Anime & Manga > Bungou Stray Dogs
Segui la storia  |       
Autore: Ode To Joy    18/04/2022    2 recensioni
[Dazai & Mori Centric]
[Spin-off di “Poems By A Ghost”]
Dazai non aveva la minima idea di chi fosse Mori Ougai, ma non vi era alcun timore nel modo sfacciato in cui lo scrutava. Starnutì.
Nel silenzio assoluto della stanza, suonò come un colpo di pistola. Mori saltò come una molla e la lametta gli tagliò la pelle. Poche gocce di sangue caddero nel lavandino, andando a mischiarsi a quelle che rimanevano del vecchio Boss.
Brutto presagio.
“Oh, ti sei distratto,” commentò Dazai, con voce incolore. “Ma dalle cicatrici che hai sulla schiena, sei abituato a essere colpito alle spalle.”

[…]
Un passo indietro, all’inizio della storia, ai giorni in cui Mori muoveva i suoi primi passi come Boss e Dazai cominciava la sua educazione per divenire il più giovane dei cinque Dirigenti.
La nascita della Port Mafia come Yokohama la conosce oggi.
[Trans!Dazai] [Accenni Fukumori]
Genere: Drammatico, Introspettivo, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Kouyou Ozaki, Nuovo personaggio, Osamu Dazai, Ougai Mori, Ougai Mori, Ryurou Hirotsu
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'These Brand New Pages'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

VI

 

La lettera che cambiò tutto arrivò una settimana dopo il tentato suicidio di Dazai.

Con la promozione a Dirigente del Colonnello e gli agganci con la milizia che aveva portato con sé, Mori aveva potuto tirare il primo vero sospiro di sollievo da quando era salito in carica. Disgraziatamente, il Governo era stato derubato di un gran quantitativo di armi appena la settimana prima, compreso qualche mezzo blindato coinvolto nel blitz mandato avanti dai mafiosi. Lo stesso giorno, altri due colpi simili erano avvenuti in due luoghi della città distanti gli uni dagli altri, disperdendo le risorse umane della Polizia Militare al punto da rendere completamente inutile il loro intervento. 

La Port Mafia non era più disarmata, ma le sue casse erano ancora povere.

“C’è poco da piangere povertà, quando riesci a pagarci tutti e fare un bilancio,” commentò Kouyou, afferrando per la prima volta la sua tazza di tè. 

Hirotsu lo aveva appena fatto fare appositamente per loro. Mori avrebbe preferito un termos di caffè - se possibile, corretto abbondantemente - ma le carte sotto i suoi occhi gli chiudevano lo stomaco. “Non basta portare i conti a parità in organizzazioni come questa, mia cara,” spiegò, senza guardarla. “Siamo la Port Mafia. Il nostro guadagno deve essere cento volte le nostre uscite.”

“Allora rapina le banche.” Kouyou non era davvero seria.

“Ho cominciato con le rapine a mano armata,” ricordò Hirotsu, in piedi accanto alla scrivania, con un sorriso nostalgico sul volto. “Nemmeno riuscivo a farmi crescere i baffi al tempo.”

“Ma pensa un po’...” Mori sollevò lo sguardo per controllare che il ragazzino entrato nell’ufficio con lui fosse ancora lì, sul divano, dove lo aveva lasciato. Di Dazai riusciva a vedere solo il profilo - corrugato in un’espressione annoiata, ovviamente - aveva un cuscino sotto la testa, le mani strette sul libro sospeso sopra il suo viso.

Kouyou diede una veloce sbirciata alla scena alle sue spalle. “Che gli stai facendo leggere?”

“Perché deve essere così scontato che sia io a imporgli qualcosa?” Domandò il Boss.

La giovane gli lanciò un’occhiataccia.

“Thomas Schelling[1],” disse Hirotsu. “Il signorino se n’è lamentato entrando nell’ufficio.”

“Per l’ennesima volta, non è un signorino,” gli ricordò Mori.

“Non lo conosco,” ammise Kouyou.

“Economista, nulla che tocchi le tue corde. Ma ha avuto molto da dire nel campo della strategia.”

“Ah, ecco cosa fai!” Kouyou gli rivolse un sorriso eloquente. “Addestri.”

Mori scrollò le spalle. “E dove sarebbe la novità? Ho sempre voluto che Dazai fosse parte integrante della Port Mafia. Non è ancora pronto per ricoprire un ruolo, ma ci sto lavorando. Piuttosto, mia cara-“

“No.”

“Non ho neanche detto qualcosa, Kouyou.”

“Non sarò una tua Dirigente.”

“Che noia!” Esclamò Dazai, saltando a sedere. “Questo sarebbe un genio? Scrive solo cose scontate!”

“Dazai!” Lo richiamò Mori. “Leggi in silenzio.”

Il quattordicenne borbottò qualcosa, poi riadagiò la testa sul cuscino e tornò ai suoi studi.

Sia Kouyou che Hirotsu ne furono impressionati, ma solo la prima ebbe l’ardire di dirlo ad alta voce. “Hai imparato a prenderlo, vedo.”

Mori lasciò andare un sospiro frustrato. “Sono solo fortunato che non gli passi per la testa qualcosa di meglio da fare o non abbia voglia di farlo. Se così non fosse, non riuscirei mai a tenerlo qui.”

“Boss, mi deve perdonare,” disse Hirotsu, di colpo, con la voce di chi ha commesso un gravissimo errore, poi estrasse una lettera dalla tasca interna della giacca. “Mi sono permesso di controllarla per assicurarmi che non fosse velenosa al tocco o contenesse esplosivo.” La fece scivolare sulla scrivania sotto gli occhi del giovane Boss. “Viene dall’Europa.”

Non appena venne nominato l’antico continente, la mano di Mori rimase sospesa a mezz’aria, incerta. Curiosa, Kouyou si sporse per dare un’occhiata alla missiva: era chiusa da un sigillo rosso di ceralacca, come si soleva fare in epoche passate. 

“Che significa RS?” Domandò. Erano le sole lettere che riusciva a leggere con chiarezza.

Royal Society” disse Mori, con aria grave, ancora indeciso se prendere tra le mani quel pezzo di carta o meno.

“Che cos’è? Sembra interessante!” Nessuno aveva udito Dazai avvicinarsi. Lo videro solo sporgersi sulla scrivania con nessuna grazia - Kouyou per poco non sì rovesciò il tè addosso - e prendere la lettera come se non fosse altro che carta straccia. “In che secolo l’hanno scritta?” Domandò, sarcastico.

Mori tese il braccio verso il ragazzino. “Dammela…”

“E chi sarebbe questo Lord-“

“Dammela, ho detto!” Il Boss si alzò in piedi. Non urlò, ma il suo tono imperativo non lasciava spazio a un no come risposta. Quello però era Dazai e Dazai era impossibile da prevedere.

Il quattordicenne sporse le labbra, come un bambino capriccioso e fece come gli era stato ordinato. Strascicò i piedi fino al divano e tornò a stendersi ma non riprese a leggere. Mori se ne accorse: aveva finito con la teoria, ora sarebbe stato attento a tutto quello che diceva e, una volta tornato a casa, lo avrebbe sommerso di domande.

“Mori…” Kouyou allungò la mano per toccargli il braccio in un gesto di affetto.

Il Boss della Port Mafia era turbato e si vedeva.

“È qualcuno che avrebbe preferito cancellare, Boss?” Domandò Hirotsu, adducendo alla lettera.

Giusto, pensò Mori, era stato il veterano a dargliela.

“Come l’hai avuta?” Domandò, calmo. Il leader della Black Lezard non poteva essere accusato di nulla. 

“Mi ha avvicinato un uomo più o meno della sua età,” raccontò l’uomo col monocolo. “Stavo prendendo un drink al P.Pub del porto, come la maggior parte delle sere. Mi ha avvicinato al bancone e mi ha parlato, come se mi conoscesse.”

Mori ingoiò a vuoto.

“L’ho minacciato… Con discrezione, s’intende. Alla fine, mi ha consegnato questa lettera. Per Rintarou, ha detto.”

La temperatura nella stanza calò improvvisamente. Kouyou non allontanò la mano dal braccio di Mori, ma non fu in grado di dire niente.

“Potresti descrivermelo?” Domandò il Boss.

“Aveva un cappotto color cammello. Pioveva quella notte e aveva tutti i capelli appiccicati sul viso, difficile dire se fossero chiari o scuri.”

“Uno, nessuno, centomila….” Mormorò Mori, sarcastico. Aveva letto un libro di un autore italiano con quel titolo.

Non rimase a rifletterci oltre: prese la lettera e la infilò nella tasca interna del cappotto, dove ancora nascondeva i documenti sottratti alla cassetta rossa. Avrebbe pensato a tutto più tardi.

“Continuiamo col programma della giornata.”

L’occhiata esasperata di Dazai lo raggiunse dal lato opposto della stanza.




 

Mori era seduto sul pavimento del magazzino, intento a sistemare gli scaffali più bassi, quando Dazai lanciò il suo attacco. Per una volta, il Boss lo sentì camminare lungo il corridoio, prima di vederlo comparire sulla porta con la coda dell’occhio.

“L’hai aperta?” Domandò, diretto. 

Mori gli lanciò un’occhiata veloce: si era messo degli abiti più comodi, adatti per la notte. Notò che era scalzo e fece una smorfia. “Non andare in giro in calzini, che dopo si anneriscono e non tornano più.”

“Disse l’uomo che legge ancora le istruzioni per far partire la lavatrice,” ribatté Dazai.

Mori gelò e gli lanciò un’occhiata sospetta. “Non hai mai messo piede nella lavanderia. Non credo nemmeno che tu sappia dov’è.”

“Dietro la cucina,” rispose Dazai, secco. “E, sì, ci sono stato. Tu non mi hai visto, ma io ho visto te… Con il libro delle istruzioni in mano.”

“So cucire!” Esclamò Mori, prima che il ragazzino dicesse chiaro e tondo che era incapace di fare qualsiasi cosa. “Cucire fa parte del mio lavoro. Io ricucio le persone. E sai una cosa? Vale lo stesso principio per la stoffa, è solo più rilassante.”

Dazai appoggiò la spalla all’architrave della porta. “Saper attaccare un bottone non vuol dire saper cucire.”

“Tu lo sai fare?” Lo sfidò il Boss.

Dazai strinse le labbra e non rispose.

“Bene!” Esclamò Mori, vittorioso, tornando a fare quello che stava facendo. “Ho trovato un’altra cosa da farti fare: cucire!”

“Sì, mettimi su una sedia a dondolo, con dei ferri da maglia e un gomitolo. Ne tirerò fuori un cappio!” Rispose Dazai a tono, ma l’uomo aveva smesso di dargli corda. “Quando leggerai quella lettera?”

Mori sbuffò. “Dazai, è stata una lunga giornata-“

“Sei stato seduto tutto il tempo.”

“Si può lavorare anche di testa, lo sai?”

“Bene!” Senza essere invitato, Dazai si accomodò sul pavimento a gambe incrociate, accanto a lui. Una volta accomodatosi, tirò fuori dalla tasca della felpa l’infame lettera dal sigillo rosso e l’appoggiò sul pavimento. “Lavora di testa ancora per dieci minuti e leggi questa lettera,” concluse con un sorrisetto entusiasta, come se stesse per ricevere un regalo a lungo atteso.

Mori guardò la missiva orripilato. “Hai messo le mani nelle tasche del mio cappotto?”

Dazai contrasse il viso in una smorfia annoiata. “Sapevi benissimo che lo avrei fatto!” Esclamò. “Ce l’hai lasciata a posta!”

“Era una prova di fiducia!”

“Perfetto, bocciami!” A Dazai non poteva importare di meno delle lezioni che il Boss della Port Mafia gli impartiva: non doveva rendere orgoglioso nessuno. “Anzi, non è una vera bocciatura. Avrei potuto aprire la lettera e leggerla da me, ma non l’ho fatto. Quindi, ho fallito la prova solo a metà.”

Mori prese la missiva tra le mani e la guardò con attenzione, come se la prima volta non fosse bastata.

“Lord Byron…” Mormorò Dazai. “Non è quello del taccuino delle poesie d’amore. Lui è Johann G. Le iniziali non corrispondono.”

“No, non sono decisamente la stessa persona,” confermò Mori.

Dazai studiò il suo viso. “Non ti è simpatico.”

Il Boss ricambiò lo sguardo. “Come fai a dirlo?”

“Ti si legge in faccia,” rispose il quattordicenne. “Il che è strano. Di solito, non è facile capire quello che pensi solo guardandoti.”

Mori scrollò le spalle. “Siamo solo io e te.”

Dazai aggrottò la fronte. “È un modo per dire che con me non devi fingere?”

Il Boss della Port Mafia non gli rispose. Stracciò il sigillo rosso d’impeto, perché se ci avesse pensato troppo, avrebbe strappato quella lettera in mille pezzi.

Dazai drizzò la schiena con entusiasmo. Cercò di sporgersi per leggere a sua volta, ma l’uomo gli lanciò un’occhiata che gli impose di restare al suo posto.

Passarono cinque minuti buoni, in cui gli occhi di Mori si mossero da sinistra a destra, leggendo in silenzio le parole scritte a mano. In quel breve lasso di tempo, Dazai pensò che dovesse essere una cosa molto personale: perché mai qualcuno avrebbe dovuto scrivere una missiva a mano, altrimenti?

Quando ebbe finito, Mori ripiegò la lettera alla male e peggio e la infilò nella tasca sul retro dei pantaloni. Tornò a impilare scatole contenenti materiale medico, mentre Dazai se ne restò lì, immobile, ad aspettare qualcosa che non arrivò.

“Chi sarebbe questo Lord Byron?” Domandò, per intavolare la conversazione e spezzare il silenzio.

“È un nobile inglese,” rispose Mori, come se fosse una cosa senza importanza. “La sua famiglia è da sempre legata alla Torre dell’Orologio di Londra.” Si fermò e guardò il ragazzino. “Sai di cosa si tratta?” 

Dazai scosse la testa.

“Definiamoli i servizi segreti inglesi, ma più segreti. Inoltre, è un’organizzazione quasi unicamente composta da possessori di abilità.”

Il quattordicenne memorizzò tutte quelle informazioni alla svelta. “Questo significa che Lord Byron possiede una-“

“No,” lo interruppe Mori. “Unico figlio di una famiglia di dotati a non possedere alcuna abilità. Si è circondato di persone come noi per tutta la vita. Non lo so, penso volesse portarsi il più vicino possibile a qualcosa che non poteva avere. Essendo parte della Royal Society, nessuno poteva mettere in discussione il suo ruolo all’interno del Governo inglese, fino a che la sua condotta scandalosa non ha dato alla Torre dell’Orologio un buon motivo per buttarlo fuori.”

Dazai non ebbe bisogno di conoscere il contenuto di quella lettera per sapere di cosa si trattava. “È un emarginato alla ricerca di un posto.”

Mori sistemò l’ultima scatola rimasta fuori posto e rivolse al quattordicenne un sorrisetto soddisfatto. “Visto? Non c’era bisogno di leggere la lettera.”

Questo non bastò a cancellare la delusione dal viso del ragazzino. Mori fu svelto a trovare qualcosa che potesse fargli tornare il buon umore. “Domani vuoi lavorare con me?” Propose. “Nessun libro noioso. Solo io, te e la pratica direttamente sul campo.”

Dazai non mostrò alcun entusiasmo, ma all’uomo bastò la scrollata di spalle che seguì la sua proposta. Non è quello che voglio, diceva. Ma meglio di niente.

Più passava il tempo, più Mori riusciva a intravvedere qualcosa tra le ombre che circondavano quel ragazzino. “Vai a dormire,” disse. “È tardi.”

Forse, un giorno, sarebbero riusciti a guardarsi in faccia, senza maschere.




 

Seduto al lato del passeggero, Dazai sbuffava da almeno un quarto d’ora. Erano finiti bloccati nel traffico non appena si erano immessi sulla strada principale e stavano impiegando un’eternità per arrivare a una meta che, di solito, distava a mezz’ora di viaggio in auto. 

Come se non bastasse, Mori non faceva che passare da una stazione radio all’altra per ascoltare le ultime notizie, come se ogni canale non parlasse degli stessi identici fatti ma con parole diverse.

“Te l'avevo detto che se fossimo usciti dopo le otto, sarebbe finita così,” si lamentò Dazai ad alta voce, dato che l’uomo stava deliberatamente ignorando il modo in cui si agitava sul suo posto.

“Quando prenderai la patente, avrai potere decisionale,” ribatté Mori, premendo i tasti di controllo sul volante per passare alla stazione successiva.

“Questa mattina, le strade principali di Yokohama appaiono più congestionate della norma a causa di alcuni cantieri e conseguenti deviazioni-“

“Ci serve la radio per saperlo?” Dazai indicò la distesa di auto di fronte a sé. “Guarda, stiamo vivendo le notizie in diretta!”

Mori non lo ascoltava. “E tutti questi cantieri sono spuntati nel giro di una notte?” Borbottò tra sé e sé. Troppo occupato a lamentarsi, Dazai non lo ascoltò nemmeno.

Mori prese a tamburellare le dita sul volante nervosamente. Il grattacielo principale della Port Mafia era a portata d’occhio. Se avesse potuto mollare l’auto lì, in mezzo alla strada, lui e Dazai sarebbero giunti a destinazione in una camminata di dieci minuti. Fosse dipeso dal quattordicenne, lo avrebbero fatto senza pensarci due volte. Mori era dotato di più senso civico, ma qualcosa di quella situazione continuava a disturbarlo. Non nello stesso modo di Dazai. 

I notiziari parlavano d’incidenti, altri di cantieri. Il caos si era scatenato in meno di un’ora - Mori aveva controllato il percorso più breve su Google Maps, durante la colazione, e la situazione non gli era parsa così disperata - quasi che qualcuno avesse fatto coincidere una serie d’imprevisti per bloccarli dove erano. 

Dallo specchietto retrovisore, il lampeggiare di una freccia attirò la sua attenzione. L’auto nera dietro di loro impiegò cinque minuti buoni a cambiare corsia e ce ne mise la metà per affiancarli. La gente bloccata nel traffico non tendeva a dare prova di spiccata intelligenza, ma quella manovra non aveva alcun senso: nessuno su quella strada stava andando da nessuna parte. Mori osservò l’auto nera superarli e cambiare corsia una seconda volta, per tagliare loro la strada. Guardò di nuovo nello specchietto retrovisore e trovò un veicolo identico dietro di loro, troppo vicino perché non fosse sospetto. 

I vetri oscurati impedivano al Boss della Port Mafia di vedere all’interno della vettura. Non aveva importanza: nella sua testa era già scattato un allarme rosso che urlava fuga.

“Perché non ci siamo fatti venire a prendere dal tipo col monocolo?“ Dazai continuava a parlare. “Pensi che metterti al volante di un’auto basti a renderti un adulto funzionale?”

Mori non aveva tempo di dar credito a quelle provocazioni, gli occhi scuri fissi sullo specchietto retrovisore. Due uomini in completo nero e con gli occhiali da sole scesero dall’auto. Imbracciavano delle armi.

La mano di Mori lasciò il volante e scattò a slacciare la cintura di Dazai. Il quattordicenne smise di parlare.

“Stai giù!” Ordinò il Boss della Port Mafia.

La loro auto venne crivellata di colpi. 



 

Al trentesimo piano del grattacielo principale del quartier generale, Hirotsu assistette alla scena quasi per caso. L’inconfondibile rumore di spari lo raggiunse, mentre camminava lungo il corridoio. Da quella distanza non poteva riconoscere l’auto del Boss, ma vide la folla di civili che abbandonava le proprie auto per allontanarsi dal luogo dello scontro.

Solo un ristretto gruppo di persone non si muoveva. Da quell’altezza erano come macchie scure e circondavano una singola vettura.

Fu l’istinto a spingere Hirotsu ad agire. Si portò immediatamente il cellulare all’orecchio. “Mandate una squadra armata sulla strada principale, a circa un chilometro da qui in direzione della periferia!” Ordinò, correndo verso l’ascensore.

I suoi uomini sarebbero arrivati prima di lui, ma li avrebbe raggiunti in fretta.

“Massima priorità!” Esclamò nel ricevitore. “Sospetto attentato alla vita del Boss. Ripeto: sospetto attentato alla vita del-“

Un bagliore viola oscurò il sole stesso, provocando un’onda d’urto che fece tremare la terra di mezza Yokohama. Hirotsu dovette sorreggersi alla vetrata per restare in piedi.

Una volta che gli occhi tornarono a vedere con chiarezza, Hirotsu cercò la vettura sotto attacco. Anche se l’evento aveva avuto tutto l’aspetto di un’esplosione, la strada era intatta, ma molte macchine erano volate via: alcune erano schiacciate contro il guard rail, altre avevano colpito i palazzi più vicini.  

Degli uomini che circondavano l’auto presa d’assedio non era rimasto nulla di riconoscibile. Anche da quell’altezza, Hirotsu riuscì a vedere la terribile quantità di sangue che bagnava l’asfalto. 

L’auto presa d’assalto era ancora sul posto.

Il veterano ebbe appena il tempo di vedere qualcuno salire al volante in tutta fretta, poi il veicolo partì. Approfittando dello spazio creato dall’onda d’urto di poco prima, imboccò la prima uscita disponibile e scomparve tra le vie secondarie della città.

Hirotsu lasciò andare un sospiro.

“Attacco cessato,” disse nel ricevitore del cellulare. “Procedere con cautela.”

Decise di credere che Mori stesse bene e che, una volta trovato un rifugio sicuro, lo avrebbe chiamato.




 

Quando Mori gli slacciò la cintura e gli urlò di stare giù, Dazai fece la cosa peggiore che avrebbe potuto fare: si sporse oltre lo schienale del sedile per voltarsi a guardare dietro. La prima pallottola passò a pochi millimetri dalla sua testa, colpendolo di striscio al viso.

Il dolore improvviso lo spinse a raggomitolarsi su se stesso, mentre una pioggia di proiettili si abbatteva senza pietà sull’auto. Nella confusione, Dazai scivolò nello spazio tra il sedile e il cruscotto e fu allora che cercò Mori, ma non lo trovò al posto guida. Lo sportello dalla sua parte era aperto e di lui non c’era traccia.

Lo aveva lasciato lì, in mezzo al fuoco nemico ed era fuggito per salvare la pelle.

Dazai non ne fu sorpreso, tanto meno deluso.

Lasciò andare un sospiro annoiato, poi appoggiò la guancia alla seduta rivestita di pelle e, con un mezzo sorriso sulle labbra, accettò che era finalmente arrivata la sua ora.

Di colpo, fuori dallo sportello aperto, i grattacieli e quella misera porzione di cielo visibile sparirono e Dazai dovette chiudere gli occhi a causa del bagliore di luce viola che circondò la vettura. La terra tremò violentemente, tanto che Dazai si aspettò di vederla aprirsi sotto i suoi piedi per inghiottirlo.

Non accadde.

Al caos totale seguì il più totale silenzio.

Dazai non si mosse da dove era: il battito del suo stesso cuore gli riecheggiava fastidiosamente in fondo alle orecchie.

Solo quando sentì qualcuno entrare in macchina e chiudere lo sportello dal lato dell’autista, il quattordicenne aprì gli occhi scuri.

Mori era lì, di fronte a lui, non era andato da nessuna parte. Dal suo naso colava una quantità di sangue abbastanza abbondante d’arrivargli al mento, ma non sembrava che qualcuno lo avesse colpito.

Gli lanciò un’occhiata, come per assicurarsi che fosse vivo. “Resta giù, ma tieniti forte,” ordinò.

L’auto ripartì a velocità sostenuta e Dazai rimase dov’era, senza lamentarsi.

Quando Mori imboccò l’uscita per continuare sulle strade secondarie, afferrò il cambio e il quattordicenne notò la macchia di sangue che bagnava la camicia sotto la giacca. Come ipnotizzato, Dazai la vide espandersi sulla stoffa lentamente, mentre il Boss della Port Mafia continuava a guidare, imperterrito.

Fuori dal finestrino, i grattacieli vennero sostituiti dagli edifici più bassi di un quartiere residenziale, poi dagli alberi.

Non appena Mori parcheggiò l’auto, si lasciò andare contro lo schienale del sedile e prese tre respiri profondi, gli occhi persi nel vuoto. Tornò in sé in fretta, si passò la manica del cappotto sotto il naso per ripulirsi del sangue e scese dall’auto, reggendosi il fianco ferito. 

Dazai non aspettò istruzioni: lo seguì, le gambe molli. L’auto era ricoperta di fori, il lunotto posteriore e i finestrini non esistevano più, ma gli uomini che li avevano presi d’assalto non avevano pensato a far fuori il motore, prima di pensare a loro. Se erano riusciti a fuggire, era stato solo per quella distrazione.

No, non era corretto: una luce violacea aveva oscurato ogni cosa, compreso il sole. 

Qualcuno aveva usato un’abilità, Dazai ne era certo.

Qualcuno…

Il bagagliaio che si apriva attirò l’attenzione del quattordicenne. Si avvicinò e trovò Mori piegato su se stesso, una mano appoggiata all’auto e l’altra stretta sul fianco ferito. “Dazai, la valigetta,” lo istruì.

Al ragazzino bastò dare un’occhiata nel baule per capire a cosa l’uomo si riferiva. L’afferrò per il manico e quando la sollevò, la trovò più pesante di quel che credeva. Mori non si preoccupò di chiedergli se ce la faceva: lui di sicuro non poteva essergli di alcun aiuto. “Seguimi…”

Dazai si guardò intorno ma la strada non era a portata di occhio e intorno a loro c’erano solo alberi. Non si azzardò a chiedere dove si trovavano e qual’era la loro destinazione: era certo che se avesse costretto Mori a parlare, si sarebbe trovato disperso nei boschi fuori Yokohama, con il Boss della Port Mafia privo di sensi sull’erba.

Camminarono più di mezz’ora, tanto che Dazai cominciò a soffrire un poco il peso della valigetta. Ci tiene dentro gli organi di scorta? Si domandò tra sé e sé, ma non si azzardò a dire una parola. 

Di tanto in tanto, Mori appoggiava il braccio a un albero, chinava la testa e riprendeva fiato. Proprio quando Dazai cominciò a dubitare che l’uomo sarebbe arrivato sulle sue gambe ovunque lo stesse conducendo, cominciò a intravedere un edificio tra gli alberi.

Era una villa e sembrava disabitata da tempo, ma non in rovina.

“Dazai, non ti fermare,” disse Mori, arrivando a fatica sotto il portico. “Non dobbiamo rimanere allo scoperto.”




 

L’orologio a pendolo al centro della grande sala era fermo, le lancette segnavano un’ora che nemmeno si avvicinava a quella reale ed il vetro era ricoperto da uno spesso strato di polvere. Dazai dedusse che doveva essere uno di quelli vecchio stile, che andavano caricati regolarmente. Quell’oggetto, come tutta la casa, sembrava essere spuntato fuori dalle pagine di un libro ambientato in Europa, all’inizio dello scorso secolo. 

Alla fine, Dazai decise di porre fine al suo silenzio: “che posto è questo?”

Mori si trascinò attraverso la sala, scomparendo dietro una doppia porta a vetri. Il quattordicenne lo seguì, trascinandosi dietro la pesante valigetta. La stanza adiacente era un grande salotto con dei mobili anticati - o forse erano pezzi originali provenienti dal vecchio continente, difficile dirlo con tutta quella polvere. 

Emettendo un lamento, Mori si lasciò cadere su uno dei divani. “Dazai, porta qui la valigetta.”

Il ragazzino ubbidì. Appena fu a portata di mano, l’uomo gli afferrò il mento per costringerlo a guardarlo negli occhi. “Hai altre ferite?” Domandò, affaticato.

Dazai si era completamente dimenticato del taglio sulla guancia. Scosse la testa.

“Bene, cerca qui dentro il contenitore degli aghi chirurgici e il filo di sutura.”

Dazai fece quanto indicato, ma non riuscì a trattenere la domanda che aveva in punta di lingua. “E se hai un organo perforato?”

Mori rise, poi il suono si trasformò in un lamento. “Non farti ingannare dalla quantità di sangue. È abbastanza superficiale, ma servono dei punti di sutura. Anzi, cerca il disinfettante… Non sarà divertente, ma va fatto.”

Dazai appoggiò sul divano, accanto al medico, tutti gli oggetti richiesti. A quel punto, un dubbio sorse spontaneo: “come fai a suturare una ferita così e in quel punto da solo?”

Altro sangue uscì dal naso di Mori, che usò di nuovo la manica del cappotto per tamponare l'emorragia. Quando riadagiò il braccio lungo il fianco, rivolse al quattordicenne un sorrisetto molto eloquente.

Dazai ricevette il messaggio e la sua espressione divenne un mix di terrore e disgusto.

“No…” Disse implorante, scuotendo appena la testa.

“Ti avevo detto che ti avrei insegnato a cucire,” disse Mori, serafico.




 

Non fu una cosa veloce.

Mori se ne pentì a metà dell’opera e Dazai lo maledì per tutto il processo. 

Alla fine, contro ogni aspettativa del medico, il ragazzino fece un lavoro per niente male. “Non si richiuderà a dovere,” commentò, con aria drammatica. “Mi resterà una brutta cicatrice e sarà tutta colpa tua, Dazai.”

Il ragazzino se ne stava con le mani sporche di sangue sospese in aria, come se a ricoprirle fosse sterco. 

“E non essere così rancoroso,” aggiunse il medico, finendo di stringere la fasciatura intorno all’addome. “Devi imparare.”

Dazai inarcò le sopracciglia. “Vuoi fare di me un medico, ora?”

“No, voglio renderti in grado di trattare una ferita di media gravità, che non richiede un’operazione.”

“Io tendo a farmi del male. La guarigione non è una parte che m’interessa.”

“Il tuo scopo è morire, non farti del male,” ribatté Mori. “Anche se, nei fatti, finisci sempre per ottenere quest’ultima cosa… Eppure, odi il dolore!” Era quasi ironico da dire. “Ti sei punto due volte con l’ago e hai piantato una lagna, neanche ti fossi amputato un dito.”

“Lo sai che odio il dolore, non c’è bisogno di sottolinearlo.”

“Uhm, a nessuno piace il dolore, esclusa una certa categoria di persone, io ti definirei più…” Mori fece finta di pensare. “Assurdamente lagnoso.

Dazai era definitivamente arrabbiato con lui. Non era una novità: sembrava che lo scopo di ogni sua giornata fosse trovare una scusa per esserlo. Quella mattina, era toccato al traffico. Ora, al fatto che si fosse punto per suturargli una ferita. E la giornata era ancora lunga.

“Ti sei spaventato?” Domandò Mori.

“La pianti di pormi sempre questa domanda!”

“Tu la conosci l’oscurità,” disse il Boss della Port Mafia con voce affaticata. “Tu la conosci eccome, altrimenti non avresti retto neanche la metà degli eventi degli ultimi mesi.”

Dazai inarcò le sopracciglia. “La perdita di sangue è grave e stai delirando, vero?”

“La mia domanda è,” Mori gli prese il mento tra le dita una seconda volta. “Piuttosto che guardare in faccia l’oscurità senza lasciare che questa ti spezzi, sei disposto a divenirne parte tu stesso?”

Dazai fece un passo indietro e la mano di Mori ricadde sul divano. “Sì,” concluse. “Stai delirando.”

Il medico prese un respiro profondo. “Torna verso le scale,” disse. “Troverai un corridoio nella direzione opposta a quella che abbiamo preso. Il bagno è in fondo.”

Dazai fu molto felice di alzarsi e andarsene. In attesa che tornasse, Mori cercò nella valigetta il flacone degli antidolorifici e quello degli antibiotici. Ingoiò un paio di pastiglie a bocca asciutta, poi recuperò il cappotto nero e se lo mise sulle spalle nude. Tutto il suo corpo gli urlava di chiudere gli occhi e perdere i sensi, ma lasciare da solo Dazai non era un’opzione da considerare.

Il quattordicenne ci mise un’eternità a tornare. 

“Dov’eri finito?” Domandò Mori.

“Mi sono perso,” si lagnò Dazai, lasciandosi cadere sullo stesso divano del Boss. 

A dividerli vi era solo la valigetta aperta.

Per un po’ non si dissero niente. Anzi, Mori si accorse che anche il più giovane faceva fatica a tenere gli occhi aperti. L’adrenalina stava calando ad entrambi, lasciando i loro corpi stanchi e intorpiditi. Ai tempi della guerra, Mori si era ritrovato spesso a vivere parentesi di calma apparente come quella, subito dopo un episodio di puro caos.

“Sei stato tu?” Domandò Dazai, di colpo.

Mori lo stava già guardando, ma il ragazzino non allontanò gli occhi dal vecchio orologio a pendolo nel grande salone.

“Che cosa hai visto?” Domandò il Boss della Port Mafia.

“Una luce viola, molto forte,” rispose Dazai. “Ho creduto fosse un’esplosione, ma non è esploso nulla.” Spostò gli occhi scuri sul viso dell’uomo. “Quella è la tua vera abilità?”

Mori non aveva motivo di mentire. “Una parte,” rispose. “Quella più distruttiva, che ho più difficoltà a controllare.” S’indicò il naso, che aveva appena smesso di perdere sangue.

Dazai parve più confuso di prima. “Elise è una parte della tua abilità. Un’altra parte è riuscita a modificare la natura del tuo corpo, quando avevi la mia età. Adesso salta fuori che una terza parte fa tremare la terra?”

“La terra che trema è solo una conseguenza.”

“E qual è il vero effetto?”

Fu il turno di Mori di fissare l’orologio a pendolo fermo. “Un bagno di sangue,” rispose.

Dazai sapeva che se avesse chiesto altro, non avrebbe ottenuto risposta. Nel silenzio di quella villa dispersa nel nulla, le sue palpebre si fecero sempre più pesanti. Alla fine, si addormentò.




 

Dazai riaprì gli occhi al calar del sole, svegliato dalla voce di Mori che parlava con qualcuno.

“Per un po’ resteremo qui,” diceva il Boss. “Fai sorvegliare la clinica. Dobbiamo catturare uno di loro e farlo confessare. Non credo fosse un’organizzazione nemica. È stato un colpo della Port Mafia alla Port Mafia.”

Senza bisogno di alzarsi dal divano, Dazai seppe che stava parlando con l’uomo con il monocolo. 

“Avete un sospetto, Boss?” Domandò Hirotsu.

“Sì, uno…” Rispose Mori, col tono di chi ammette qualcosa controvoglia. “Che si fa in questi casi?”

Dazai venne preso di sorpresa da una domanda del genere: era la prima volta che sentiva Mori ammettere di non sapere come agire.

“Secondo il protocollo di sicurezza, il Boss dovrebbe risiedere nella camera blindata del quartier generale e restare lì, fino alla chiusura dei conti,” rispose Hirotsu.

“Non mi sento al sicuro al quartier generale,” disse Mori. “Figurarsi se mi vado a rinchiudere con Dazai in una trappola per topi, quando i nostri nemici potrebbero trovarsi tra le nostre mura. Sicuro che nessuno ti abbia seguito, Hirotsu?”

“Avete la mia parola, Boss. Tuttavia, non posso fare a meno di trovare questa sua idea di rimanere qui, da solo, decisamente poco cauta.”

Mori ridacchiò. “Ma non sarò da solo!” Esclamò, divertito. “Potrò sempre contare sull’allegra e vivace compagnia del nostro Dazai!”

Dazai non era solito lasciarsi andare a gesti o parole volgari, ma se non fosse stato tanto pigro da trovare l’idea di sollevarsi da quel divano inammissibile, sarebbe volentieri comparso sulla scena solo per mostrare a Mori il dito medio.

“Mi permetta di restare,” insistette Hirotsu. “Questa casa è isolata, non ha mezzi di sicurezza e-“

“Qui mi sento al sicuro,” insistette Mori. “E la tua assenza desterebbe troppi sospetti. Mi fido di te. In questo momento, solo tu e Kouyou avete la mia totale fiducia all’interno della Port Mafia. Catturate uno di quei traditori e fategli sputare col sangue il nome del mandante dietro questo tentativo di omicidio.”

Dazai non aveva bisogno di vedere per sapere che Hirotsu aveva piegato la testa in segno di rispetto. “Boss…” Si congedò.

Il quattordicenne udì una serie di passi che si allontanavano, seguita da altri che si avvicinavano. Di colpo, il lampadario sul soffitto del salone s’illuminò e Dazai dovette coprirsi gli occhi per non rimanere abbagliato.

“Oh, sei sveglio!” Esclamò Mori. Era allegro, solo l’inferno sapeva perché.

Dazai riaprì gli occhi in tempo per vedere l’uomo lasciar cadere un paio di borsoni a terra. 

“Mettiti qualcosa di comodo,” gli consigliò. “Abbiamo del cibo. Accendiamo il fuoco nel camino e facciamo una sorta di camping. Dopo cena, ti faccio vedere la camera da letto.”

Dazai rimase disteso, il viso una maschera di malumore.

Mori sorrise, godendosi in anticipo una vittoria di cui sapeva solo lui. “Abbiamo anche il granchio in scatola,” annunciò.

Come se fosse un pupazzo a molla, Dazai saltò a sedere e gli occhi scuri brillarono di qualcosa che assomigliava molto alla felicità.




 

“Non mi hai ancora detto che cos’è questo posto,” disse Dazai, seduto sul tappeto di fronte al caminetto acceso. Vicino ai suoi piedi aveva tre scatolette di granchio vuote e una lattina rossa di Coca-Cola.

Comodo sul divano, Mori scrollò le spalle. “È un posto sicuro.”

“Lo hai già detto, ma perché ne sei tanto convinto?”

Il Boss si stiracchiò, sistemandosi contro lo schienale in modo che la ferita non gli facesse male. “Anni fa, avevo una guardia del corpo,” butto lì, indeciso se scendere nei dettagli o meno.

Dazai sbatté le palpebre un paio di volte. “E che facevi per avere una guardia del corpo?” Domandò. “Siedi sulla poltrona più potente di Yokohama e viviamo in una clinica che non ha nemmeno il portone blindato.”

“Facevo quello che faccio ora,” rispose Mori, poi si corresse: “quello che facevo, prima di sedere sulla poltrona di cui parli.”

“Il medico della malavita?”

“Già… Ero l’unico a fare il mio mestiere nelle notti di Yokohama. O meglio, l’unico che fosse un vero medico e non un macellaio con molta fantasia.”

“Eri già un Dirigente?”

“Non avrei potuto mantenere la clinica, altrimenti.”

“E chi era la tua guardia del corpo?” Dazai suonava curioso. “Un mafioso, tipo il veterano col monocolo?” 

E a Mori faceva piacere quando lo era. Questo lo convinse a rivelare qualcosa in più.

“No, era un ex assassino del Governo.”

Gli occhi di Dazai divennero tanto grandi in talmente poco tempo, che il Boss non poté fare a meno di scoppiare a ridere. Una fitta al fianco gli ricordò che non poteva permettersi grandi attacchi d’ilarità.

“C’è qualcosa nella tua vita che abbia un senso?” Domandò Dazai.

“Senti chi parla!” Ribatté Mori.

Dazai si fece più vicino, tanto d’appoggiare la testa al bracciolo del divano. “Su avanti, racconta.”

“Sono il tuo cantastorie, adesso?”

“Dai, lo sanno anche i muri di questa casa che ti piace parlare di te stesso.”

“Eh, sì, lo-“ Mori si bloccò. “Era un insulto?”

Dazai non aveva alcun interesse a rispondergli. “Ex assassino del Governo che vuol dire?” Rifletté ad alta voce. “Un sicario caduto al lato oscuro e divenuto un mafioso?”

Solo il pensiero bastava a far sorridere il Boss della Port Mafia. “Penso sia l’ultima persona al mondo che rischi di far parte di questo mondo di tenebra.”

“E allora che ci faceva con te?”

Era un insulto anche quello? Mori non ne era certo. Poco male, il treno dei ricordi era già partito ed era troppo stanco per buttarsi in corsa e fingere che quel luogo non lo riportasse a un’altra stagione della sua vita. “Lui era un assassino, io ero un assassino. I fronti erano opposti, ma la sostanza non cambiava di molto,” raccontò. “La differenza era che lui voleva lasciarsi alle spalle quel genere di vita, mentre io non avrei saputo in che altro modo vivere.”

“E come siete finiti a lavorare insieme?”

“Natsume Soseki.”

“Ah!” Per Dazai era tutto più chiaro. Il Sensei non faceva mai incontrare due persone senza una ragione precisa - anche se non aveva ancora trovato un senso al suo ruolo nella vita di Mori Ougai. “Anche voi condividevate lo stesso destino.”

Ci fu un’ironia crudele nel modo in cui le proprie parole gli tornarono indietro. Mori incassò il colpo con un sorriso amaro. “No,” scosse la testa. “I nostri destini non sarebbero potuti essere più diversi di così.”

“È ancora vivo?” Domandò Dazai, sorpreso.

“Oh, sì!” Mori annuì. “È riuscito in quello che voleva: ha cambiato vita. Ora aiuta le persone, invece di ucciderle.”

“In che modo?”

“È un detective.” Due secondi dopo aver pronunciato quella parola, Mori scoppiò a ridere da solo.

“E adesso cosa c’è di divertente?” Indagò il quattordicenne.

“Non saprei spiegartelo a parole.” Mori si tenne il fianco ferito, ma non riuscì a placare le risate troppo presto. “Se lo vedessi in faccia, lo capiresti da te.”

“Quindi…” Dazai provò a mettere insieme i pezzi per creare un quadro più chiaro. “Lui voleva cambiare vita, tu sei rimasto nell’ombra. Si è creata una sostanziosa divergenza di scopi.”

“Non è stata una cosa così naturale, come la descrivi tu.” Non c’era stato niente di naturale tra lui, Mori Ougai, e quell’altro, Fukuzawa Yukichi. Due personalità tanto diverse a fianco l’una dell’altra erano impensabili da immaginare insieme. Eppure, erano stati una squadra vincente… Fino a che non avevano smesso di essere una squadra. 

Tutto quel che era successo nel mezzo, Mori lo etichettava con una sola parola: imprevisto

“Mori?”

“Uhm…” Il Boss si accorse di essersi perso nei propri pensieri, mentre parlava. “Scusami, Dazai, hai detto qualcosa?”

“Volevo sapere chi ha tradito chi,” disse il quattordicenne. “Perché è finita con un tradimento, vero?”

Mori sbuffò: non lo sopportava quando era intuitivo con gli affari che lo riguardavano da vicino. Stava a lui decidere cosa raccontare e come raccontarlo. “Dazai, è tardi, vai in camera tua a dormire.”

Il ragazzino allargò le braccia. “Non so nemmeno dov’è la mia camera!”

Mori si alzò dal divano a fatica. “Seguimi.”

Dazai ubbidì, ma non aveva ancora finito di parlare. “Mi è sfuggito il passaggio tra la storia della guardia del corpo e il motivo per cui questa casa è un posto sicuro.”

“Te lo spiego domani.”

“A che vi serviva un’intera villa?” Domandò Dazai, sinceramente curioso. “Che facevate qui dentro?”

Mori gli afferrò il braccio, spingendolo a camminare più in fretta.




 

Dazai chiese un bicchiere d’acqua, prima di andare a dormire. Normalmente, Mori gli avrebbe detto che non era il suo servo e che aveva degli arti funzionanti per prenderselo da solo. Quella sera fece un’eccezione solo per suo comodo. Nel buio della cucina della villa, dopo essersi premurato che Dazai non lo avesse seguito, Mori estrasse una boccetta con contagocce dalla tasca della vestaglia da camera e versò una piccola parte del contenuto nel bicchiere. 

Non era un farmaco potente, né tanto meno pericoloso, ma era quanto bastava per assicurare al Boss che il ragazzino sarebbe rimasto nel suo letto tutta la notte.

Mentre beveva, Dazai non avvertì alcun sapore sospetto. Non si accorse di nulla.

Gli augurò la buonanotte a modo suo e si chiuse nella stanza che gli era stata indicata.

Secondo i calcoli di Mori, tempo un quarto d’ora e sarebbe crollato. Per lui, invece, non ci sarebbe stato alcun riposo quella notte. Le sue condizioni non erano delle migliori, ma doveva fare i conti con la realtà: l’istinto lo aveva portato a prendere Dazai e fuggire lì, in quella villa dimenticata ma, di fatto, si era isolato da qualsiasi forma di protezione per paranoia. Se lo avevano attaccato in pieno giorno, a un passo dal quartier generale, che difficoltà avrebbero avuto nel colpirlo nel suo ufficio in cima al grattacielo principale della Port Mafia?

Ogni obiezione di Hirotsu era stata più che ragionevole, ma Mori aveva preferito seguire l’istinto. Non aveva alcuna certezza che nessuno li avesse seguiti, che il nemico non si stesse nascondendo tra gli alberi lì fuori, nel buio, aspettando il momento giusto per attaccare. Ecco perché il Boss della Port Mafia scacciava via il sonno, vagando tra quelle stanze, in cui non aveva mai vissuto realmente ma dove si era sentito a casa in più di un’occasione. 

Quelle mura fredde, crepate in alcuni punti, erano uno scrigno di ricordi, come lo era quella cassetta di metallo rossa in cui aveva nascosto il taccuino di Johann Goethe. 

Con una pistola stretta nel pugno e una decina di bisturi nascosti nella tasca della vestaglia, Mori attraversò la grande sala dell’orologio a pendolo e vi si fermò proprio davanti.

L’eco di un ricordo lo travolse e non ebbe la forza di ostacolarlo. Vide se stesso più giovane, non ancora trentenne - ventisette anni, per l’esattezza - appoggiato a quello stesso orologio, in attesa. Il lampadario del salone era acceso e così il caminetto nella stanza adiacente.

Sorrideva, carico di aspettativa.

“Serve una mano?” Domandò ad alta voce, tanto per innervosire la persona che stava aspettando.

Dal salotto, qualcuno borbottò qualcosa d’indecifrabile ma suonò tanto come un insulto.

Il Mori più giovane rise, portandosi al centro della grande stanza. “Risparmia le parole dolci per la tua fidanzata immaginaria,” disse. “Dai, vieni avanti, fatti vedere.”

Come se stesse camminando verso il patibolo, un Fukuzawa Yukichi di trentadue anni varcò le porte del salone vestito in frac. 

Il giovane Mori non si concesse nemmeno un istante per contemplare quell’immagine del tutto inedita, scoppiò a ridere senza pietà provocando l’evidente imbarazzo dell’altro.

“Basta così,” decretò Fukuzawa, tentando la ritirata nel salotto da cui era uscito.

“Fermo! Fermo! Fermo!” L’allora giovane Dirigente della Port Mafia esaurì velocemente la distanza tra loro e lo afferrò per un braccio. “Fatti vedere,” aggiunse, con voce più gentile. Questa volta, i suoi occhi si presero tutto il tempo per ammirare la figura della sua guardia del corpo. “Sì,” concluse, soddisfatto. “Perfetto.”

“Sono ridicolo,” si lagnò Fuzukaza.

“No, è solo che non sei abituato.” Il giovane Mori si avvicinò per raddrizzare il papillon stretto al collo dell’altro. “Ti sta bene il nero.”

“Uhm…”

“Era una protesta?” Il Dirigente appoggiò entrambe le mani sulla giacca corvina. “Potresti quasi ingannare anche me. Quasi.”

Fukuzawa sospirò. “È una follia.”
“Una bellissima follia.”

“Non puoi portare un uomo del Governo a una serata di gala della Port Mafia.”

“Ex uomo del Governo,” lo corresse il giovane Mori. “E, sì, io porterò il famigerato Lupo D’Argento alla serata di gala della Port Mafia e lo farò passando dall’ingresso principale, pensa un po’.”

“Ci farai ammazzare tutti e due.”

“No, ci farò ballare. Tu sai ballare?”

“Io non ballo.”
“Certo che lo farai. Io ho voglia di ballare e non posso farlo da solo. Scandalizziamo qualche vecchio mafioso e diamo vita alla rivoluzione.” Il giovane Mori si fece più vicino, tanto d’appoggiare il peso del corpo al petto dell’altro. “Nessuno ti riconoscerà. Forse lo farà Hirotsu, ma non dirà nulla a proposito.”

Fukuzawa lo guardò dall’alto in basso. La sua espressione era l’opposto perfetto della convinzione. “È una foll-”

Il giovane Mori si sollevò per graziare quelle labbra con un bacio e metterlo a tacere. “Tu fammi ballare e prometto che sarà una nottata piacevole.”
“Non mi riferisco solo alla nottata,” chiarì Fukuzawa. “Quello che hai nella testa… Tutto quanto è una follia…”

L’entusiasmo del Dirigente venne smorzato dalla malinconia. “Farò quello che deve essere fatto,” disse e indietreggiò di un passo.

Rintarou…” Fukuzawa non gli concesse di andare molto lontano. Gli afferrò la mano, tirandolo a sé. 

Nessuno dei due aggiunse altro. Si scambiarono una lunga occhiata che conteneva tante parole che non potevano essere dette. Alla fine, per smorzare l’atmosfera, il giovane Mori scoppiò a ridere e Fukuzawa alzò gli occhi al cielo. La questione era rimandata. Nessuno dei due lo sapeva ancora, ma non sarebbero mai riusciti a risolverla.

Il Dirigente intrecciò le dita a quelle della sua guardia del corpo e lo tirò verso l’uscita del salone, in direzione delle camere. “Vieni con me! Cammini come un manichino in questi vestiti, meglio che te ne liberi.”

“Un minuto fa, hai detto che sto bene vestito di nero,” borbottò Fukuzawa.

“Sì.” Il giovane Mori scrollò le spalle. “Ma stai meglio senza niente.”

Sparirono entrambi oltre le porte della grande stanza, e Mori - trentadue anni, Boss della Port Mafia e riluttante tutore di una mina vagante di quattordici anni - si ritrovò al buio, da solo.

Il ricordo era svanito. 

“Boss…”

Mori rinsaldò la presa sulla pistola e la sollevò di colpo. Il viso calmo di Hirotsu lo calmò istantaneamente. “Oh…” Abbassò l’arma. “Sei tu.”

“Ho chiamato il suo nome dall’ingresso,” si giustificò il veterano. “Non mi avete risposto.”

“Ero soprapensiero,” tagliò corto il Boss della Port Mafia. “Se sei qui, significa che ci sono novità?”

Hirotsu annuì. “Hanno mandato qualcuno alla clinica, come aveva previsto,” fece rapporto. “Abbiamo catturato tre di loro e uccisi altri due. Il lavoro è stato semplice: ci hanno dato tutte le informazioni necessarie e siamo andati a catturare il mandante. Non ha opposto alcuna resistenza, come se ci stesse aspettando.”

Le labbra di Mori si piegarono in un sorriso amaro. “Proprio come sospettavo.” 

“Boss?”

“Fai star comodo il Generale, fino a domani mattina,” ordinò. “Dazai sta dormendo e non voglio svegliarlo. inoltre, non ho alcuna voglia d’indossare i panni del Boss a quest’ora, dopo una giornata tremenda come questa. Alle prime luci del giorno, torneremo alla Port Mafia e farò quello che deve essere fatto.”






___________________________________________________ Note: [1] Thomas Schelling, premio Nobel per l’economia. È stato un economista statunitense, professore di politica estera, sicurezza nazionale, strategie nucleari e controllo degli armamenti all'Università del Maryland. In BSD Dazai lo cita tra le letture che Mori lo obbligava a fare quando era ancora sotto la sua custodia.
   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Bungou Stray Dogs / Vai alla pagina dell'autore: Ode To Joy