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Autore: Ombrone    22/04/2022    1 recensioni
Questa è diventata la mia storia più vista e più seguita. Grazie a tutti! Farò del mio meglio perché i prossimi capitoli siano all'altezza!
Una storia d’amore di 2000 anni fa.
Il giovane patrizio Marco Valerio Corvino torna a Roma nella sua casa dopo aver prestato servizio sul limes in una lontana provincia, troverà qualcosa che non si aspettava e per capire come affrontarla dovrà scoprire il lato nascosto di se stesso.
Il mio è un tentativo, mi direte voi quanto riuscito, di scrivere una storia d’amore, romantica, ma verosimile per la sua epoca, questo significa che al suo interno troverete situazioni, discorsi, atteggiamenti e comportamenti che potrebbero disturbare ed offendere, e che per gli standard del XXI sono inammissibili (o addirittura illegali). I personaggi stessi potrebbero sembrarvi antipatici o immorali o violenti: mi son sforzato di renderli realistici rispetto all’ambientazione e fargli seguire comportamenti considerati normali, morali o addirittura meritori per il primo secolo dopo cristo, un epoca molto lontana e molta diversa dalla nostra.
Commenti e anche critiche benvenuti e incoraggiati. Stimolano a scrivere e servono a migliorare!
Genere: Erotico, Romantico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Non-con, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Storico
Capitoli:
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Avevo ipotizzato mi mancasse solo un capitolo.... invece no.. Marco e Filinna hanno ancora parecchio da dirsi.... comunque quasi ci siamo: questo è il penultimo, mancano circa 10/12 pagine... e poi mangari una piccola appendice storica e letteraria di spiegazioni.

Grazie ancora per aver gradito, letto, seguito e commentato.

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Giunia si innamorò subito della villa di Baia. Avevano anche loro, una proprietà sul golfo, ma per sua stessa ammissione non era così bella e con una vista paragonabile. 
In verità l’accoglienza per la nuova padrone di casa era stata organizzata con la massima cura per fare la migliore delle impressioni e aveva avuto successo. 
Una volta rifrescati e riposati, la portai a fare un giro per la proprietà, accompagnati dal sovraintendente e in biblioteca venimmo accolti dal sempre impeccabile Cleone.
“Così siete voi Cleone!” Esclamò Giunia. Trattandolo con il massimo del rispetto. “Porto ancora nel cuore i versi che mi avete dedicato, vi devo ringraziare.” 
Il caro vecchio Cleone provò a schernirsi e far finta di essere modesto mentre arrossiva per il piacere, ma la mia cara moglie lo lasciò senza fiato recitandoli a memoria:

“Ὄμματ΄ ἔχεις ῞Ηρης͵ Μελίτη͵ τὰς χεῖρας Ἀθήνης͵ τοὺς μαζοὺς Παφίης͵ τὰ σφυρὰ τῆς Θέτιδος.
εὐδαίμων ὁ βλέπων σε͵ τρισόλβιος ὅστις ἀκούει͵ ἡμίθεος δ΄ ὁ φιλῶν͵ ἀθάνατος δ΄ ὁ γαμῶν.


Ha gli occhi di di Era, o Melite, le mani di Atena, il seno di Afrodite, di Teti le caviglie.
Felice chi ti vede e tre volte felice chi ti ascolta; un semidio chi ti bacia, immortale chi riuscirà ad averti.


Cleone, vi sarò sempre grata, sono dei versi splendidi e il più bel regalo che io abbia mai ricevuto.
Il mio buon Cleone si gonfiò di orgoglio come un pavone di fronte a noi, talmente emozionato da non riuscire quasi a parlare. Ci impiegò un attimo per recuperare il controllo, presentare suo figlio Aristo, con cui ci complimentammo per essere diventato da poco padre, e iniziò a mostrare a Giunia la biblioteca e soprattutto l’opera completa di Apollonio Rodio, che mi ero affrettato a far procurare. Il sorriso di mia moglie, alla vista di tutte le opere del suo autore preferito, fu tale da riempirmi il cuore.
Fu proprio in quel mentre che nella stanza entrò Filinna, si bloccò sulla porta alla nostra vista, i nostri occhi si incrociarono per un breve attimo e abbassò lo sguardo, mentre anche Giunia la guardava interrogativa.
“Mia figlia, Filinna, Padrona.” Intervenne Cleone, a giustificare la sua presenza.
“Ah la famosa Filinna.” Esclamò Giunia, per poi aggiungere a mio favore. “Ma è davvero graziosissima, proprio come diceva tua madre, Marco.” Solo dopo le si avvicinò e si rivolse direttamente a lei. “Mi hanno raccontato di quanto tu sia colta e preparata, qualcuno dice anche più di tuo padre!” 
Vidi Filinna irrigidirsi e trattenere il respiro, piegando le spalle come chi teme di essere colpito, mentre rispondeva, evitando di alzare lo sguardo: “Grazie, Padrona, sono lieta vi abbiano parlato bene di me. Ma di certo non posso essere superiore a mio padre, tutto quello che so lo devo lui.”
Il sorriso che si aprì sul volto di Giunia era sincero quando rispose. “Molto ben detto, ragazza, una risposta saggia e adeguata. Bene, sperò che non ti disturberò se ti chiederò di leggermi qualcosa la sera.”
“Sono al vostro servizio, Padrona.” 
“Ottimo.” Poi girandosi verso di noi. “Cleone sei benedetto dagli Dei per avere la gioia di due figli simili.” 
“Lo sono, Padrona, e ne sono grato agli Dei.”
“Penso passerò del tempo piacevolissimo nella biblioteca che hai creato. Mi complimento ancora. Marco, marito, adesso fammi vedere anche questi famosi giardini, ti prego.”

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Fu proprio in giardino che cenammo quella sera, all’aperto di fronte al golfo. Finito di mangiare mia madre e mio zio si ritirarono presto, stanchi per il viaggio e io e Giunia ci trattenemmo, un attimo, a chiacchierare godendoci il fresco serale.
“Ti ringrazio del pensiero di avermi fatto trovare le opere di Apollonio Rodio, Marco, lo apprezzo.” 
Disse Giunia, mentre finiva di sbocconcellare un frutto.
“Le aggiungeremo anche alla biblioteca di Roma, qui Cleone è stato molto veloce e procurarsele.” Risposi.
“Cleone sembra una persona interessante e notevole.”
“Lo è, ma non lo dire troppo di fronte a mia madre.” La avvisai. “Lei non lo sopporta.”
La vidi esitare un attimo prima di approfondire.
“Lo so, non si è trattenuta a parlare male di lui.” Si fermò un attimo per capire come potevo reagire, poi continuò. “È qualcosa legato… legato a tuo padre, vero?”
Annuii… la morte di mio padre e di mio fratello erano ricordi e pensieri dolorosi, ma aveva il diritto di sapere.
“Mia madre ritiene che sia stata anche colpa di Cleone, se mio padre si guadagnò l’inimicizia di Tiberio e Seiano. Cleone è sempre stato un idealista e avrebbe spinto mio padre in quella direzione…. Erano tempi pericolosi per avere ideali. Come dice lei erano tempi in cui bisognava pensare a sopravvivere.”
“E ha ragione? Cleone ha colpe?”
Fissai la mia coppa, cercando la verità nel vino.
“Io ero ancora un ragazzino, a quei tempi, non ho ricordi chiari che mi aiutino nel giudizio…. Ma ritengo di no. Cleone, se ha colpa, ne ha solo piccola parte. Mio padre era così di suo, alla ricerca della verità e della giustizia. Cleone era al massimo un compagno di strada non certo una guida.” Sospirai. “Se fosse, mio zio Aulo avrebbe le stesse responsabilità, anche lui segue gli stessi ideali.”
“Come te.”
Annuii. “Come me.” Le sorrisi. “Non sono uno stoico squisitamente antiquato? Come dici tu?”
Lei rise. “Si, marito mio, ma io credo che tu sia capace di essere prudente.”
Il sorriso mi si spense.
“Ho visto quello che succede a non essere prudenti… ho promesso a mia madre… che non farò lo stesso errore e penserò alla famiglia.”
“Lo farai, Marco. Lo so che lo farai… anche se ti pesa… a volte vero?”
“Vorrei vivere in tempi più fortunati. Almeno vorrei avere la fortuna di zio.. di potermi ritirare e non fare vita pubblica e pensare solo alle lettere e alla filosofia. Ma non posso.”
La vidi raddrizzarsi interessata: “E cosa faresti se potessi?”
Rimasi un attimo in silenzio pensandoci.
“Me ne andrei a Rodi.” Dissi per prima cosa.
“Rodi! E perché?”
E le raccontati del viaggio che avevo fatto da giovane in Grecia e in Asia Minore a visitare quei luoghi e della villa che avevamo a Rodi. Il posto più bello del mondo anche più di Baia. 
“Ce ne andremmo lì lontani da Roma e dal potere.” Sognai a voce alta. “Coi i nostri libri e accoglieremmo e sosterremmo filosofi e artisti e scrittori. Tu lì scriveresti versi di amore splendidi diventando una novella Saffo.”
Giunia rise allegra all’idea.
“Oh sì riscriverei la storia di Nausicaa e non farei tornare Ulisse da Penelope, ma si fermerebbe da lei conquistato e innamorato.” Mi unii alla sua risata colpito da questa idea così particolare.  “Così visiterei finalmente la Grecia.”
“Ci andremmo.” Promisi. “Prima o poi ci andremo.”
“Sarebbe un sogno!” Esclamò, mentre si ripuliva le dita, finito di mangiare. “E chi porteremo con noi? Cleone?”
“Penso che una prospettiva simile lo renderebbe felice. Ma sai, prima o poi, lo libererò. Lui e la sua famiglia. Non lo ho ancora fatto… solo per rispetto a mia madre.”
Seguì un attimo di silenzio.
“È molto sensibile, da parte tua.” Lo ruppe lei. “Ma sei tu il pater familias. Aspetta il momento adeguato, ma fai quello che devi fare. Segui il tuo giudizio.”
“Immagino ti abbia parlato male di tutti loro.” Dissi.
“Tua madre mi parla di tutto, Marco. È una persona splendida e io le voglio già molto bene. Sono fortunata ad avere lei come suocera.” Partì Giunia in premessa. “Con me non si è trattenuta, parla male dell’intera famiglia. Se fosse per lei se ne libererebbe, di tutti loro, senza remore. Sostiene che la figlia abbia una brutta influenza su di te, che ti abbia distratto dai tuoi doveri.”
“Oh che sciocchezza.”
“Io penso che abbia ragione.” La fissai, ammetto con una certa preoccupazione, temendo che le paure di Filinna potessero essere fondate, prima di accorgermi che gli occhi di Giunia brillavano di divertimento e capii che mi stava prendendo in giro. “Non conosco uomo, giovane o vecchio, che non si faccia distrare dai suoi doveri da una bella ragazza. E lei è molto carina. E tu Marco Valerio Corvino credo che sia simile a tutti gli altri uomini!”
Risi, sollevato. “Di questo mi devo dichiarare colpevole. Sono umano. Credo che però per mia madre sia difficile ammetterlo.”
“Le madri sono spesso così. Dobbiamo capirle.” Concordai con un cenno della testa. Poi lei continuò “Credo di averla spaventata oggi.” 
“Filinna intendi?”
“Sì, parlo di lei.”
“Credo che abbia paura che tu la possa pensare come mia madre e avercela con lei.” Risposi.
“Ecco questa è una sciocchezza.” Ribatté. “Per quale ragione dovrei avercela con lei?” Al mio silenzio continuò. “Sono una Giunia, mio padre era un console, così mio nonno e il mio bisnonno, ho sposato un senatore della Gens Valeria.” Si fermò e mi sorrise. “Che sono sicura sarà Console anche lui prima o poi. Sarò la madre dei tuoi eredi., dovrei forse preoccuparmi di ogni schiava graziosa che attrae il tuo sguardo? Sono schiave e fanno quello che viene detto loro di fare. Sei un uomo Marco, avrai le tue distrazioni e le tue fantasie.”
“Giunia, io ho una sola distrazione e una sola fantasia.” Risposi di istinto. Sollevato di avere una moglie così intelligente e di buon senso.
Mi rispose con una risata allegra e si distese di nuovo, sollevando l’orlo del vestito a scoprire il polpaccio con un movimento quasi naturale.
“Che delizia di marito ho la fortuna di avere.”
“La fortuna è mia di aver te come moglie.”
Il mio complimento non la fece sorridere quanto speravo, i suoi occhi mi fissavano interrogativi. Poi la vidi scuotere lievemente la testa e allungarsi con aria languida.
“Marco Valerio, ma tu devi essere un po’ più rapido nel cogliere le occasioni marito mio.” Disse, ondeggiando la gamba nuda.
Non risposi, evidentemente non voleva belle parole, mi limitai ad alzarmi e, girato intorno al tavolo, mi chinai e la sollevai di peso e, con lei in braccio, mi diressi verso la nostra camera. Non era il caso di scandalizzare la servitù. 

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Il viaggio in Sicilia fu perfetto, anche se, come ci dissero in molti, eravamo nella stagione più calda. Visitammo alcune delle sue città più importanti e ci fermammo a Siracusa ospiti del Propretore, lo zio di Gaio, dove reincontrai con gioia il buon Catualda. Qui passammo dei giorni veramente piacevoli prima di recarci nella proprietà che avevo in quella provincia, nel sud dell’isola in prossimità della città di Agrigento (che i greci chiamano Akragas), una bella città con degli splendidi templi dedicati agli Dei, i cui abitanti avevano ricevuto la cittadinanza romana sotto Ottaviano Augusto.
Prima di raggiungere la tenuta fummo ospiti dei magistrati della città e per ringraziarli della loro gentilezza finanziai l’erezione di una statua di Claudio Cesare nel foro cittadino.
Era la prima volta che visitavo quella proprietà, piuttosto vasta e dedicata principalmente alla coltivazione del grano e alla produzione dell’olio.
Anche quello fu un soggiorno piacevole anche se il posto era veramente rustico e agreste, venimmo infatti raggiunti da Catualda, Gaio e da sua moglie cosicché avemmo una buona compagnia e occasioni di conversazione gradevole.
Durante la mia presenza attuai vari cambiamenti nei metodi di gestione e coltivazione per aumentare la produttività e anche sulla gestione degli schiavi. A parte qualsiasi considerazione morale sono in disaccordo con le opinioni di Catone e profondamente convinto che uno schiavo trattato con considerazione e umanità produce sempre molto di più di un povero disgraziato trattato con brutalità.
Pure il viaggio di ritorno fu ottimo, benedetto da un mare tranquillo e da venti favorevoli. Sbarcammo a Baia e passammo qui ancora alcuni giorni idilliaci, in compagnia anche dei familiari di Giunia prima che i doveri costringessero me mio suocero a tornare a Roma.

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Alcune settimane dopo il ritorno a Roma successe quello in cui tutti speravamo.
Fu una delle ancelle di mia madre a venirmi a chiamare e quando entrai nel triclinio e trovai lei e Giunia sedute l’una vicino all’altra, tese come le corde di un arco, ma entrambi sorridenti e felici non ebbi dubbi su cosa mi stavano per dire.
L’arrivo di un erede è una cosa che ritengo sconvolga qualsiasi famiglia, specie quando è il primogenito, da noi non fu differente. Si tratta comunque di faccende che vedono per protagoniste soprattutto le donne. Noi uomini diventiamo all’improvviso comprimari e, a volte, è piacevole.
L’episodio più curioso, l’unico così particolare da meritare di essere annotato, di quel periodo ebbe come protagonista Romolo.
Si presentò una sera di fronte al tablinum senza preavviso, ma quando me lo annunciarono dissi di lasciarlo passare, la giornata era finita, le cose importanti già fatte e, come avevo già accennato, la mia tolleranza e affetto per lui aveva radici profonde nella mia infanzia.
Entrò accompagnato da un ragazzetto magro, dall’aria sveglia e i cui tratti indicavano chiaramente che era un suo discendente.
Mi salutò col suo solito modo rispettoso, ma disincantato e io gli risposi con sincero piacere.
“Romolo, benvenuto.” Segno di favore, lo invitati addirittura a sedersi, ma lui rifiutò con appropriata modestia. “Cosa posso fare per te? Chiedi pure.” Non mi era difficile immaginare che fosse qualcosa legato al ragazzo, che non riuscivo a inquadrare pienamente. Un nipote, forse. Romolo era stato vigoroso, di figli ne aveva avuti tanti e questi si erano dimostrati pari al padre.
“Volevo complimentarmi con voi, per il vostro primo figlio, padrone.” Rispose.
“Grazie Romolo, grazie molte.” Ribattei, poi vedendo che esitava, come non sapendo come andare al punto, tra le sue qualità non vi era certo l’oratoria, provai ad aiutarlo. “Chi è questo bel ragazzo? Uno dei tuoi nipoti?”
Sussultò, come se si fosse ricordato improvvisamente della presenza del ragazzo. “Oh no, padrone! Tazio è il mio figlio più giovane.” Gli tirò una pacca sulla spalla che lo fece ondeggiare.  
Non nascosi una certa meraviglia, Romolo aveva nipoti ormai adulti. “Beh, non so se tua moglie ti benedice o ti maledice, Romolo, comunque complimenti.” Risi di cuore e lui mi imitò.
Quando smise di ridere rimase di nuovo in silenzio come perso e provai a venirgli incontro.
“E cosa posso fare per te e per lui?” Provai a indagare.
Lo vidi riflettere e poi provare a tornare sull’argomento.
“Ecco padrone… ecco. Voi avrete un figlio.” Annuii invitandolo ad andare avanti. “Vi servirà qualcuno che lo guardi e lo segua, lo protegga e vada con lui, Padrone. Come io ho fatto con voi. Ecco e io l’ho fatto per voi e mio figlio può farlo per vostro figlio.” Una altra pacca arrivò all’improvviso sulle spalle di Tazio. Conoscendo le mani di Romolo erano colpi da far piegare un uomo adulto, ma il ragazzo si limitò a barcollare un attimo tentando persino di mantenere il sorriso.
La cosa era chiara, volendo anche intelligente. Romolo era stato la mia scorta, il mio aiuto e il mio protettore (e anche complice a volte) quando ero un ragazzino, era molto adeguato che suo figlio ricoprisse lo stesso ruolo per il mio.
“Non è detto che sia un figlio, Romolo.” Feci notare l’ovvio. “Potrebbe essere una bambina.”
Non sembrò per niente dissuaso. “Sarà sicuramente un maschio, Padrone.”  Ribatté con un largo sorriso.
Come negarglielo?
“Speriamo che gli Dei ci ascoltino, Romolo. E se sarà maschio, Tazio starà con lui.” Decisi. “Così deve essere.”
Lo fermai, con un gesto della mano, prima che con una terza pacca finisse di spezzare in due il futuro protettore del mio erede. 

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Chiamai, a visitare Giunia, Senofonte di Coo, il medico più famoso in città, che seguiva anche l’Imperatore (in verità Claudio Cesare con me aveva scherzato, col suo tipico umorismo, che non poteva raccomandarlo in quanto malato lo era prima e malato era rimasto anche dopo il suo arrivo). 
Senofonte decretò che Giunia e il bambino dentro di lei stavano bene e in forze e che non c’era nessuno problema evidente, a parte le naturali difficoltà di ogni gravidanza.
Consigliò a mia moglie di non fare sforzi eccessivi e di fare una vita tranquilla e regolare, ma con frequenti passeggiate all’aria aperta. Di mangiare cibi leggeri e non troppo speziati e all’arrivo della stagione calda di trasferirsi in un clima più salubre e ventilato rispetto a quello di Roma.
Presomi da parte mi consigliò, infine, di evitare di pretendere i miei diritti coniugali e di lasciarla riposare.
Ringraziai, promisi di ubbidire e fare la mia parte e feci pagare la sua esorbitante parcella.
La gravidanza proseguì, come aveva previsto, senza nessun grosso problema; anche se Giunia lamentava numerosi fastidi, dalle nausee, al mal di schiena, a tanti altri acciacchi. Diventava insofferente delle minime cose, rispondendo e reagendo con astio e dimostrando che la sua lingua sapeva essere affilata, per poi pentirsene quasi subito e scusarsi, anche con la servitù.
All’arrivo della stagione calda, come consigliato da Senofonte lasciammo Roma. Il mio primo progetto era stato di trasferirci nella villa rustica di Tuscolo più vicina a Roma, ma Giunia insistette, malgrado la maggiore distanza, di arrivare fino Baia: era più confortevole diceva, più piacevole e più facile da raggiungere per chi ci volesse far visita. 

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A Baia in effetti potevamo ricevere facilmente visite e frequentare gli amici si erano sistemati nei dintorni per la stagione calda.
Venne a trovarla persino Agrippina Minore che era alfine diventata la nuova moglie di Claudio Cesare e, per la mia personale gioia, Catualda che era rientrato dal suo prudenziale esilio in Sicilia.
All’avvicinarsi del parto chiamammo da noi, per concessione dell’Imperatore, lo stesso Senofonte, che si sistemò coi suoi assistenti e una levatrice esperta nell’ala degli ospiti, pronti a disposizione.
Senofonte visitava Giunia ogni sera, per poi venirmi a riferire, solitamente che andava tutto bene, dopo di che andavo a trovarla prima di ritirarmi a dormire. Avevamo deciso per il momento di dormire separati, una abitudine comune per molte coppie invero, in modo che Giunia potesse riposare senza essere disturbata.
Quella sera, mentre mi recavo a trovarla, sentii prorompere una cascata di risate dalla sua camera. C’era la risata di Giunia, posata ed elegante, quella di Tullia, la sua cameriera fin da quando era ragazzina, acuta e un po’ chioccia e, riconobbi, quella di Filinna, squillante e allegra.
Da quando eravamo arrivati a Baia, Giunia sembrava gradire sempre di più la sua e, visto che col progredire della gravidanza, le sue passeggiate si stavano limitando al giardino, spesso, quando non era in compagnia di mia madre, la chiamava a farsi leggere qualcosa, per passare il tempo.
Quando mi affacciai Giunia era seduta coi capelli sciolti e già vestita per la notte e rideva con le lacrime agli occhi reggendosi la pancia come a tentare di controllarsi; accanto a lei Tullia con in mano ancora la spazzola che aveva usato per pettinare la padrona era quasi piegata in due; mentre Filinna aveva portato entrambe le mani alla bocca, anche lei come a tentare di frenare le risate, con gli occhi che le scintillavano.
Erano risate sincere, non quelle doverose e più o meno forzate, che uno schiavo furbo concede al padrone quando fa una battuta, che sia realmente spiritosa o meno. L’allegria nella stanza era palpabile e reale.
Quando mi videro, e videro la mia espressione meravigliata, provarono con rinnovato impegno a controllarsi, ottenendo, come ovvio, il risultato contrario. Giunia, con le gote arrossate, tentando di prendere fiato tra una risata e l’altra mi fece cenno di avvicinarmi.
“Vieni, marito mio, vieni. Scusaci. Vieni.” Disse quasi singhiozzando. “O Giunone proteggimi, qui rischio di partorire ora se non la smetto di ridere!” Allungò una mano verso di me mentre con l’altra si asciugava le lacrime.
La presi e lei mi condusse a baciarle le gote.
“Scusaci.” Ripeté, mentre si calmava. Poi provo a spiegarsi. “Ridevamo di voi uomini. Marco mio.” Alla mia aria ancora più perplessa, sia Tullia che Filinna non poterono trattenersi da un altro attacco di risate. “E specialmente dei medici greci… e dei mariti romani.”
“Beh sono contento di rendervi allegre.” Dissi accettando lo scherzo. “Almeno significa che siamo divertenti.”
“Tu mi porti sempre un sorriso.” Rispose Giunia. Poi, un attimo più controllata, si rivolse alle sue ancelle. “Andate lasciatemi sola con mio marito. Tornate più tardi per aiutarmi.”
Tullia e Filinna uscirono tentando di rimanere serie, per poi riscoppiare a ridere appena uscite.
Giunia mi accarezzò un braccio. “O Marco, in verità ridevamo di Senofonte.”
“Cosa ha fatto?”
“Con tutta la sua scienza a volte pensa di sapere cose che voi uomini non potete conoscere.”
“Tutto a posto comunque?”
 “Tutto a posto, Marco. Tranquillo. È bravo, coscienzioso e capace.” Mi tranquillizzò “Ma così incredibilmente pieno di sé.” Non potevo darle torto. Si mosse sulla sedia come a cercare una posizione più comodo, con un piccolo gemito.
“Ti posso aiutare?”
“Sì, aiutami a sedermi sul letto.” Fece lei e si appoggiò al mio braccio per alzarsi, emettendo un altro lamento.
“Non puoi capire quanto mi senta pesante e ingombrante.” Fece, risedendosi sulla sponda del letto. “E continua a tirar calci a tutto spiano.” Si lamentò. “Penso che sia un maschio sai? Non credo che una bambina possa essere così violenta e sgarbata.”
Sorrisi alla battuta. “Mi dispiace che tu stia così male, Giunia.”
Lei fece una smorfia. “Dispiace anche a me ti assicuro! O marito. Penso sia il destino di noi donne.” Sospirò. “Tua madre mi raccontava che anche tu non stavi buono un attimo.” Si fermò a guardarmi. “Dispiace a me di averti scacciato e che tu debba dormire da solo. Scusami, lo so quanto ti pesa, ma ti assicuro non sono in condizioni di essere di compagnia.”
La baciai.
“Non ti preoccupare, capisco le ragioni e seguiremo quello che dice il dottissimo medico di corte.” Sorridemmo entrambi. “E ho la buona compagnia di una buona lettura.”
“Cosa ti stai leggendo?”
“Sto rileggendo.” Precisai. “Medea di Euripide.
“Che coincidenza! MI sto facendo leggere da Filinna la versione scritta da Seneca.”
“Lettura adeguatissima adesso che è stato riabilitato e riammesso a corte come precettore del figlio di Agrippina.” Ormai tutto quello che aveva a che fare con Seneca, appena rientrato con tutti gli onori dell’esilio in Sardegna, inevitabilmente tornava in auge. “Non l’ho letta ancora. Vale?”
“A me piace, Filinna però non lo ama.”
Mi sedetti accanto a lei.
“Filinna ha buoni gusti, avrà le sue motivazioni.” Poi feci la semplice affermazione. “La stai chiamando spesso a tenerti compagnia.”
“È una persona di cultura con cui si può parlare. È una compagnia piacevole.” Inarcò la schiena come per spostare il peso. “Ti dico se non fosse che tua madre non la sopporterebbe, la prenderei come cameriera personale e me la porterei a Roma.”
“Non so se saprebbe coprire quel ruolo.”
“Oh, imparerebbe, sono sciocchezze, e poi ci sarebbe sempre Tullia per le cose complicate. A Roma poi potrebbe badare alla biblioteca di casa.”
La guardai meravigliato. “Ma, Giunia, è una donna!”
“Sarebbe sempre più capace di chi lo sta facendo adesso. Donna o non donna.” Rispose con tono piccato.
Visto il suo stato e le raccomandazioni di Senofonte di non agitarla, decisi di evitare di discutere la sua stramba affermazione e mi limitai ad assentire, lasciando cadere il discorso.
“Domani arriva tuo fratello.”
“Lo so, mi ci mancava solo lui e sua moglie. Soprattutto sua moglie.” Poi si sforzò di tornare a sorridere. “Ma è famiglia e va tenuta da conto.”
Si riagitò. “O in nome degli Dei… non sta fermo un attimo. Credo che ormai voglia veramente uscire a breve. Sai? Marco, ti prego richiama le ancelle e che ho bisogno di mettermi distesa.”
Mi alzai con un ultimo bacio.
“Marco, marito, scusa.” Ripete ancora, mentre mi avviavo ad uscire.
“Non ti preoccupare, sto bene e capisco.
Scosse la testa. “Il fatto che io debba riposare, non significa che tu debba fare penitenza. Marco, non è naturale.”
“Oh, fa tutto molto carattere stoico, moglie mia!” Le risposi con una battuta comune tra di noi.
Riuscii a farla ridere.

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Ero seduto ancora a leggere, ma ormai praticamente quasi convinto che fosse venuta l’ora di distendermi anch’io e chiudere gli occhi quando senti qualcuno grattare alla porta.
Feci immediatamente entrare e, quando mi trovai di fronte Filinna, balzai in piedi, temendo che un suo arrivo a quell’ora della notte significasse qualche problema con Giunia e il bambino.
“Filinna, che succede? Tutto a posto?”
“Sì, padrone, tutto bene, tutto a posto. Mi manda la padrona.” Rispose, rimanendo nell’ombra del corridoio subito fuori della porta. Nella mia agitazione mancai di cogliere il suo tono di voce, calmo se non piatto.
“Cosa serve a mia moglie? Come sta Giunia? Dimmi.”
“Padrone, tutto bene! Tutto bene. La padrona sta benissimo. Mi ha mandato lei da voi, Padrone, non vuole che passiate la notte da solo… ha mandato me. Padrone.”
Filinna, entrò chiudendo la porta alle sue spalle, si tolse la stola, piegandola con cura, la riconoscevo era un mio regalo, e si sciolse i capelli, ravvivandoli con la mano. Rimase ferma a un metro da me, la luce giallastra delle lucerne che danzava sui lineamenti del volto.
Rimasi fermo, meravigliato dal comportamento e dalle attenzioni di mia moglie. Non mi aspettavo che potesse arrivare a preoccuparsi così per me, ma capivo le sue ragioni, le capivo bene.
 Filinna indossava la stessa tunica con cui l’avevo vista poco prima, niente di speciale e curato, non era né truccata né acconciata, ma non riuscivo comunque a toglierle gli occhi di dosso.
Dalla prima volta, anni fa, che l’avevo baciata, Filinna era cambiata: il viso è il corpo avevano perso la delicata morbidezza della gioventù ed erano diventati più affilati, scolpiti, ma era sempre ad essere bella.
Gli occhi, adesso nascosti nell’ombra, erano sempre grandi profondi e dolcissimi, i capelli un’onda nera, le gambe lunghe e snelle, i fianchi pieni, i seni sodi. Sapevo cosa si nascondeva sotto quella semplice tunica. Non aveva bisogno di trucchi o abiti raffinati. Era e bella e desiderabile.
Era più di un mese, dal mio arrivo a Baia, che non mi accostavo a una donna e a vederla così, nella stanza dove avevamo fatto l’amore l’ultima volta, fece esplodere la mia voglia. Sognavo di stringere tra le mie dita la sua vita snella, passarle le mani sul ventre e sentirlo pulsare.
Mi alzai senza dire una parola, totalmente preso dalle mie sensazioni. La raggiunsi, la afferrai, quasi con forza, e la baciai. Respirai il suo odore, chiudendo gli occhi, la assaporai. La abbracciai, stringendola, le accarezzai la schiena, sentendo le scapole, le costole sotto i polpastrelli. Lasciai la sua bocca esplorando con le labbra la linea della mascella, scesi sul collo gustando il sapore della sua pelle delicata.
Una mano risalì a cingerle un seno, sentii il suo capezzolo strusciare contro mio il palmo. Adoravo quei capezzoli, così sensibili e amavo le reazioni di Filinna quando anche mi limitavo solo a sfiorarli, si tendeva e sussultava afferrandomi, combattuta se trattenermi o allontanarmi. 
Non ci fu il fremito a cui era abituato e che mi aspettavo. Sentivo il suo respiro profondo ma costante, mi aveva cinto le spalle con un braccio, la mano poggiata sulla mia nuca, ma era immobile.
Mi scostati. Lei rimase ferma, lasciando ricadere il braccio, abbassando il volto. Non ebbi difficoltà a capire.
“Non vuoi, vero?”
Non rispose, le presi il viso e vidi gli occhi spenti, alla luce tremula delle lampade. La vidi provare a sorridere, mentre le ombre le ondeggiavano sul viso e si alzò persino sulle punte dei piedi a provare a raggiungere il mio viso per baciarmi, mentendo.
La bloccai. “Fermati, lascia stare. Non ti va.” Ripetei. Riabbassò gli occhi e sempre senza parlare, dopo un attimo, scosse la testa, facendo ondeggiare i capelli. Glieli accarezzai, passando le dita tra le ciocche.
Feci un passo indietro. Deglutii. 
“Non c’è problema, Filinna. Lo sai.” 
Tentati di simulare una calma che non avevo. Mi risedetti, sconfitto, deluso, frustrato. Il mio desiderio era ancora tutto lì, lo sentivo agitarsi e ribellarsi. 
“Padrone… scusatemi.” Disse finalmente, una voce che era quasi un sussurro.
“No, non ti preoccupare, te l’ho sempre detto.”
Mi sporsi per prendere l’anfora del vino e versarmi qualcosa, avevo bisogno di bere. Filinna si affrettò in avanti per prenderla lei e servirmi, ma la fermai con un gesto.
“Faccio da solo.” Dissi.
Si bloccò di nuovo, testa bassa, mani strette di fronte. Quante volte l’avevo vista così? Troppe. Odiavo vederla così.
“Non sono arrabbiato. Filinna, veramente.” Tentai di addolcire la voce, nascondendo la insoddisfazione. “Non sei certo tu responsabile della cosa.” Poi aggiunsi. “Non fare così, non voglio vederti così.”
Alzo finalmente lo sguardo.
“La padrona, mi ha detto…”
“Sì, immagino cosa ti ha detto mia moglie. Filinna. E hai ubbidito, come dovevi fare e sei venuta qui. Hai fatto quello che dovevi. Nessuno può essere arrabbiato con te.” Le presi la mano e gliela accarezzai per rassicurarla.
“Mi dispiace, però.”
Mi trovai a scoppiare a ridere a sentire il suo tono di voce, lasciandola di stucco. “O certo, dispiace anche a me, ti assicuro.” Non era certo la prima volta che Filinna mi lasciava così. Ricordai la prima volta che avevo provato a baciarla nello studio piccolo.
“Adesso smettila, di sentirti in colpa e fare quella faccia, per favore. Siediti un attimo, tienimi compagnia.” Feci indicandole una delle sedie. Mentre bevevo vidi i suoi occhi che mi fissavano interrogativi e riscoppiai a ridere. La situazione era talmente assurda. Sarebbe stato impossibile raccontarla a qualcuno ed essere creduto.
Riprese la stola se la risistemò con cura e finalmente si sedette accanto a me.
“Mia moglie parla bene di te.” Dissi.
“Grazie, padrone.”
“Sono contento che non ci siano problemi, hai visto? È andato tutto bene.”
“Sì, padrone.”
“Filinna…. Siamo soli… potresti chiamarmi anche Marco.”
Una pausa prima di rispondermi.
“Meglio di no, padrone…. Io…. Non è il caso.”
Per un attimo fui sul punto di risponderle che ero io a decidere cosa fosse il caso… poi riflettei sulla situazione e di nuovo tornai a ridere. Mi aveva appena rifiutato... adesso mettersi a contestare su come essere appellato sarebbe stato assurdo. Ancora più assurdo.
“Le stai leggendo la Medea di Seneca, mi ha raccontato.” Dissi quando mi calmai. Filinna mi guardava fissa, probabilmente tentando di capire le mie reazioni. “Mi ha raccontato, però che tu non la giudichi in maniera positiva. Non vale la pena di essere letta?”
Eravamo su un argomento sicuro, che non comportava rischi e su cui era a suo aggio, la vidi rilassarsi e la preoccupazione sparire dai suoi occhi. Ne fui contento.
“No padrone, vale la pena. Non contesto il lavoro di Seneca, è ben scritto e merita. Sono io, che.. che non amo minimamente la storia di Medea. Anche quella di Euripide.”
“Perché?” la invitati ad andare avanti con un gesto. “Come mai? Sono curioso?”
La vide riflettere, cercando sicuramente la maniera corretta di impostare il suo ragionamento, ma invece all’improvviso dichiarò semplicemente.
“Perché Medea è un mostro, Padrone! È una storia crudele ed orribile…” Scosse la testa. “È tutto così mostruoso, uccide innocenti, uccide i suoi stessi figli, solo per vendicarsi di Giasone.”
Colpito dalla veemenza delle sue parole e dei suoi toni, cercai di capire meglio.
“Si vendica, Medea viene tradita e si vendica, il suo comportamento è crudele, concordo con te, ma comprensibile.”
Scosse la testa con forza.
“No, non può essere un cosa simile come si fa ad arrivare a ciò solo per gelosia?”
“Medea aveva lasciato la sua patria per seguire Giasone, lo aiuta a trovare il vello d’oro, perché era innamorata. Gli dà dei figli, lo sposa… e lui a un certo punto decide di abbandonarla per la figlia di re Creone sperando di diventare il suo successore a Corinto. È accecata dalla furia e della gelosia.”
“Come si fa ad uccidere la persona che si ama? Come si fa ad odiarla?”
“Giasone l’abbandona, Filinna, solo per interesse, per poter diventare il successore di Creonte. La tradisce per interesse.”
“Ma le offre di prendersi cura di lei e dei figli… se lei lo amava, lo amava veramente, non dovrebbe, comunque… amarlo ancora… persino… aiutarlo? Se no cosa significava il suo amore… se lo fa soffrire così?”
 “Medea è orgogliosa e lui lascia per ragioni… futili… solo per il potere.”
“E il su orgoglio arriva a vincere sull’amore? Ecco perché non mi piace.”
Sorrisi.
“Filinna: odi et amo. Catullo. Ti ricordi? Avevi detto tu che ti piaceva. Si può amare ed odiare… perché l’amore può far soffrire.”
“È vero.” Ammise. “Ma io non posso odiare chi amo… anche se mi abbandona per un'altra.”
“Perché sei dolce, Filinna.” Risposi, guardandola. “Sei una persona molto dolce. Ma no so come si possa reagire quando… lo si vive realmente. Se un giorno succederà e sarai tradita da chi amavi, forse potrai rispondere…,” mi corressi, precisando, “ma ovviamente non te lo auguro. Spero che non ti succeda mai.”
La vidi scuotere la testa decisa.
“Io lo so padrone, non posso odiare chi amo, forse sono io sbagliata… ma sono così.”
Ci fissammo. Poi confessai. “Non so come mi comporterei io.”
La risposta fu pronta. “Anch’io mi auguro che voi non dobbiate mai scoprirlo, padrone.”
Alzai la coppa a ringraziarla.
Ricadde il silenzio. Lo ruppi io.
“Quindi Seneca può meritare di essere letto.” Conclusi. Lei fece un cenno affermativo col capo. 
Continuammo a parlare. Passammo da Seneca a Diodoro Siculo che aveva recentemente letto e di cui mi parlo largamente, mentre io a mia volta le proposi di leggere gli ultimi lavori di Persio Flacco e le promisi di farglieli avere.
Stavo bene, il desiderio che avevo dovuto reprimere pochi minuti prima, era stato ormai addomesticato, e la sua compagnia mi rasserenava, era bello averla accanto chiacchierando di sciocchezze, avrei potuto continuare a parlare con lei per altre ore, ma sentivo il sonno e capivo che si stava facendo tardi.
“Vai a riposare Filinna è tardi. E non ti preoccupare per la Padrona, tu hai fatto quello che ti aveva chiesto.”
“Grazie, Padrone.” Fece alzandosi. “Pure voi siete molto… buono.” Capii che stava per dire dolce, ma si era corretto non trovandolo appropriato, non mancai di sorriderle. “Buona notte.”
Prima che uscisse però mi colpì una curiosità che avevo.
“Filinna?” la fermai e lei si voltò. “Ti ricordi, di quando eri curiosa di sapere tutto di Valeria Messalina? Adesso che Agrippina Augusta è stata nostra ospite, hai finalmente visto la moglie di un Imperatore da vicino. Che ti è sembrata?”
Era forse una domanda irrispettosa da fare a una schiava, ma eravamo soli e… e lei era Filinna.
La vidi riflettere a trovare le parole adatte.
“Era affascinante padrone.” Disse. “Non si poteva non ammirarla talmente era bella… ed elegante, i suoi modi e le su movenze incantavano.”
Era una buona risposta. Agrippina Augusta non era più una ragazza, ma era una splendida donna. 
Non potevo negare però, che, nella mia follia, avrei sempre preferito il sorriso semplice di Filinna al fascino di un’Agrippina. Dentro di me sorrisi pensando a quando, anni prima, di fronte alla sua ammirazione per Messalina avevo pensato la stessa cosa, ma non le avevo detto nulla per non farla inorgoglire troppo.
Ora la conoscevo meglio e sapevo che non avrebbe reagito male e lo dissi.
“Eppure tu sei addirittura più bella di lei, se devo dire la mia.”
Non provò a schernirsi e non sembrò meravigliata. Si limitò a sorridermi, raggiante.
“Grazie, padrone.”

Cinque giorni dopo Giunia partorì.
   
 
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