetto agli altri nonostante sembrasse deciso a mescolarsi. Del resto, non era l’unica volta in cui aveva percepito la persona di Yao assumere un colore diverso rispetto a chi lo circondava.
 
 
***
 
Arrivarono a Nanchino dopo circa un’ora e mezza di viaggio, il sole non era ancora alto. Una volta scesi dal treno, proseguirono in tram fino alla casa dei Wang, un edificio in tutto e per tutto simile a quello in cui avevano soggiornato fino ad allora, con l’unica differenza che la casa di campagna aveva un arredamento antiquato tipico delle case di villeggiatura, mentre la residenza di Nanchino sembrava rincorrere le nuove tendenze. Aveva l’illuminazione elettrica, due telefoni e un bagno ricoperto di piastrelle a specchio su ogni superfice, e ciò nonostante non mancavano i rotoli di calligrafia e le porcellane bianche e blu.
Mentre sistemava le valigie nella stanza Kiku sentì bussare alla porta. Yao entrò con due bottoni della camicia aperti e le maniche arrotolate sui gomiti, aveva i capelli ben stretti in una piccola crocchia.
«Hai da fare?» chiese, e inclinò la testa in un modo che sottolineava i muscoli del collo e le clavicole lucide. Kiku scosse la testa. «Allora ti va un gelato? C’è un chiosco qui all’angolo. Se vuoi posso farti fare un giro.»
Kiku si alzò in piedi. «Fa un po’ caldo per camminare, non credi?»
«È che… posso portare il parasole, e poi al fiume fa più fresco rispetto a qui. – distolse lo sguardo, dondolando sui talloni – se non ti va, non...»
«No! Cioè… sì mi va, ma… ecco. Sono un po’ deboluccio.»
Yao rise «Se svieni ti porto in braccio.»
Kiku gli tirò una ciabatta, ma da come storceva le labbra per non ridere Yao doveva aver capito che non l’aveva presa sul serio.
 
A Nanchino le strade erano piene di gente di tutti i tipi, donne vestite all’occidentale camminavano in mezzo a uomini con cappelli di bambù, si mescolavano a europei e mediorientali e trai tram e le auto alla moda ogni tanto comparivano risciò trainati da biciclette. Il chiosco dei gelati sostava di fronte alla vetrina di un negozio arabo di gioielli. Kiku si era portato dietro la macchina fotografica e si era concesso di puntarla al volto di Yao quando lui meno se l’aspettava, concentrato sul gelato. Quando Yao aveva udito lo scatto dell’obbiettivo si era quasi strozzato, e quando vide Kiku ridacchiare da dietro la scatoletta nera si fiondò in avanti come per afferrarlo. Kiku capì che cercava di agguantare la Rolleiflex2 per ricambiare il favore e saltò all’indietro.
«Ehi, non ci provare.»
«Sei un grandissimo bastardo, – Yao posò la mano libera sulla macchina, mentre reggeva il gelato con l’altra e l’ombrello con l’incavo del gomito – dammela, così ti faccio vedere che belle foto verranno.»
Kiku non seppe spiegare da dove gli venne quell’impulso, ma a un certo punto per scappare da quella situazione gli morse il braccio. Non fu un vero morso, lo toccò soltanto senza stringere i denti, ma quello fu sufficiente per fare scattare Yao all’indietro e versare il gelato sul marciapiede.
«Ti odio.»
«Te ne compro un altro.»
«Che razza d’idiota spreca così uno scatto?»
 
Si fecero accompagnare in risciò verso il tempio di Confucio, un complesso di edifici con una torre rossiccia il cui riflesso colorava le acque del Qinhuai3. Per arrivarci bisognava farsi strada tra bancarelle colme di pesci d’acqua dolce e altre che mostravano al pubblico statuette, piatti per l’incenso dall’impugnatura a forma di animale e cháchǒng4 di terracotta. Yao spiegò che da qualche tempo veniva usato solo dalle truppe del Guomingdang5 come una caserma e da allora era stato restaurato poco o niente, questo spiegava la vernice scrostata sui parapetti. Ciò nonostante, i passi della gente risuonavano ancora sul rimbombo del biānzhōng6.
Kiku fu catturato da un cháchǒng di terracotta bianca a forma di carpa, che prometteva di tingersi di verde se bagnato col tè. La commerciante, una donna con gli occhioni piangenti e i capelli raccolti in una treccia striminzita, doveva essere un tipo particolarmente attento agli accenti stranieri, perché appena sentì parlare Kiku saltò sul posto come se avesse fiutato un affare.
«Quale le piace, xiāsheng, il rospo, o il Buddha Maitreya7
Kiku si tirò indietro col petto. «Stavo solo guardando, tài-tai
«Non sia timido, vediamo se posso venirle incontro. Allora, il rospo?»
Kiku si grattò la nuca. «Guardavo la carpa.»
La donna parve illuminarsi. «Ah! Lei ha occhio, xiāsheng – si sistemò la statuetta sui palmi aperti per mostrargliela – questo pezzo è fatto di rara argilla Yixin verde, osservi i particolari delle squame. La grandezza è perfetta per portarselo dietro ovunque si sposti, lo bagni col tè ogni giorno e le porterà coraggio e perseveranza.»
«Che prezzo può farmi, tài-tai
«Vista la qualità siamo sui cinquanta kuài8
Kiku esitò. Avrebbe detto alla signora di lasciare stare, ma Yao prese la parola.
«Cinquanta è davvero troppo, tài-tai, facciamo venti.»
«Un capolavoro del genere non vale proprio venti kuai, posso scendere a quaranta.»
«Sono ancora troppi, tài-tai. Venticinque?»
«Per un’argilla così rara il mio è un prezzo più che vantaggioso.»
Kiku si accostò alla spalla di Yao. «Non importa, non è necessario.»
Yao non lo ascoltò. «Trenta e non se ne parla più.»
«Andata.»
 
«Te li ridò.»
«Non serve.»
Kiku gli diede una piccola spinta con la mano aperta. Dopo la visita al tempio erano saltati su un autobus che conduceva verso sud, e si fermava ai piedi della porta Jubao9. Quando scesero dal mezzo la massa scura delle mura era talmente vicina da oscurare il sole, già alto, come un’eclissi. Yao dovette impegnarsi per convincerlo a salire sulle terrazze, Kiku si decise ad ascoltarlo solo dopo essersi fatto trascinare fino al piccolo ingresso che dava sulle scale, da cui proveniva una brezza fredda. All’interno delle mura il gelo della pietra rendeva più facile scalare i gradini ripidi. Le finestre erano poche e strette, e Kiku poteva toccare entrambe le pareti senza distendere le braccia, e nonostante ciò quel senso di claustrofobia non lo turbava. Una volta fuori Yao gettò la testa all’indietro per inalare l’aria fresca, Kiku gli scattò una foto di nascosto. A quell’altezza il vento sembrava soffiare più vivace. Da lì era possibile vedere fino al monte Zhongshan10 e persino il corso dello Yangzi circondato da tetti scuri.
Chiesero a un turista di scattar loro una foto, a Kiku ci volle un po’ prima di riuscire a spiegargli come usare la macchina fotografica, perché l’uomo sembrava un po’ arrugginito con l’inglese e Kiku non era da meno. Alla fine riuscirono a intendersi, e lui e Yao si spostarono dove la luce favoriva il ritratto migliore possibile. Si sistemarono con le vite poggiate al parapetto delle mura, l’uno di fianco all’altro. Yao gli posò una mano sul braccio e lo strinse a sé, il suo palmo era liscio come il pane. Allora Kiku gli avvolse un braccio attorno alla vita, e mentre fissava l’obbiettivo ebbe la sensazione che il pollice di Yao gli disegnasse piccoli semicerchi sulla pelle.
Il turista aveva scattato più di una foto, Yao disse che ne voleva una quando sarebbero state sviluppate. Quando furono di nuovo in fondo elle mura Yao si sporse a toccare i mattoni scuri col palmo aperto. «Sono qui da più di cinquecento anni. Guarda – indicò un angolo in basso con il naso – ci sono ancora incisi i nomi degli operai.»
Kiku passò tre dita su quei caratteri corrosi dal tempo. «È straordinario.» disse.
«Cinquecento anni. Queste mura ci proteggono da allora e così faranno sempre.»
 
A Nanchino ovunque ci si spostasse si trovava una bancarella con anatre appese a testa in giù. Nel ristorante dove si fermarono servivano solo anatra, anatra sotto sale, anatra arrosto, ravioli all’anatra e persino testa d’anatra. Da qualche parte videro anche dei dolcetti a forma d’anatra simili a paperelle di gomma. Yao se ne fece incartare un paio prima di uscire dal ristorante, spezzandole tra le dita si poteva vedere la pasta di fagioli tra la mollica spumosa.
Dopo il pranzo presero uno shānbǎn11 per risalire il fiume verso nord e concludere il giro. Il ragazzo in piedi davanti a loro remava stando scalzo sulle assi della barca, la pelle scura sulle braccia tesa come un tamburo. Le acque del fiume risplendevano dei riflessi bianchi delle pareti delle case, e sugli argini si sovrapponevano recinti e scalinate. Passarono sotto a un ponte e Kiku vide il volto di Yao illuminarsi dal basso con reticoli di luce ondeggiante. Il sole aveva iniziato la sua discesa e mentre il cielo prendeva un colore giallino qualcuno iniziava ad accendere le lanterne rosse sotto ai tetti. A un certo punto del percorso sulle scalinate e dai parapetti un gruppo di donne si affacciava verso l’acqua. Avevano le labbra truccate di un rosso profondo e i qípáo attillati sui fianchi e sotto ai seni. Una di loro, seduta su un gradino, a un tratto sembrò incollare gli occhi addosso a Kiku. Aveva i capelli acconciati in onde strette sulla fronte e indossava un abito viola.
«Sono le donne del fiume Qinhuai – Yao si era accostato al suo orecchio e vi aveva lasciato un respiro caldo – la leggenda che le riguarda è antica quanto Nanchino.»
La barca si avvicinò alla riva su cui era seduta la ragazza. Continuò a fissare Kiku con quell’accenno di sorriso fino a quando lei non fu fuori dal suo campo visivo.
 
Appena il cerchio aranciato del sole fu sotto all’orizzonte il cielo prese un colore bruno nel giro di pochi minuti. Scesi dallo shānbān, si ritrovarono a correre stretti sotto all’ombrello per evitare la pioggia. Mentre percorrevano i marciapiedi cercando il riparo dei portici, i commercianti ritiravano le loro bancarelle traboccanti di merci. Yao disse che era la stagione dei monsoni. Arrivarono sotto al cancello con le camicie fradice e i capelli attaccati alla fronte. Quando Yao richiuse l’ombrello Kiku si accorse di quanto gli si era fatto vicino durante la corsa, abbastanza da poter contare minuscole lentiggini da sole sul suo setto nasale piatto. E si accorse anche che Yao lo guardava con le labbra dischiuse attorno agli incisivi bianchi. Mentre si fissavano in silenzio, ghermiti dalla pioggia ostinata attorno al loro riparo, Kiku ebbe la sensazione che entrambi aspettassero che accadesse qualcosa. C’era qualcosa in lui, in quel ghirigoro di capelli sulla guancia, a dargli un’aria che Kiku non aveva mai notato prima. Era un velo di tristezza, sembrava che qualcosa lo trattenesse al di fuori del resto del mondo. Forse stava confondendo le sue debolezze con quelle di Yao. In effetti, alle volte gli riusciva difficile discernere il confine tra lui e l’altro ragazzo. Si chiese se anche Yao, come lui, percepisse la stessa lontananza dagli altri, se anche per lui quel momento di esclusione dalla folla rappresentasse l’eccezione.
«Yao!»
Entrambi sussultarono quando la voce della signora Li giunse da loro attraverso la pesante tenda d’acqua. Trottò nella loro direzione stringendo un ombrello tra le mani, appena Yao si voltò verso di lei Kiku abbassò lo sguardo.
«Ma che vi salta in mente, xiǎohuǒzi? Perché non siete in casa?»
Yao si portò una mano ai capelli. «Io non entro, mǔma, mi aspettano a teatro.»
Nilufar lo afferrò per un braccio e se lo trascinò verso il cancello. «Tu adesso vai a cambiarti, poi va’ pure dove ti pare.»
Così entrambi imboccarono l’ingresso e si allontanarono verso le rispettive stanze. Circa mezz’ora più tardi, dopo che Kiku fu uscito dalla vasca da bagno per esaminare il completo elegante sul letto, lanciando uno sguardo attraverso la finestra poté vedere la figura longilinea di Yao allontanarsi con le mani nelle tasche e sparire dentro a un taxi nero.
 
 
***
 
Il teatro ospitava al suo interno una sala da tè. Arrivati all’ingresso Kiku dovette ancorarsi con lo sguardo alle spalle fasciate di seta dei Wang per non perdersi tra la folla. C’erano ospiti di ogni forma e colore, donne avvolte in scintillanti abiti a vita bassa e gonne plissettate e altre che sfoggiavano qípáo dai colori sgargianti. In poco tempo la sala fu pregna delle esalazioni di profumo delle signore e dell’acqua di colonia degli uomini e con la stessa rapidità si formò un capannello di gente stretto attorno alla signora Wang per farle gli auguri. In mezzo a quella folla ondeggiante di Yao non v’era traccia.
Vennero invitati a sedersi, Kiku prese posto accanto a Mei e il signor Arthur si sedette alla sua sinistra. Poco dopo le luci si abbassarono e una voce dietro le quinte presentò l’opera12 agli spettatori. Kiku non aveva mai assistito al dramma a teatro, ma aveva studiato il testo per un esame di letteratura cinese. La storia seguiva le vicende reali della concubina Wang Zhaojun nell’harem di un imperatore Han. Quando questi decide di prendere moglie incarica il pittore di corte di ritrarre tutte le concubine dell’harem una per una, per poter scegliere la più affascinante come sua compagna. Wang Zhaojun, però, si rifiuta di pagare il pittore, ed egli per ripicca consegna all’imperatore un ritratto fasullo con fattezze orrende. Così l’imperatore la scarta, ma qualche tempo dopo egli incontra la ragazza dal vivo e ne rimane folgorato. Succede però che il pittore, giunto al cospetto del capo Unno, mostra a questi il ritratto originale di Wang Zhaojun che si era portato dietro, e così anche lui finisce per innamorarsi di lei.
Il palco s’illuminò di nuovo e l’orchestra accompagnò l’apparizione di un’attrice fasciata da un pesante cappotto rosso e dalle stoffe svolazzanti di un hànfú13 acquamarina. Lei si guardò attorno con gli occhi circondati di trucco rosso e le sopracciglia scure a forma di “V”, poi prese a cantare. Quando lo sguardo da volpe di Wang Zhaojun per caso si fermò su di lui Kiku ebbe un tremito. Di scatto si voltò verso Mei.
«Dov’è Yao?»
Lei lo guardò e si coprì le labbra con una mano guantata di bianco per contenere una risatina. «Ma sul palco14!» esclamò sottovoce.
Kiku si voltò di scatto verso la figura eterea della concubina. Neppure le note alte della canzone avevano tradito una voce mascolina. Si chiese come facesse Yao a passare dai gesti virili con cui si accendeva le sigarette alle movenze delle mani che ora esibiva sul palco. Gli sembrò che sotto tutto quel trucco lui gli stesse rivolgendo un sorriso impercettibile, le labbra macchiate di rosso solo al centro.
Durante l’esibizione Kiku si accorse che il signor Arthur aveva mantenuto un’espressione frastornata da quando Yao aveva iniziato a cantare. Lanciando un ultimo sguardo agli attori sul palco, Kiku si sporse alla sua sinistra per sussurrare: «Come le sembra lo spettacolo, Arthur-san
Il signor Arthur sollevò un sopracciglio nella sua direzione e si mosse sulla poltrona come a cercare una posizione migliore. «Ecco… è particolare.» rispose.
Kiku si rese conto che probabilmente non stava afferrando una sola parola di tutto il dramma, dato che non parlava mandarino, e che con quell’illuminazione non era possibile leggere l’opuscolo in inglese per gli occidentali.
Dopo che a Wang Zhaojun fu comandato di spostarsi a nord e sposare il capo unno per mantenere la pace, dal pubblico si sollevò un borbottio di sorpresa. Nella scena finale la concubina cantò il proprio dolore agli spettatori, prima di gettarsi nelle acque gelide dell’Heilongjiang15. Un boato di applausi risuonò in platea, e dopo che gli attori si furono chinati a raccogliere gli omaggi del gruppo il direttore della compagnia si fece portare un microfono.
«Grazie – parlava in inglese – al gentile pubblico per la vostra presenza stasera, ma soprattutto grazie alla nostra stella polare Wang Lanhua.» Il pubblico si lanciò in un altro boato e un occhio di bue puntò la signora Wang tra la folla. Il direttore continuò: «Sei un punto di riferimento per tutti noi e una speranza per il mondo del teatro. E con i nostri migliori auguri vogliamo chiudere questa serata con un omaggio alla nostra Nanchino, che sempre ti accoglierà.»
Venne portato un pípa16 sul palco e gli attori si unirono attorno alla suonatrice che teneva in mano lo strumento da seduta. Lei iniziò a pizzicare le corde e tutta la compagnia si mosse come un solo corpo.
«Conosco una storia
e voglio trasporla in una canzone.
Io spero che ognuno di voi
possa ascoltarmi con pazienza.
Permettetemi
di cantarvi della leggenda del fiume Qin Huai,
lentamente e con ardore,
per ognuno di voi.
Da tempi remoti,
il fiume scorre con grazia.
È la bellezza del Sud,
l’eleganza di Nanchino.
Cammina nel celebre palazzo Zhan,
ammira la spettacolare architettura.
Osserva la colonia di gru,
e l’acqua che vi si increspa attorno.
Che splendido paradiso!»17
 
 
***
 
«È permesso?»
«Avanti.»
Kiku spinse di lato la porta scorrevole del camerino. All’interno Yao stava seduto a una toeletta, ancora avvolto nell’hànfú iridescente, i capelli raccolti sotto una retina che lo faceva sembrare un bonzo18. Gli sorrise, portandosi l’asciugamano dalla faccia al grembo.
Kiku avanzò dentro alla stanza. «Hai un camerino tutto tuo?» chiese.
Yao sbuffò una risata. «Ma no. È che gli altri sono già andati via.»
Kiku increspò le labbra in un sorriso. Trovò strano che Yao perdesse tutto quel tempo solo per ripulirsi. Guardandosi attorno vide che la stanza era occupata da specchi e aste alle quali erano appese abiti voluminosi e sgargianti. Yao cercava di togliersi i residui del trucco da concubina intingendo l’asciugamano nell’acqua calda.
«I miei sono già alla festa?» biascicò, le labbra contratte mentre strofinava via il rossetto.
Kiku annuì. «Ho detto che ti avrei aspettato io.»
Yao sospirò, si tolse la collana e la posò su un piattino con un tintinnio. «A essere sinceri non ci avrei sperato. Grazie.»
Kiku gli si fece vicino fino a comparire nello specchio. «Ti sei abbronzato.» disse, rivolto allo specchio. Senza tutto quel cerone sulla faccia i tratti di Yao riacquistavano virilità. «Ho la sensazione che il signor Arthur non abbia gradito lo spettacolo.»
Yao si strappò la retina dalla testa, i capelli gli ricaddero sulla schiena come una frusta. «Non farci caso, – disse – è questione di cultura.»
«Che intendi?»
«Non voglio dire che sia una cosa di tutti gli occidentali. Però, se c’è una cosa che ho imparato da quando conosco Arthur, è che alla maggior parte di loro non interessa la nostra arte. Loro apprezzano la nostra cultura finché si tratta di una conoscenza superficiale, vengono qui e si portano a casa porcellane e tè ma non imparano la nostra lingua, né ascoltano i nostri pareri. A loro piace tornare in patria e raccontare l’incontro coi barbari delle colonie, indossare i nostri abiti e tirarsi gli occhi, così – si mise i palmi delle mani agli angoli delle palpebre e stirò la pelle verso l’alto – e fingere di essere imperatori e concubine storditi dall’oppio. Quindi non dare peso ad Arthur. Per lui tutto questo è solo un’esperienza esotica, niente di più.»
Yao cercava di mostrarsi distaccato, ma Kiku poteva vedere che i pugni gli tremavano sulla superfice del tavolo mentre parlava. Non aveva parlato in prima persona, eppure Kiku si era accorto che quel monologo tradiva un’esperienza personale, che qualcosa di tutto ciò lo turbava. Il pensiero che quelle parole nascondessero un significato più profondo di quanto promettevano gli strinse lo stomaco. Ogni qual volta imparava qualcosa di nuovo su di lui, Kiku scopriva altre cento domande a cui non sapeva dare risposta.
 
 
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Note (non odiatemi, vi prego):
  1. Ma Zhiyuan è stato un poeta e drammaturgo vissuto in epoca Yuan (1279 - 1368).
  2. Si chiamava Rolleiflex la linea di macchine fotografiche reflex biottiche distribuite dalla ditta tedesca Franke & Heidecke a partire dal gennaio 1929.
  3. Il fiume Qinhuai è l’affluente dello Yangzi che attraversa Nanchino.
  4. Conosciuti in occidente come tea-pets, i cháchǒng sono piccole sculture di terracotta dalla forma di animali o figure cardine della cultura asiatica, che durante il rituale del tè vengono cosparse di tè, appunto, con l’augurio di portare fortuna al proprietario. Inoltre, a seconda della varietà d’argilla, man mano che la statuina assorbirà il tè, l’argilla cambierà colore (l’argilla viola, che dopo la cottura diventa color mattone, tornerà al suo vecchio colore, così come l’argilla rossa, che tende al vermiglio, e l’argilla verde, che prima di essere bagnata è bianco latte).
  5. Meglio conosciuto come Kuomingtang (ma si tratta della trascrizione Wide Giles e qui usiamo il pinyin) si tratta del partito Nazionalista cinese di cui abbiamo già accennato nel prologo.
  6. Il biānzhōng è un antico strumento musicale cinese costituito da una schiera di campane di bronzo, note in Corea come pyeonjong e in Giappone come henshō.
  7. Maitreya, nell’orizzonte buddhista, rappresenta il prossimo Buddha, successore di Siddhartha Gautama, la cui rinascita è attesa dai buddhisti (se vogliamo fare un paragone con una cultura a noi più vicina, è un po’ come l’attesa del Messia nella religione ebraica); inoltre, Maitreya è l’unico bodhisattva (colui che, nonostante abbia completato il proprio ciclo di esistenze terrene, rinuncia al Nirvana per aiutare il prossimo a raggiungere lo stesso) la cui venerazione è ammessa da tutte le scuole.
  8. Letteralmente vuol dire “pezzo”, è un modo colloquiale per indicare lo yuan, l’unità monetaria cinese.
  9. Oggi conosciuta come Porta Zhonghua, si tratta della più imponente tra le porte della città di Nanchino, e costituiscono uno dei sistemi di mura civiche più grandi mai costruite in Cina, ordinate dall’imperatore Zhu Yuanzhang durante la dinastia Ming (1368-1644). Il 13 dicembre 1937 i giapponesi oltrepassarono le mura, incontrando pochissima resistenza.
  10. Il nome significa Montagna della Campagna, ma è chiamato anche Montagna Purpurea, sorge ad est di Nanchino e le sue vette appaiono spesso avvolte da nubi dorate e viola al tramonto, da cui il suggestivo nome.
  11. Lo shānbǎn è un’imbarcazione di legno di lungheza non superiore ai quattro metri e mezzo, hanno una chiglia bassa e spesso sono in parte coperte da una volta a botte di legno o altri materiali.
  12. L’Autunno nel palazzo degli Han, in originale Hàn Gōng Qiū, è un’opera ambientata durante il periodo Han, per la precisione nel 33 a. C. La differenza principale tra la tragedia e le vicende reali ha a che fare con la fine di Wang Zhaojun, che nella realtà accettò di sposare il capo unno (in epoca Han si inizia a celebrare dei matrimoni tra donne vicine alla corte e popolazioni ai confini dell’impero nell’intento di stipulare patti di non aggressione).
  13. L’hànfú è un abito tradizionale cinese utilizzato da donne e uomini (con le dovute differenze), utilizzato fino all’epoca Qing (quando vennero introdotti il chángpáo e il qípáo, abiti tradizionali mancesi) e da non confondere col kimono, che invece è una sorta di evoluzione dell’hànfú nel contesto giapponese.
  14. Nel teatro cinese i ruoli femminili principali sono detti dàn. Durante la dinastia Qing, quando alle donne viene proibito di lavorare come attrici, il ruolo di dàn veniva ricoperto da attori specializzati, detti nándàn (nán significa “maschio”). Sul finire dell’epoca Qing le donne hanno iniziato via via ad inserirsi nel mondo del teatro, ma la figura del nándàn non si è mai davvero estinta del tutto, e ancora oggi esistono attori teatrali uomini specializzati nell’interpretazione di personaggi femminili.
  15. Conosciuto anche come Amur, si tratta del fiume che separa la Cina dall’attuale Russia.
  16. Il pípa è uno strumento a corde tradizionale, simile a un liuto.
  17. In realtà non si tratta di una canzone popolare cinese, ma della colonna sonora di un film che amo, I Fiori della Guerra, diretto da Zhang Yimou nel 2022, con protagonista Christian Bale (è anche l’unico film di Zhang Yimou che mi è piaciuto, per favore posate i coltelli). Potete trovare la canzone su Youtube col titolo Legend of Qinhuai, il film è molto crudo ma vale la pena di essere visto almeno una volta.
  18. Monaco buddhista.
  
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