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Autore: Nao Yoshikawa    21/04/2022    9 recensioni
Dieci nuclei familiari, dieci situazioni diverse tra loro: disfunzionali o complicate o fuori dalla cosiddetta "norma".
Anche se alla fine, si sa, tutti quanti sono all'eterna ricerca di una sola cosa: l'amore.
Byakuya detestava tornare al proprio appartamento, specie a quell’ora. Dopo la morte di Hisana aveva preferito andare a vivere da un’altra parte, in un luogo dove non avrebbe avuto ricordi dolorosi.
A Orihime piaceva molto l’odore di casa sua. Profumo di colori a tempera misto a biscotti appena sfornati.
Ishida era un po’ seccato, non solo per la stanchezza, ma perché odiava quando Tatsuki non rispettava i piani. Anche se comunque non si sarebbe arrabbiato a priori.
Rukia era provata, si poteva capire dal suo tono di voce. Era brava a nascondere i timori dietro una facciata di allegria ed energia, ma Ichigo la conosceva bene.
Naoko era indispettita. Possibile che nessuno capisse il suo dramma?
Ai muoveva le gambe con agitazione. Indossava delle graziose scarpette di vernice nera e molti le dicevano spesso che aveva il visino da bambola, con i capelli scuri e gli occhi di una sfumatura color dell’oro.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shoujo-ai, Yaoi | Personaggi: Gin Ichimaru, Inoue Orihime, Kurosaki Ichigo, Nuovo personaggio
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo
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Capitolo tredici
 
«È proprio così, quindi? Mia sorella sta davvero tanto male?»
Alla fine, Ulquiorra aveva fatto quello che si era ripromesso: parlare con il fratello maggiore di Orihime. Sora Inoue era quindici anni più grande e aveva cresciuto la sorella minore. Anche adesso che viveva fuori da Tokyo, i due erano molto uniti. Motivo per cui avvertirlo, per Ulquiorra, era stato il minimo.
«Temo che sia depressa. E intendo depressa per davvero. Perdonami, ma non riesco a fare niente di utile in una situazione del genere. Sono davvero inutile» Ulquiorra aveva un tono neutro, ma non del tutto. C’era anche qualcosa di simile al senso di colpa e al dolore.
«Non essere così duro con te stesso, non è colpa tua. Non è colpa di nessuno. E grazie per avermi avvisato. Anche se ci vorrà del tempo, le cose andranno meglio.»
Per fortuna che c’era Sora con la sua positività, perché Ulquiorra di essere positivo non ne aveva proprio voglia. Non aveva avvisato sua moglie dell’arrivo di Sora, per questo quando Orihime tornò, mano nella mano con un’imbronciata Kiyoko, rimase sorpresissima nel vederli chiacchierare in cucina.
«Ma…? Fratellone? Tu qui?!» esclamò, facendo quasi cadere le buste della spesa sul pavimento. Kiyoko invece reagì con grande gioia, sorridendo anche con gli occhi, cosa che non faceva da un po’.
«Zio Sora! Questa sì che è una bellissimissima sorpresa!» gridò la bambina correndogli incontro con braccia spalancate.
«Oh! Kiyoko, ma quanto sei cresciuta? Oramai sei una signorina!» disse lui abbracciandola e rimirandola. Aveva la stessa indole dolce di Orihime.
«Non sapevo saresti venuto, potevi avvisare, ti avrei accolto in maniera migliore» disse Orihime scostandosi un ciuffo di capelli dalla fronte. Suo fratello rimirò anche lei e poi l’afferrò a tradimento.
«Figurati, quest’accoglienza è più che gradita. Anche tu sei cresciuta un sacco, piccola Orihime.»
«E dai fratellone, non cresco più da un pezzo, oramai» disse lei arrossendo, ma visibilmente felice di vederlo. Ulquiorra si rilassò appena, era da giorni che si sentiva un fascio di nervi. Lui, che era sempre così tranquillo. Guardò Kiyoko, che seduta in ginocchio su uno sgabello stava curiosando nella borsa di Sora, forse in cerca di qualche regalo per lei.
«Kiyoko, non in ginocchio, ti farai male» l’avvertì. Sua figlia lo guardò, con la fronte aggrottata, e poi gli puntò il dito contro.
«Io con te non ci voglio parlare.»
«…Perché no?» domandò Ulquiorra confuso.
Oh, Kiyoko avrebbe tanto voluto gridare e dire tutto quello che le passava per la testa.
«Perché tu mi avevi detto che non dovevo preoccuparmi» parlò sottovoce. «E invece non è così. Quindi sei un bugiardo e io con i bugiardi non ci parlo.»
Quelle parole avevano lasciato Ulquiorra interdetto. Era inutile e adesso era anche bugiardo? Non poteva dare del tutto torto a sua figlia, ma come poteva spiegarle che a volte certe bugie andavano dette per proteggere chi si amava?
Anche se lui in questo non ci stava riuscendo poi così bene.
«Kiyoko…»
Lei scese dallo sgabello e se ne andò, con i pugni chiusi e gli occhi lucidi. Quella situazione la odiava proprio. Avrebbe voluto gridare che nessuno le voleva bene e nessuno pensava a lei, non più almeno. Orihime, ancora stretta a suo fratello, li guardò.
«Ma che è successo?»
Sora, immaginando quello che poteva essere successo dalla sola espressione del cognato, cercò di non appesantire ulteriormente l’atmosfera.
«Ah, i bambini hanno gli sbalzi d’umore» No, pensò poi, quelli sono gli adolescenti, ma poco importa in questo momento.
Orihime sorrise, torturandosi ancora una ciocca di capelli e guardando Ulquiorra, un po’ colpevole. Le cose erano strane tra loro come non lo erano mai state e sapeva che, in parte, la colpa era sua.
Il malumore di Kiyoko non durò molto. O per meglio dire, con Ulquiorra continuava a non parlare, ma almeno poteva godere del tutto delle attenzioni del suo zio preferito. Orihime li osservava affacciata alla veranda, sollevata e un po’ malinconica. Sembrava di rivedere sé stessa e suo fratello tanti anni prima, mentre giocavano e ridevano. Era bello sentire Kiyoko ridere, fino a qualche tempo prima avevano sempre riso insieme, ma adesso…
Ulquiorra aveva pensato a lungo se avvicinarsi o no (si poneva più problemi ora rispetto a quando non erano sposati). Ma alla fine, dopo tanto rimuginarci, si arrese e le si avvicinò, poggiandole una mano sulla schiena. Orihime si voltò a guardarlo.
«Gli hai chiesto tu di venire, vero? Ho capito che Sora è preoccupato per me nel momento in cui l’ho visto»
Colto in fallo.
«Pensavo avessi bisogno anche del suo sostegno. Siamo tutti preoccupati per te, ti stai… è come se ti stessi ammalando.»
Orihime lo sapeva, ma sentirselo dire era strano. Si sentiva un po’ malata, non voleva stare così e, allo stesso tempo, c'erano giorni in cui voleva star male.
Ho il diritto di star male e di farmi sprofondare nell’oblio, se ne ho voglia.
«Io vorrei soltanto avere una grande famiglia. Lo sai che la mia non è stata un granché, se non fosse stato per Sora, io…»
«Lo so, lo so» sussurrò Ulquiorra. Con un padre violento e una madre assente, era stata Sora la figura genitoriale di Hime. Lui invece era figlio unico per metà inglese e metà ispanico*, cresciuto in una città come Tokyo, dove gli stranieri come lui risaltavano pure troppo. Erano entrambi a volere una famiglia, avevano avuto Kiyoko. La loro preziosa Kiyoko. Nel pensarci, Ulquiorra sospirò.
«Kiyoko ce l’ha con me…»
«Eh…?»
«Le avevo detto di non preoccuparsi per te, che non ci sarebbe stato motivo. Volevo solo tenerla fuori, ma non ci sono riuscito» disse affranto. Orihime si morse il labbro e strinse la sua mano.
«La colpa è mia, non caricarti solo tu delle responsabilità. Mi dispiace… vorrei non essere così rotta.»
Ulquiorra scosse la testa e ringraziò mentalmente per quel contatto fisico dopo giorni di assenza.
«Tu non sei rotta. E anche se lo fossi, sarò io che raccoglierò i pezzi.»
 
 
Naoko batteva un dito contro il finestrino dell’auto, impaziente.
«Pa’, quando arriva mamma? Io ho fame e devo fare i compiti» disse, sbadigliando sonoramente. Allo stesso modo Nnoitra batteva un dito sul volante, più nervoso che annoiato. Il turno di Neliel sarebbe finito tra qualche minuto e chissà perché era più teso del solito.
«Ho il potere di accelerare il tempo? Non credo» borbottò. E Naoko rise, anche se poi divenne subito seria. Okay, si disse, si portava dentro quella cosa da troppo tempo, doveva chiedere o sarebbe impazzita. Anche se aveva paura. Paura di farlo star male e paura di scoprire qualcosa di poco piacevole.
«Emh, papà, ti devo parlare.»
Nnoitra alzò gli occhi al cielo.
«Non lo sai che ti devo parlare è una frase bandita? Fa solo venire ansia. Coraggio, dimmi tutto.»
Naoko agitò le gambe, era meglio non guardarlo in faccia.
«Allora… ti ricordi quando ti ho parlato di Rin? Ecco, lei mi aveva detto una cosa che mi ha fatto molto arrabbiare. Io non ci volevo credere, non ascolto mai nessuno. Ma questa cosa mi ha fatto stare davvero male. Ecco lei… lei mi ha detto che sono la figlia di un delinquente. Però io non capisco cosa vuole dire…» solo a quel punto aveva trovato il coraggio di guardarlo. Era Nnoitra che ora non la stava più guardando, che sembrava nervoso in modo diverso dal solito.
Quello era un momento che aveva temuto per anni. Ed era arrivato troppo presto.
«Ha detto così, eh?» domandò.
«Ma questa cosa è vera? Cioè… tu non hai ucciso nessuno, vero?»
Nnoitra sorrise, in modo un po’ amaro. Quella era una domanda difficile a cui rispondere. 
«Non ho… ucciso nessuno, piccola. Ma quando fai un errore, vieni ricordato più per quello, che per tutto ciò di buono che farai. E io non sono mai stato un bravo ragazzo, nemmeno quando ero solo un po' più grande di te» dicendo ciò s’indicò l’occhio bendato. «E i segni me li porto ancora adesso.»
Naoko si fece attenta. 
«Ma se non hai fatto male a nessuno, allora… io non capisco. Che altro c'è?»
C'era tanto altro, avrebbe voluto aggiungere. Ma non aveva il coraggio. Odiava già quando le persone venivano a conoscenza dei suoi errori e lo guardavano o con pietà o con disprezzo, temeva di vedere lo stesso sguardo negli occhi di quella bambina che gli voleva bene senza riserva alcuna.
«Nulla…» sussurrò. Si voltò dall’altra parte, si morse forte le nocche a causa del nervosismo. E poi vide Neliel che parlava con un uomo, appena fuori dalla clinica.
«Nao, aspetta qui»
Doveva essere quel tipo, Sszayel Aporro. Circa della sua stessa età, con gli occhiali rettangoli e l’aria da intellettuale, parlava con Neliel, le parlava vicino e ciò era bastato per fargli andare il sangue alla testa.
«Ah, Nnoitra. Non c’era bisogno di scendere dall’auto, stavo arrivando io» disse Neliel salutandolo. Lui però, più che badare a lei, stava guardando quel tipo e ora gli si era parato davanti come a fronteggiarlo.
«Ah, quindi sei tu Nnoitra. Nel mi ha parlato di te» disse Aporro sorridendo in maniera irritante. 
Nel. Per te lei è Neliel, razza di cretino.
«Ah, ma davvero? Quindi è lui quel tuo collega?» chiese Nnoitra a braccia conserte. Nel arrossì, afferrandogli un braccio.
«Nnoitra, non fare così.»
«Ma io non sto facendo in nessun modo. Beh, tu, coso. Adesso noi ce ne andiamo» fu stavolta lui ad afferrare Nel per un braccio, la quale avrebbe solo voluto sprofondare nell’asfalto. Diamine, quanto era nervosa. Una volta in auto, sbatté forte lo sportello.
«Nnoitra, ma sei stupido o cosa?» gridò. Naoko sussultò. Sua madre sembrava non averla vista.
«Non sono stupido, ma ora che l’ho visto di persona, confermo che quel tipo non mi piace e non mi piace come ti guarda» disse osservando davanti a sé.
«Oh, mio Dio! Sei proprio fissato, ma quanti anni hai? Non c’è niente, non c’è motivo di reagire in questo modo. E poi, è anche mortificante per me, a questo non ci hai pensato?»
«No» rispose lui nervoso. «Io sono stupido in fondo, no?»
Naoko li fissava con gli occhi spalancati. Ultimamente capitava fin troppo spesso di vederli litigare e in quel momento si sentiva a disagio.
«Per favore, non mi piace quando litigate così.»
Fu solo per Naoko che Neliel non lo insultò più pesantemente e fu sempre per lei che Nnoitra si zittì a sua volta. Non voleva arrabbiarsi davanti a lei, anche se aveva già fallito.
«Scusa, Nao» mormorò. Neliel accavallò le gambe.
«Noi abbiamo bisogno di una mano. E soprattutto ne hai bisogno tu» disse solamente. E Nnoitra, che in genere le avrebbe detto che si sbagliava, questa volta se ne rimase zitto, forse consapevole del fatto che sua moglie aveva ragione, che c’era qualcosa in lui di sbagliato.
 
Yoruichi aveva creduto che una visita col terapista sessuale sarebbe stato un po’ strano, ma si era sbagliata. Isane Kotetsu era più giovane di lei, alta e molto professionale. Yoruichi non aveva mai pensato che lei e Kisuke potessero sentirsi a disagio, anzi, in genere erano loro a mettere a disagio. Quando erano una coppia non ancora sposata e senza figli, in molti li prendevano in giro dicendo che avevano l’aria da hippie con quel loro modo di professare e vivere l’amore e il sesso con tutta la calma e naturalezza del mondo. E in fondo avevano ragione e, anche se erano passati degli anni, avevano ancora questa tendenza ad essere molto aperti. O almeno era stato così fino a poco tempo fa, visto che ora qualcosa si era spezzato. La dottoressa Kotetsu aveva posto loro delle domande, le solite che si ponevano a tutti, aveva chiesto di raccontare loro della propria vita, in modo da capirne le dinamiche.
«Io sono il primario del St. Luke, mentre questa ragazza qui è un’insegnante di scuola superiore. Non la trova adorabile?» chiese Kisuke, portando una mano sulla testa della moglie come se fosse stata una bambina. Lei suo malgrado rise.
«E smettila, sciocco. Abbiamo due gemelli, Yami e Hikaru. E non credo proprio avremo altri figli, perché se contiamo Kisuke i bambini sono tre.»
«È solo che mi piace troppo avere le tue attenzioni, mia cara. E questo è il modo più facile» ribatté lui.
Isane Kotetsu sorrise, continuando ad annotare qualcosa sul suo blocco note. Una coppia unita, molto diversa e dai temperamenti quasi opposti. Una coppia impegnata lavorativamente e nel privato, ma con una grande intesa di fondo.
«Sembrate proprio una bella famiglia. Ma passando alla questione in maniera un po’ più mirata… quando avete iniziato ad avere problemi?»
Yoruichi divenne seria, sentiva il braccio di Kisuke intorno alle sue spalle.
«Quattro mesi fa, circa. Pensavo di avere qualche problema… a livello fisico, intendo, ma dopo una serie di esami è uscito fuori che va tutto bene. Mi dicevo che era stress… ma inizio a pensare che non sia questo. Però è frustrante, insomma… noi non abbiamo mai avuto problemi sessuali.»
«Ah, ci può scommettere. Noi siamo sempre stati insaziabili, in effetti non mi sorprende che abbiamo avuto due gemelli…ahi!» Kisuke si piegò su sé stesso perché Yoruichi lo aveva colpito alle costole. Va bene l’essere aperti, ma che si desse un contegno, per l’amor del cielo. Per fortuna la dottoressa Kotetsu non sembrò turbata.
«Sì, capisco perfettamente. Di sicuro c’è qualche motivo più profondo che causa questa difficoltà a lasciarsi andare. Infatti, mi piacerebbe anche fare delle sedute individuali, se non vi dispiace.»
«Mmh? Individuali va bene. Forse lei riuscirà a tirare fuori i segreti della mia Yoruichi, ammesso che ne abbia. E io sono certo di sì» disse Kisuke giocoso, pizzicando Yoruichi, la quale gli diede un altro colpo sulle costole, con il gomito. L’idea di una seduta individuale in parte la terrorizzava. Non aveva segreti da svelare o che gli altri potessero scoprire, di questo ne era certa. Ma era comunque tanto nervosa se solo stava lì a pensarci. Di certo però non si sarebbe tirata indietro, voleva risolvere quel problema e riprendere il controllo della sua vita. La prima visita non fu particolarmente lunga o impegnativa, ma Yoruichi tornò a casa con un mal di testa come se avesse lavorato per quindici ore filate. Yami era tornata poco dopo dalla sua lezione di danza e Hikaru dalla fumetteria dietro casa e presto era stato il caos, perché erano tornati con un ospite particolare.
«Guardate, abbiamo trovato un gattino, possiamo tenerlo? Vi pregooo!» piagnucolò Yami, che teneva in mano una scatola con dentro un gattino nero miagolante.
«Ma tu guarda» disse Kisuke, accarezzando la testa del micio. «Non abbiamo mai avuto un animale, sapete che è impegnativo, vero?»
«Sì, ma ci siamo già messi d’accordo» spiegò Hikaru. «Io gli do da mangiare la mattina e lei la sera.»
«E poi lei già ci adora!» disse Yami con fare teatrale.
«Come fai a sapere che è una lei e non un lui?» chiese il fratello. 
Kisuke alzò gli occhi al cielo.
«Yoruichi cara, mi daresti una mano?» domandò rivolto alla moglie. Yoruichi però sembrava impegnata a controllare le sue mail, tra cui una della sua studentessa Soi Fong che le chiedeva delucidazioni in merito ad un compito per casa. In genere Yoruichi non usava le mail per comunicare con gli studenti, ma per alcuni poteva fare un’eccezione.
«Sì, certo, potete tenerlo» disse distrattamente. I due bambini, stupiti, esultarono e iniziarono subito a bisticciare per quale dovesse essere il nome del micio. Kisuke invece non toglieva gli occhi da sua moglie, con la testa tra le nuvole come non mai. Qualsiasi cosa fosse, si disse, era passeggero. E non poteva essere nulla di male, no?
 
Chiunque nei reparti del St. Luke ignorava il buon umore di Ishida, tutti tranne Ichigo che invece sapeva fin troppo bene. Anche se il suo migliore amico se ne andava in giro con quell’espressione seria, era evidente che i suoi occhi ridevano.
«Allora… visto che le cose stanno così… tornerete insieme, immagino» disse Ichigo distrattamente, mentre puliva e disinfettava degli strumenti. Hanataro si fece attento.
«Anche se non conosco sua moglie, io faccio il tifo per voi Ishida-senpai.»
«Non ne abbiamo parlato a dire il vero, ma fossi in voi non mi porterei troppo avanti» disse, cercando di essere ragionevole. Anche se nel profondo ci sperava anche lui. Insomma… dopo tutto quello che c’era stato.
«C’è bisogno di un po’ di positività nella vita!» esclamò Hanataro, facendo cadere qualcosa a terra, con la sua goffaggine.
«E io sono positivamente convinto che le cose potranno aggiustarsi. Se vuoi ci parlo io con Tatsuki, ci conosciamo da quando siamo bambini e…»
«No, grazie Kurosaki, ci penso da solo. Però voi non parlatene con nessuno, lo sapete già in troppi» disse arrossendo.
In quel momento entrò la dottoressa Unohana, sorridendo loro.
«Salve, miei cari ragazzi. Non vi disturbo, vero?»
«Dottoressa Unohana. No, in realtà noi abbiamo finito qui» disse Ichigo, che cercava di trattenersi dal ridere perché immaginava già cosa sarebbe successo: stava per assistere al rifiuto di Unohana per Zaraki. Oh, poveraccio! Unohana guardò affettuosamente Hanataro e porse lui un biglietto.
«Dì al mio spasimante che mi farebbe piacere uscire con lui uno di questi giorni. E che non c’è bisogno di essere timidi, io non mordo mica»
Sconvolto, Hanataro annuì, prendendo il biglietto sotto lo sguardo altrettanto sconvolto di Ishida e Ichigo. Com’era possibile che avesse funzionato? Oh beh, almeno Zaraki avrebbe smesso di fare le sue visite a vuoto. Gli ospedali erano davvero un luogo bizzarro dove flirtare e innamorarsi.
«Glielo diremo senz’altro» Ishida si tolse il camice. «Ora, se volete scusarmi, devo andare perché mio figlio mi aspetta.»
Il pensiero di Yuichi gli metteva un po’ d’ansia. Sapeva che suo figlio stava vivendo male la separazione tra lui e Tatsuki l’ultima cosa che voleva era dargli false speranze. Andò a casa dei genitori, dove Yuichi aveva appena finito di fare i compiti e subito dopo gli era saltato addosso.
«Ma che accoglienza calorosa. Ciao, piccolo» sussurrò, abbracciandolo. Sentendosi un po’ in colpa.
«Papà, lo sai che c’è pure la mamma?» chiese il bambino, sistemandosi gli occhiali. Ishida batté le palpebre: Tatsuki era appena scesa dal piano di sopra e gli sembrò più bella che mai: indossava un vestito scuro molto femminile, diverso dai soliti jeans che la moglie preferiva. Sembrava quasi che si fosse fatta bella per lui.
«Tatsuki.
«Scusa quest’improvvisata. Tua madre mi ha invitata, l’ha fatto in un modo per cui non potevo rifiutare.»
Gli andò incontro e si fermò a pochi centimetri dal suo viso. Avevano sempre avuto l’istinto di salutarsi con un bacio, adesso più che mai.
Adesso più che mai sembrava fosse evidente l’amore che li univa, era evidente perfino a Yuichi che li stava osservando. I suoi genitori si guardavano in un modo tutto nuovo, che non conosceva.
«Emh…» mormorò, non sapendo bene cosa dire. Ishida dovette trattenersi (e fu molto difficile) dall’accarezzare il viso di Tatsuki per poi afferrare il suo viso e baciarla.
«Ah… sì. Beh, va bene. Tatsuki io e te dovremmo» Ishida indicò la porta. «Parlare… uscire… parliamo?»
Tatsuki sorrise. Diamine, era raggiante e luminosa, non le capitava da troppo tempo.
«Parliamo.»
Yuichi si sbracciò.
«Non posso venire anche io?»
Prontamente Kanae si affacciò dalla cucina.
«Caro, penso che i tuoi genitori debbano parlare in privato.»
Ishida si aggiustò gli occhiali sul naso, grato a sua madre per quell’intervento, visto che lui a mentire non era proprio bravo.
 Dovevano parlare, si era detto, non saltarsi addosso come due adolescenti impazziti, ma era un’impresa. Tatsuki era bella con il suo vestito scuro su cui portava un cardigan per essere più coperta, mentre gli camminava accanto e forse desiderava afferrare il suo braccio e stringerlo.
«Allora… so che dovremmo parlare, ma non so bene che dire» ammise Ishida, lisciandosi nervosamente i capelli. «È successo. Io e te.»
«È successo» mormorò Tatsuki, guardando la luce rossa del semaforo. «Ma adesso? C’è un motivo se ci siamo lasciati. Noi… noi abbiamo sempre avuto idee diverse in tutto.»
Per alcune persone quella sembrava non essere una motivazione sufficiente per un divorzio, ma in molti non potevano capire cosa volesse dire scontrarsi su tutto. Dalle cose più stupide, alle cose più importanti come l’educazione dei figli. Uryu era quello meno severo, quello più fisico con Yuichi, lei era affettuosa, ma in modo diverso ed era più severa. Lui era più ordine, lei più caos. Anche se in quella situazione sembrava che i ruoli si fossero invertiti. E poi c’era il problema più grande, la cicatrice che aveva lasciato addosso a Tatsuki un trauma.
«E lo so che parte della colpa è mia perché dopo la depressione post-parto non sono stata più la stessa.»
Il semaforo era verde ma Ishida non riusciva a camminare. Non parlavano spesso di quel periodo così terribile, spesso preferivano far finta che non esistesse.
«Ma… la colpa non è certo tua…» disse, senza guardarla, afferrandole un braccio e trascinandola con sé.
«Però è lì che qualcosa tra noi si è rotto. Io sono stata orribile anche se non volevo. Forse ci saremmo lasciati lo stesso, ma avrei preferito evitarci questo.»
Tatsuki se lo ricordava troppo bene. Il non riuscire ad alzarsi dal letto, il non riuscire neanche a sopportare il pianto di suo figlio appena nato. Il sentirsi colpevole, inutile, il dover mettere tutto sulle spalle di suo marito, il trattarlo male. Era Uryu quello che voleva una famiglia numerosa, lei invece no, quindi avevano trovato un compromesso: Yuichi e basta. Lui non gliel’aveva fatto mai pesare. Però era vero che qualcosa da quel momento si era rotto.
«Ma adesso è passato e tu stai bene. Forse si può riaggiustare» ignoravano le persone attorno a loro Uryu le poggiò una mano sulla testa. «Devo poterlo aggiustare.»
Tatsuki chiuse gli occhi e si sentì debole, di nuovo. Lei era sempre stata istinto e mai ragione. Cosa sarebbe successo, ora, se si fosse buttata?
Guardò suo marito negli occhi e mormorò qualcosa a bassa voce, ma lui la sentì di comunque.
 
Karin aveva già dovuto fare i conti con la consapevolezza che, non appena suo padre l’avrebbe vista, le sarebbe saltata addosso soffocandola e infatti così era stato. Isshin aveva sempre dei modi così… esagerati.
«E basta, ma insomma! Io sono una donna adulta oramai, finiscila di essere appiccicoso!» si lamentò, stretta da un lato da suo padre e da un lato dalla gemella Yuzu.
«Ma tu rimani sempre la mia bambina, non m’importa se sei sposata e se sei madre a tua volta» piagnucolò Isshin. «E voglio bene anche a Yasutora e Kohei.»
«Davvero, non è il caso di piangere» disse Chad. Però era bello far parte di una famiglia così calorosa. Quando poi Isshin aveva provato ad abbracciare il nipote, quest’ultimo se n’era rimasto immobile senza reagire, gli abbracci gli piacevano solo in alcune circostanze.
«Certo che ti stai facendo proprio un bel ragazzo, eh Kohei? Devi essere bravo negli sport.»
Lui scosse la testa.
«No, inciampo sempre. Ma leggo molti libri sulle aquile, sono i miei animali preferiti. Ora vado da Kaien e Masato, ciao» disse annoiato. Isshin tornò a piagnucolare.
«Mio nipote mi odia.»
«Papà, smettila, non è affatto vero» sospirò Karin, massaggiandosi la testa. Compiangeva un po’ Ichigo, che lì in mezzo doveva viverci. Yuzu, sempre allegra, prese a battere una mano sul braccio del cognato (risultava una bambina accanto a lui).
«Ehi, Chad, allora. Come va? Tratti bene la mia sorellina? La ami e la onori tutti i giorni della tua vita, eh? Come va il romanticismo? Se sai cosa intendo.»
Karin arrossì. Ora voleva davvero sparire e sapeva che anche lassù dai suoi quasi due metri, Chad stava arrossendo.
«Io… bene, credo…» Anche se era una bugia, visto che tra lui e Karin non si poteva parlare di romanticismo, oramai. Sembravano più che altro una coppia di amici che insieme si occupavano di un bambino. Yuzu batté le palpebre.
«Ma come, solo bene? Una vita di coppia deve sempre essere emozionante. Cioè, non ne so molto, perché io ho tanti amici di letto…»
Isshin andò a sbattere contro qualcosa. Non era opportuno fare certi discorsi davanti a lei.
«Io me ne vado dai bambini, ci sono cose che non posso accettare!» disse, teatrale. Karin nascose il viso dietro una mano. Perché la sua dolce sorellina era diventata così estroversa da quel punto di vista?
«Non è che c’è molto tempo per il romanticismo con tutte le cose a cui dobbiamo pensare.»
«Risposta sbagliata!» Yuzu le puntò il dito contro. «Una relazione va coltivata giorno dopo giorno, altrimenti finisce col morire. Anzi, fatemi un favore, visto che adesso ci siamo noi, andatevene e comportatevi da coppia, grazie tante» disse iniziando a spingere la sorella. Anche se non lo avrebbe detto, Chad era grato a Yuzu per aver colto – senza nemmeno averlo fatto a posta – il problema tra lei e Karin, ora solo genitori e mai coppia.
«Tua sorella non ha torto» disse a quel punto. «Kohei è qui ed è al sicuro. E se ha bisogno, possiamo comunque tornare.»
Il viso di Karin divenne bordeaux. Sembrava una congiura nei suoi confronti, anche se a dire il vero erano anni che lei e Yasutora non avevano un paio d’ore per loro. Che strano, si sentiva nervosa come un primo appuntamento.
«Amh… beh… visto che ci siamo…»
«Bene, è così che vi voglio. Uscite, divertitevi, fate le vostre cose da coppia e non pensate a niente, qui va tutto bene, ci penso io a tenere d’occhio papà e i bambini. Buon divertimento»
«Ma Yuzu-»
«Ho detto buon divertimento!»
Finalmente era riuscita a buttarli fuori. Per quanto non fosse esperta di relazioni durature e matrimonio, non bisognava essere geni per comprendere che qualcosa non andava tra quei due. Scosse la testa, parlando fra sé e sé.
«E dire che non sono mai stata sposata!»
 
 
*Ho questo headcanon che Ulquiorra abbia origini inglesi e spagnole.

Nota dell'autrice
In questo capitolo Nnoitra ha dato un po' il peggio di sé, mi dispiace tanto per tutto quello che gli sto facendo passare, perché è uno dei miei personaggi preferiti e la parte peggiore nemmeno è arrivata, sigh. In aiuto di Ulquiorra invece è arrivato Sora, personaggio che compare spesso accanto a Ulquiorra e Orihime. E ora di aiuto ne hanno bisogno, soprattutto Ulquiorra che ha Kiyoko che lo detesta per il momento (cuoricino mio lol). E Tatsuki e Uryu forse forse ci stanno riprovando davvero. Il motivo dietro la loro rottura non è stato solo l'essere troppo diversi, ma una depressione post-parto che ha spezzato un po' le cose e questo lo approfondirà man mano... E poi che dire, viva Yuzu, no? Spero che il capitolo vi sia piaciuto, alla prox settimana :)
   
 
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