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Autore: ClodiaSpirit_    20/04/2022    0 recensioni
[Un Professore]
[Un Professore]« Simone, significa che si sta nudi, senza vestiti l'uno di fronte all'altro »
Sì, mi sto tuffando nell'esperienza più imbarazzante della mia vita per un tuo capriccio. Ma andrà bene.
- - -
Che succederebbe se Simone e Manuel non si conoscessero?
Non hanno mai fatto lo stesso liceo, nè hanno avuto Dante come professore, le loro vite sono separate nella stessa città. Le vite separate ma uno sempre con l'amore per la matematica, l'altro per la filosofia.
E se Simone e Manuel, per caso, avessero l'occasione di partecipare a un'esperimento sociale in cui la fiducia è l'elemento centrale, per cancellare l'imbarazzo?
Cosa succede se due sconosciuti, si confrontano e decidono di mettersi a nudo, in tutti i sensi possibili che il caso può offire?
Genere: Generale, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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« Quindi, com'è andata? »

Laura era curiosa e eccitata, vedendo Simone ritirarsi un po' nel silenzio, un po' in un mezzo sorriso imbarazzato. Il ragazzo infilò le mani nelle tasche dei jeans, la felpa nera gli ricadeva addosso lunga. Simone teneva le gambe incrociate sul letto.
« È andata... come non mi aspettavo andasse »  disse in modo molto vago. Laura gli diede un buffetto sul braccio. Simone si toccò il punto fingendo un 'ahia' che gli uscì malissimo.

« Dai, non essere così criptico, raccontami! »

« È stato... intenso » mormorò in una voce tiepida « non ho avvertito tanto l'imbarazzo, dopo un po', » si guardò adesso i lacci della felpa che ricadevano sul petto « non pensavo potessi sentirmi così bene »
Laura corrugò la bocca in una smorfia intenerita.

« E lui, com'era? Voglio dire, ti hanno messo con uno carino? »

Carino, beh, forse un po' più di carino direi.
« Lui è simpatico » non usava l'imperfetto « mi ha messo subito a mio agio, aveva questa parlata romana... »  Simone alzò gli occhi al soffitto della camera, in maniera trasognata « dovevi vederlo, era tutto un ci provo e posso ascoltare. È stato molto "aperto" e ha fatto aprire anche me. Una persona che non avevo mai visto prima, ci credi Laura? Dopo quello schifo con Matteo... non lo credevo possibile. » Simone deglutì, era solo passato un giorno e mezzo e ancora Manuel non gli aveva scritto, né fatto una telefonata, quindi sospirò stanco « Gli ho lasciato il numero, alla fine dell'esperimento, nel caso mi volesse contattare... »
« Eh? » Laura chiese impaziente.

Simone si voltò a guardarla, aveva due occhi azzurri che splendevano più del solito quel martedì.
« Eh niente, ancora niente. Puff, scomparso. Forse mi sono solo fatto un film in testa »

Laura gli accarezzò la spalla, strofinandogliela appena.

« E a te, come è andata invece? »

Laura roteò gli occhi, scocciata.

« Lascia stare guarda... sembrava libero, tutto carino, disponibile. È stato lui a lasciarmi il suo numero. Ero convinta di poterci uscire quando alla fine lo ha chiamato una tipa. E non era nemmeno un'amica da come le parlava. Il bello è che gli avevo pure chiesto se si sentisse con qualcuno e lui ovviamente ha negato, da bravo maschio etero. Li odio tutti, mai che me ne capiti uno che non sia uno scherzo della natura. »

Simone uscì una mano dalla tasca dei jeans e la poggiò su quella dell'amica, ancora sula sua spalla. Poi appoggiò la testa su entrambe le loro mani.

« Forse sia io che te siamo destinati ad aspettare ancora » sussurrò.

« Non dire così Simone, non puoi saperlo, che lavoro fa? Magari è stato impegnato »

« Fa il professore di filosofia »

Laura sollevò un sopracciglio, interessata di colpo, la sua espressione cambiò in un lampo.

« Ironia della sorte »

Simone rise. Sì, in effetti.
Poi scrollò le spalle, in un gesto semplice.

« Non significa comunque niente, può darsi che non mi abbia voluto vedere »

Proprio in quell'istante il suo cellulare con la nota suoneria degli Oasis squillò sulla scrivania. Simone si abbatté sul letto, la sua testa schizzò contro il materasso: sicuramente è mio padre, pensò. Quella mattina aveva dovuto accompagnare sua nonna Virginia in un controllo medico di routine, e aveva detto al figlio di tenere il cellulare a portata di mano, in caso di novità. Simone aveva quindi chiamato l'amica, che si trovava libera, quel martedì, dal suo turno di lavoro al bar. Simone non avrebbe avuto lezione non prima delle cinque del pomeriggio. E quindi erano rimasti soli a casa. cellulare con la nota suoneria degli Oasis squillò sulla scrivania. Simone si abbatté sul letto, la sua testa schizzò contro il materasso: sicuramente è mio padre, pensò. Quella mattina aveva dovuto accompagnare sua nonna Virginia in un controllo medico di routine, e aveva detto al figlio di tenere il cellulare a portata di mano, in caso di novità. Simone aveva quindi chiamato l'amica, che si trovava libera, quel martedì, dal suo turno di lavoro al bar. Simone non avrebbe avuto lezione non prima delle cinque del pomeriggio. E quindi erano rimasti soli a casa.

« Che palle, sarà mio padre, Laura lo puoi prendere tu? »

Laura annuì e scattò verso la scrivania. Il suo sguardo si illuminò all'istante, mostrando il  display all'amico.
« Simone è un numero sconosciuto » gongolò emozionata come se si trattasse di un chiaro segno caduto dal cielo.

Simone deglutì appena. Poteva essere...?
Il suo pollice si mosse per scorrere sul tastino verde, gli stava saltando già la molla a propulsione che definiva "cuore" all'interno del petto, quando Laura lo fermò un attimo.
« Metti il vivavoce per favore, voglio sentire » supplicò, giungendo le mani.

Simone la guardò di sbieco, annuì e allora la ragazza si riposizionò sul letto così come si era alzata prima.

« Pronto?  » chiese vago, non sapendo chi potesse essere.

Cretino lo sai chi è. La sua voce ripeté ancora: vuoi essere positivo per una cazzo di volta nella tua vita?


« Simone, ehi, sono Manuel  »

Ecco appunto.
Sul viso del ragazzo apparve un sorriso enorme, raddoppiò ancora di più quando vide Laura coprirsi la bocca per non farsi sentire.
Ce l'ho fatta a non morire.

« Ohi, ciao! »

« Scusa se non mi sono fatto vivo prima, » Simone sentì un brusio di sottofondo « ma sono in pausa caffè, a scuola. La sala professori era piena e volevo parlare in tranquillità senza che nessuno si facesse i cazzi miei » Simone fece una risatina, ricordava come aveva risposto domenica a "la gente non finisci mai di conoscerla davvero". « Ti sto chiamando da un angolo del corridoio, ho trovato un momento libero solo adesso »
Laura gli fece il gesto delle mani aperte come a dirgli "te lo avevo detto".

« Figurati, non preoccuparti. » risultò molto teso nella voce, quindi decise di calmarsi un attimo e fare un respiro mentale invisibile e muto.

« Senti non so come stai messo oggi, ad impegni, » la sua voce era così densa, bassa che Simone avrebbe voluto avercelo davanti il volto di Manuel per poterla collegare alla sua persona « ma potremmo prenderci un caffè, in un bar del centro, se te viene comodo, ti mando la posizione »

L'accento romano. Simone annuì senza però parlare. Laura gli diede una gomitata, e questa volta Simone la sentì tutta. Ahia,  mimò a Laura. Si tastò il braccio con la mano.

« Va benissimo, non ho lezione prima delle cinque... »

« Allora mandami la posizione della tua facoltà e vediamo di beccarci nei paraggi »

Che carino.

« Certo, uhm, c'è questo baretto piccolo, proprio dopo lo spartitraffico, è piccolo ma  hanno dei cornetti dolci e salati stupendi. Ci vado sempre in pausa pranzo o studio. »

Sto parlando di cibo. Come se gliene freghi qualcosa, a lui frega di te. Che tono sto usando? Gli sembrerò un cretino.

Manuel però ridacchiò, al contrario delle sue aspettative negative. Forse aveva notato la velocità con cui aveva risposto, o forse Simone stava di nuovo giocando ad autosabotarsi. Quella risata a Simone parve oro puro liquido.

« Si può fare. Te va bene per le quattro, mh? »

« Mh, sì,  va benissimo »

« Perfetto allora »

Silenzio. Laura stava osservando come Simone fosse intento a fissare il nome sul display, come se il ragazzo, potesse materializzarsi lì davanti a lui.

« Simone, ce sei ancora? » Manuel sembrò preoccupato.

« Sì, sì è che non so cos'altro dire »

Figura di merda.

« Allora lo dico io, » mormorò in tono dolce « non vedo l'ora di vederti più tardi »

Mi sento male.

« Anche io, Manuel »

Simone non sapeva nemmeno se stavano ancora nella bolla della domenica, quella dove entrambi si erano scambiati fiducia senza conoscersi ancora. Non lo sapeva, ma il tono del ragazzo sembrava più chiaro che mai.
« A dopo, allora »

« A dopo »

Attaccò il telefono e si portò le mani a coprirsi la faccia, in uno stato di felicità ma anche tanta paura. Simone avvertiva la paura, leggera ma comunque paura. Paura che Manuel potesse fare un passo indietro all'ultimo secondo, paura che forse non lo trovava più tanto interessante. Paura, ma una paura nuova. Almeno adesso sapeva a cosa andava incontro dopo domenica: non vedo l'ora di vederti. Se solo avesse potuto vederlo mentre gli diceva quelle parole, sarebbe stato più tranquillo.

Laura lo abbracciò stretto con entrambe le mani, il suo affetto era una tisana per i suoi pensieri.

« Hai visto? E tu che pensavi non volesse rivederti! » il suo tono era pregno di amore per l'amico.

 Simone passò da uno stato di calma apparente, a i suoi grandi occhi spalancati.

« Laura, la domanda ora è: che cazzo mi metto?! »

La ragazza rise, dandogli un bacio sulla guancia e se lo strinse un po' di più a sé. Simone amava quando Laura lo faceva, si sentiva amato, e soprattutto capito.
« Intanto ti metti una camicia, anziché il solito maglione a collo alto, » Simone la guardò dal basso verso l'alto, vedeva il suo dito che si muoveva da destra a sinistra « e poi, come seconda cosa, per favore, cerca di restare calmo. Simone, te lo meriti. A te è capitato un ragazzo - dopo tre anni della tua vita monacale, Simone - che ha richiamato subito dopo che vi siete visti senza filtri. Dopo un'esperienza come quella, non è cosa da poco no? »

« Stai dicendo che mi ha detto sì solo perché mi vuole portare a letto? »

Simone sapeva di stare facendo lui stesso ironia, per sdrammatizzare e soprattutto perché una volta visto Manuel come mamma lo aveva fatto, lo scoglio più grande era stato superato. Era divertito, ma Laura rimase comunque offesa.
« Non mi è sembrato il tipo da una botta e via, Simone »

Simone annuì, toccò un capello dell'amica biondo, i suoi polpastrelli sfiorarono la punta, poi Simone lo rilasciò subito dopo.
 
« Stavo scherzando, Laura. E comunque nemmeno a me, ho visto del buono in lui » rispose pensieroso, ora dedicandosi ai lacci della sua felpa.
La ragazza annuì, poi, così come si era accigliato, un sorrisetto furbo le apparve sulla bocca, sostituendo il sentimento precedente.

« Hai un appuntamento ti rendi conto? »

« E' soltanto un caffè-»

« SIMONE BALESTRA » Laura gli puntò il dito contro, cercando di non scoppiare a ridere « tu hai un appuntamento, che sia un thè, un caffè, anche solo un bicchiere d'acqua, è un appuntamento, a tutti gli effetti, » si mise sulle ginocchia, che sprofondavano nel materasso e sulle lenzuola « e voglio riconoscere che sia anche un po' merito mio, se ciò è successo perché sono testarda e determinata, e questi ti ha portato all'azione! » concluse fiera.
Simone si ritrovò a ridere di gusto, annuendo e abbassando il braccio della ragazza, che era salito in alto, come se stesse dichiarando in un discorso l'inizio della guerra davanti ai suoi soldati.

« Sì, lo è. Gran parte di questo, è merito tuo Laura » concordò dolcemente « se non mi avessi spronato, non sarei andato e se non fossi andato, chissà cosa starei facendo adesso. Sicuramente, non avrei l'ansia a palla per un semplice caffè, » Simone diede un bacio sulla guancia a Laura, lei strizzò le labbra in un sorriso gongolante « ma sì, lo devo solo a te. »

« Beh il resto lo hai fatto tu però, riconoscitelo »

« Sì, ma senza il tuo aiuto, non sarebbe accaduto nulla. Sei l'amica che non pensavo di poter avere, Laura, al di là di ciò che c'è stato tempo fa tra di noi, » Laura ondeggiò la testa, a indicare che fosse acqua passata ormai « sono contento di averti nella mia vita »
La ragazza lo spinse via gentilmente e in fare teatrale, lo prese per le spalle.

« Tu sei il ragazzo migliore che ho avuto, che mi ha trattato con i guanti, Simone.  Anche quando mi hai detto che non mi volevi in quel modo. Sei un ragazzo che si apprezza e basta. E come tale, meriti qualcuno che ti faccia sentire così. »

I due amici si sorrisero, in quel martedì mattina, che era iniziato male e aveva cominciato pian piano a cambiare forma.   





 - -

 










 
 
 
Puntuale come un orologio svizzero, Simone si sistemò la camicia, cercando di non farci sopra ulteriori pieghe. I capelli erano sistemati, si controllò meglio in uno degli specchi del bar. Sembra tutto apposto. Simone aggiustò la mira. Sto bene, ho un colore che mi sta bene, come mi ha sempre detto mamma. E come mi ripete Laura di continuo.
Simone respirò a fondo, osservando come il barista dietro il bancone lo guardava. Contraccambiò lo sguardo, sorridendogli appena nervoso. La risposta fu positiva: gli mostrò le due dita incrociate.
Sono così disperato, che anche lui lo ha capito.  Andiamo bene.   
Guardò l'orologio al polso: mancavano solo due minuti. Si passò la lingua in mezzo ai denti, che aveva accuratamente lavato e a cui aveva dedicato anche il filo interdentale. Era agitato, tremendamente agitato. Calma. Simone era di spalle quando qualcuno gli bussò alla spalla. Manuel era arrivato.
« Ciao »

Manuel portava una maglia lunga, una sciarpa rossa gli avvolgeva il collo e un giubbotto di pelle incorniciava tutto.

« Ciao Simone »

Risultò impacciato nei modi, perché si mosse indicando i primi tavolini liberi, con la mano.

« Ci sediamo, uhm? »

Manuel annuì, e Simone si concentrò su quell'accenno di barba che gli era cresciuta ai lati delle guance e sul mento. Aveva ragione: sembrava leggermente più grande, di qualche anno in più rispetto a quando lo aveva visto senza. Forse non era possibile, però gli sembrava anche più bello.
Okay basta, stop, Simone, stop.
Seduti al tavolo del bar, uno di fronte all'altro adesso, Manuel teneva le mani giunte, si stavano guardando.
Cazzo dì qualcosa per favore.

« Quindi è lì che studi? » Manuel indicò con le dita la struttura a pochi metri dallo spartitraffico.

Oh signore grazie.

« Sì. Anche se non si direbbe, visto che la struttura non è proprio il massimo, ma si riesce a sopravvivere nonostante gli orari e le aule »

Manuel annuì, Simone notò subito l'orecchino che gli scintillava insieme a una serie di altri, più piccoli.

« Quindi oggi è stata una giornata fortunata? »

Simone annuì, toccandosi la nuca.

« Beh, ogni tanto anch'io ho un po' di fortuna... »

Manuel si tolse la giacca, appoggiandola contro la sedia. In quel momento, la cameriera arrivò al tavolo, con il blocco per prendere le ordinazioni su una mano.

« Allora, » Simone sapeva cosa voleva, e si sentì di provare a sfidare la sorte, guardò bene Manuel un attimo. Riusciva quasi col suo intuito a capire bene i gusti delle persone. Tu, hai la faccia di uno che non beve latte e caffè. E che se prende il caffè, non mette neanche lo zucchero. « Facciamo un cappuccino, un espresso amaro » Manuel sbattè le ciglia, la bocca si ridusse in un piccolo muscolo « e per favore, » disse rivolto alla cameriera stavolta « potresti portarci due cornetti speciali? »

La cameriera annotò tutto e li ringraziò, andando a dare la commanda al bancone.
Manuel si schiarì la voce, portandosi una mano a reggersi il mento.

« Poi mi spieghi, come hai fatto a capire che lo prendo senza zucchero, il caffè, Simone »

Simone rise un poco, le mani erano poggiate sul tavolo, alcuni anelli tintinnarono sulla superficie lucida. Scrollò le spalle.

« Ho tirato a indovinare »

« Cosa sei un mago oltre che matematico e studente modello? »

« Mi stai pompando troppo » negò oscillando la testa, Simone abbassò lo sguardo, la lingua si mosse in mezzo ai denti.

« Simone »
Eccolo lì, quel tono. Lo stesso tono di quando lo aveva richiamato domenica scorsa. Simone rialzò lo sguardo, e trovò Manuel che lo guardava dritto negli occhi « Te sottovaluti troppo »
« Non amo molto stare al centro dell'attenzione  » chiarì, giocando con il porta tovaglioli davanti a lui.
Manuel si mise comodo contro la seduta, incrociando le mani davanti a sé. Adesso, l'espressione era diversa, come se le parole di Simone gli avessero dato un colpo negativo.

« Stai bene? »

Sembra preoccupato.

« Credo di essere solo un po' nervoso, tutto qua  »

Le mani che giocavano col porta tovaglioli vennero fermate. Le dita di Manuel erano poggiate sopra le nocche e Simone non poté evitare di guardarle. I suoi occhi risultarono palesi, evidentemente sorpresi e non si diede modo di fermare l'arresto dei suoi pensieri in quell'istante. Le mani di Manuel mi stanno sfiorando.

« Siamo le stesse persone di domenica » Manuel ebbe il tono di un balsamo « io non so disegnare e tu  non sopporti la filosofia, ricordi? »
Simone annuì piano, un sorriso piccolo gli circondò le pieghe del viso. Manuel lo condivise e contraccambiò. Le dita di Manuel erano ancora lì, ci frugò ancora, prima di scostare le mani.

« Devi scusarmi, è che ho pensato un po' di cose e non dovevo perché mi sono fottuto il cervello, » Simone incespicò un poco, ma fu abbastanza fermo « dopo domenica, ecco, ho pensato non richiamassi proprio » sorrise amaro.

Gli ordini arrivarono al tavolo, Simone ringraziò la cameriera e quando andò via, si trovò davanti il volto di Manuel, ancora diverso.

« Pensavo non fosse il caso di scrivere dei cartelloni o tappezzarli in giro facendo pubblicità, per dire che mi interessava rivederti » Manuel rise, quello allentò un po' di più la pressione di Simone « voglio dire avrei potuto, ma pensavo fosse chiaro ormai »

Simone zuccherò la sua bevanda calda, poi agguantò il manico della tazza del suo cappuccino e ci soffiò sopra.

« Non devi giustificarti, sono io che vivo costantemente nel e se e so che faccio male, ma è più forte di me » bevve un sorso del suo caffè, e le labbra si sporcarono immediatamente per via della schiuma. Manuel prendeva il suo e osservava l'altro, immerso completamente in quella ritrovata tranquillità « È come quando metti una canzone, cominci ad ascoltarla così tanto che la ritieni perfetta, intoccabile. Potrai sempre sentirne un'altra, ma se hai sempre in testa la prima, è inutile provare a insistere » spezzò un pezzo il cornetto a metà e la mise sul piatto di Manuel. Il gorgo di sentimenti si stava affievolendo, sganciando fuori il suo agio. « Dai avanti, prova e dimmi che te ne pare, è con marmellata di fichi e noci pecan. »
Simone stava lì con la tazza a mezz'aria, intento a guardare Manuel che portava il cibo alla bocca. La prima cosa che vide furono i suoi occhi che si accendevano, come se avesse assaggiato un nettare prezioso. Dunque Simone si ritenne soddisfatto e sorseggiò il cappuccino, per poi sbocconcellare il suo pezzo di dolce.

« Devi sapere che non tutti sanno fare bene questi, » Manuel alzò il cornetto con una mano « ma questo è pazzesco!»

« Sono artigianali, li fanno loro ogni mattina. Ho indagato. Non c'è trucco, non c'è inganno » assottigliò gli occhi grandi, mentre gli sorrideva sul finale.

« Si sente »

« E adesso, » Simone non si accorse nemmeno che stava portando una mano alla bocca per coprirsi, per scambiare l'altro cornetto adesso e spezzarlo « dimmi cosa ne pensi di questo qua »

Manuel afferrò il pezzo datogli gentilmente dal ragazzo, e finendo il suo caffè, fu la seconda cosa che addentò. L'espressione che fece portò Simone a emettere una risata divertita. Almeno una cosa era capace a farla: consigliare sul cibo. Su quello non sbagliava mai.

« Simone basta, ho capito che ce verrò tutti i giorni » disse trasognato, osservando la sofficità della sfoglia burrosa, con il ripieno alla marmellata di more che strabordava « lo sai che ho tipo una fissa per le cose dolci? »

« E meno male, dopo che ho scoperto che insegnavi filosofia, eri in bilico sulla zona di salvataggio »

Manuel lo guardò serio. Ma non fu uno sguardo di rimprovero, anzi, era ben altro. Simone si sentì avvampare leggermente e decise che no, quella cosa ormai la aveva detta, non poteva rimangiarsela.

« Te invece stai acquistando sempre più punti, più ti conosco, Simone »

Questa volta toccò all'altro ragazzo guardarlo. Aveva usato un tono normale, ma non completamente assente di malizia. Se me lo dici con quegli occhi, è già una guerra persa in partenza.

« E io vedo che tu che porti sempre in alto la bandiera della sfacciataggine »

Simone finì il suo cappuccino, notando lo sguardo decisamente provocatorio dell'altro. Sorrise sotto i baffi di schiuma.
Cominciamo benissimo.

Mentre si studiavano in quel modo, al tavolo arrivò lo scontrino con il conto. Nessuno dei due ci fece caso più di tanto.

« Ti vedo un po' stanco comunque » Simone abbassò la tazza sul tavolo, non aveva fatto a meno di guardare quelle occhiaie sotto gli occhi, dovute per forza a mancanza di sonno. Anche quelle però, per sua sfortuna o fortuna, gli stavano bene.

L'insostenibile leggerezza dell'essere sottone: capitolo 5, SB.

« Beh, ultimamente non riesco a dormire perché stanno lavorando a un nuovo cantiere accanto al mio appartamento, » Manuel grugnì infastidito, mordendo un altro pezzo di cornetto « e poi soffro de insonnia. Ormai da almeno cinque anni. Non ce può nulla, camomilla, tisana, anche i rumori rilassanti ho provato a mettermi una volta, come sottofondo, » sospirò ravvivandosi i capelli con una mano « ma nulla »

« E non sei mai in grado di recuperare tutto il sonno che perdi? »

« Ogni tanto, se me gira bene, il sabato è la mia giornata santa. Mi do per morto se riesco, rifiuto gli impegni e la dedico a rilassarmi »
Simone annuì.

« Quindi, vivi in un appartamento da solo o...hai dei conquilini? »

« Da solo, da circa un mese e mezzo più o meno. Non volevo più dare fastidio a mia madre, sai com'è, raggiungere l'autonomia e quelle cosette lì »

Caspita, e io che vivo ancora con mio padre. Che dire.

« Giusto e non devi dare conto a nessuno di ciò che fai, quando esci, quando rientri » prese un tovagliolo e si pulì le labbra, tamponando.

« Tu vivi con tuo padre »

« Già » risultò un po' annoiato. Manuel captò qualcosa nell'aria.

« Vuoi parlarmene? O rischio de essere troppo invadente? »

Simone sentì per la seconda volta, la naturalezza di spogliarsi, verbalmente e anche mentalmente con l'altro. Senza nessuna remora.
« Non lo sei. Non dirlo più, mi piace parlare con te »

Oh.

Quello stupore fu tutto di Manuel.  




 - -


 









 
 
 
« Dai, Simone famme pagare su! » si ribellò, impuntandosi da ben cinque minuti.

Erano entrambi vicino alla cassa per pagare e Simone aveva già uscito la banconota, che scuoteva tra due dita. Insieme a quella, scuoteva pure la testa, mentre il cassiere li guardava divertito a quella scenetta, da dietro il bancone.

« Mi hai invitato tu, quindi è giusto che offra io, Manuel » e fu così che la banconota venne accettata a saldare il conto. Manuel sospirò, portandosi una mano alle tempie, il portafoglio sottile in una mano.

« Potevamo almeno fà alla romana e dividere, me sarei sentito meno in colpa. Adesso ritornando a casa - per colpa tua tra parentesi - penserò a tutti i modi immaginabili e possibili in cui potevo comprarmi il cassiere, per poter pagare io » si portò una mano al petto, quella col portagoglio ripiegato all'interno. Il volto era una maschera di melodrammaticità.

« Te lo hanno mai detto che sei un comico nato, sì? »

Manuel scioccò la lingua, ficcando il suo deposito di denari dietro la tasca dei jeans scuri.

« No, è la prima volta  »

Simone si morse il labbro inferiore, osservando come si portava indietro un ricciolo all'orecchio. Quei capelli erano una matassa domenica e lo erano anche lì, nel bar.

« Facciamo così, » Simone mormorò, cacciando il suo portafogli dentro la tasca del giubbotto « visto che nel weekend sei più libero, se sabato vuoi prenderti una pizza con me, possiamo anche dividere o puoi pagare benissimo tu, per entrambi »

Sono stato abbastanza bravo.

Manuel restò sospeso, lo sguardo gli passò un po' ovunque. Simone non capiva cosa stava davvero guardando.

« Va bene, a una condizione però, » Manuel aprì le mani, svelando fuori una monetina che aveva a quanto pare nascosto dentro una mano « se lancio ed esce testa, sabato te accompagno e te vengo a prendere io, » aveva un tono furbo « se esce croce, me vieni a prendere tu. »

Mi sento completamente rapito. Tu devi vedere che faccia tosta.

Simone deglutì appena, ma agitò il capo deciso.
« Va bene, ci sto »

Sfida accettata.

Manuel lanciò la monetina in aria, e quella atterrò sul dorso della sua mano, coperta per qualche secondo dall'altra. Guardò dal basso verso l'alto Simone « A te gli onori »

Simone toccò la pelle di Manuel, scostandola di poco.
Testa.
Simone alzò gli occhi in aria, e sentì la risata di Manuel come una specie di canto ammaliatore nelle sue orecchie. Quello indossava un sorriso enorme, gli attraversava tutto il viso e gli occhi erano diventati più piccoli.

Come fai ad arrabbiarti con uno così?

« Potevo venire io, ho la patente, non sono proprio a piedi, ecco- »

« Non fare storie, la moneta ha parlato. E bisogna sempre darle ascolto perché ha l'ultima parola. E poi è giusto fare un po' una volta l'uno, poi l'altro, Simò »
Ah.

In quel momento Manuel si pentì come un ladro, si mangiò le labbra, mentre ficcava quella moneta dietro la tasca dei jeans, dove aveva ricacciato il portafoglio a libretto.

« Scusami, non volevo, di solito uso i soprannomi quando, beh, quando me lascio andare un po' » sorrise a denti stretti.

« No, non è un problema, ti dirò che qualche volta sentire il mio nome per intero mi mette ansia » Simone si alzò la zip del giubbotto, due occhi lo guardavano sollevati « sì, sono abbastanza problematico lo avrai capito. Il diminutivo mi va bene »

Oh, è vicino.

« E poi non siamo più tanto degli conosciuti, no? »

Staccò le due dita dalla pelle, non se ne era nemmeno accorto di averlo fatto. Simone gli fece l'occhiolino, come conclusione, per poi dirigersi fuori. Manuel lo seguì poco dopo, rielaborando cosa aveva appena visto: Simone gli aveva sorriso e aveva avvicinato le sue dita sotto il suo mento. Di solito era lui a fare quelle cose. Si era stupito l'altro avesse preso l'iniziativa. Sorrise poco senza essere visto, vedendo l'altro staccarsi poco dopo e dirigersi verso l'uscita del bar.
 
 



- -
 
 


 
Passarono due settimane. E tra gli impegni di entrambi, Simone non riusciva a capire come la sua testa naufragasse costantemente dalla preparazione di un esame importante - che aspettava di essere dato da almeno due mesi - all'immagine di Manuel quella sera in pizzeria. Ovviamente, alla fine, la aveva avuta vinta e aveva pagato lui il conto. Così come gli aveva offerto il dolce. Così come gli aveva sottolineato quanto fosse stato scorretto a rifiutargli quello. Così come dopo, tutti e due, avevano passeggiato un po' lungo Castel Sant'Angelo, fissando i lampioni e il Tevere, nell'aria serale e pungente e lui aveva accettato senza pensare. Simone conosceva a memoria quel luogo, ma non aveva mai camminato con qualcuno che amasse così tanto ripercorrerlo, anche senza dover per forza parlare. Era bello concentrarsi sull'anima del paesaggio intorno. Si dava per scontato molto spesso anche quella caratteristica, della città in cui si viveva.
E così come avevano passeggiato, erano anche rimasti ad aspettare in macchina sotto casa sua. Gli ultimi istanti prima di risalire a casa, a Simone erano sembrati eterni.
Simone si sforzava di leggere la pagina sotto i suoi occhi, perché il sabato di qualche settimana fa, era ancora vivido.
Non mi chiederà di salire. Non può chiedermelo. È troppo presto. "Pensi che mi abbia detto di sì solo perchè vuole portarmi a letto?" Simone serrò gli occhi, scacciando via la battuta rivolta quella famosa volta all'amica.

« È stata una bella serata » era tutto quello che era riuscito a dire. Manuel aveva le mani lungo il volante, la macchina era spenta.
C'era un certo fascino nel vederlo anche con quel berretto addosso. Mentre Simone portava una sciarpa un po' pesante, attorno al collo, dato che era il mese di Novembre.

« Anche per me »

Simone sapeva di dover fare qualcosa. Le labbra di Manuel erano così invitanti, la lucina automatica sopra il cruscotto gli illuminava la barba, il naso, ma soprattutto gli disegnava quei due solchi sottili e larghi. Erano rimasti in silenzio, palpabile e assordante.
« Ti chiederei di salire Manuel, ma c'è mio padre uhm »

Cazzo. Simone si picchiò la testa con la mano aperta. Se non faccio una figura di merda non sono io, che cosa pensavo?
Manuel aveva annuito. Il beige del suo dolcevita contrastava con il nero dei sedili della macchina. Le labbra riportavano una curva all'ingiù, fissava la strada davanti. Cos'era stato quello sguardo, un abbandono momentaneo di speranza o cosa?

Simone lesse la parola "in mancanza di ossigeno procedere in questo modo" sul libro di testo.
Non era quello che voleva, quella sera.
E così si erano salutati quella notte.
E non senza dimenticare il modo in cui lo aveva guardato: si aspettava che tu lo baciassi.
Sospirò per la sua mancanza di azione o per l'abbondanza di insicurezza. E Simone lo aveva rivisto solo quattro giorni fa, quattro dannati giorni fa. Perché non poteva essere una persona normale e lasciarsi andare completamente?
Perchè Matteo ti ha fottuto la sicurezza. E perchè hai paura che non sia reale. Ma sabato era tutto perfetto, e lo sapevi.
Simone si alzò dalla scrivania. Lui e Manuel si si erano rivisti in quel bar, vicino alla facoltà e l'altro non aveva dato segni di assenza. Forse aveva già dimenticato l'episodio dopo la serata in pizzeria e il ben servito dopo averlo riaccompagnato a casa. O forse non voleva pensarci.
Lo sai che lo voleva. Lo volevi pure tu.
Arrivò una notifica sul suo cellulare a interrompere il flusso joyciano dei suoi pensieri.
Sembra che oggi per un motivo o per un altro, non riuscirò a studiare una singola pagina.
Simone schizzò come un lampo ad aprire la notifica del messaggio o meglio, fu il muscolo involontario dentro al petto che schizzò fuori.
Manuel gli chiedeva se volevano vedersi, quel pomeriggio, nei pressi di casa sua. Aveva finito di correggere delle verifiche e i suoi piani per la serata erano sfumati. Gli aveva lasciato l'indirizzo.
Vedi che non è tutto perduto, testa vuota?
Simone osservò il libro di "Genetica medica" e lo chiuse di scatto.
Non posso concentrarmi su medicina o sui ventricoli, se prima non lo vedo. E non posso concentrarmi in ogni caso, perché voglio vederlo.
Era un venerdì. Simone aveva il pomeriggio da passare con Giorgia, la figlia dei vicini. Sospirò. Portò il telefono all'orecchio e sentì squillare tre volte. È ancora presto, sono solo le cinque. Dovevo andarci per le sei.
Parlò con uno dei suoi genitori, spiegando che non si sentiva bene e che molto probabilmente non ce la avrebbe fatta a venire. Non ricevette nessun commento negativo, anzi, Simone venne esortato a riposarsi e che si sarebbero organizzati per la settimana successiva. Simone ringraziò mentalmente quella piccola concessione e una volta riattaccato, si dedicò a Manuel, che stava aspettando da ben dieci minuti una sua risposta.





Simone parcheggiò la macchina sotto il condominio. Guardò in alto la serie di palazzine, ognuna aveva qualcosa di diverso, quella di Manuel però, era bianca con dei balconi dove quasi ogni condomino aveva delle piante o dei panni stesi. Chiuse lo sportello e si diresse al portoncino, che trovò aperto. Entrò, sentendo solo il rumore dei suoi passi svelti. Terzo piano. C'è un porta ombrelli colorato, non te puoi sbagliare. Gli aveva detto. Non avevano ancora messo la targa col nome di Manuel - nonostante ci stesse già da più di un mese - e il ragazzo aveva avuto problemi col trasloco per tutto quel tempo, andando a prendere di persona i pacchi e le consegne. Simone fece la rampa di scale (non c'era un ascensore) pesando ogni passo dei suoi piedi. Catturando con gli occhi grandi il portaombrelli chiazzato, con una strana forma trapezoidale, suonò al campanello. Guardò la targhetta svitata: segno che ancora non la avevano preparata.
Manuel aprì, un sorriso caloroso. Era avvolto in un plaid, che gli nascondeva la maggior parte del corpo, tranne le mani e poca parte delle gambe.

« Eccolo qua, il matematico eccelso »

Simone rise, abbassando la testa. Fissò i calzettoni lunghi di Manuel, e risalì la sua figura.
Ha venticinque anni e sembra io stia guardando un bambino.

« Ciao anche a te, Manuel »

« Hai già trovato parcheggio sotto? » abbozzò.

« Sì, perchè? »

« Di solito, questi qua del palazzo se prendono anche i posti degli altri, » Manuel si grattò la testa e aprì un po' di più la porta, gli fece cenno con la testa « su entra dentro, non te ne stare lì impalato »



 
- -




L'appartamento era abbastanza accogliente. Appena entrati, si aveva una bella vista sulla cucina a destra, sulla sinistra invece, c'era un attaccapanni, un piccolo mobiletto affianco, dove Manuel teneva le chiavi e altre cose come delle foto, o un calendario mensile. La cucina era graziosa, con dei mobili bianchi, tranne il tavolo che risultava di legno scuro. Lo spazio era adiacente al soggiorno, con una tv al muro, un divano a tre posti, un tavolino ripiegabile e un tappeto sul pavimento. Le pareti erano color arancio bruciato, poche cose appese sopra tra cui alcuni poster di film famosi. Simone ne riconobbe un paio, come Kill Bill o anche Taxi Driver. Le luci erano date da qualche lampada al soffitto o per terra, di cui lunga con una copertura quadrata, accanto al televisore.
L'ambiente aveva un'aria rilassante. Simone si tolse il giubbetto e lo appese a uno degli attacca panni. Aveva portato con se la sacca universitaria - non sapeva nemmeno lui perché - ormai era questione di ruotine. La appoggiò al lato del divano color cremisi. Manuel si affacciò leggermente dalla cucina, la testa riccioluta sbucò fuori: aveva messo su la moka, il coperchio del porta-caffè appena aperto.

« Te va un caffè o preferisci il thè, Simò? » il plaid era appena diventato un mantello attorno alla sua piccola figura.

Era diventato Simò da quel secondo incontro al bar, ormai Manuel si era abituato a chiamarlo così, e solo poche volte gli usciva fuori il suo intero nome di battesimo.

« Va benissimo il caffè, grazie » si strofinò le mani, guardandosi ancora un po' attorno. Simone osservò uno scaffale poco dopo il mobiletto all'entrata: pieno di testi, un po' di poesie, un po' di filosofia e almeno sette riviste di motori.

« Purtroppo non ho ordinato molto casa, c'è un po' de casino se oltrepassi il soggiorno, » rise Manuel, avvitando la parte superiore della moka, poi aprì uno degli scaffali sopra la sua testa, alla sua altezza « ho fatto tutta la mattina a corregere compiti e ho capito perchè erano così rompi palle con me al liceo. C'è chi ha potenziale, ma non si applica purtroppo »

Simone ridacchiò, percorrendo con un dito la copertina di un libro di poesie, affianco c'era un taccuino nero, piccolo. Lo afferrò e notò dei motivi vegetali in rilievo sopra.

« E' la tipica frase di voi professori. Prima ci elogiate e poi ci date la botta che tra parentesi è una grande carognata »

Manuel annuì, mentre afferrava il contenitore dello zucchero per l'altro. La testa gli faceva ancora un po' male. Molto spesso accusava delle emicranie per via della mancanza di sonno, ci era abituato. Però quel giorno, aveva fatto più difficoltà del solito a concentrarsi a correggere errori, a dare giudizi e soprattutto a stilare una serie di giudizi sulle verifiche della sua classe. Ben ventisette verifiche, per l'esattezza.

« Da studente dicevo lo stesso, poi però so' passato dall'altra sponda del fiume e adesso capisco che significa » sospirò. Manuel accese il gas, ci mise sopra la moka e si portò due dita a massaggiarsi le tempie.

Simone aprì piano il taccuino che aveva tra le mani. Forse non dovrei, pensò. In quell'istante Manuel si voltò verso di lui e allora ebbe la conferma di star ficcando il naso in cose in cui non doveva.

« Ah, quello, » Manuel si tirò ancora di più il plaid addosso « ogni tanto scrivo, quando riesco. Puoi guardare se vuoi, » risucchiò le labbra in dentro « ricorda solo che se devi stroncarmi, preferisco tu lo faccia subito Simò. Accetto ogni critica »

Simone annuì e sfogliò la terza pagina. La grafia era intricata ma leggibile, aveva macchiato poco la carta ingiallita. Carta riciclata, sicuramente per via del colore stinto. Lesse tutto d'un fiato quella, e anche la seguente, per poi arrivare anche alla quinta pagina. Il ragazzo alto si girò verso Manuel, il quale era rivolto verso i fornelli, aveva preso un pacco di wafer, biscotti e li aveva messi su un vassoio semplice, con due manici neri.

« E' scritto bene »

Manuel si girò di colpo.

« Mh? »

« Sei bravo, Manuel » Simone teneva ancora il taccuino aperto tra le mani.

« Me la cavo » abbozzò un sorriso un po' modesto. Il rumore del caffè arrivò gorgoliante dalla moka e spense il gas.

« No dico sul serio, sono molto simboliste se proprio devo trovare un aggettivo, » Simone gesticolò, chiudendo appena il libriccino e riponendolo nella sua posizione originaria « però sono belle »
Simone però non ebbe una risposta, perchè vide la figura di Manuel leggermente confusa, accasciarsi al bancone della cucina. Si fiondò a sorreggerlo, come se avesse sentito una sirena d'allarme di sotto. La prima cosa che gli avevano insegnato i suoi studi e anche le sue esperienze, era controllare i battiti del polso. Simone piazzò due dita sul polso di Manuel, circondandoglielo. Il battito cardiaco era un po' lento. Poi gli avvicinò una mano sulla fronte: il ragazzo scottava. In effetti non si erano ancora avvicinati, quindi non aveva potuto saperlo o sospettarlo prima, tranne forse per il plaid che portava addosso. Quello era stato un micro segnale.

« Manuel, dove tieni il termometro? » sapeva di avere un tono già tra il preoccupato e il premuroso. Simone si era sempre occupato della madre, quando suo padre non c'era stato, d'altra parte.

« Sarà la stanchezza accumulata in 'sto periodo, non ti preoccupare Simò, ce so abituato »

Le occhiaie, il plaid, la fronte che scottava e i battiti lenti, non erano proprio dei segnali da ignorare. Manuel era sfiancato, Simone aveva imparato a riconoscere quei casi quando assisteva sua madre, fuori Roma. Simone aveva subito bisogno di introdurre zuccheri, di stare al caldo e soprattutto di misurare la temperatura.

« Se permetti, sono io che studio medicina qua. Dovresti andarti a stendere sul divano, Manuel. Dove tieni il termometro? »

Risultò testardo, lo sapeva, ma sinceramente non era nemmeno il caso di ignorare il malore del ragazzo. Aveva ancora la mano sulla sua fronte, se ne rese troppo tardi e allora Simone la staccò, concentrandosi per guardarsi intorno e individuare lo strumento che gli serviva.

« Sta nel mobiletto, lì, vicino l'attaccapanni. Secondo cassetto. » sospirò Manuel.

Simone andò a cercare dove gli aveva detto e ne uscì un termometro tradizionale: guardò di rimando l'altro e richiuse il cassetto.
« Vai a stenderti » mormorò, più lento questa volta Simone.

Manuel non se lo fece ripetere, ma prima si portò dietro il vassoio con tutto ciò che aveva preparato sopra. Versò il caffè nelle tazzine e lo poggiò sul tavolino davanti a sè, una volta messosi sul divano. Simone lo raggiunse.

« Allora, intanto, ti mangi questo, » si permise di prendere un biscotto sullo stesso vassoio e di porgelo al malato davanti a sé « anche due, in realtà. Hai i battiti rallentati, quando hai mangiato l'ultima volta? »

Manuel rimase un po' interdetto, ma svettò subito col suo sorriso furbo.

« Mi stai facendo un chek-up gratis? » scherzò, brevemente. Simone lo guardò serio e allora Manuel cambiò tono, portandosi una mano sul mento. « Ieri sera... » sospirò « ho mangiato poco perchè volevo recuperare il sonno, ero stanco morto. Ho avuto un colloquio insegnanti-genitori e sono stato dieci ore a scuola, a risistemare i voti della classe a cui insegno »

« Bene, quindi non hai nè fatto colazione, nè pranzato. »

« No »

« Male. Hai appena avuto un calo di pressione. E credo ti giri anche la testa, immagino. »

« Un po'... ma ci vedo ancora, non me gira tantissimo »

Simone lo guardò preoccupato. Avrà anche 25 anni, ma adesso ne sta dimostrando 3.

« Ti conviene mangiarti direttamente tutto il pacchetto qui sopra. Io sto apposto, mi basta il caffè, » Simone poi cominciò a muovere il termometro per far scendere la linea sul piccolo asse numerato con la punta in mercurio « avevi la febbre pure ieri sera? »
Manuel corrugò la fronte e minimizzò.

« Pensavo fosse più e solo una questione di sonno da recuperà, te l'ho detto Simò »

« Siccome il sonno non lo hai recuperato in ogni caso, visto quelle, » indicò le sue occhiaie, il tono era sincero ma ancora preoccupato « direi che adesso te la fai rimisurare di nuovo questa febbre - che è solo stanchezza - e per favore, mangiati quel biscotto »

« Agli ordini, dottore! » lo prese in giro, portandosi una mano piegata sulla fronte e poi alzando le mani in segno di resa.

Simone posizionò il termometro sotto l'ascella di Manuel, che scostò la maglia aiutandolo, e avvertì subito il calore del corpo dell'altro, come se il fuoco lo stesse bruciando rapidamente. In quel momento in cui Manuel masticava, tranquillo, Simone fu preso da una morsa interna clamorosa: non aveva riscontrato nessun problema, trovandoglisi così vicino, a toccarlo, prima quando preparava il caffè e a farlo adesso, sullo stesso divano, nell'appartamento dove Manuel stesso lo aveva invitato.
Stiamo facendo passi avanti.
La verità era che quel passetto gli era venuto naturale senza pensarci troppo: vederlo così indifeso lo aveva portato ad agire.

« Lo sai che hai una faccia da funerale in questo momento, Simò? »

Che comico.

Simone prese un wafer dalla scatolina di plastica e glielo mise in bocca, visto che aveva finito il biscotto di prima.

« Sta zitto e mangia » lo ammonì dolcemente.

Manuel lo guardava adesso, con due occhi attenti, mentre il cioccolato che rivestiva internamente il wafer, gli avvolgeva il palato. Il caffè si era già raffreddato, e il fumo non usciva più dalle tazzine sul tavolino. Simone guardò l'orologio. Due minuti ancora.

« Sei sempre così premuroso? » disse con mezzo wafer che gli penzolava da un lato della bocca, il sinistro. Manuel parlò, impiastricciando la parte iniziale della frase.

« Dipende dai casi »

Ingogliò il dolcino, si fece più curioso.

« E di quale caso faccio parte io? »

Oh.

« Di quello per cui una persona matura e intelligente come te, dovrebbe tenere di più alla sua salute. E dovrebbe anche nutrirsi. »

« Intendevo, faccio dei casi positivi o negativi, Simone?»

Ah.

« Sei un misto, ma direi positivo » Manuel abbassò lo sguardo, sorridendo sbilenco. « Però scrivi cose come quelle, fai tutti i discorsi che filano e poi svieni quasi come un cadavere in cucina, sei strano forte, tu, eh »

« Non sono proprio da buttare allora » fece un occhiolino, Simone trasalì.

« Stai delirando ed è solo la febbre a parlare per te, Manuel »

Il malato rialzò lo sguardo, illuminandosi adesso. Simone recuperò il termometro con la punta delle dita. Lesse la linea rossa e il numero a cui corrispondeva. Gli fece vedere il risultato della sua ostinazione a non prendersi cura di sé.

« La tua stanchezza è solo di 38 gradi di febbre. »

Manuel digrignò i denti, portandosi la restante metà del pezzo di wafer in bocca.

« Riposerò di più, lo prometto » poi prese un altro wafer dalla confezione e lo porse a Simone, che lo accettò ancora un po' preoccupato.

« Anche perchè, non vorrei averti sulla coscienza »

Manuel fece il segno delle corna in basso e Simone scoppiò a ridere. Individuò la fossetta sulla guancia. Ce so riuscito a distrarlo, allelujah.

« Non ti libererai così facilmente di me » asserì, divorando un biscotto adesso.

Simone lo guardò dritto negli occhi, erano scuri, le ciglia lunghe si muovevano appena, mentre l'accenno di barba gli era cresciuto ancora di più ai lati del viso. Gli sistemò meglio il plaid addosso con una mano, perchè gli stava scivolando dalle spalle. Aveva le gambe incrociate sul divano e la schiena curva. Simone posò il biscotto che gli aveva dato prima, sul vassoio. Non aveva voglia di mangiare, solo di parlare.

« Lo spero »

Ci sono riuscito.

Manuel rimase in silenzio, non stava più masticando. Simone allora buttò tutto fuori. « Mi è mancato vederti. E sabato scorso mi sembra di aver rovinato qualcosa »

« Non lo hai fatto »

Simone sapeva che non era la verità, perchè altrimenti non sarebbe tornato più sull'argomento.

« Sono stato bene, quella sera, Simone. Dico davvero, non hai rovinato niente. Me dispiace solo sia passata in fretta »

Io sto bene con te, Manuel.

« Ci penso da giorni-»

« Devi spegnere il cervello un attimo, » sussurrò schietto, si portò una mano a reggersi il mento « non ti ci devi ammalare su ste cose »

« Senti chi parla »

« Touchè »

Simone si morse il labbro inferiore.

« È che mi piaci » Manuel lo guardò perso, ma non rispose perchè fu eloquente.
E' così, mi piaci. « Va un po' meglio il mal di testa? Lo sai che se aumenta la febbre devi prendere una tachipirina. Ce l'hai a casa o devo andartela a comprare? »

Manuel scoppiò in una risatina fragorosa. Annuì molto divertito dalla premura di Simone.

Se fa così per la febbre, immagina come si comporta in altri contesti.

« Sono un po' contro le medicine, sciroppi per la tosse e pasticche varie, ma quella ce l'ho pure io, non so' così sprovveduto, sta tranquillo. Va un po' meglio, » aveva sempre quegli occhi piccoli puntati dentro le pozze giganti di Simone « adesso »

Silenzio.
I riccioli gli ricadevano sul viso, Manuel se ne portava uno dietro l'orecchio scoprendo le dita avvolte prima dal plaid. Simone studiava la linea ruvida dei peletti sopra le labbra, che doveva pungere sulla pelle, così come le labbra dovevano essere dannatamente morbide da sfiorare, gli occhi erano calmi e stanchi, ma non per questo innocenti. Lo colse in un momento di distrazione, Manuel stava accarezzando il materiale sintetico della coperta che lo scaldava. Aveva appena alzato il volto, quando si ritrovò Simone spalmato sulla sua bocca. Le labbra di Simone si poggiarono senza paura alcuna, distruggendo le barriere inutili che si ostinava ancora a tenersi dentro. Sentì Manuel inspirare piano, così come avvertì la mano che fuoriusciva calda per coprirgli una guancia. Simone si mosse piano, delicato, per paura di rovinare quella cosa preziosa. La lingua si incontrò con quella di Manuel, poco dopo, esplorandogli così il palato, incontrando un sapore nuovo e diverso. Simone avrebbe tanto voluto farlo quella sera, quando lo aveva riaccompagnato a casa. Cogliere il momento che li vedeva da soli e scoprire come sarebbe stato baciare quello sconosciuto che ora era diventato l'unico suo pensiero fisso in poche settimane. Il calore si era duplicato, perchè la fronte di Manuel che scottava, toccava la sua ed il naso scendeva forse a temperatura, scontrandosi con quello di Simone più freddo. Aveva il sapore del cioccolato e della nocciola, sgranocchiati prima. Simone si riempì del sapore dolce del cacao e della temperatura calda, come se quel cioccolato si stesse ancora sciogliendo nella sua bocca e sulla punta della lingua di Manuel che lo incontrava. A distacco compiuto, Simone sbirciò l'espressione di Manuel ad occhi chiusi, la fronte era poggiata ancora calda sulla sua, il plaid li stava avvolgendo entrambi. Il malato aveva allargato tutte e due le braccia attorno alla schiena di Simone in un involucro di morbidezza.

« Se me senti caldo ora,» mormorò Manuel sfacciato « me sa che non è più solo la febbre, Simò »
Scemo. Simone avvampò di colpo. « Anzi, siccome voglio essere sicuro, » Manuel si fece vicinissimo « e se il dottorino qui è d'accordo, farei un altro test di-»

Simone annuì senza farlo finire di paalre, lasciandosi avvolgere completamente da Manuel, baciandolo di nuovo senza chiedere permesso. Perché è così che doveva essere, doveva sentire di nuovo la sua bocca sulla sua. E non doveva chiedere più a se stesso il permesso per stare bene.

Ecco com'è baciare uno sconosciuto. Si disse. Uno sconosciuto che non volevo conoscere. Adesso, invece, non riesco più a farne a meno.



Clò: bacio come cura per la febbre, Simone livello dottore pro e i wafer che non potranno più essere visti normalmente.
Che bello mi mancava ammazzarmi qualche altro elemento della mia quotidianità.
Che dire, questa chicca finale l'ho pensata sul tuitter e ho visto che ha riscosso particolare interesse, dunque, ho dovuto metterla per ovvie ragioni.


 
   
 
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