Serie TV > Il paradiso delle signore
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Autore: InvisibleWoman    19/04/2022    2 recensioni
Irocco | Doveva essere una one shot, è venuto fuori un poema epico, senza nessun motivo apparente, tra l'altro. E' in lavorazione da novembre, quindi ho deciso di condensare più roba accaduta al Paradiso in momenti diversi e futuri rispetto a quando l'ho ambientata io. Come sempre è una one shot, ma cronologicamente è un continuo di tutte le altre già scritte. Gli irocco stanno festeggiando il Natale a Milano e, beh, enjoy, se avete il coraggio di leggere 23 pagine inutili.
Genere: Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Camminava mano nella mano con Rocco per le vie di Milano e mentre la stringeva, dandole il calore  di cui disperatamente aveva bisogno in quel freddo inverno, Irene si sentiva grata di poterlo avere al proprio fianco durante le feste. Aveva immaginato già di trascorrerle perlopiù da sola, con il suo arrivo solo i due giorni segnati in rosso sul calendario. Invece lui era lì e avrebbe passato la mattinata col signor Armando in magazzino, in memoria dei vecchi tempi. Lei lo avrebbe trovato laggiù in pausa pranzo e la sola idea di averlo così vicino per gran parte della giornata, la riportava indietro nel tempo, quando le cose erano più semplici e non lo sapevano. 
Certo, le dispiaceva che la causa del suo avvicinamento fosse quell’infortunio in bici, però una parte di sé era felice e non riusciva a farne a meno, facendola sentire in colpa. Nei momenti peggiori arrivava a pensare di star godendo delle sue sventure, ma poi si rendeva conto che in lei coesistevano due sentimenti nello stesso momento, esattamente com’era per Rocco.
Erano tornati insieme il lunedì seguente al suo viaggio a Roma. Irene era rimasta un giorno in più, chiedendo a Stefania di scusarsi con la signorina Moreau e col dottor Conti. Non aveva ancora detto a Rocco quello che stava accadendo a Milano tra Agnese e Salvatore e aveva approfittato del lungo viaggio di ritorno in treno per raccontargli tutto. Immaginava una reazione simile e infatti sembrava arrabbiato sia con la zia, che con il suo mentore Armando. Tuttavia, la sua reazione le sembrò più modesta e meno aggressiva rispetto a quella di suo cugino. Non era indignato per lo zio, al quale ormai portava rispetto unicamente per una questione di parentela, ma era soprattutto arrabbiato con loro, specialmente col signor Armando, per le menzogne. Si sentiva ingannato. Non aveva più voluto parlarne per il resto del viaggio e, dopo mezz’ora di mutismo, si era addormentato con la testa sulla sua spalla. 
Rocco aveva dormito per quasi tutto il resto del viaggio e per un paio d’ore aveva sonnecchiato anche lei, adesso più sicura sapendo di avere lui al suo fianco. Ma c’erano diversi problemi a tormentarla: oltre alla situazione familiare in casa Amato, cambiamento che Irene aveva accolto con esultanza, visto che si era portato via quell’orco di Giuseppe, c’era anche l’imminente trasferimento di Stefania. Ormai la loro convivenza aveva i giorni contati e Irene non riusciva proprio ad accettare di perderla. Era certa che si sarebbero allontanate, non vivendosi più quotidianamente. Si frequentavano al lavoro, l’avrebbe vista ogni giorno, questo lo sapeva, ma sarebbe stato diverso, era innegabile. 
E non si era sbagliata. Al suo ritorno a Milano, Stefania aveva già portato via alcune delle sue cose e si sarebbe preparata per il trasferimento il fine settimana successivo. Per fortuna c’era Rocco con lei, o non sapeva come avrebbe affrontato quella situazione. Avrebbe dato di matto, come suo solito, tenendole il muso a tempo indeterminato. 
Da quando sua zia si era sentita male, però, in un certo senso le cose si erano rasserenate per tutti.
“Grazie” le aveva detto una sera Agnese, avvolta nel suo scialle di lana all’uncinetto, mentre Irene l’accoglieva per prendere un tè in casa sua e di Maria. Tina le dava il tormento, impedendole di muovere un dito in casa propria e Rocco le dava spago. Si sentiva accerchiata.
“Forse è meglio una camomilla?” domandò Irene, mentre versava l’acqua calda dentro la tazza.
“Ma quale camomilla e camomilla, sono già abbastanza calma, Irè. Più calma di così muoio” obiettò Agnese con una smorfia. Ma Irene prese comunque il filtro con la camomilla e lo immerse nell’acqua calda contro il suo consenso. Ormai era fatta, non si poteva più tornare indietro. 
“Ma non per calmarsi, lo vedo già che è calmissima” disse cercando di non far trapelare quel filo di ironia che difficilmente riusciva a controllare. “Ma sono le dieci di sera, se le do un tè non dorme più” si giustificò e Agnese sembrò trovare sensata quella spiegazione, tanto da non ribattere. La osservò mentre, in camicia da notte, prendeva una tazza anche per sé e portava un piattino con dei biscotti. Notando lo sguardo perplesso della donna, si affrettò a rassicurarla.
“Li ha fatti Maria.”
“Ah, ecco” rispose Agnese con un accenno di sorriso. “Ma non m’hai detto com’è andata a Roma, poi” disse lei dopo un po’. La signora Agnese si era sentita male e non avevano avuto modo di parlare di quel viaggio o di quello che era successo a Rocco. “Com’è casa sua? C’hai trovato un macello?”
“No, no, anzi. Se la cavano piuttosto bene lui e Giacomo. Ma si erano anche trasferiti da poco” le spiegò. 
“E com’è questo Giacomo?”
“Uno sbruffone com’era Salvo quando è arrivato qua” dichiarò Irene con un sorriso. “Ma sembra un bravo ragazzo ed è affezionato a Rocco.”
Era incerta se rivelarle o meno il comportamento di Rocco, ma sentì che era la cosa giusta da fare.
“Comunque alla fine avevo ragione io” dichiarò serrando le labbra in un’espressione quasi trionfante.
“Quando mai c’hai ragione tu, Irè” ribatté d’istinto Agnese. “Su che cosa, sentiamo.”
“Rocco mi ha lasciato alla stazione, non si è ricordato dell’appuntamento o di dirci che aveva cambiato casa. Aveva la testa da un’altra parte.”
“Per l’infortunio che ha avuto? Vabbè ma quello mica è grave. Ora ci passa, vedi.”
“Lo so, ma il problema non è quello, è ciò che c’è dietro” rispose fissando davanti a sé pensierosa. “E’ che sente il peso delle aspettative. Pensa che noi vogliamo che vinca, che abbia successo. Pensa che siamo contente solo quando porta a casa vittorie” le rivelò, addolcendosi. Sapeva che le persone che Rocco teneva di più a compiacere erano proprio lei, sua zia Agnese e il signor Armando. Proprio le tre persone che, in realtà, avevano a cuore solo la sua felicità.
“Ma che importa a me se vince, a me basta che è felice. Può esserlo pure qua a fare il magazziniere, se preferisce” rispose Agnese, confermandole ciò che Irene stava pensando in quel momento.
“Vale lo stesso per me e gliel’ho detto. Forse dovremmo porre meno enfasi sulle sue vittorie, non lo so. Non voglio che senta il peso di aspettative che in realtà non abbiamo nemmeno” aggiunse appoggiando la testa sulla mano, mentre con l’altra inzuppava un biscotto nella tisana ancora calda.
Agnese la guardò intenerita e sorrise, pensando a quanto si fosse sbagliata su di lei e sull’affetto che provava per suo nipote. L’aveva reputata una presenza passeggera nella vita di Rocco, ma lei l’aveva contraddetta, dimostrando ogni giorno quanto in realtà fossero importanti i suoi sentimenti. Prese tra le dita il filo del filtro e lo mosse ritmicamente in su e in giù, sovrappensiero. In quel periodo Irene era stata l’unica persona a starle accanto. Solo qualche mese prima non riteneva possibile quel legame che lentamente si stava formando tra le due. Probabilmente, in quel caso, era dovuto anche alla totale estraneità alla vicenda. Irene non era in alcun modo legata a Giuseppe, anzi non lo sopportava nemmeno, e la sua partenza era stata accolta da lei con più gioia, che dispiacere. Al contrario di Tina e Salvo. Comprendeva la reazione dei suoi figli, ma se Rocco era riuscito a perdonare lei e Armando con così tanta rapidità, era certamente dovuto anche all’influenza di Irene, doveva dargliene atto. Il Rocco che era arrivato da Partanna sarebbe stato tanto rigido come suo figlio Salvatore. Ma quel ragazzo buono e intelligente, era cresciuto e maturato anche grazie alla donna che aveva cercato per tanto tempo di allontanare da lui. Roma aveva fatto il suo, l’aveva reso più sicuro di sé, ma era certa che Irene ci avesse messo il suo zampino, convincendolo a lasciar andare quell’inutile rancore e riaccogliere sua zia e il suo mentore nella propria vita. Il suo intervento aveva fatto sì che anche Salvo cambiasse idea. Se suo cugino era riuscito a perdonarli, nonostante l’affronto subito, poteva farlo anche lui. Armando era come un padre per Rocco. Era stato più un padre lui, che suo zio Giuseppe. Nonostante la rabbia per quella menzogna, aveva capito che la vita non era la sua e che se avevano mantenuto il segreto, era stato per preservare tutti, lui compreso. Lo avrebbe capito anche da solo, coi suoi tempi, ma Irene lo aveva aiutato a rendere più veloce quel processo. 
Era avvenuto una sera di metà dicembre. Era sdraiato sul divano con la testa sul grembo di Irene e le passava la punta delle dita sulla mano e sul braccio che lei gli teneva sul petto, mentre con l’altra Irene sorreggeva una delle riviste che Stefania aveva lasciato in casa. Ogni tanto, nel tentativo di cambiare pagina con una mano sola, le cadeva sulla faccia di Rocco, distraendolo dai suoi pensieri.
“Avà” borbottava imbronciato. Non per il gesto di lei, ma perché nella sua mente c’era solo la questione  di Armando e di sua zia.
“E tu fai piano” gli aveva intimato con una smorfia Irene, riferendosi al modo in cui le stava praticamente sfregando la pelle. “Non prendertela con me.”
“C’hai ragione, scusa, Irè” aveva risposto lui. “E’ che io proprio non ci riesco a fare finta di niente. Quello m’ha mentito per anni, lo capisci? Mi guardava, mi parlava, e magari in quel momento pensava a mia zia e non mi diceva niente” le spiegava accalorato. Non gli andava proprio giù che la persona di cui si fidasse di più al mondo, insieme a Irene, potesse averlo tradito in quel modo. Gli importava fino a un certo punto del matrimonio fallito dei suoi zii, soprattutto quando era venuta fuori tutta la verità su suo zio Giuseppe e su ciò che aveva fatto in Germania. Ma le bugie di Armando, quelle proprio non le sopportava.
“Ma ci pensi a quanto deve essere stato difficile per lui non parlare? Quando si ama qualcuno non si riesce a far finta di niente, lo si vorrebbe urlare al mondo. Quanto è stato difficile per noi due a negare ciò che provavamo?” gli ricordò. 
“Appunto per questo, Irè. Ma perché?”
“Perché c’era tuo zio, perché Giuseppe era il padre di Tina e Salvo, perché per la società loro sono ancora sposati e ti ricordi cos’è successo al signor Cattaneo e alla signora Calligaris? Dev’essere stata una tortura per loro non dire niente” pensò Irene. Un tempo, quando Agnese le era ostile, avrebbe sbandierato ai quattro venti quella novità pur di vendicarsi. Una  volta l’aveva quasi fatto, avendo intuito già da mesi della simpatia tra quei due, lanciando una frecciatina che solo Agnese aveva colto. Ma adesso riusciva solo a pensare a quanto doveva essere stato doloroso per tutti e due. Li compativa e li comprendeva. In più, quella storia aveva portato via Giuseppe Amato e lei non poteva essere più felice di così. Non avrebbe più sentito la sua voce che le irritava le orecchie, né l’odore forte e persistente di sigari che le dava la nausea. Non erano mai venuti a patti con ciò che era accaduto tanti mesi prima, tra la storia degli abiti rubati e il pugno che Rocco gli aveva rifilato. Irene lo tollerava mal  volentieri, ma era costretta a sopportarlo, se voleva avere un rapporto con Rocco e la sua famiglia. Ma adesso tutto sarebbe stato più semplice, la strada le sembrava improvvisamente spianata. 
Adesso, mentre camminava mano nella mano con Rocco, mentre facevano la strada verso il Paradiso, pensava a quanto sarebbe stato bello quel Natale. Non ci sarebbero state liti o tensioni, e forse anche per lei non sarebbe stato così spiacevole trascorrerlo in casa Amato. Non ricordava con affetto i Natali precedenti. Non ne passava uno sereno da quando era morta sua madre. Mentre adesso era felice, lo era veramente come mai era stata prima. L’unico problema rappresentava il suo regalo di Natale. Non era mai stata brava a farli. Continuava a pensarci da giorni, settimane, ma non riusciva a trovare qualcosa che potesse effettivamente piacergli. Non voleva regalargli un inutile berretto, come aveva fatto Dora con Nino. Avrebbero avuto tempo per i regali banali, ma quello era il loro primo regalo, il loro primo Natale, e ci teneva che avesse un significato. 
“Ci vediamo in pausa pranzo, no?” disse d’un tratto Rocco, riportandola al presente. Erano ormai arrivati davanti all’ingresso laterale del Paradiso. Irene istintivamente sorrise, pensando a quanto fosse bello poter sentire di nuovo una promessa tanto semplice come quella. 
“Certo” rispose lei stampandogli un bacio sulle labbra prima di entrare, mentre lui si affacciava alla ciclofficina che Armando teneva ormai come reliquia, dato che non c’era più nessun altro a frequentarla. 

Era ormai quasi ora della pausa pranzo quando Irene vide Tina scendere le scale con aria allegra. Andava diretta verso di lei e Stefania, che la guardava con l’aria di chi sapeva già di cosa voleva parlare.
“Proprio voi cercavo” esordì con entusiasmo, appoggiando entrambe le mani al bancone.
“Dev’essere stata una lunga ricerca” ironizzò Irene mentre sistemava dentro le scatole le scarpe che l’ultima cliente le aveva fatto tirare fuori. 
“Dai” la rimbeccò Stefania, dandole una gomitata. “Ascolta cosa ha da dirti, ti piacerà” disse con un’espressione che le ricordava quella dei bambini quando nascondevano qualcosa ai genitori. 
“Avanti, sentiamo” si protese Irene, appoggiandosi al bancone con i gomiti. 
“In redazione hanno pensato che il prossimo numero lo dedicheranno a voi” rispose Tina allargando le braccia come per dire ‘sorpresa!’.
“Ah, sai che novità” ribatté Irene con poco entusiasmo. Dopo la partenza di Marta, il dottor Conti sembrava aver perso la sua vena creativa.
“Guarda che vogliono intervistarci, faremo delle foto” le spiegò Stefania. “Possibile che Irene Cipriani non voglia mettersi in mostra, questa volta?” 
“Irene Cipriani vorrebbe iniziare a farsi pagare in più per il suo ruolo, ormai praticamente fisso, da modella” si portò una mano ai capelli come per volerli tirare su con fare da diva.
“Sì, vola basso” la fermò Tina, mentre Dora e Sofia si avvicinavano a loro incuriosite  da quello scambio. “Il servizio sarebbe su tutte voi, mica solo su Irene Cipriani” aggiunse divertendosi a porre la stessa enfasi della sua amica sul suo nome. 
“Peccato, siete voi a perderci” ribatté lei con una smorfia.
“Che servizio?” chiese allora Dora.
“Landi verrà a intervistarvi e poi faranno delle foto. Vogliono inserire le veneri e i loro talenti nel prossimo numero” Tina spiegò alle due appena arrivate.
“Che talenti?” chiese Sofia.
“Eh, per esempio faremo un servizio su Stefania in redazione. Tu in pasticceria, Gemma al circolo come cavallerizza, Dora al reparto cosmetici come truccatrice, e…” Il suo sguardo si fermò su Irene che teneva la testa bassa. 
“E tu?” si divertì a pungolarla Dora. “Qual è il tuo talento, avere la lingua lunga?” 
“Il mio talento è riuscire a sopportare tutte voi” rispose impettita, lanciando una delle scarpe addosso a Dora. Per fortuna per lei era una morbida ballerina senza tacco.
“Dai, smettetela” si intromise Stefania. “Irene ha tantissime qualità.”
“Dimmene una” Dora incrociò le braccia al petto. 
“Beh, per esempio… il suo risotto al burro è veramente fenomenale” scherzò Stefania. 
Irene si sentiva a disagio. Tutte loro avevano un obiettivo nella vita, un’ambizione a cui arrivare, qualche talento da mostrare. Persino Dora aveva un’abilità che lì dentro possedeva solo lei. 
Vedendola rabbuiarsi, Stefania le passò un braccio attorno alle  spalle. “Non è vero, sto scherzando” sottolineò. “Cioè, in realtà il suo risotto è davvero buono, però è anche un’ottima amica. E’ generosa e sensibile e quando hai bisogno lei c’è sempre” Stefania le sorrise, dandole un bacio su una guancia.
“Finiamola cu sti smancerii” disse d’un tratto Tina. “Piuttosto pensate a cosa volete dire nell’intervista. Penso la faranno domani.”
Tutte le ragazze annuirono e iniziarono a parlottare tra di loro, avviandosi verso lo spogliatoio. 
“Tu non vieni?” chiese Stefania a Irene.
“Tra un attimo, arrivo” aggiunse accennando un sorriso, mentre continuava a sistemare il suo reparto prima della pausa pranzo. 
All’improvviso si sentì mancare l’aria. Abbandonò la postazione e si sedette su una rella, lasciandosi nascondere dai vestiti appesi. In quel momento pensò che l’idea del futuro la spaventava a morte. Si vedeva già nell’appartamento in cui viveva adesso, solo che al posto di Maria c’era Rocco, e una manciata di bambini scorrazzanti e piagnucolanti. Era quella la fine che avrebbe fatto? Non c’era niente di male nel desiderare una famiglia numerosa e occuparsi della casa, ma quella non era mai stata la sua ambizione. Il problema era che non ne aveva un’altra di riserva. Sarebbe rimasta per tutta la vita lì a fare la commessa? Cosa avrebbe fatto il dottor Conti quando avrebbe visto che lei era la più vecchia tra le sue colleghe che in continuazione si susseguivano, lasciando il posto alle precedenti che finalmente trovavano la loro strada? Per nessuna di loro il Paradiso era il luogo di approdo, ma era solo un punto di partenza, una fase intermedia della loro vita, in attesa di trovare la propria strada. Ma per lei, beh per lei era diverso. Forse avrebbe preso il posto della signorina Moreau, se un giorno l’avessero ritenuta abbastanza giudiziosa e responsabile. O più probabilmente sarebbe finita a fare una casalinga disperata, costantemente tormentata dai suoi mocciosi e da una suocera troppo invadente. Quella possibilità la mandò fuori di testa. Sentiva il cuore batterle prepotente dentro il petto e una sensazione di nausea, dovuta al panico, prese possesso di lei. Amava Rocco, lo amava davvero. Ma quello era… quello era troppo. Lei non era fatta per quel genere di vita. Non era fatta per nessun tipo di vita, evidentemente. Era destinata alla staticità, alla mediocrità? Perché non ambiva, come le altre, a qualcosa di più? C’era qualcosa di sbagliato in lei se preferiva accontentarsi di ciò che aveva? C’era stato un tempo in cui accalappiare un uomo elegante e facoltoso era stato l’unico dei suoi pensieri. In quel modo avrebbe potuto condurre una vita agiata e adatta alla persona che diceva a tutti di essere. Ma poi Rocco era arrivato nella sua vita e quel progetto era sfumato. Non si era pentita nemmeno un giorno di quella scelta, non rimpiangeva di aver mandato via Lorenzo. Ma al contempo non poteva nemmeno ingabbiarsi in quell’ideale di donna che non le apparteneva. 
Fece un lungo sospiro e cercò di ricomporsi. Ma proprio in quel momento sentì la voce di Maria che la chiamava.
“Irè” disse lei mentre abbottonava il soprabito per andare in caffetteria in pausa pranzo. Probabilmente Alfredo la aspettava già lì, dove anche Irene avrebbe trovato Rocco. Per un attimo si domandò se non fosse il caso di correre anche loro due per controllarli. A Rocco Alfredo non era mai andato a genio e nonostante ormai lui fosse felice con Irene, quell’antipatia di fondo era rimasta. Continuavano a punzecchiarsi e lanciarsi frecciatine e Irene temeva che un giorno la situazione sarebbe potuta precipitare.
Tuttavia, vide Maria sedersi accanto a lei, spostando i vestiti per stare più comoda. “Che ci fai nascosta qua dietro?” domandò un po’ perplessa, ma sinceramente preoccupata. 
Irene in genere evitava di parlarle di Rocco. La loro amicizia era fondata su quell’assenza di informazioni, come se la relazione con il suo ex fidanzato non esistesse. Maria iniziava a rendersi conto di quanto fosse sbilanciato quel rapporto. Rocco l’aveva ferita, e forse non lo avrebbe mai perdonato, ma Irene aveva provato a farsi da parte per lei e questo Maria, nonostante tutto, lo aveva apprezzato. Adesso era felice con Alfredo. Lui la faceva sentire speciale, la faceva sentire come se non esistesse nessun’altra donna all’infuori di lei e ora che aveva lui al suo fianco, capiva la differenza. Rocco non l’aveva mai amata, non nel senso più profondo del termine. Le aveva voluto bene come una sorta di sorella minore, si erano sentiti legati a vicenda per via delle loro origini. Maria aveva creduto che tutto ciò che le era stato insegnato fosse ormai talmente insito dentro di lei, da non essere in grado di agire diversamente. Tutto quello che facevano le ragazze di Milano, per lei non sarebbe mai stato possibile. Col tempo, grazie anche alla batosta di Rocco, aveva capito che non era affatto così. Non doveva avere al suo fianco per forza il marito siciliano con la sua stessa mentalità. Poteva essere felice anche con un uomo come Alfredo, che la valorizzava, che la portava a fare cose che mai avrebbe pensato potessero far parte di lei. Adesso capiva che era lo stesso per Rocco e Irene e a modo suo aveva accettato quella relazione. Eppure le faceva ancora male sentir parlare di lui, o vederli insieme, non perché provasse qualcosa per Rocco, ma perché vederlo riportava a galla tutto il dolore provato davanti a quel rifiuto. Tutta quell’incertezza dentro cui aveva creduto di sprofondare, come avvolta dalle sabbie mobili che la trascinavano a fondo. 
Ma non era giusto. Non era giusto che lei potesse parlare a Irene di tutto quello che le passava per la testa, di tutto quello che faceva con Alfredo, di tutto l’amore che aveva scoperto di provare per lui. Non era giusto vedere Irene mordersi la lingua quando c’era qualcosa che la turbava, quando discuteva con Rocco o che non potesse supportarla durante quel periodo di lontananza. Ci aveva provato a lungo in quei mesi, ma non era riuscita a sopportare l’idea di sentirla felice al suo fianco, di vedere le loro mani che si sfioravano, per poi allontanarsi non appena lei ci posava sopra lo sguardo. Ma da quando Rocco era a Milano per via di quell’infortunio, anche Maria era riuscita a farsene una ragione. Si era resa conto che l’eccessivo riguardo di Irene nei suoi confronti, le aveva fatto più male che bene, perché non l’aveva portata a superare appieno quella separazione. Ma adesso non poteva pretendere che continuassero a nascondersi, che Rocco non passasse di tanto in tanto in casa loro per stare con lei. Li aveva visti sorridersi felici, li aveva osservati mentre si tenevano per mano, si accarezzavano. E aveva visto gli occhi di entrambi. Non era giusto che continuasse a negare loro quello che lei stessa provava per Alfredo. Era ora di andare avanti, una volta per tutte.
“Dai, dimmi” le ripeté allora, dandole una leggera spallata mentre osservava lo sguardo di Irene chino sulle sue mani. “C’entra Rocco?” domandò, lasciandole intuire che poteva parlarne, se voleva. 
Irene si voltò verso di lei un po’ confusa, poi accennò un sorriso. “No” rispose istintivamente, rendendosi conto dopo poco che non era del tutto vero. No, non era giù per via di Rocco, lui era sempre perfetto con lei e lo amava ancor più del giorno precedente e di quello prima ancora. Però parte del suo turbamento lo riguardava, in fin dei conti. 
“E allora che c’è, amunì” la incalzò Maria. 
“Quella stupida intervista che faremo domani.”
“Che intervista?” chiese perplessa.
“Tina è venuta prima a dirci che faremo delle interviste e delle foto per il prossimo numero del Paradiso Market.”
Maria sorrise. “E che sei preoccupata per questo? Da quando Irene Cipriani non vuole mettersi in mostra?”
“Da quando si è resa conto di non essere buona a nulla” enfatizzò lei, con la sua solita vena melodrammatica. 
“Eh, buona a nulla, esagerata” sbuffò Maria. 
“E’ vero. Tutte sanno fare qualcosa. Parleranno di Stefania e il suo ruolo in redazione, di Sofia in pasticceria, di Gemma come cavallerizza. Persino Dora ha un talento come truccatrice. E io che so fare?” si lamentò mettendo il broncio. 
“Lamentarti lo sai fare benissimo, guarda” la prese in giro Maria.
“Visto?”
“Amunì, lo sai che scherzo” le ricordò con un sorriso. 
“E’ che… mi chiedo come sarà la mia vita tra qualche anno. Stefania magari sarà una donna in carriera che scrive per qualche giornale. E io? Finirò a fare la casalinga disperata per quattro mocciosi?” continuò a lamentarsi.
Maria istintivamente tornò a sorridere all’idea di Irene nei panni di madre. Non ce la vedeva proprio, sebbene prima o poi probabilmente sarebbe toccato persino a lei. 
“Tu… beh, tu sei la migliore venditrice che abbia mai visto. Sei la più brava qua dentro, lo sanno tutti. Ti pare poco?”
“Ah beh” rispose Irene con poco entusiasmo.
“E scusa, io che faccio? Faccio la ricamatrice, come tu sei una venere. Tu ce l’hai già una carriera. Solo perché non diventerai un’importante giornalista o la prima presidentessa della repubblica, non significa che non sai fare niente, Irè” disse mettendo una mano sulla sua. 
“Tu sai anche cucinare, per esempio” sottolineò Irene.
“E tu… sei brava davanti a una macchina fotografica. Non ti piace ricordarci sempre quante volte il dottor Conti ha usato te per fare da modella, ah?”
“E’ vero” ammise Irene rincuorata. 
“Visto? Non ti sottovalutare, Irè.”
Irene le sorrise e annuì. “E quindi devo farla l’intervista?” domandò ancora titubante. Maria poteva avere ragione, ma in fondo di cosa aveva da parlare? Del suo ruolo di venere? Fare la modella alla fine non era una sua reale ambizione, era più che altro un divertimento. 
“E certo! Vuoi perderti l’occasione di far parlare di te? Non sia mai” disse stringendole una spalla. “Fagli vedere chi sei” aggiunse infine, prima di alzarsi e allungare una mano, per fare cenno a Irene di prenderla per aiutarla ad alzarsi e andare in pausa pranzo. 

Data l’antipatia tra Rocco e Alfredo, Maria alla fine aveva optato per una passeggiata, mangiando il suo panino con lui in piazzetta. Così Irene entrò da sola in caffetteria e si andò a sedere al tavolo dove Rocco veniva ammorbato dalle continue chiacchiere di Stefania. Lo osservò annuire confuso mentre Stefania sprizzava entusiasmo da ogni poro. Immaginò gli stesse parlando dell’intervista e del servizio fotografico e sbuffò sconsolata. Le parole di Maria l’avevano rincuorata, doveva ammetterlo, ma non si sentiva ancora convinta di voler partecipare. Per quanto fosse effettivamente la migliore venditrice del Paradiso, non credeva fosse un argomento abbastanza interessante per i lettori. A quanto aveva capito, l’obiettivo era far sognare la clientela del Paradiso, portando a pensare che quel grande magazzino fosse una sorta di trampolino di lancio verso avventure più entusiasmanti. Lei invece sarebbe rimasta, non avrebbe spiccato alcun volo, era semplicemente atterrata lì e ci sarebbe rimasta. Dio, si sentiva noiosa quasi quanto Paola. Avrebbe finito presto anche lei per parlare solo e unicamente dell’ossobuco o di chissà quale altra pietanza, come una brava moglie avrebbe dovuto? 
“Chi fu, Irè?” domandò subito Rocco vedendola sedersi al tavolo. Sebbene avesse cercato di mostrarsi tranquilla e sorridente, lui la conosceva ormai troppo bene per non capire che c’era qualcosa che non andava. 
Irene afferrò il suo panino e iniziò a masticare distrattamente, stringendosi nelle spalle con noncuranza. 
“Niente, è che non vuole fare l’intervista” spiegò Stefania al posto suo, roteando gli occhi al cielo. 
“Ma comu?” chiese Rocco mettendole una mano sulla schiena. 
“Ha bisogno di un po’ di complimenti, vai, adulala un po’” la prese in giro, ma Irene la guardò scocciata. Non era uno dei suoi tanti episodi di melodramma di cui tutti l’accusavano. Non aveva bisogno di essere consolata o di conferme. Era sinceramente convinta di non avere nulla da dire in quell’intervista e se non bastava il discorso di Maria, di certo non sarebbero serviti a niente i complimenti di Stefania o di Rocco. Nonostante tutto, sapeva quali fossero le sue qualità, sebbene ogni tanto le dimenticasse. 
“Ma guarda che sto scherzando, Irene!” intervenne Stefania dopo quell’occhiataccia. “Lo vuoi sapere cosa penso veramente di te?” 
“Che sono un’acida rompiscatole?” rispose lei con una smorfia. “Lo so già, grazie.”
“Anche. Ma credo pure che tu sia talmente brillante e piena di risorse, che se solo ti impegnassi, riusciresti in qualsiasi cosa ti prefissassi” disse con aria seria.  
“Vero è” intervenne Rocco con la medesima serietà, sebbene non gli fosse esattamente chiara l’ultima parola di Stefania, aveva tuttavia compreso il concetto. 
“Guarda che non è da tutti, eh” continuò Stefania. “Io magari scrivo decentemente. Rocco è un bravo ciclista. Ma se ci estrapolassi dal nostro mondo, infilandoci da qualche altra parte, non saremmo altrettanto capaci. Tu invece troveresti il modo di cavartela, come sempre.”
“Lo pensi davvero?” chiese Irene commossa.
“Assolutamente” rispose facendole l’occhiolino. 
“Forse hai ragione” rispose allora, raddrizzando la schiena per darsi un tono. “In effetti non ricordo nessuna volta in cui io abbia fallito.”
Rocco e Stefania si guardarono per un attimo, coprendosi la bocca con una mano per nascondere i loro sorrisi. Adesso sì che riconosceva la sua migliore amica.  
 

“Irè, fa freddo, dov’è du cosu…” disse allungando un dito verso la pelle scoperta del collo dove in genere annodava il foulard.
“Uh, devo averlo dimenticato in spogliatoio” rispose lei tornando indietro.
“Sì ma amunì, che si gela, ah” intimò alla sua ragazza mentre stringeva le braccia al petto per farsi calore. 
Irene, convinta di essere rimasta ormai la sola al Paradiso, entrò in spogliatoio aprendo la porta di scatto. Aveva fretta di tornare a casa e mettersi sotto le coperte. Stava gelando ed era stanchissima. Se non avesse presto tolto i tacchi, le gambe l’avrebbero presto abbandonata al suo destino, facendo la fine della piccola fiammiferaia della favola, morta di freddo per strada. 
“Signorina Cipriani, le sembra modo di entrare?” balzò in piedi Gloria Moreau, una busta tra le mani e l’aria sconvolta di chi aveva appena ricevuto una notizia sconvolgente. 
“Mi scusi” fece Irene a testa bassa. “Pensavo non ci fosse più nessuno” si giustificò avanzando piano verso il suo armadietto dove avrebbe trovato il foulard azzurro che aveva dimenticato. In un primo momento non prestò troppo caso alla capocommessa, ma poi, vedendola non rispondere e continuare a fissare con mani tremanti la busta che conteneva un foglio che aveva rapidamente nascosto al suo arrivo, Irene decise di avvicinarsi e scostare la sedia di fianco a quella sopra cui era seduta Gloria. 
“Va tutto bene?” le chiese mettendo una mano sul polso della capocommessa. Gloria istintivamente la tirò via come se quel tocco le avesse incendiato il braccio. Aveva i nervi a fior di pelle. Qualcuno sapeva la verità e minacciava di raccontarlo in giro. Si era sentita crollare il mondo addosso. Non poteva perdere Stefania, non poteva. Non ora che l'aveva finalmente ritrovata.
“Mi scusi” disse allora Irene, iniziando ad alzarsi.
“No, mi scusi lei” sospirò Gloria toccando lei, questa volta, la mano della Venere. “E’ che ho ricevuto una brutta notizia e…” si giustificò con agitazione. Il cuore che le martellava prepotente dentro il petto e quella confusione in testa che le impediva di trovare una spiegazione che avesse un senso. Era abituata a mentire, lo faceva ormai da talmente tanti anni che era diventata un’esperta. Ma adesso era stanca. Non aveva più le forze per continuare a fingere che tutto andasse bene, che quella lettera non la terrorizzasse, che la paura di perdere Stefania non la facesse dormire la notte. 
Sollevò lo sguardo e vide il volto di Irene contrito, preoccupato per lei. Ma non osò domandarle niente, evidentemente capì che non aveva voglia di parlarne.
“Posso aiutarla in qualche modo?” le chiese allora.
Gloria accennò un sorriso e strinse la mano della venere. “Non c’è niente che lei possa fare, ma la ringrazio sinceramente per l’offerta” rispose. “Ora vada, il suo fidanzato la starà aspettando” aggiunse asciugandosi rapidamente una lacrima con il dorso della mano.
Gloria Moreau era stata l’unica, tra le capocommesse, a trattarla esattamente come tutte le altre veneri. L’unica che si era presa la briga di conoscerla e capirla, e non giudicarla aspramente come avevano fatto tutte le altre in passato. Le era grata per questo, e Irene le era particolarmente affezionata. Le dispiaceva vederla così. 
“Se dovesse cambiare idea, sa ogni giorno dove trovarmi” disse Irene con un sorriso, cercando di stemperare la tensione. 
“Lo terrò a mente, grazie” rispose Gloria, dovendo fare uno sforzo enorme per ricambiare quel sorriso, quando dentro di sé voleva solamente sprofondare.
Irene si alzò dalla sedia e, pensandoci solo qualche momento, si chinò davanti alla capocommessa e la avvolse in un rapido abbraccio. In quell’istante ogni tentativo di Gloria di mantenere del contegno andò in fumo e le lacrime che cercava disperatamente di tenere a bada, iniziarono a fluire lungo le sue guance. 
“Au, comu finiu?” la voce inconfondibile di Rocco proruppe nella stanza. A quell’ora immaginava di trovarci solo la propria fidanzata, pertanto non aveva badato ai modi e all’etichetta, e aveva spalancato la porta senza tante cerimonie. Vedendo il volto arrossato della signorina Moreau e quello contrito di Irene, Rocco si rabbuiò. 
“Scusate, pensavo ci fosse solo Irene qua” si giustificò.
“Non si preoccupi, signor Amato” rispose Gloria, asciugandosi le lacrime con un fazzoletto di stoffa che tirò fuori dalla manica della divisa.
“Hai ragione, adesso arrivo. Aspettami fuori” gli intimò Irene, facendogli con la testa il gesto di andare via. 
Si rimise in piedi e andò verso il proprio armadietto per prendere il foulard che aveva dimenticato.
“Signorina Cipriani?” la chiamò Gloria prima che Irene potesse uscire dallo spogliatoio. “Il suo talento è proprio questo” disse, portando Irene ad aggrottare confusa le sopracciglia. “Esserci sempre, nei momenti belli e in quelli più difficili. Offrire sempre una spalla su cui piangere e sapere ascoltare. Non sono in tanti a saperlo fare. Può non essere un talento immediato come andare a cavallo o sfornare dolci, ma non per questo meno importante” aggiunse con sincerità. “Lei ha tante qualità, non si lasci convincere del contrario” disse Gloria, facendo riferimento ai discorsi che aveva sentito fare alle ragazze quella mattina. “E’ caparbia e intelligente e potrebbe riuscire in qualsiasi cosa si prefissasse” aggiunse con un sorriso appena accennato. 
“Lo sa? Stefania ha detto esattamente la stessa cosa” sorrise Irene commossa, richiudendosi la porta alle spalle, inconsapevole di quanto quella frase avesse placato, anche solo per un istante, le pene di Gloria.

“Che è successo, Irè?” chiese preoccupato quando la vide riemergere in strada. 
“Niente” rispose lei, avvicinandosi al braccio di Rocco per metterci vicino il suo e stringerlo a sé.
“Lo so che non è vero, tu non ce la fai a mentire, ti si legge in faccia.”
“E’ una cosa che riguarda la signorina Moreau, non preoccuparti” cercò di rassicurarlo. La sigorina Moreau stava nascondendo qualcosa e le antenne di Irene si erano già drizzate cercando di ricomporre i pezzi per arrivare a una risposta sensata che, al momento, non riusciva a trovare. Continuò a pensarci lungo tutto il tragitto verso casa. Sembrava qualcosa di estremamente grave per aver spinto la signorina Moreau a reagire in quel modo. 
Era talmente un libro aperto, che pure Maria la guardò stranita nell’esatto momento in cui varcò la soglia del loro appartamento. Rivolse un cenno confuso a Rocco e avvicinò tutte le dita della mano in quel gesto inequivocabile che significava ‘che c’ha?’.
“Ma è ancora per la storia dell’intervista? Amunì, Irè” le disse mentre finiva di preparare la cena. 
“Allora io… ci vediamo dopo?” Rocco chiese a Irene. Intendeva lasciarle del tempo per parlare con Maria e sperava di poterla salutare prima di andare a dormire, dato che in genere non rimaneva troppo in quella casa se c’era anche lei.
“Se vuoi puoi rimanere” aggiunse quest’ultima senza intonazione. Non lo avrebbe mai perdonato, e Rocco alla fine non glielo chiedeva neppure. Sapeva di averla ferita troppo, perché lei potesse tornare indietro. Ma quella proposta segnava l’inizio di una tregua annunciata?
Rocco guardò Irene confuso, ma lei non si accorse nemmeno della proposta di Maria. “Non ti mangio, Rocco” aggiunse allora la siciliana, aggiungendo un piatto a tavola. Intendeva pure mangiare insieme? Aveva battuto la testa, era successo qualcosa di grave che Rocco non riusciva a capire?
“Ma… sei sicura?” 
“Sì, tranquillo, io mangio di là in camera che tanto ho degli aggiusti da finire. Li farò tra un boccone e l’altro prima di andare a dormire” disse Maria, iniziando a guardare anche lei Irene con aria perplessa. “Oh, ci sei?” aggiunse passandole una mano davanti agli occhi.
“Eh? Che c’è?” domandò Irene ridestandosi.
“Ho detto a Rocco che può restare a cena. Potete restare voi due qua, io torno in camera che ho del lavoro da fare, va bene?” le spiegò.
“Sei impazzita?” disse Irene ciò che Rocco osava pensare solamente. 
“No, perché?” si strinse nelle spalle Maria. 
“Grazie” ammise allora con un sorriso a trentadue denti.
“Non è che ha sbattuto la testa, ah? Ci dobbiamo preoccupare?” le chiese Rocco a bassa voce quando Maria si rinchiuse in camera sua. 
“No, oggi abbiamo parlato un po’” gli rivelò lei, senza però aggiungere altro. “Dai, mangiamo che sto morendo di fame.”

Trascorsero il resto della cena a parlare del più e del meno, del Natale imminente, e la preoccupazione per la signorina Moreau lasciò rapidamente il posto alla preoccupazione per il regalo che non gli aveva ancora fatto. Dall’aria che aveva Rocco, lui sembrava invece averle già preso qualcosa che non vedeva l’ora di darle. 
Dopo cena si spostarono sul divano e, per via del freddo gelido di dicembre a Milano, Irene passò le gambe su quelle di Rocco e si strinse contro il suo petto, mentre un plaid fatto ai ferri da Agnese ricopriva le loro gambe. Quando stavano così abbracciati, Irene non sentiva nemmeno il bisogno di parlare. Le bastava stare lì ad ascoltare il battito del suo cuore e il ritmo regolare del suo respiro per sentirsi più tranquilla. La mano di Rocco si muoveva ritmicamente lungo la sua schiena, mentre parlava di qualcosa che nemmeno le interessava, e Irene stava lì lì per addormentarsi, quando qualcuno bussò urgentemente alla sua porta. 
“Io non mi alzo” decretò con fermezza, stringendosi ancora di più a lui, impedendogli così di fare lo stesso.
“Amunì, Irè, magari è mia zia, mica la puoi lasciare fuori” protestò lui.
“Se fosse tua zia, mi rifiuterei ancora più di aprire” si lamentò.
“Avà” la sgridò. “Chi è?” urlò Rocco dal divano. 
“Stefania! Che state aspettando ad aprire? Qui si gela!” 
Rocco si voltò con uno sguardo eloquente che sembrava dirle un sonoro ‘hai visto?
“Non osare alzarti da qui” Irene mise una mano sul braccio di Rocco per fermarlo. Lui la guardò confuso, aggrottando le sopracciglia.
“Perché non devo aprire a Stefania, scusa?” 
“Perché devi stare qua che c’ho freddo e tu sei caldo e comodo” protestò lei.
“Ma pure Stefania c’ha freddo, avà.” 
“Amunì ma che state aspettando voi due?” esclamò Maria, coprendo la distanza dalla sua camera alla porta in pochissimi secondi, incenerendo con lo sguardo Irene. “Stefà, vieni, entra che fa freddo.”
“Appunto” rispose lei guardando male Irene e Rocco ancora stretti e coperti sul divano. “Guardali, che vergogna” disse puntando il dito verso di loro.
“Sì, guarda, lasciamo stare” rispose Maria roteando gli occhi al cielo. “Che ci fai qua? Vuoi qualcosa? Hai mangiato?”
“Sì sì, ho già mangiato, grazie” disse appoggiando il cappotto su una sedia e andandosi a sedere sul divano accanto a Irene, fregandole una parte di coperta, senza preoccuparsi minimamente di interrompere il loro momento di intimità.
“Ma scusa!” protestò lei. 
“Scusa che, me lo devi, mi hai lasciata fuori dalla porta al freddo!”
“Ma questa non è più casa tua, cosa vuoi da me?” si lamentò ancora Irene, cercando di strapparle la coperta che Stefania, tuttavia, teneva saldamente tra le mani.
“La finite voi due, ah?” si intromise Rocco. “Non hai ancora detto che ci fai qua, però.” 
Stefania iniziò a fare finta di piagnucolare come una bambina, le ricordava quella volta in cui Pietro cercava di corteggiarla e lei non sapeva come rifiutarlo. 
“Marco. Ecco qual è il problema” sbuffò e si coprì il volto con la coperta. 
“Ancora? Lo sai che se Gemma sa che ti piace ti butta giù dai Navigli?” le ricordò Irene.
“Appunto per questo sono disperata! Che devo fare?” continuò a piagnucolare lei.
Maria prese una sedia e la girò verso il divano, sedendosi davanti a Stefania. 
“Ma è successo qualcosa stasera?”
“Ho trovato un regalo suo dentro l’armadietto” rivelò infine.
“Cosa?!” esclamarono all’unisono Maria e Irene. 
“Una penna stilografica” disse tirandola fuori dalla borsetta per mostrarla alle sue amiche. “E c’è pure un biglietto.”
“Una penna? E che regalo è, avà” sbuffò Rocco, causando uno sguardo di fuoco da parte di Stefania. 
“Come che regalo è? E’ un regalo bellissimo! Significa che mi ha preso sotto la sua ala protettrice, che mi stima come giornalista, che vede del potenziale in me. E’ un regalo bellissimo, ma cosa ne vuoi sapere tu?” rispose infervorata.
“Sì, va bene, calmati però” cercò di placarla Maria. 
“E’ un regalo che non deve significare niente!” le intimò Irene. Avrebbe tanto voluto spingerla tra le braccia di Marco, quella Gemma non le era mai piaciuta e una parte di lei non sopportava l’idea che la sua migliore amica l’avesse quasi sostituita con lei, ma sapeva che Stefania si sarebbe messa in un bel pasticcio e non voleva che perdesse la testa per un uomo che non la ricambiava o che, se lo faceva, continuava a tenere il piede in due scarpe. Stefania meritava di meglio. 
“No, infatti” ripeté Stefania. “Non mi considera nemmeno, sotto quel punto di vista. Tra di noi c’è solo stima professionale” annuì cercando di autoconvincersi. La verità era che in lei qualcosa in quelle ultime settimane stava già cambiando. Ma cercava di negarlo a tutti i costi a se stessa, e soprattutto agli altri, perché se Gemma avesse intuito delle mire verso il suo uomo, non gliel’avrebbe fatta passare liscia tanto facilmente e probabilmente si sarebbe direttamente liberata di lei gettandola giù dai Navigli. Stefania alla fine si era affezionata a quella ragazza e a quella famiglia al completo che non aveva mai avuto modo di vivere da bambina, con suo padre spesso fuori per lavoro, una madre morta e una zia un po’ impicciona. Sarebbe stato bello condividere gioie e dolori con un’altra persona, con una sorella come Gemma. 
“Ecco, brava” disse Irene cercando di tirare nuovamente via la coperta a Stefania.
“Ma mi vuoi mandare via?” la sua amica mise il broncio. 
“Da cosa l’hai capito?” chiese Irene stringendosi ancora più a Rocco così da farle comprendere l’antifona. 
“Ma basta, passi giorno e notte con questo fituso” scherzò Stefania prendendoli in giro con le pochissime parole in siciliano che aveva imparato.
Maria cercò di soffocare una risata, mentre Rocco faceva lo stesso.
“Sei solo invidiosa” ribatté la sua amica con una smorfia. E Stefania effettivamente lo era davvero. Quando sarebbe arrivato il suo turno? Quel bacio scambiato l’estate prima con Federico le aveva fatto credere per un istante di essere riuscita a convincerlo di non essere una stupida ragazzina, ma una donna con cui condivideva tanti interessi. Poi tutto era sfumato quando aveva saputo della sua partenza per San Francisco. 
“Comunque io non ho intenzione di andare via, Maria non mi caccerebbe mai fuori. Vero?” 
“No, mai, mai” aggiunse distrattamente Maria, che poco badava alle scaramucce tra quelle due. Quando si impegnavano riuscivano facilmente a sembrare due bambine delle elementari.  “Ma perché vuoi restare qua?”
“Perché… non ve lo dico” strinse le braccia al petto. 
“Vabbè u capì” si intromise Rocco scostandosi. “Io vado a mangiare da mia zia. Ci vediamo più tardi” aggiunse schioccando un bacio sulle labbra di un’Irene imbronciata. Ormai era loro abitudine vedersi anche solo dieci minuti prima di andare a dormire per darsi la buonanotte. Quanto le sarebbe mancato tutto questo al suo ritorno a Roma. In quel mese, che era praticamente ormai volato, si erano abituati facilmente a quella nuova routine. Non avevano avuto modo di viversi appieno da quando si erano messi insieme. Lui dopo poco era dovuto partire per Roma e la loro storia era stata sin da subito gettata tra le grandi difficoltà delle relazioni a distanza. 
Irene si scostò controvoglia e lo osservò accigliata mentre si avviava verso la porta. Stefania appoggiò la testa contro la sua spalla e sbuffò. Dopo l’uscita di Rocco diventò un fiume in piena, iniziando a parlare di quello che iniziava a sentire per Marco, del loro rapporto, di quello con Gemma, delle sue paure e delle sue tante ansie. Irene e Maria l’ascoltarono, cercando di darle i giusti consigli tra un maccherone al pomodoro e l’altro. 
“Vabbè ma in fondo cosa ne so io? Magari sto semplicemente scambiando la stima per qualcosa di più, no?” provò a giustificarsi con le sue amiche. 
“Certo, può essere. Anzi, sicuro è così” disse Maria. 
“Perché tu non dici niente?” chiese a Irene che, stranamente, rimaneva in silenzio a fissare davanti a sé avvolta nella coperta della signora Agnese. 
“Perché direi cose che non ti piacerebbe sentire” rispose lei.
“Ma non è che ti stai ammalando? Tutta accussì imbacuccata” si preoccupò Maria. 
“Chissà. Per questo è meglio se me ne vado a dormire. Ciao” si alzò allora bruscamente, rintanandosi in camera sua, lasciando Maria e Stefania confuse.

Stefania la beccò a notte fonda seduta sulla toletta, tutta china mentre era intenta a fare qualcosa che, nella semi ombra della sera, Stefania non riusciva a vedere. Aveva convinto le amiche a passare lì la notte perché non voleva tornare a casa e affrontare Gemma, sentirla parlare del suo rapporto con Marco e nascondere quella confusione che rendeva di nebbia ogni pensiero.
Si alzò piano e si avvicinò a Irene, talmente concentrata da sentirla solo quando la sua amica era ormai già dietro di lei.
“Che stai facendo?” chiese Stefania, facendo sobbalzare Irene. 
“Ma che modi sono!” rispose lei cercando di coprire il foglio con trucchi, profumi, e qualsiasi oggetto avesse lì a portata di mano.
“Stai scrivendo qualcosa?” domandò incredula, ma a tratti divertita. 
“Ma figurati.” Ma Stefania ormai conosceva fin troppo bene la sua migliore amica da capire quando stava nascondendo qualcosa. 
“Dai, fammi vedere” cercò di spostarla e tirare via il foglio che Irene copriva con entrambe le braccia. 
“No” rispose lei con decisione.
“Dai, ti prego, ti prego. Sono la tua migliore amica o no?” chiese Stefania cercando di far leva sui suoi sentimenti.
“No, anzi stasera non ti sopporto proprio” esclamò lei, mentre Stefania metteva il broncio e poi, in un momento di distrazione di Irene, le soffiò via il foglio da sotto il braccio. Irene non cercò nemmeno di riprenderlo, la guardò sconsolata con la piccola abat jour accesa che illuminava flebilmente la faccia di Stefania intenta a leggere quelle quattro stupide righe. 
“Non è niente di che. E’ che oggi mi avete detto che potrei avere qualche qualità che non ho ancora scoperto e quindi volevo provare, ecco. Ma era così, tanto per” si giustificò con una smorfia.
Stefania si sedette sul vicino letto e la guardò con aria intenerita. “Ohh” pronunciò come se avesse davanti un tenero animaletto. Irene la guardò inorridita e si alzò per tirarle via dalle mani la sua inutile creatura. La appallottolò e la gettò dentro il piccolo cestino sotto la toletta.
“No, perché l’hai fatto? Era bella!” provò a convincerla l’amica, mentre Irene faceva spallucce e tornava a sdraiarsi sul suo letto. “E’ che non sapevo avessi anche questo lato così tenero. Scoprire la notte della vigilia di Natale che anche Irene Cipriani ha un cuore, come un signor Scrooge qualsiasi, non è una notizia facile da processare” la prese in giro Stefania, alzandosi a sua volta per raggiungerla sul letto e sdraiarsi al suo fianco. 
“Vai via” si lamentò lei con poca spinta. “Sei così invadente anche con Gemma?” 
“No, solo con te perché so che ti piace tanto” continuò a scherzare. “Volevi regalarla a Rocco?” le chiese mentre appoggiava la testa contro la sua spalla. 
“No, era un esperimento” mentì. 
“Guarda che secondo me lo fai contento.”
“Dici? E’ che volevo regalargli qualcosa di… personale” ammise alla fine. “E’ il nostro primo Natale e non vorrei dargli qualcosa di stupido che magari non metterà mai. Volevo che avesse un significato.”
“E’ una bella idea. Anche perché cosa si potrebbe mai regalare a uno come Rocco?” provò a pensare Stefania e in effetti non c’era nulla che le venisse in mente che a Rocco potesse piacere. “A parte del cibo, ovviamente.”
“E se gli cucinassi anche qualcosa?” propose allora Irene. “Lui sembra già aver già scelto con facilità il mio regalo. Non lo sopporto. Indaghi e vedi di scoprire cos’è?” le domandò facendole gli occhi dolci al buio.
“E poi che sorpresa sarebbe? Però ti aiuto io a cucinare, va bene?” rispose lei preoccupata per la salute fisica di tutta la tavolata del giorno seguente.
“Ti piaceva davvero?” chiese Irene dopo un po’. In fondo Stefania lavorava in redazione, di scrittura ne capiva qualcosa, quindi il suo parere le interessava particolarmente.
“Irene Cipriani è segretamente una romanticona” la prese ancora in giro Stefania. 
“Smettila” si lamentò lei, mentre Stefania ridacchiava e la rassicurava allo stesso tempo. “E’ bellissima e se non gliela regali tu, domani la tiro fuori dal cestino e gliela do io stessa.”
“Ingenuo com’è penserebbe che ti stai dichiarando a lui.”
“Ti immagini la sua faccia?” iniziò a ridere Stefania e Irene la seguì a ruota, arrendendosi alla vicinanza della sua amica che tanto le mancava. Voleva bene a Maria, e anche se il loro rapporto si era evoluto, non era ancora la stessa cosa. 

 Maria le trovò la mattina dopo ancora sdraiate insieme sul letto.
“Quanto siete sdolcinate, amunì” le chiamò per svegliarle, scostando le coperte. Quella era la giornata del servizio fotografico e non potevano arrivare in ritardo, anche perché il Paradiso sarebbe rimasto aperto solo mezza giornata. Stefania si alzò quasi subito, mentre a Irene, come sempre, servì l’odore del caffè per farla strisciare fuori dal caldo delle coperte per raggiungere la fredda cucina. 
Iniziò a fare colazione roteando distrattamente il cucchiaino nella tazzina di caffè dentro la quale aveva versato dello zucchero. Con l’altra mano sorreggeva il mento e fissava un punto imprecisato davanti a sé, in procinto di riaddormentarsi di nuovo. 
Il suono di qualcuno che bussava alla porta la ridestò dai suoi pensieri, ma non abbastanza da spingerla ad alzarsi, nemmeno se la persona dall’altra parte fosse stata Rocco. Ci avrebbero pensato Stefania o Maria ad alzarsi al posto suo.
Maria, che era già pronta per uscire, si infilò il cappotto e il foulard e si avviò verso la porta per far entrare proprio Rocco. Lo salutò velocemente e disse alle ragazze che le avrebbe incontrate direttamente al lavoro. 
“Buongiorno, ah” disse Rocco dato che Irene aveva accolto il suo arrivo con un distratto cenno del capo. 
Incontrò lo sguardo di Stefania e le chiese a bassa voce cosa avesse la sua fidanzata. Stefania si strinse nelle spalle e si alzò per andare in bagno a prepararsi, lasciandoli da soli.
“Buongiorno” rispose lei sollevando la testa verso di lui.
“Chi fu? Stai bene?” chiese Rocco sedendosi accanto a lei e iniziando ad accarezzarle la nuca scoperta con la punta delle dita. 
“Sì sì, sono solo sveglia da poco” gli spiegò lei. Aveva bisogno di almeno dieci minuti per ritrovare la pace col mondo e svegliarsi completamente, specialmente se la giornata che la aspettava sarebbe stata impegnativa come quella. 
“Allora lo fai questo servizio fotografico?” chiese lui, afferrando uno dei biscotti presenti a centro tavola. Gli piaceva sempre vedere Irene nei panni di modella, era sempre bellissima. Ricordava quando la ammirava da lontano e in silenzio, imbarazzato da quel carattere esplosivo che lo metteva a disagio. Ai tempi non riusciva a credere che una persona, per di più una donna, potesse essere tanto sicura di sé e del proprio aspetto, da non preoccuparsi troppo delle malelingue. Conoscendola aveva scoperto che non era del tutto vero, ma quell’aria spavalda davanti agli altri le era rimasta e Rocco continuava ad ammirare quel lato di lei. Sarebbe voluto essere meno trasparente anche lui e ostentare una sicurezza che in realtà non sempre aveva.
“Sì” rispose Irene. “Mi hanno fatto capire che forse non saremo tutte donne in carriera, o forse semplicemente io la mia non l’ho ancora trovata, ma non per questo devo sentirmi meno di loro.”
“Bravissima, Irè” rispose lui con slancio, prendendole il viso tra le mani per stamparle un bacio sulle labbra ancora umide di caffè. “Ma lo sai che ieri il dottor Conti ha chiesto pure a me di fare ‘sti fotu?” la informò.
“E solo ora me lo dici?” ribatté lei offesa. 
“Ma ieri stavi tutta accussì, pensierosa, poi è arrivata Stefania e mi sono dimenticato.”
“E come mai proprio tu?”
“Ma comu picchì. L’articolo è per parlare di quelli che hanno lavorato al Paradiso e poi hanno trovato la propria strada. E qui c’hai davanti a te un ciclista professionista, no?” si tirò dritto come un tacchino che mostrava la coda per il rituale di accoppiamento. Irene sorrise divertita.
“Un ciclista azzoppato” rispose lei, prendendolo in giro. Doveva ammettere che l’idea di avere Rocco accanto a sé la faceva sentire più sicura, per qualche motivo, nonostante in realtà non cambiasse nemmeno di una virgola la sua posizione all’interno di quell’articolo. 
“Avà” disse lui quasi offeso e allora Irene si alzò e gli posò un bacio tra i capelli che ormai iniziava a tenere sempre meno impomatati, come piacevano a lei. 

“Sono contento che alla fine abbia deciso di partecipare” si avvicinò Vittorio Conti mentre Irene finiva di sistemarsi davanti allo specchio in galleria. Era ormai finita la giornata lavorativa e dovevano solo ultimare quelle foto prima di andare via. Durante le vacanze natalizie avrebbero scritto l’articolo e mandato in stampa la rivista a inizio anno. Dovevano banalmente posare mentre facevano ciò che facevano tutti i giorni. Quindi iniziarono da Stefania in redazione e proseguirono con Dora alla postazione del maquillage. 
“Anche io, grazie dottor Conti.”
“Se posso, come mai ha cambiato idea?” chiese lui, mentre Rocco, vestito di tutto punto da ciclista arrivò e le passò un braccio attorno alle spalle. Vittorio Conti indicò il suo fidanzato con lo sguardo, come per chiederle se fosse stato proprio lui a metterci il suo zampino.
“No, in realtà è stata la signorina Moreau” gli spiegò lei. “Mi ha fatto capire che i miei talenti possono non essere palesi come quelli delle altre veneri, ma non vuol dire che non ci siano.”
“Ben detto, ben detto. La penso esattamente come lei. E poi le ricordo che è la migliore venditrice che abbiamo. Ma non lo dica a nessuno” aggiunse a bassa voce, mentre si allontanava con un sorriso. 
Rocco la strinse ancora di più a sé, come se il complimento lo avessero fatto a lui stesso. 
“Hai visto?” le disse tutto orgoglioso.
“Beh, su quello non c’erano dubbi” Irene si strinse nelle spalle con fare noncurante, ma in realtà vederlo così fiero di lei, nonostante non facesse niente di speciale, la fece sentire importante. Rocco la faceva sempre sentire importante, come se non esistesse nient’altro al mondo che avesse la priorità su di lei. Nessuno l’aveva mai fatta sentire così. Si era sentita importante solo con sua madre, perché lei era effettivamente aveva avuto bisogno di lei, specialmente durante la fase finale della malattia. Ma per nessun altro aveva mai sentito di contare tanto quanto valeva per Rocco. Improvvisamente il futuro non le sembrò più così incerto. In qualche modo l’avrebbero affrontato insieme e sapeva che Rocco sarebbe sempre stato lì accanto a lei per sostenerla. Non era più il ragazzino che credeva che la sua donna dovesse trascorrere l’intera vita tra i fornelli. E sapeva bene che Irene non era affatto quel tipo di persona. Lo sapeva quando aveva scelto di stare con lei e non le avrebbe mai impedito di trovare il proprio posto nel mondo, costringendola a una vita che non la soddisfaceva. Forse non aveva ancora tutte le risposte a portata di mano, ma ogni tanto faceva anche bene brancolare nel buio, in cerca di qualcosa, in attesa di raggiungere un obiettivo ancora sconosciuto. Dopotutto non sopportava la monotonia e se avesse già avuto tutta la sua vita organizzata, sapendo esattamente dove ogni tassello sarebbe andato a finire, dove sarebbe stato il bello? 

“Che cosa state confabulando voi due?” disse Irene avvicinandosi a Rocco e Stefania dopo il servizio fotografico. Parlottavano davanti ai camerini, dove Rocco di lì a poco sarebbe entrato per rimettersi i suoi vestiti e tornare finalmente a casa insieme. C’era ancora tanto da preparare e Irene doveva iniziare a cucinare per Rocco e ultimare il suo regalo, scrivendolo in bella copia e magari dando un'aggiustatina qua e là, dato che Stefania l’aveva interrotta sul più bello.
Il modo in cui quei due si guardavano, tuttavia, non le piaceva affatto. Sembrava evidente le stessero nascondendo qualcosa e Irene aveva il timore che Stefania gli avesse raccontato qualcosa del suo regalo. Se così fosse stato, non gliel’avrebbe perdonato facilmente!
“Niente!” rispose Stefania, come colta in flagrante. 
“Avete proprio la faccia di due che non stanno progettando niente” li scrutò attentamente lei, passando lo sguardo da uno all’altra con aria indagatrice.
“Amunì, Irè” esclamò lui dondolandosi sul posto, come faceva sempre quando lei lo metteva a disagio e gli faceva fare qualcosa che non voleva, come un bambino che faceva i capricci.
“Niente che ti riguardi, allora” provò a salvare la situazione Stefania. “Ci vediamo a casa!” aggiunse defilandosi con un sorriso, mentre Rocco la guardava come se avesse potuto strozzarla lì sul posto. 
“Ehh… io mi devo cambiare” prese frettolosamente gli abiti posti sul divanetto e si rintanò in camerino, credendo di essere al sicuro. Senza rendersi conto di aver dimenticato qualcosa di fondamentale. 
Irene afferrò con un sorriso furbo i pantaloni che erano caduti per terra, prima che Rocco potesse accorgersene e tirarli dentro con sé. Dopo qualche secondo si affacciò con aria disperata, trovandosi un’Irene che glieli sventolava davanti con aria di sfida.
“Avà” borbottò lui, mettendo il broncio. “Ma che siamo all’asilo, ah?”
“Forse” si strinse nelle spalle Irene. “Guarda che se non me lo dici a casa ci torni in mutande” disse minacciandolo.
“Amunì, Irè. E poi al massimo c’ho i pantaloncini” le ricordò lui.
“E vuoi uscire con quelli in pieno inverno? Landi prima ha detto che stava persino iniziando a nevicare.”
Rocco strabuzzò gli occhi. L’idea di tornare a piedi fino a casa con quei pantaloncini lo faceva rabbrividire già adesso, lui che non si era ancora del tutto abituato al freddo pungente di Milano, dopo aver convissuto gran parte della sua esistenza con quelli molto più miti della Sicilia. 
“Irè, per piacere, ah” la supplicò, mentre lei sorrideva trionfante.
“Devi solo dirmi cosa mi stai nascondendo e i pantaloni saranno tuoi.”
“Ma non te lo posso dire, avà” si lamentò sventolando una mano fuori dal camerino per cercare di riacciuffarli. “Ma tu lo sai che ci metto un attimo a rimettermi ‘sti pantaloni e uscire da qua per riprendermi quegli altri, ah?”
“Devi prima riuscirci” lo sfidò lei. “E non è detto che non arrivi prima io alla porta” fece spallucce. 
Lui la guardò torvo senza dire una parola, come faceva spesso quando lei lo faceva innervosire. Ma era determinato a non dargliela vinta. Non poteva. Piuttosto avrebbe affrontato il freddo e si sarebbe fatto venire un malanno. Aprì di scatto la tenda del camerino, facendosi vedere in mutande, mentre Irene spalancò gli occhi sorpresa, non da quella visione, ma dal fatto che lo stesse facendo lì al Paradiso, nonostante non ci fosse al momento nessuno che potesse vederli. 
“Signor Amato!” però proprio in quel momento Gloria Moreau uscì dallo spogliatoio delle ragazze. “Le sembra modo di farsi vedere davanti a una signorina in pubblico? Non mi importa che sia la sua fidanzata, non è l’atteggiamento che mi sarei aspettato da un uomo per bene come lei” gli disse tra l’imbarazzato e il divertito.
“E lei, signorina Cipriani, gli renda i pantaloni, per piacere” stavolta guardò lei come se avesse a che fare con due bambini e lei fosse la madre esasperata dai loro battibecchi. 
Irene sbuffò, allungandoli alla signorina Moreau che, nel frattempo, aveva chiuso la tenda del camerino dove si trovava Rocco. Prima di lasciarli da soli, però, rivolse un sorriso divertito a Irene e si allontanò.
“Buona vigilia, signorina” le disse prima di uscire, passando dalla porta del magazzino, dove Irene immaginò volesse andare a salutare il signor Armando. 
“Buona vigilia anche a lei.”

“Ma tu sei proprio sicura?” le chiese Maria mentre Irene infilava il grembiule, pronta a mettersi ai fornelli. In quell’ultimo periodo era migliorata, un po’ per l’aiuto di Maria e un po’ per quello della signora Agnese che ogni tanto si imponeva e la costringeva a cucinare insieme a lei, o quantomeno aiutarla a tagliare qualche ingrediente, sperando che in questo modo assorbisse automaticamente i vari passaggi. Non si arrendeva al fatto che la fidanzata di suo nipote potesse essere una tale incapace in cucina, e continuava a chiedersi come avrebbero fatto se si fossero mai sposati. Quel se non si era ancora trasformato in “quando”. Agnese la accettava, in fondo le voleva pure bene, anche se non lo avrebbe mai ammesso, ma non riusciva ancora a capire se quella storia potesse davvero andare avanti. Che fossero innamorati e stessero bene insieme riusciva a capirlo anche da sola, ma l’amore poteva bastare? Specialmente quando lo vivevano a chilometri di distanza? Agnese preferiva non fare progetti a lungo termine quando si trattava di Irene, ma ormai la sua presenza era stata non solo accettata, ma era quasi persino gradita. Si era arresa all’idea che non potesse fare niente per cambiare le cose, quindi tanto valeva andare con la corrente, una volta tanto.
“Certo” rispose Irene con convinzione. Sarebbe riuscita a cucinare qualcosa per quel cenone della vigilia che avrebbe trascorso con le sue amiche e con Rocco. Il giorno seguente Stefania sarebbe stata giustamente insieme alla sua famiglia, Maria con Alfredo, e anzi era pure piuttosto agitata dato che sarebbe stato il momento fatidico in cui lui la presentava ai suoi. Irene era ancora indecisa. Gli Amato avevano chiaramente richiesto la presenza sua e di Rocco, ma in quell’ultimo periodo Irene stava cercando di ristabilire un rapporto con suo padre. Da quando stavano insieme l’aveva vista con Rocco solo una volta, quando erano andati a pranzo insieme una domenica di qualche mese prima durante l’estate. Forse gli avrebbe concesso un pranzo informale il ventisei. Fino a poco tempo prima le sarebbe sembrato assurdo preferire la famiglia di Rocco, ma adesso che Giuseppe non c’era più, non erano in fondo così male. Specialmente adesso che c’era anche un’altra presenza femminile oltre a lei e Tina, ovvero Anna, la fidanzata di Salvatore. 
“Va bene, allora tu aiuta Irene, io inizio a preparare la tavola” disse Stefania. 
“Che devo fare?” chiese Irene ben volenterosa, mentre Maria la guardava come un rocchetto attorcigliato da cui non sapeva da che parte cominciare per sbrogliarlo. 
Alla fine non aveva preparato niente di trascendentale. Le aveva insegnato a cucinare la caponata che a Rocco piaceva tanto, e aveva passato il pomeriggio a tagliare verdure, per il resto si erano occupate di tutto Maria e Stefania. 
Poco prima della cena Irene era già vestita di tutto punto con un abito lilla che aveva preso qualche settimana prima per l’occasione, seduta sul letto mentre rileggeva il suo regalo. Si sentiva una stupida, in realtà. Le sembrò così sciocco regalargli una cosa del genere, che fu lì lì per cambiare idea. Si maledisse per non aver pensato a un piano B. Aveva senso avere un’opzione di riserva in caso la prima non fosse andata in porto, soprattutto dato che si trattava di qualcosa creata di suo pugno. Ma ormai era troppo tardi per uscire di casa e comprargli qualcos’altro. Era la vigilia di Natale per tutti, non solo per lei. I negozi sarebbero stati tutti chiusi. 
“Buonasera” disse Rocco bussando alla sua porta.
“E tu che ci fai già qui?” rispose lei nascondendo rapidamente il foglio sotto il cuscino. 
“Stasera Salvo è andato al paese da Anna e allora c’ho voluto lasciare la casa libera a mia zia e ad Armando” commentò lui sedendosi accanto a lei sul letto. “E stare io un poco da solo con te, prima che arrivano gli altri” aggiunse prendendole le gambe per metterle sulle sue e avvicinarla a sé. 
“Mi sgualcisci il vestito così” disse Irene per niente convinta. 
“Sei bellissima, Irè” pronunciò Rocco senza badare alle lamentele della sua fidanzata.
“Anche tu non sei male, dai” rispose lei con ironia, facendogli una carezza sulla guancia.
Rocco sarebbe partito per tornare a Roma il giorno dopo Capodanno, questo voleva dire che avevano poco più di una settimana da trascorrere insieme. Poi sarebbero tornati a vedersi saltuariamente quando capitava. Finora aveva cercato di non pensarci, far finta che quella data non esistesse e che loro potessero continuare a stare insieme giornalmente per il resto dei loro giorni. Ma più quel momento si avvicinava, più diventava difficile fare finta di niente. Come avrebbe fatto ad abituarsi di nuovo ad averlo lontano, ad accontentarsi delle telefonate nel fine settimana e di un paio di visite al mese, quando per oltre un mese avevano vissuto praticamente in simbiosi? 
“Buona vigilia” le sussurrò lui all’orecchio, strofinando delicatamente la punta del suo naso contro la linea della sua mascella. Un brivido percorse la schiena di Irene e iniziò a mordicchiarsi il labbro superiore dalla voglia di baciarlo. 
“Anche a te” rispose a fil di labbra, chiudendo gli occhi mentre Rocco le prendeva il viso con una mano e iniziava a muovere la lingua insieme alla sua in una danza che conoscevano ormai alla perfezione. Ogni volta che stavano così vicini, diventava sempre più difficile trattenersi. Il momento in cui i loro corpi alla fine forzatamente si separavano, sembrava come un’esplosione che rizzava loro i peli e li mandava in cortocircuito. 
Rocco allontanò la mano dal viso e la portò lungo i fianchi, mentre Irene si avvicinò con le labbra al suo collo, lasciandogli una scia di baci caldi fino alla clavicola, dove la camicia leggermente sbottonata le permetteva di arrivare. La sua mano si insinuò poi dietro il colletto della sua camicia, facendo scivolare leggeri i polpastrelli lungo la pelle delle spalle. 
“Irene sono…” disse Stefania, aprendo la porta di scatto e bloccandosi sulla soglia dopo averli visti insieme. La richiuse velocemente, come se non avesse visto nulla, ma ormai la magia si era spezzata. Irene sbuffando staccò subito le mani dal colletto della camicia di Rocco, mentre lui teneva gli occhi bassi, vergognandosi come un ladro di essere stato colto con le mani nel vasetto di marmellata. 
“Sei tutto sporco” ridacchiò Irene passando le dita sulle labbra arrossate di Rocco, un po’ per quei baci affamati, un po’ per il rossetto che si era trasferito su di lui. “E ora io per colpa tua devo rifarmi il trucco.”
Rocco sospirò sconsolato, dando un’ultima serie di baci a Irene mentre lei cercava di ripulirlo. Poi si alzò e si avvicinò alla porta. 
“Che vergogna, Irè” disse con la mano sulla maniglia. 
“Questo perché non sai placare i tuoi bollenti spiriti” commentò lei portandosi davanti allo specchio per tamponare le labbra con un fazzoletto e riapplicare il rossetto che Rocco le aveva lavato via. 
“Ah io?” scosse la testa. 
“Di certo non io” disse appoggiando le mani sulle sue spalle, mentre Rocco apriva la porta per ricongiungersi agli altri che dovevano essere appena arrivati, dato l’annuncio interrotto di Stefania. 
“Hai del… niente, lascia stare” commentò imbarazzata Stefania, indicando confusamente il colletto della sua camicia sporco di rossetto. 

Avevano trascorso una serata piacevole in compagnia. Per svariati motivi Alfredo aveva preferito rimanere a casa con la sua famiglia, dunque Rocco era l’unico uomo in quella casa composta unicamente da donne. Oltre a Stefania e Tina, avevano deciso di raggiungerle anche Sofia e Dora, e ognuna aveva portato qualcosa da mangiare. Quando Irene aveva detto a Rocco di aver preparato lei la caponata, lui la guardò come se avesse appena visto la Madonna.
“Vero è?” chiese Rocco tutto entusiasta, prima di fiondarcisi e riempirsi il piatto. Irene rimase dubbiosa in attesa di un suo responso, ansiosa come se dovesse ottenere l’approvazione della regina Elisabetta, e quando lo vide sorridere capì che gli era piaciuta. Certo, non era stata totalmente farina del suo sacco, aveva operato eseguendo le indicazioni di Maria, ma era comunque un passo avanti. 
“Amunì, abbiamo scoperto un altro talento, ah” rispose con orgoglio e soddisfazione, mentre Irene ridacchiava contenta di essere riuscita a fare qualcosa per farlo contento. Anche perché non sarebbe tornata ai fornelli tanto presto, quindi doveva farselo bastare per gli anni a venire. 
"Io brinderei al fatto che Irene stasera non ci ha avvelenato" disse Tina riempendosi il bicchiere di vino.
"Simpatica" le fece una smorfia lei.

Dopo lo spumante e il dolce Rocco si appoggiò allo schienale della sedia e Irene, seduta accanto a lui, si accoccolò contro il suo petto, talmente piena da dimenticarsi persino di dover ancora scambiare i regali con Rocco. 
“Io mi sa che c’ho bisogno di un poco d’aria” disse dopo un po’. “Sto scoppiando.”
“Rocco pieno? Non sei credibile” commentò Stefania, ammutolendosi di colpo realizzando che probabilmente era solo una scusa per portare fuori Irene. 
Quest'ultima, talmente allegra per colpa dello spumante, non si accorse dello scambio di sguardi tra i due e di Tina che si avvicinava a Stefania per chiederle di essere aggiornata, e si alzò senza fare storie quando Rocco le chiese di fargli compagnia fuori. Approfittò di quel momento per prendere il suo regalo, senza sapere che anche Rocco stava per fare esattamente la stessa cosa.
“Irè” disse lui nervosamente, stringendo le mani di lei nelle sue.
“Che c’è?” rispose lei aggrottando le sopracciglia. 
Rocco tirò fuori dalla tasca del cappotto un pacchettino dalla forma particolare. Irene si illuminò.
“E’ il tuo regalo?” chiese curiosa. Le piacevano le sorprese, ma allo stesso tempo le detestava. Le piacevano solo se non aveva alcuna idea che stessero per fargliene una, ma quando invece aveva il sentore che qualcuno le nascondesse qualcosa, allora in quell’istante diventava impaziente e non riusciva più a resistere. Aveva smaniato per giorni davanti all’idea di quel regalo, chiedendosi spesso cosa potesse essere. La curiosità la mangiava viva. E adesso era lì tra le sue mani. Lo scartò impaziente e si ritrovò davanti una… palla di neve? 
“Quella è la fontana di Trevi” le spiegò lui. “Vedi che ci sono due personaggi là davanti” glieli indicò. Erano delle figurine piccole di un uomo e di una donna che si abbracciavano. Lei aveva i capelli biondi e lui scuri. “Sembravamo noi e quindi quando l’ho vista ho pensato che se te la regalavo, magari te la mettevi sul comodino e pensavi a noi. Ci faceva sentire più vicini” disse emozionato. Gliel’aveva comprata a Roma prima che insieme ripartissero alla volta di Milano. L’aveva tenuta in camera sua per un mese: gli sembrò adatto regalargliela proprio a Natale, quando era in procinto di ritornare a Roma da solo.
A Irene dapprima sembrò un regalo un po’ strano, ma dopo quella spiegazione lo trovò di una dolcezza infinita. Osservò con cura ogni angolo di quella palla di neve si stupì del fatto che Rocco avesse avuto un pensiero tanto carino e romantico. E personale, in fondo, proprio come voleva lei. 
“E’ bellissima” commentò mettendosi sulle punte per stampargli un bacio sulle labbra. 
“Non la giri?” chiese lui nervosamente.
“In che senso?”
“Per vedere la neve, va, così.”
“Ah, giusto” rispose Irene girando la palla di neve al contrario per far sollevare quei piccoli frammenti bianchi depositati sul fondo. Poi però notò qualcosa attaccato alla base e lo guardò per qualche istante perplessa. “E questo?” disse cercando di staccarlo.
“Rocco…” mormorò Irene, dimenticandosi completamente di come si pronunciassero altre parole nella loro lingua.
“Mi vuoi sposare, Irè?” le chiese lui col cuore in gola, di getto prima che potesse perdere il coraggio di farle quella proposta. Conosceva bene Irene, sapeva che per lei era ancora presto e che il matrimonio non era assolutamente in cima alla lista dei suoi pensieri. Per questo temeva un rifiuto. 
Irene prese quell’anello tra le dita e lo osservò sull’orlo di una crisi di panico e di gioia. Un miscuglio tra quei due sentimenti tanto diversi che la faceva sentire ubriaca. E forse in fondo lo era davvero, dopo tre bicchieri di spumante. 
Rocco deglutì a fatica, cercando di trovare il coraggio per continuare per colmare il silenzio di lei. “Lo so che per te è presto, che non è passato ancora nemmeno un anno e che viviamo ancora separati. Ma io voglio stare con te, Irè. E ci voglio stare per sempre. Non ci dobbiamo sposare ora. Voglio che sia un simbolo del mio impegno con te. Perché anche se ogni tanto faccio qualche fissaria e ti deludo, e anche se viviamo lontani e non ci vediamo sempre, io ti amo. E voglio che se ti viene qualche dubbio, ogni volta che guardi questo anello tu sai che io ci sono e ci sarò per sempre” disse a ruota libera, cercando di tirare fuori tutto quello che provava per convincerla ad accettare la sua proposta. 
Irene lo guardò con gli occhi lucidi. “E’... è bellissimo” riuscì a dire solamente. Era davvero tutto bellissimo. Quel discorso era perfetto, non aveva sbagliato nulla. E quell’anello era la cosa più bella che avesse mai visto. La pietra era un'acqua marina, del colore dei suoi occhi, e Irene dubitò che fosse solo un caso. Per quanto assurdo fosse, in quel momento si ritrovò a pensare che effettivamente il suo regalo era sciocco, paragonato a questo. 
“Irè” la esortò Rocco, preoccupato da quel silenzio tombale. “Che dici?”
“Ah, è vero” realizzò in quel momento che avrebbe dovuto dargli una risposta, come di solito si faceva davanti a una proposta di fidanzamento. Il punto è che dava per scontata una sua risposta affermativa. Nonostante le diversità, la lontananza, le incomprensioni, Rocco era la sua metà della mela. Era quella parte senza la quale si sentiva incompleta, quella che quando lo vedeva e gli parlava rimetteva sempre tutto a posto. Non sapeva cosa avrebbe riservato loro il futuro, e come sarebbe stata la sua vita e il suo ruolo di moglie e, forse, un giorno di madre. Ma non aveva dubbi di volerlo scoprire insieme a lui. 
“Sì, certo che ti dico sì, scimunito” lo prese in giro lei, scimmiottando una delle poche parole in siciliano che conosceva. 
“Davvero?” rispose lui sorpreso, come se non si aspettasse che Irene potesse davvero accettare. Le circondò la vita con le braccia e la sollevò da terra, stringendola a sé, riempiendola di baci lungo la guancia e il collo. 
“A questo punto non so se darti il mio regalo” commentò lei quando lui le fece appoggiare di nuovo i piedi per terra. 
“Ma comu no” rispose Rocco aggrottando le sopracciglia. “Ma tanto il mio regalo sei tu” aggiunse con fare sdolcinato. Tra i due era certamente lui quello più romantico della coppia, quello che più volentieri cercava il contatto fisico, quello che si lanciava in dichiarazioni in grande stile. Anche se Irene immaginava che Stefania avesse messo il suo zampino in quell’ultimo discorso appena ricevuto, e che fosse proprio questo che le stavano nascondendo prima in galleria. 
“Beh, volevo che il nostro primo regalo fosse qualcosa di personale. Per i berretti brutti c’è sempre tempo, no?” gli disse infine, allungandogli quel pezzo di carta arrotolato e fermato da un nastro argentato. 
Rocco la guardò confuso, ma afferrò con curiosità il suo regalo. Lo aprì e iniziò lentamente a leggere:

I tuoi ricci neri
Così vivi, accesi
Liberi
Scompigliati dall'aria
Come l'acqua di un fiume
In cui nuotano pesci
Privi di fame
Quante volte quei tuoi ricci neri
Le mie mattine hanno illuminato
Prima ancor che il caffè
Mi entrasse in corpo, in vena, in circolo
E poi dritto al cuore
Come le tue braccia han fatto
Ormai anni orsono
Quante volte quei tuoi ricci neri mi mancano
Quando sto male
Quando soffro
Quando qualcosa non va per il verso giusto
E tu eri sempre lì ad accogliermi
Un abbraccio privo di giudizio
E spalle larghe per accogliere
Ogni mia fragilità

Rocco alzò gli occhi dal foglio per guardarla come se avesse davanti a sé una persona sconosciuta. 
“L’hai scritta tu?” domandò incredulo, con gli occhi lucidi. 
“Te l’ho detto che era un regalo sciocco” abbassò la testa, imbarazzata come raramente le era mai accaduto. 
“E’ bellissima, Irè” disse ancora sorpreso, come se stentasse a credere che quelle parole tanto belle potessero essere state scritte proprio da lei. Che Irene fosse una persona dalle mille risorse questo lo sapeva bene. Ed era stata proprio lei ad aiutarlo a prendere la licenza elementare. E continuava ancora a farlo, anche a distanza. Durante una delle sue visite si era fatta trovare con un sussidiario. Alla stazione glielo aveva messo tra le mani senza nemmeno un accenno di spiegazione come per dire ‘il mio l’ho fatto, ora tocca a te’ e Rocco l’aveva ringraziata confuso. Solo dopo essere salito sul treno si era reso conto che quel libro era pieno di annotazioni, scritte lungo i bordi, suggerimenti, incoraggiamenti, spiegazioni… Insomma, Irene si era presa la briga di mettere il suo tocco ovunque: se non poteva essere lì ad aiutarlo a prepararsi per la licenza media, allora aveva deciso di esserci a modo suo. All’epoca quel regalo lo aveva commosso, ma adesso… adesso si era forse superata, rivelando un’altra qualità che non sapeva appartenerle. E chissà quante altre ce n’erano ancora tutte da scoprire. 
“Dici davvero?” domandò lei incredula. 
“Dico, dico” rispose prendendole una mano, quella su cui adesso campeggiava il suo anello di fidanzamento. “Tu sei… non ci sono parole per descriverti, Irè.” E non ce n’erano davvero. Ogni volta che credeva di conoscerla, lei riusciva a stupirlo. E forse quello era proprio uno dei motivi per cui si era innamorato di lei. Per quella sua capacità di rendere tutto straordinario, anche le cose più semplici. Irene non si poteva racchiudere in una sola parola, in una breve descrizione. Irene era tutto quello che non avrebbe mai creduto di volere, ma che stava aspettando da tutta la vita. Era un insieme di contraddizioni che la rendeva unica. L’unica e sola che volesse al suo fianco. 

 

Note: Si ringrazia la gentile partecipazione di Virginia per la bella poesia scritta totalmente random in chat e che le avevo promesso di aggiungere in questo capitolo ♥ ♥ ♥ ♥
  
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