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Autore: Nariko_koi    20/04/2022    2 recensioni
Regione dello Hubei, 1939.
Dopo essere stato ferito sul campo di battaglia e congedato, Wang Yao, tenente dell'esercito Nazionalista, si trova costretto a scortare il proprio aguzzìno lontano dal fronte. All'incarico di per sé insolito si aggiunge il fatto che Honda Kiku, l'ostaggio, non è un volto nuovo nella vita di Yao. Dopo aver condiviso un'estate sulle sponde rigogliose del Fiume Azzurro, i due si ritrovano a distanza di anni a camminare fianco a fianco indossando divise di schieramenti tra loro opposti. Yao è sfuggente, impenetrabile e pieno di collera, una collera di cui Kiku, incorruttibile e legato alla propria causa, non comprende fino in fondo la motivazione. Due spiriti fratelli, entrambi brillanti e inquieti, un ricordo che emerge da dietro la devastazione attorno ai passi dei due soldati, due nazioni senza speranze.
Sulla strada per Chongqing, il passato tornerà a chiedere la resa dei conti, e Kiku e Yao saranno costretti ad affrontare i loro demoni, nel tentativo di preservare la loro scarna, sofferta, umanità.
[NiChu/ChuNi] [Accenni ad altre coppie e personaggi]
Genere: Drammatico, Guerra, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi, Slash | Personaggi: Cina/Yao Wang, Germania/Ludwig, Giappone/Kiku Honda, Inghilterra/Arthur Kirkland
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Capitolo VI
Un nome
 
Kiku aspetta seduto accanto alla finestra della locanda, poco prima Yao lo ha mandato fuori. Lo ha spinto verso la porta premendo con delicatezza la mano aperta sulla sua schiena, subito dopo che la signora Meng ha iniziato ad urlare. Nonostante ci sia un muro tra loro, può sentire tutto ciò che sta accadendo all’interno, e se si volta quel tanto che basta verso la finestra può vedere la scena di Yao che le stringe le spalle oltre il suo riflesso sul vetro.
«Le sto chiedendo un po’ di compassione, Meng tài-tai. Camminiamo da due giorni, non sappiamo dove andare.»
«Come può chiedermi di fare entrare quel… quel guǐzi in casa mia?»
«Lo so che ha paura, tài-tai, ma il ragazzo non le farà del male.»
«Farmi del male? Lei crede che sia solo questo il problema? – la signora Meng si ferma per singhiozzare, tira un pugno al bancone – Con che dignità posso accogliere gente con quella uniforme? Lei sa cos’hanno fatto quei bastardi a mio marito?»
Kiku si copre gli occhi con una mano. La signora Meng tira su col naso. Da un piccolo spazio tra le dita Kiku vede Yao chinare la testa in un gesto di sconfitta. Si rimette dritto sulla stampella e la saluta rimettendosi il cappello. «Mi dispiace davvero» mormora. Nel momento in cui si volta verso l’ingresso Kiku nota qualcosa a cui fino ad allora non ha fatto caso, si sposta la mano dalla faccia. Sul vestito della signora Meng, altrimenti molto semplice, c’è una piccola spilla di giada verde. Anche a quella distanza può vedere il pendente circolare e cavo dondolare spinto dai singhiozzi di lei. Mentre la signora Meng si passa una mano sulla faccia Kiku si fruga nella tasca della giacca, tira fuori l’orecchino di giada che ha trovato quella mattina sulla ghiaia. Se lo rigira tra le mani prima di venire raggiunto dai passi di Yao.
«Coraggio, mettiamoci in cammino.» dice alle sue spalle, ma Kiku non lo sente. La signora Meng dà le spalle alla finestra e singhiozza con una mano sul ventre. È a quel punto che Kiku si volta, supera Yao con uno scatto e si lancia verso l’ingresso della locanda. Yao non fa in tempo ad esclamare «ma che diavolo fai!» perché Kiku ha già fatto tintinnare le campanelle sopra la porta.
«Meng tài-tai
La signora Meng si volta con un sussulto e appena lo vede avanzare verso di lei lancia un grido. Kiku si ferma di fronte al bancone, lei ha le spalle incollate alla credenza e le mani sullo scaffale dietro di lei. Lo guarda con il viso nascosto da ciuffi di capelli svolazzanti, ha gli occhi pieni di una paura che Kiku ha visto solo in quelli dei suoi compagni, quando i colpi di mortaio incendiavano la notte. Yao entra con una mano sulla schiena, vacilla sulla stampella. «Esci immediatamente.» soffia trai denti.
Kiku non si volta, allunga il braccio sul bancone e vi posa l’orecchino. «Credo che questo le appartenga, tài-tai. Ci scusi.» Stende le braccia lungo i fianchi e s’inchina. Quando solleva il capo la signora Meng ha la bocca socchiusa a mostrare gli incisivi inferiori. Kiku le volta le spalle, Yao ha la sua stessa espressione quando lo supera verso l’ingresso.
«Aspettate.»
Entrambi si voltano a un passo dalla maniglia, lei ha la testa china sull’oggetto nelle sue mani. Prende un respiro profondo si passa una mano sugli occhi. «La matrimoniale è l’unica libera in buono stato. Non chiedetemi di più.» Yao si gira a guardarlo come se attendesse una risposta, ha gli occhi sgranati in un’espressione attonita. Kiku annuisce con vigore. La signora Meng porge a Yao la chiave della camera senza guardarli. Entrambi mormorano un grazie all’unisono, poi si avviano su per le scale.
La stanza è pulita. L’arredamento è semplice, forse addirittura scarno, c’è un letto a due piazze a ridosso del muro a sinistra, una scrivania in mezzo alle due finestre e un armadio di fronte al letto. Un lampadario di carta con motivi floreali sul soffitto e due abatjour sui comodini ai lati del letto costituiscono le uniche fonti di luce artificiale. Accanto al mobile una porta conduce a un piccolo bagno. Non c’è traccia di polvere nella stanza, e lo si nota perché le chiazze gialline e geometriche di sole filtrate dagli intarsi delle finestre non toccano alcun granello di pulviscolo per la loro strada. La superfice della scrivania è occupata da un blocco di fogli puliti, un pennello, una boccetta di inchiostro, una lampada da tavolo e un orologio Towcester. C’è una radio su uno dei comodini e le pareti sono spoglie, non ospitano quadri.
Yao getta lo zaino a terra e con un po’ di fatica tira fuori due spazzolini da denti, dentifricio e l’occorrente per sistemarsi la rasatura. Kiku deve fare un po’ di pressione, ma alla fine Yao rivela che il secondo spazzolino l’ha sottratto senza dare nell’occhio.
«Quindi mi hai preso uno spazzolino senza permesso?»
«La seconda alternativa era estrarti i denti marci senza anestesia.»
Per un po’ lo strofinio delle setole sui denti è l’unico rumore udibile nella stanza, Kiku approfitta dell’acqua corrente per lavarsi la faccia e Yao si stende la schiuma da barba sulle guance con un pennello largo. Kiku ha puntato la vasca da bagno appena ha superato l’ingresso, così mentre Yao si passa la lama sotto al mento lui apre i rubinetti e attende in silenzio, seduto con le braccia sul bordo della vasca.
Yao picchietta la lama sul lavandino, la schiuma da barba si scioglie sulla ceramica. «Non perdere troppo tempo, vorrei lavarmi anch’io prima di dormire.»
Kiku non ha il tempo di rispondere, distratto dall’improvviso borbottio del rubinetto, che sputa un ultimo getto d’acqua prima di terminare il suo lavoro. Kiku sopprime un’imprecazione e prova ad armeggiare con le manopole, ma il rubinetto tace. Si pianta una mano sulla fronte per non assecondare l’istinto di tirare una testata al bordo della vasca. «Oh, non ci credo!»
Yao si volta a guardarlo con metà del viso ancora ricoperta di schiuma, poi torna a guardare nello specchio con indifferenza. «È già un miracolo che ci sia l’acqua corrente – e poi aggiunge, forse dopo aver notato che Kiku ha la testa tra le mani, – usa tu la vasca stasera, io mi lavo domani.»
Kiku solleva la testa, le dita giunte sul muso come se pregasse. Non ricorda l’ultima volta che si è sentito davvero pulito, e quel bagno lo desidera come se fosse un biglietto di sola andata per Kyoto. Tuttavia, c’è un fatto che non può non considerare: Yao è stato gentile. Ovviamente non gliela spiegherà in questo modo. Prima di parlare prende un respiro. «Senti, dobbiamo dividere il letto.»
«Sì, c’ero arrivato.»
«Senza offesa, ma non hai un buon profumo.»
«Senti chi parla.»
A Kiku esce un grugnito. «Entra nella vasca e non parliamone più.»
 
L’acqua è appena tiepida e li copre fino al torace, Kiku batte i denti mentre si insapona. Guardare Yao seduto di fronte a lui risulta ancora imbarazzante, ma anche tenendo la testa bassa può percepire, di tanto in tanto, i suoi occhi cadere su di lui. Prima di svestirsi hanno acceso la radio in camera, attraverso la porta aperta del bagno possono sentire un foxtrot disturbato da qualche interferenza metallica. Kiku si strofina con cura le unghie orlate di nero, dentro di sé spera che insieme alla sporcizia scivolino via anche i resti di questa giornata.
Yao si sciacqua la testa versandosi addosso l’acqua con una brocca, ogni volta che Kiku si gira a guardarlo resta sorpreso dall’assenza dei capelli sulle spalle. Forse preferiva ricordarlo così. Quando si alza Kiku distoglie lo sguardo, e aspetta che Yao sia di spalle per sbirciarlo mentre si sistema l’asciugamano sulla vita. Sotto alla luce dorata delle applique la cicatrice sul dorso scolpito ha un aspetto diverso rispetto al giorno prima, sembra più affilata, più cruda. Forse Kiku gli ha inferto del male in altri modi prima di allora, forse quella linea di pelle sottile e pulsante rappresenta solo l’ultimo tradimento. Forse il primo errore che ha fatto nei suoi confronti è stato fingere che camminare fianco a fianco era possibile, e raccontare a se stesso che assecondare quel senso di fascino che lo attirava verso Yao non avrebbe portato a nulla di male.
«Ti va di farmi la barba?»
Una risatina. «Quale barba? Sei una palla da biliardo.»
Alla fine Yao si lascia convincere a spalmargli la schiuma sulla faccia, usa una lama pulita. Kiku resta nella vasca, ha le braccia disseminate di brividi ma le gambe sono troppo pesanti per sollevarlo. Yao tiene il viso ambrato a pochi centimetri da lui, in mezzo alle sopracciglia gli si formano piccole rughe mentre scruta il percorso del rasoio. È così testardo nel suo silenzio, eppure così gentile mentre gli carezza le guance con la lama. Kiku non si spiega come abbia potuto accettare quella richiesta idiota. Uno, Kiku non ha la barba; due, alla sua età dovrebbe già sapersi radere da solo. In realtà, non sa neanche spiegarsi come lui stesso abbia potuto chiederglielo. Forse sta solo cercando qualche secondo in più sotto al suo sguardo.
A lavoro terminato Kiku si trascina fuori dalla vasca. Quando la sua faccia torna pulita Yao commenta dicendo che aveva una peluria ridicola da adolescente. «Dai, non potevo certo farti andare in giro così. Sembravi uno a cui sono appena scese.»
Kiku sbuffa dal naso. «Quando hai imparato a parlare così? Non eri uno scaricatore di porto quando...» La frase gli muore tra i denti, il sorriso di Yao si spegne, Kiku serra le labbra. Entrambi stanno cercando una via di fuga da quella conversazione, e la via di fuga in questione si presenta sotto forma delle nocche della signora Meng che picchiettano contro la porta. Yao esce dal suo campo visivo, lo lascia a fissare gli spazi bianchi tra le piastrelle verde menta della parete di fronte a lui. Mentre schiude la porta quel tanto che basta per vedere la signora Meng dall’altra parte, la pelle di Kiku riprende a incresparsi sotto ai brividi di freddo. Sul tappeto del bagno nota due aloni umidi in corrispondenza dei suoi piedi nudi. Yao sta parlando, la voce gli arriva ovattata. Con la coda dell’occhio capta i suoi movimenti mentre saltella dentro ai pantaloni.
«Hai capito?»
Kiku sussulta sul posto, si gira a guardarlo. Yao sostiene il suo sguardo per un momento con la fronte increspata, poi si volta per afferrare il maglione e infilarci dentro la testa. «La signora Meng ha fatto un po’ di riso, lo porto su. Tu non ti muovere.» Di nuovo abbandona la visuale di Kiku, che torna a fissare le piastrelle e sa di essere solo appena la porta si apre e si chiude e i passi di Yao si allontanano dietro alle pareti. Kiku trascina i piedi fuori dal bagno per sedersi sul letto, si passa un asciugamano sui piedi. Spegne la radio, il foxtrot è mutato in un ronzio metallico. Vorrebbe spegnere i suoi pensieri allo stesso modo, col solo sforzo di girare una manopola, vorrebbe che il viso spento di Lan non gli comparisse sotto le palpebre ogni volta che chiude gli occhi. Quella stessa mattina ha etichettato Yao come ingiusto. Ingiusto, perché gli ha vomitato addosso una rabbia che non pensava di meritare. Ora ripensa ai poster nella casa sul fiume, gli uomini che li hanno appesi a quelle pareti hanno giurato fedeltà alla sua stessa bandiera. Kiku ci aveva creduto, aveva sognato che quella folle corsa alle armi sarebbe stata il lascia passare per il suo posto nel mondo, che tornare in patria come un eroe di guerra gli avrebbe aperto la strada per il cuore di suo padre, aveva sperato che morire per il proprio paese sarebbe stata la colla per risanare lo strappo con il mondo. E ha creduto che calare la sua lama su Yao sarebbe stato l’unico modo per separarsi dall’angoscia in cui lui l’ha costretto.
Ci ha creduto davvero in tutte quelle promesse, ha creduto che sarebbe stato un mattone per la costruzione di un grande impero, che la sua misera persona sarebbe stata glorificata dal sacrificio e che ne avrebbe beneficiato ogni angolo dell’Asia. Possibile che si sia fatto ingabbiare in una cassaforte di menzogne? Non lo sa, non sa a cosa pensare, sa solo che il sangue nella casa sul fiume era reale, che lo sguardo ripugnato negli occhi di Mo era reale, che lo squarcio sulla schiena di Yao è reale, e che quindi tutto il resto non può che essere falso. Non importa che Lan non l’abbia uccisa lui. Non importa, perché i responsabili indossavano la sua stessa uniforme. Le sue mani sono sporche di sangue.
Nel primo cassetto della scrivania è riposto un coltello per le lettere. Kiku si inginocchia sul pavimento, stringe bene l’asciugamano alla vita. Non scrive niente, non perché non sappia cosa dire ma perché non vuole che rimangano altre tracce di lui nel mondo. Guardando dritto davanti a sé si sistema il coltello tra le mani, sul fianco sinistro. Si dice che questo è l’unico modo per raddrizzare i suoi torti: una morte onorevole per una vita disonorevole. Chiude gli occhi, prende un respiro.
La porta si apre.
«La signora Meng ha trovato un po’ di spezie, forse è un po’ piccante ma –
Quando Yao si volta verso di lui il vassoio quasi gli cade dalle mani. Per un tempo impossibile da quantificare restano a guardarsi entrambi con gli occhi sgranati. «Che stai facendo?»
Kiku stringe più forte il manico del coltello. «Esci.»
Yao serra la mandibola, posa il vassoio ai suoi piedi e lo supera con una lentezza calcolata, solleva le braccia. «Posa il coltello.»
«Ho detto esci.» La voce di Kiku è grave, ma trema. Si accorge solo dopo qualche secondo che sta lottando per imprimersi il volto di Yao nella mente, le sue sopracciglia corte e scure, il taglietto sul labbro inferiore, i suoi occhi profondi. «È così che deve andare.»
«Perché?» Yao sputa quella parola con un sussulto, continua ad avanzare. «Cosa cambierebbe?»
Kiku sente la faccia arricciarsi in una smorfia. In quell’istante si rende conto che Yao sta solo cercando di salvarsi dal plotone d’esecuzione, perché se fosse suo amico uscirebbe da quella stanza e si richiuderebbe la porta alle spalle, anzi no, se fosse suo amico sguainerebbe il miao dao e si piazzerebbe dietro di lui. «Vattene Yao.»
«Rispondimi – sibilla trai denti – cosa cambierebbe? Pensi che se tu ti ammazzi allora Lan e sua madre resusciteranno per miracolo?»
«Esci da questa stanza!»
Nell’impeto Kiku ha esercitato una certa pressione col coltello e l’asciugamano si è macchiato di sangue, Yao è trasalito. La ferita è sottile, ma brucia. Gli occhi di Kiku cominciano a pizzicare. Che cosa vuoi da me, vorrebbe dirgli, perché non mi lasci in pace? Non vedi cosa mi stai facendo?
«Perché sei così buono con me?»
Yao non risponde. Lo guarda come se si stesse scusando, ha lo stesso sguardo di quando si sono rivisti sul campo di battaglia, sembra che dica mi arrendo, avete vinto voi.
«Kiku. Ti prego, non lo fare.»
Kiku schiude le labbra, la testa gli si appanna. Erano mesi che non sentiva quel nome. Per tutto questo tempo è stato il caporale, il soldato Honda, il figlio del colonnello, il giapponese, il demone, ma mai solo Kiku. E ora quel nome detto da quel debole uomo, il suo nome, pronunciato da quella voce tiepida e roca, il suo nome che nasce dal petto di Yao e che gli soffia trai denti, quel nome gli dà una forma, lo restituisce al suo corpo, dà un senso a quel suo inutile errare.
La gola gli brucia. La figura di Yao si deforma dietro alle lacrime, il coltello si abbatte sul pavimento con un clangore metallico. Un attimo dopo Yao è tutto attorno a lui, in ginocchio, spinge il coltello lontano dai loro corpi, lo fa slittare sulle assi prima di posare le mani sulle spalle di Kiku. Lui lo afferra per il maglione, seppellisce la faccia nella lana, il suo collo profuma di dopobarba e sapone. Non ricorda l’ultima volta che ha pianto in vita sua.
  
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