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Autore: arisky    16/04/2022    3 recensioni
La voce che mi perseguita da questa mattina ripete senza sosta quella stessa domanda che ho subdolamente posto a Potter.
La mia stessa arma si è rivoltata contro di me. Solo ora capisco che, mentre pensavo di aver agito secondo il sibilo del serpente, era l’impulsività del leone a scegliere le parole per me. Quelle stesse parole che, nel sotterraneo, sono state scandite dalla mia voce; ma che poi, nella mia testa, hanno preso a rincorrersi incessantemente nel timbro di qualcun altro.
La sua voce… Lily.
Genere: Fantasy, Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Severus Piton
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Primi anni ad Hogwarts/Libri 1-4
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“Cosa ottengo se aggiungo della radice di asfodelo in polvere in un infuso di artemisia?”
 
Respiro a fondo.
Solo, davanti la porta del familiare sotterraneo. È ancora chiusa, tuttavia il legno massiccio è incapace di schermare le voci piene di vita che riempiono lo spazio al di là di esso. Irritanti, ingenue, ancora ignare di quanto possa essere amara e ingiusta l’esistenza. Fastidiosi come ogni inizio settembre: gli schiamazzi dei mocciosi del primo anno.
Ma non è certo questo ad insinuare esitazione nelle mie vene…
È l’essere consapevole di che giorno sia oggi, di che anno sia, di quanto tempo sia esattamente passato dalla notte in cui finì la mia vita.
L’essere consapevole che quel maledetto giorno è infine arrivato.
Mi attende spietato, tutto il peso della sua angoscia oltre la porta, in una di quelle odiose voci, la più odiosa di tutte.
Ma cosa vuoi che sia…? In fondo, è soltanto l’ennesimo colpo giocatomi dalla vita, l’ennesimo boccone amaro da dover ingoiare in imperturbabile silenzio. Cosa aspetti?
Respiro a fondo.
E infine entro.
Un ingresso uguale a tanti altri, deciso ed incisivo. Non attendo di arrivare alla mia postazione per parlare. Mentre il fruscio del mio mantello fende la tetra penombra del sotterraneo, illustro le caratteristiche principali dell’arte del preparare pozioni, senza che la mia voce si sprechi in inutili convenevoli o frasi di benvenuto. Non c’è gioia, non c’è brio né empatia nelle mie parole, solo il sottile fascino e l’immenso rispetto che provo per il mio sapere, come raffinate ed altere pennellate su un fondo nero di severità.
Giunto al capo opposto della stanza, mi volto verso i nuovi arrivati e noto con piacere un silenzio carico di timore, quella scura scintilla che ogni anno mi premuro di tenere ben viva fin dall’inizio. Faccio una breve pausa, durante la quale i miei vigili occhi scorrono su quei piccoli volti, captando già tracce inconfondibili di inettitudine e ignoranza.
Mentre la mia voce riprende profonda e imperturbabile a declamare frasi sicuramente molto al di sopra della comprensione di ragazzini di undici anni, gli occhi si soffermano su un Serpeverde in prima fila. I capelli biondo platino meticolosamente ordinati, le labbra leggermente curvate in un sorrisetto altero e sprezzante: è il figlio di Lucius Malfoy, Draco, non ci sono dubbi. Lascio che il mio sguardo indugi qualche secondo in più su di lui, in un impercettibile moto di simpatia, per poi riprendere ad osservare la piccola folla impaurita.
E lo vedo…
Ho tentato di evitarlo il più a lungo possibile quel capo chino sulla pergamena, ma ora non posso più rimandare. Una massa di capelli neri e disordinati che mi riporta dolorosamente indietro nel tempo.
Agli anni in cui ero io ad occupare un posto in questo sotterraneo.
Agli anni in cui, a quello stesso posto che ora sto fissando, sedeva un ragazzino identico, gli stessi maledetti capelli corvini perennemente spettinati.
Un’allucinazione? Un pessimo scherzo del destino? Oppure no… Oppure davvero il celebre Harry Potter somiglia così tanto a suo padre.
Qualcosa si agita nel mio petto. No, non è il cuore. Quello, per alcuni anni della mia vita, l’ho sentito battere e ricordo perfettamente la sensazione. Quel ritmo caldo, rassicurante, confortevole... No… Nonostante ormai il mio cuore sia inaridito, come morto, la sua vita precedente è impressa nella mia memoria, indelebile.
Ciò che sento ora è qualcosa che cela in sé un veleno sottilmente crudele, e una rabbia cieca, repressa e accumulata in anni di passivo silenzio. Come un infido serpente, con gli artigli di un leone. Questa strana bestia si dimena, mi fa perdere il controllo…o forse me ne conferisce uno nuovo, più insidioso e calcolatore?
Cieco al fatto di non avere davanti il vero James Potter, percepisco improvvisamente tutto il potere che ora mi conferisce il mio ruolo di professore: subdole possibilità e allettanti prospettive si spalancano davanti ai miei occhi. Non riesco a trattenermi, né ad attendere un istante di più…
Infierisco.
“Signor Potter…la nostra nuova celebrità”.
La voce gravida di un controllo quasi inquietante; le dita, invece, si muovono nervose, nello spasmodico bisogno di stringersi attorno a qualcosa, per infliggere dolore.
La mia ironica frase sortisce l’effetto che speravo: non solo attira l’attenzione di Potter, ma irretisce lo sguardo della classe su quella che, a breve, diverrà la scena dell’umiliazione da me premeditata.
Tuttavia, un istante, e rimango vittima mio malgrado proprio di quello stesso cuore che credevo non fosse più capace di parlarmi. Vittima senza alcuna possibilità di scampo.
Appena sente la mia voce scandire il suo nome nell’immobile silenzio del sotterraneo, Potter abbandona la penna e alza lo sguardo dalla pergamena, per rivolgerlo perplesso verso di me.
Ricordo perfettamente di come, dieci anni fa, Silente utilizzò una particolare informazione per piegarmi ad accettare di proteggere il ragazzo in futuro: il piccolo Potter aveva ereditato gli stessi occhi di sua madre.
Ma ciò che ho davanti in questo momento va oltre i limiti del possibile. La forma, l’espressione, l’irresistibile attrazione che esercitano su di me…e il colore, in ogni sua sfumatura.
In ogni loro sfumatura, gli occhi di Lily.
Sono abituato ormai alla crudeltà del destino verso di me: mi ha preso a calci senza pietà per gran parte del tempo e, a volte, ammetto di essere stato io a espormi a lui inerme e senza difese. Come se la minaccia scaturisse dalle mie stesse mani. Ma questo colpo è diverso. È come un piccolo schiaffo: il dolore in sé ridicolo rispetto a tanto altro, ma inferto a tradimento dalla mano dell’amico che non ho mai avuto.
Eppure non posso lasciare che mi si veda vulnerabile, per colpa di un mio istante di debolezza.
Silente stesso, sotto mia richiesta, ha giurato di non rivelare mai “la parte migliore di me”, come si ostina a definirla; ebbene non sarò io ad esporla in pasto ad altri occhi.
Con uno sforzo, riesco a riportare la maschera al suo posto sul mio volto, per riprendere ciò che avevo architettato di fare: esattamente quello che l’inutile padre del ragazzo ha fatto a me per anni.
Lo guardo, severo e autoritario, mi lascio pervadere dallo spirito subdolo e calcolatore, mentre ammansisco quello istintivo. Aizzo il serpente, mentre placo il leone.
E, di nuovo, infierisco.
“Cosa ottengo se aggiungo della radice di asfodelo in polvere in un infuso di artemisia?”. 
 
                                                                                                  
                                                                                                                                 *                *               *

 
 È notte.
Sono solo nelle mie stanze seduto su una poltrona, i gomiti piantati nelle ginocchia, i capelli in disordine. Gli occhi stravolti, spalancati, lucenti d’assenza di lucidità. Fissano morbosamente una macchia sulla parete di fronte a loro, una macchia di qualcosa che cola rapidamente verso il pavimento, assumendo forme bizzarre e astratte, ma che per una mente alterata diventano reali e inquietanti emanazioni di se stessa. Alcune tenaci schegge trasparenti ancora aggrappate alla macchia, la punteggiano di strani luccichii. Il resto dei vetri rotti giace a terra.
Sono stato io, pochi minuti fa.
Seduto su questa stessa poltrona, con l’ennesimo bicchiere di Whisky Incendiario in mano, cercavo disperatamente un modo per spegnere quel sussurro continuo, opprimente, ossessivo che sento echeggiare nella mia testa, che mi tormenta da questa mattina.
Mi sono gettato violentemente in gola l’ennesimo sorso d’ambra bruciante ma, in quello stesso istante, ho percepito il sussurro cambiare. L’intensità ha preso a crescere, lenta e costante. Da sussurri a parole; da parole a urla. E ho perso il controllo.
Sono scattato in piedi e ho scagliato il bicchiere di quello che mi è sembrato veleno contro la parete, per poi ricadere sulla poltrona, la testa tra le mani, le mani inumidite da qualcosa di salato. O forse amaro, non so… Non lo so più che sapore hanno le mie lacrime, tanto è sfaccettato e molteplice il dolore che le partorisce.
La voce che mi perseguita da questa mattina ripete senza sosta quella stessa domanda che ho subdolamente posto a Potter.
La mia stessa arma si è rivoltata contro di me. Solo ora capisco che, mentre pensavo di aver agito secondo il sibilo del serpente, era l’impulsività del leone a scegliere le parole per me. Quelle stesse parole che, nel sotterraneo, sono state scandite dalla mia voce; ma che poi, nella mia testa, hanno preso a rincorrersi incessantemente nel timbro di qualcun altro.
La sua voce… Lily.
Quant’è crudele nella sua apparente assurdità la mente umana, a volte…
Di tutte le domande con le quali avrei potuto facilmente mettere in difficoltà Potter, la mia mente ha scelto proprio quella che avrebbe annientato me. Ancora una volta, la prova che della rovina della mia vita siamo sempre stati responsabili io e il mio destino, in egual misura.
Ma è giunto il momento di provare a dare qualche risposta. Innanzitutto a quella fatale domanda… 
“Cosa ottengo se aggiungo della radice di asfodelo in polvere in un infuso di artemisia?”

Il Distillato di Morte Vivente.
Fin da ragazzo sono sempre stato molto dotato, ma per questa pozione in particolare sembravo avere una naturale predisposizione, assurda e inspiegabile. All’età in cui tanti altri studenti incontrano ancora difficoltà nelle preparazioni più semplici, io sono riuscito a studiare ed apportare miglioramenti ad essa, ad uno dei distillati più complessi.
Il professor Lumacorno era solito ripetere di non aver mai visto, in tanti anni di carriera, un Distillato di Morte Vivente così perfetto come il mio.
Cosa mi abbia spinto all’epoca a dedicarmi così scrupolosamente e morbosamente proprio a quella pozione, non avrei saputo definirlo con certezza. Era come una sorta di illogica, irresistibile attrazione.
Col trascorrere degli anni, tuttavia, la mia ipotesi dalle misteriose ed enigmatiche tinte di grigio, ha assunto sfumature sempre più nere. Non è semplice attrazione…
Credo di essere fatalmente legato a questa pozione, da un filo sottile, invisibile ma indissolubile.
Legato nell’essenza, nel significato.
Legato dentro, come se nel mio sangue e in quell’infido intruglio trasparente respirasse una sostanza simile.
No, non sono pazzo, sono sempre stato lucido e perspicace purtroppo. Lucido e attento a tutto, anche ai dettagli più astratti… 

La notte in cui il mio cuore, la mia voglia di futuro, la speranza morirono assieme a lei, Silente, dopo essere stato il macabro ambasciatore della notizia, fu anche colui che decise di non lasciarmi solo un istante, fino alla nascita del nuovo giorno. Come se poi qualche raggio di sole potesse fare la differenza nel buio sordo della mia anima.
Non sopportavo l’idea di mostrarmi ancora più debole agli occhi del Preside, così, in sua presenza, aprii il mio armadio delle scorte e tirai fuori morbosamente i primi ingredienti utili che mi capitarono sotto mano per preparare una qualsiasi pozione, e non pensare.
Radice di asfodelo e artemisia. Ancora una volta, quella strana attrazione in me…
In quel momento mi sembrò la pozione più giusta: complessa, dal procedimento lungo, inspiegabile ispiratrice di idee e spunti per tentare di perfezionarla ancora.
Senza perdere un istante, come divorato dalla più irresistibile delle smanie, mi affrettai a procurarmi tutto l’occorrente, compreso il libro con le istruzioni. Non perché mi servisse, ma nel caso in cui avessi avuto qualche modifica da appuntare.
Conquistai velocemente il mio tavolo da lavoro ma, in quel momento, lanciai un’occhiata più attenta al libro che avevo preso, accorgendomi che non era quello giusto. C’era una forte somiglianza tra i due volumi che, nello stato in cui mi trovavo quella notte, bastò a farmi cadere in errore.
Ancora oggi non so perché, invece di scambiare semplicemente i due tomi, mi soffermai sul titolo di quello sbagliato. Lettere dorate intarsiate nel cuoio…
Il linguaggio vittoriano dei fiori.
Ancora oggi non so perché, dopo aver letto quelle parole per me così insignificanti in quella notte, aprii il libro per trovarmi sotto gli occhi, per un’inquietante casualità, proprio i nomi di quei due fiori. Lettere d’ebano vergate su carta…
Artemisia e asfodelo.
Ancora oggi non so perché, dopo aver percepito che, in una notte come quella, la strana attrazione che provavo fin da ragazzo poteva trasformarsi in qualcosa di fatale, andai fino in fondo e lessi le definizioni sotto quei due nomi. Muto dolore marchiato sulle pagine…
L’artemisia è rimorso, amarezza; l’asfodelo, con i suoi petali, dice “il mio dispiacere ti segue fino alla tomba”.
 
Da allora, non ho mai più messo in dubbio che il Distillato di Morte Vivente fosse la mia firma: è l’emanazione del grido sordo che ho dentro; sono i miei più intimi e inconfessabili sentimenti insiti anche nella voce dei suoi due principali componenti.
E sarà poi un caso che la loro unione partorisca proprio il Distillato di Morte Vivente? Io credo proprio di no…
Morte Vivente è la mia vita, questo mio passivo trascinarmi attraverso giorni senza speranza, senza più luce.
Morte Vivente è la mia mente, mentre mi ripete che [i]io non morirò mai, perché ho un senso di colpa così grande che la tomba volerà via.
Morte Vivente è la mia lotta: la morte interiore che intossica la mia vita; la mia tenace, combattiva vita che caccia costantemente indietro la morte.
Per concedermi, almeno una volta nella mia esistenza, qualcosa che non sia doloroso, o sbagliato, o irraggiungibile; qualcosa per cui combattere con lealtà e fedeltà; qualcosa che assomigli ad un’autentica, seppur debole, luce che scintilla sul mio cammino… Basta poco per risplendere quando il fondo è nero.
Perché proprio il Distillato di Morte Vivente? Ora è chiara la risposta.
Per vendetta.
Per rimorso.
Per amore.
Sempre.
 
[i] Dal testo della canzone “Underman” di Rancore
 
 
 
 
 
Note dell’autrice:
Ciao a tutti! Eccomi con una nuova storia. Volevo fare qualche precisazione. L’interpretazione delle parole di Piton secondo il linguaggio vittoriano dei fiori è una curiosità reperibile sul web, che è stata per me il punto di partenza. Tutto ciò che ruota intorno questa linea guida è una mia personale interpretazione, e spero possa essere risultata coerente con la storia e con il personaggio di Piton.
Grazie per aver letto e recensite mi raccomando!
 
- Arisky-
 
 
   
 
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