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Autore: malecislove    22/04/2022    1 recensioni
Silente x Grindelwald
[Traduzione della ff di Skaelds su Ao3]
C'è un uomo che segue Albus. Mai lo stesso, eppure sempre lui.
Dove Albus incontra Gellert prima degli eventi di Animali Fantastici.
Genere: Fantasy, Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Albus Silente, Gellert Grindelwald | Coppie: Albus/Gellert
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Altro contesto, Contesto generale/vago
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C'è un uomo che segue Albus. Mai lo stesso, eppure sempre lui

Albus è pronto a notarlo, naturalmente. Da tempo aveva fatto quel passo che allontana dal resto del mondo, incurante della cecità che tanti prediligevano. Non li biasima; non quando anche lui ne ha goduto, e forse meglio di tutti, conosce la dolce indolenza che l'essere ciechi provoca. Sa delle vertigini che provoca ai sensi, come induce nel credere che i miraggi siano veri.

 

I greci avevano una parola per questo, una parola che parlava chiaramente di un sentimento che si era andato perdendo nella traduzione. L'oneirataxia, ovvero la sensazione di credere che la fantasia e la realtà siano così strettamente legate che distinguere l'una dall'altra diventa impossibile.

 

O forse non risvegliava nulla, ma piuttosto stimolava, perché il desiderio di essere confortati indugiava sempre nel cuore degli uomini. Lui stesso non era migliore di loro quando si trattava di resistervi. Albus avvertiva meramente la sua presenza, il che, secondo lui, rendeva la tentazione ancora più difficile da sopportare.

 

Si chiede se, piuttosto, l'imprudenza dell'uomo non sia altro che spocchia.

 

La cosa non lo sorprenderebbe. Gellert, nonostante la genialità che la sua mente possedeva (possiede), non è mai stato uno che la riconosce negli altri. Anche questo non era una sorpresa. Gli anni avevano insegnato ad Albus che il talento di una persona di solito rendeva ciechi nel riconoscerlo negli altri.

 

Allora, aspetta. Il suo bicchiere è vuoto, non sa bene da quanto tempo stia così. Albus lo fa roteare distrattamente, preferendo la compagnia dei suoi pensieri al rumoroso chiacchiericcio che riempie il pub. Accanto a lui, un uomo tiene occupato il barista, la sua litania di lamentele abbastanza lunga da poterli tenerli entrambi impegnati fino alle prime ore del mattino, se volessero. Albus aveva lasciato passare solo pochi secondi prima di lanciare un incantesimo intorno a sé, una bolla di silenzio che gli assicura di non essere disturbato.

 

Stasera, per quanto spesso lo si possa trovare ad ascoltare le futili preoccupazioni degli uomini, non ha voglia di farlo. Invece, riporta alla luce alcuni pensieri che aveva messo da parte, si pone domande e riflette mentre il bicchiere gira e rigira tra le dita. A volte, i suoi occhi catturano il riflesso scintillante dell'anello che ha, e le dita si flettono, abbastanza da permettergli di rivolgere un sorriso a quel gingillo. Un gingillo, sicuramente, per chi di più non sa. È facile, Albus lo sa, ignorare il vero valore degli oggetti quando questo è contenuto in ciò che sembra esistere a mero scopo decorativo.

 

Anche se in questo caso manca davvero di personalità, decide con occhio più critico, complice il bicchiere vuoto. Abbagliante, che cattura lo sguardo. Un anello d'oro con una pietra abbastanza larga da proiettare un'ombra sul metallo, e abbastanza luminosa da attirare qualsiasi luce.

 

Un regalo, ricorda Albus - come potrebbe mai dimenticare - della Grande Strega di Paphos. Un compenso, dato in segno di amicizia, per aver liberato l'Isola dai Lamias, creature serpentine che la tormentavano. Era stato un compito rapido, visto che Albus aveva sempre ritenuto che l'interesse comune fosse più importante di quello di un singolo individuo. O, in questo caso, di alcune creature, perché nessuna di loro era stata immune all'azione dell'Ardemonio.                                  

 

Il bene superiore, aveva pensato, e il pensiero gli aveva lasciato l'amaro in bocca.

 

Albus sospira e solleva lo sguardo per posarlo sulle bottiglie dietro il bancone. Adesso più che mai sente la presenza dell'uomo. Non ha paura, nemmeno quando la pelle del collo gli pizzica, mettendolo in allarme per lo sguardo rovente puntatogli addosso. Ha fiducia nei suoi talenti, come sempre, ed è dolorosamente consapevole che la riluttanza di Gellert e la sua a combattere non sia basata su una mancanza di potere.

 

No, Albus sa esattamente come la magia gli risponde. Sa del controllo che ha su di essa, un controllo così metodico che raramente può essere eguagliato. O non può, perché lui, nel profondo della sua mente, sa di essere l'unico a esercitare un controllo così chirurgico sulla sua magia.

 

Persino Gellert, che ha fatto meraviglie, non lo eguaglia in tale materia. No. La forza di Gellert sta nelle manifestazioni appariscenti, nello stupore e nelle illusioni. Gellert conquista la mente prima di conquistare il corpo, e provoca una tale ammirazione nel cuore dei suoi avversari da far credere a quest'ultimi che lo scontro sia impossibile ancor prima di provarci.

 

Un'ammirazione contaminata dalla paura, certo, ma comunque ammirazione.

 

Non deve aspettare molto prima che l'uomo dietro di lui si muova. La mano di Albus non si muove per cercare la bacchetta. Non ne ha bisogno. Né per incanalare la sua magia, né per un imminente battaglia. Gellert non era mai stato il tipo da combattere in luoghi affollati. Non quando il duello li coinvolgeva, perché entrambi avevano sempre preferito ostentare la loro magia nell'intimità. Solo per essere visto l'uno dall'altro; perché entrambi sapevano della riverenza che il gesto meritava.

 

Gli altri non avrebbero capito.

 

L'uomo si accomoda sulla sedia accanto a lui, e Albus sorride.

 

"Ciao, Gellert", dice a bassa voce. Agita una mano; poi, abbastanza rapidamente da far accigliare l'altro, la bolla che lo circonda svanisce. L'uomo sorride di rimando, il sorriso molto più disteso di quanto Albus fosse abituato a vedere. "Grüß Gott, Albus. Sono deluso dal fatto che tu abbia scelto di bere da solo. Questo non va bene. Pensavo fosse da gentiluomini farti compagnia". Allora schiocca le dita e gli occhi del barista lo trovano. Gellert indica il bicchiere vuoto di Albus. "Lo stesso, due", abbaia.

 

"Non c'è bisogno di essere maleducati", osserva Albus. "Abbiamo provato la stessa cosa sulla nostra pelle troppo spesso per comportarci così".

 

L'uomo ride e alza gli occhi al cielo. Gellert, anche con le fattezze sconosciute che ha adesso. Sono sbagliate. La luce non gli illumina i capelli come fa di solito, ne mette solo in risalto i toni scuri; il bordo degli occhi è senza pieghe, le labbra sono più larghe, la mascella più morbida.

 

Persino la pelle, che aveva sempre rivaleggiato con quella di Albus in termini di pallore - una prodezza che non aveva mai smesso di stupirlo, poiché i suoi capelli rossi sembravano avere come conseguenza diretta una tolleranza pressoché nulla ai raggi solari - sembravano avere qualche sfumatura in più. Il barista torna, e Gellert non perde tempo a svuotare il contenuto di una fiaschetta nel suo bicchiere. Ah. Allora era Polisucco, una delle poche opzioni che Albus aveva considerato. Quella che aveva preferito, in realtà, e avverte una sensazione ben nota agitarlo di fronte alla consapevolezza di avere ragione.

 

Gellert spinge il secondo bicchiere verso di lui. Albus lo guarda per un secondo, le dita contratte per l'esitazione, ma la correttezza vince e lo fa scivolare più vicino a sé.

 

Gellert non dice nulla, ma lo scintillio nei suoi occhi rivela la sua soddisfazione. Albus ha una mezza idea di spingere indietro il bicchiere, solo per vedere il trionfo scomparire dal viso di Gellert. Ma non lo fa, perché sa che è necessario che uno di loro si comporti in modo intelligente.

 

"Ah," sospira Gellert dopo un sorso. Fa di nuovo un largo sorriso; in quel modo familiare che gli nasconde i denti. "Devo concedere una cosa all'Inghilterra, mein Schatz*. In quanto a qualità della birra, ci fate concorrenza". Poi inclina un dito e lo punta su Albus. "Attento, o potrei ingelosirmi".

 

Le dita di Albus sfiorano il bicchiere senza afferrarlo. "Sì", mormora. "Già sappiamo del tuo essere incline ad una gelosia esagerata. L'hai estesa all'artigianato?"

 

Il sorriso di Gellert si allarga. "Può darsi. La cosa provocherebbe una lezioncina di Albus?".

 

Albus si pizzica le labbra.

 

Sa bene che quelle che Gellert chiama lezioni, precisamente quelle di Albus, non sono altro che precetti di comune buonsenso. Precetti che, a quanto pare, sfuggono a Gellert anche dopo averci sbattuto la testa contro più volte. Ciò aveva portato Albus a capire, anni dopo il suo primo tentativo, che alcuni uomini non erano tanto ignoranti di valori, quanto sdegnosi di essi.

 

"Cosa ci fai qui?" Chiede invece Albus. Non ha ancora toccato il suo bicchiere. Preferisce piuttosto fissare lo sguardo in quello di Gellert, alla ricerca di ciò che nemmeno la Polisucco potrebbe nascondere.

 

Dalla gola di Gellert esce un lieve mormorio. "Dovrei aver bisogno di un motivo per farti visita, mein Schatz? Sembravi così solo qui al bar, con quel broncio". Il pizzico di divertimento nel suo tono aveva sempre affascinato Albus; sempre brillante, sempre allegro, anche quando le circostanze richiedevano tutt'altro. "Attento, Albus", continua Gellert, ilare. "Ti verranno delle rughe con quel cipiglio. Non scompariranno facilmente".

 

Albus non lascia che l'argomento della conversazione, apparentemente leggera, lo dissuada dal cercare la verità. Un muscolo della mascella gli si contrae, e gli occhi penetranti di Gellert sono rapidi a notarlo.

 

"Molto bene", ammette Gellert. "Ti stavo cercando".

 

"Per quanto contraddittorio possa sembrare, questo ero riuscito a capirlo".

 

Gellert solleva un sopracciglio. "Non fare il timido con me", dice. Un ordine, in realtà, ma Albus non reagisce in modo mite agli ordini. "Pensavi che non avessi capito cosa stai facendo con il ministro dei Babbani? Incoraggiare la guerra, Albus?"

 

"Non la guerra." I lineamenti di Albus si induriscono.

 

È una parola che non può perdonare. Non quando era stato Gellert ad aver cercato il conflitto fin dall'inizio, che si era rifiutato di ascoltare il buon senso, che aveva continuato a cercare ciò che non poteva essergli concesso. Gellert godeva del caos che la guerra creava, trovava un certo tipo di magia più degna di altre, al punto da fargli abbandonare il resto.

 

Albus è, prima di tutto, un uomo di filosofia e riflessione. Uno che pensa e agisce; e non si limita ad aggredire l'altro solo per creare false tesi a supporto della sua. È il contrario, aveva scoperto, che sta alla base di molti conflitti inutili.

 

"No", ripete Albus. Il volto di Gellert è illeggibile, in un modo che adotta raramente. "Non sopporto te che cambi le carte in tavola, Gellert. Non quando sei stato tu, da solo, a decidere che le tue manie di grandezza fossero più grandi dei nostri progetti, che fossero più degne. Non quando sei stato tu, da solo, a decidere di distorcerli, quando avrebbero potuto essere ideali. Potrebbero ancora esserlo, sotto la guida giusta".

 

"Sotto la tua, di guida", Gellert mormora.

 

Non è una domanda.

 

"Sotto la giusta guida", lo corregge Albus. Se sa che il soggetto implicito della frase è lui, non c'è bisogno che lo sappia anche Gellert. Gli uomini virtuosi esistevano, e se spesso non veniva concessa loro la stessa quantità di potere che avevano entrambi, ciò andava a loro favore. Colui il quale era più adatto a sopportare il potere era quello che lo desiderava meno. E Albus, che se l'era visto offrire e lo aveva rifiutato, sapeva che era raro avere il suo autocontrollo.

 

"Il ministro", dice invece Gellert. I suoi occhi trafiggono Albus come se volesse sezionare i suoi pensieri, e ora più che mai Albus é contento che le pareti della sua Occlumanzia siano forti. "Cosa gli hai detto affinché non scelga di allearsi con la Germania?"

 

"Perché mai dovrei esserci io dietro a una simile decisione?"

 

Gellert ride. "Giusto. Perché?" "Non ho bisogno di influenzare gli uomini perché compino le scelte giuste", dice tranquillamente Albus. "Mi giudichi molto più importante di quanto realmente io sia. La decisione del ministro Babbano è sua unicamente. Ti sei circondato di individui talmente privi di una morale che sei diventato cieco al bene che può esserci nel cuore di tutti?"

 

"Bitte", Gellert gli lancia un'occhiata tagliente. "Da quand'è che sei così bigotto? Non ricordavo che ti considerassi il nuovo Merlino delle isole britanniche".

 

Albus batte i polpastrelli sul tavolo di legno. "Significa sentirsi Merlino, quindi, giudicare la verità così com'è, e non arrivare subito alle conclusioni più efferate?"

 

La risata di Gellert è tanto improvvisa quanto forte. Se Albus non avesse lanciato un'altra bolla di silenzio a circondarli, tutti si sarebbero voltati in loro direzione.

 

"Come ti piace ascoltarti mentre parli, mein Schatz". Albus si pizzica le labbra - Gellert agita subito la mano in segno di congedo. "Oh, ma non ti biasimo per questo. Condivido la stessa debolezza, sai. Credo che spesso il problema cominci quando iniziamo a capire quanto piatte e prive di interesse siano le parole degli altri. Ma tu...tu. Tu credi davvero a quello che mi stai dicendo. È davvero notevole. Ti ritieni così al di sopra di noi rozzi mortali con le nostre preoccupazioni, quando invece sei così virtuoso, e così facilmente disposto a dimenticare chi ha enunciato per primo lo slogan che muove i miei amici. Il bene maggiore, Albus, non implicava considerare il bene nel cuore della gente così prezioso".

 

"Allora cosa implicava?" sussurra Albus. I lineamenti di Gellert si induriscono. "Ti ho già chiesto di non fare il timido, Albus. Non ti si addice".

 

Sospira. Un'altra discussione, lo sa, destinata ad avere un cattivo esito. Tutti sembravano condividere lo stesso destino, ultimamente. Albus desidera capire il perché. O forse ha capito più di quanto avrebbe voluto e sceglie di non vedere.

 

Gellert e lui non avevano mai realmente desiderato le stesse cose. Oh, era riuscito a illudersi di pensarlo, quando aveva posseduto il candore della giovinezza e l'eccitazione che i pensieri sul futuro provocavano. Aveva desiderato talmente ardentemente di rispecchiarsi in Gellert, da non vedere le differenze che li separavano.

 

Si era illuso che l'espulsione di Gellert fosse sbagliata, ingiusta. Pensava fosse il risultato dell'essere una mente dotata, più brillante di quanto i suoi insegnanti avrebbero voluto che fosse, e aveva scambiato la feroce curiosità per una sana ambizione.

 

Albus conosce il pericolo della curiosità. È una qualità ben apprezzata, ne è consapevole, perché coloro che cercavano continuamente l'illuminazione erano visti come dotati. Al di sopra degli altri. Lo è, in un certo senso, perché la stragrande maggioranza della gente sembrava soddisfatta dell'immediato benessere. Ma, dato che c'è sempre un ma, Albus aveva scoperto che la curiosità era spesso legata a vizi più profondi.

 

C'era un limite, lo sapeva, lo sa, tra una sana curiosità e quella che comprometteva la vita degli altri. Lui, seppur rischiando molto, era riuscito a non oltrepassare mai il limite.

 

No, qualcosa gli sussurra nella mente. L'aveva oltrepassato. Una volta.

 

Ed era stata una rivelazione tale da renderlo consapevole che non l'avrebbe più fatto per il resto della sua vita.

 

"Mi chiedo", comincia Albus, la voce ferma, "quando le nostre discussioni abbiano iniziato ad essere inconcludenti". Sospira, di nuovo. "A volte vorrei tornare a quei giorni in cui i miei consigli trovavano la strada per il tuo cuore. Quelli in cui eri disposto ad ascoltare le opinioni che contraddicevano le tue; e in cui non ti eri ancora circondato di maghi e streghe che dicono poco quello che pensano e più quello che credono ti faccia piacere".

 

"La mascella di Gellert si contrae. "Eccolo di nuovo", dice, abbastanza forte perché Albus si renda conto dell'affondo imminente. "Il disprezzo che cerchi continuamente di far passare per bigottismo. Ti fa dormire meglio la notte, Albus, circondarti di bugie? Cosa potresti raccontare a te stesso? Oh, lo so!" Gellert schiocca le dita e ride forte, una risata che non porta alcuna allegria. "Probabilmente ti auto-glorifichi per la sacralità dei tuoi pensieri, dei tuoi atti. Oggi sono stato così bravo, dieci punti a Grifondoro!"

 

Albus non dice nulla.

 

Lo sguardo di Gellert è ardente. Il fuoco, pensa Albus di sfuggita, era sempre stato l'elemento di Gellert. Passionale, rumoroso, brillante, devastante.

 

"Sarai costretto a uscire dalla tua inerzia", dice poi Gellert, dopo aver preso un respiro. Batte le dita sul tavolo. Lo sguardo di Albus segue il movimento, fino a fissarsi sulle unghie tagliate corte. "Non puoi nasconderti per sempre nel tuo castello, Albus, e lanciarmi pedine nella disperata speranza che ti salvino da un confronto".

 

"Non sono pedine".

 

"Allora cosa sono, amore mio? Credi davvero siano in grado di opporsi a me?"

 

Albus si pizzica le labbra. "Non sono pedine" ripete, più deciso. "È tanto strano che alcuni brillanti maghi e streghe non vogliano avere un Mago Oscuro che li governi?"

 

La risata folle di Gellert è tanto inaspettata quanto pressante.

 

"Amo questo appellativo", confessa, scuotendo la testa, poi mormora sottovoce. "Mago Oscuro. Merlino! Was für ein Spitzname ist das?*" Gellert scuote la testa una seconda volta. "Preferisco di gran lunga essere chiamato Vezető*".

 

Albus sorride. "Cambiarlo dipende solo da te".

 

Gellert rotea gli occhi."Certamente", dice. "Lascia che gli dia una sistematina entro la fine della prossima settimana. Vuoi che che ci metta un Tabù sopra? Potrei farlo".

 

"Ah", gli dice dolcemente Albus. "Ma allora come faremmo a discutere della tua morte?".

 

"Questo è il punto, Albus". Il sorriso di Gellert è affilato come le lame che nasconde. Albus se le ricorda bene. "Sareste costretti a riferirvi a me solo per nome. Una tragedia, certo, ma se la memoria non m'inganna, e mi piace pensare di no, un tempo eri piuttosto bravo a farlo".

 

Albus non abbocca all'amo.

 

"Hai cominciato a reclutare tra le famiglie inglesi. Sai che non seguirebbero un mago austriaco".

 

È una delle rare volte in cui il profondo disprezzo dei purosangue inglesi per le loro controparti europee gioca a suo favore. La regola presenta delle eccezioni, ma lui ricorda molto bene la caduta in disgrazia dei Lestrange, dei Malfoy, dei Dolohov. Tutti e tre che cercano di risalire all'apice della scala sociale, sposando dei purosangue inglesi, e reinventandosi come se fossero di sangue inglese.

 

"Forse." Il ghigno di Gellert non vacilla. "Ma i tempi stanno cambiando, Albus. Conosci il detto. Il nemico del mio nemico è mio amico. Ed entrambi ci rendiamo conto del pericolo che i babbani costituiscono".

 

"Babbani", ripete Albus, lentamente.

 

"Sì." Le parole di Gellert fendono l'aria. Non c'è più traccia di allegria sul suo volto. "Ti illudi con principi di cosiddetta moralità e gentilezza, ma la gentilezza non può esistere quando siamo costretti a nasconderci. Hai visto la loro evoluzione. Hanno congegni esplosivi, Albus. Diventano sempre più forti e più audaci. Presto ci troveranno. Vuoi che siamo impreparati? Vuoi che siamo di nuovo perseguitati? Braccati, quando abbiamo i mezzi per distruggere il pericolo?"

 

"È una scusa".

 

"Scusami?"

 

Albus non si rimangia le parole. "Questa è una scusa", ripete. I suoi occhi blu penetrano in quelli di Gellert. "Tu lo sai quanto me, Gellert. Ti interessa di più il destino del mondo dei maghi o essere ammirato e in una posizione di potere?"

 

Gellert digrigna i denti. "E perché, di grazia, queste cose dovrebbero escludersi a vicenda?"

 

"La conoscenza è pericolosa. Ancor di più nelle mani sbagliate. Ma la distruzione e l'oppressione non sono il modo giusto per procedere, Gellert".

 

"Sì, lo sono", sibila Gellert. "È una corsa contro il tempo, Albus, e tu ti nascondi nella tua torre rifiutandoti di aprire gli occhi!"

 

"Sei tu che avevi scelto di illuderti nel credere che il genocidio fosse la soluzione".

 

"Genocidio!" Gellert ride. "E la tua retta fede, Albus, quando cercavamo insieme un modo per rivelare loro il mondo dei maghi? Dov'era quando credevamo di saperne di più, di essere gli unici abbastanza audaci da apportare un cambiamento? Perché la morte di una piccola e insignificante ragazza era così..."

 

In una frazione di secondo, la bacchetta di Albus è puntata su Gellert.

 

"No."

 

Gli occhi di Gellert trovano i suoi. Sono spalancati dall'agitazione, ma nella sua frenesia, Gellert è abbastanza lucido da guardare Albus e rendersi conto che le sue parole sono andate troppo oltre. Vede le fiamme che vi danzano dentro, la mascella serrata, i denti digrignati.

 

Intorno a loro, delle teste si sono voltate. Il barista è accigliato, lancia loro un'occhiata come se fosse indeciso tra andargli a ricordargli la regola "niente bacchette qui" o fuggire da quella che sembra essere una situazione pericolosa.

 

"Non parlare di lei", dice Albus a bassa voce.

 

Gellert, lentamente, alza le mani.

 

"Non lo farò più" promette, tanto debolmente che il ronzio nelle orecchie di Albus quasi non gli permette di sentire. Costringe Albus a continuare ad ascoltare, a sfuggire alla rabbia che gli bolle dentro. "Puoi rimettere a posto la bacchetta, Albus".

 

Gellert, come sempre, non si scusa.

 

"Non credo lo farò". Albus non esita, anche quando i lineamenti di Gellert si induriscono per un attimo. Tra di loro scatta qualcosa, che Albus sa li spingerà per strade diverse, più lontane tra loro. "E' meglio se vai, Gellert. Non troveremo un terreno comune. Non oggi".

 

"C'è un'opzione che si rivelerebbe essere molto semplice", gli dice Gellert. Si è alzato dal suo posto, e Albus riesce già a vedere l'effetto della Polisucco svanire. È questione di minuti. "Unisciti a me, Albus".

 

Albus sorride e scuote la testa. "Non posso".

 

"Sì che puoi", insiste Gellert. "Potrei modificare i miei piani. Ascolterei i tuoi consigli. Potremmo essere grandi insieme".

 

In quel momento lo nota.

 

Gli viene di nuovo offerta una tentazione. Ci sono gli occhi di Gellert, i suoi veri occhi, quel grigio tenue che aveva penetrato l'azione della Polisucco, e le dolci parole sulle sue labbra. Era sempre stato un tipo da lusinga, lo sa. Di promesse melliflue che parlavano al cuore.

 

Albus poteva dire di sì.

 

Sa che potrebbe influenzare Gellert. Potrebbe ridurre al minimo la distruzione. Potrebbe essere libero di usare il suo potere, libero di perseguire interessi più oscuri. Non più vincolato dalle regole del Ministero, dai regolamenti che temono il troppo potere in un uomo.

 

Albus sa che potrebbero essere grandi, più grandi di qualsiasi cosa sia stata fatta.

 

"Unisciti a me, mio Schatz", dice ancora Gellert. "Tu ed io, come ai vecchi tempi. Come ci siamo promessi".

 

I vecchi tempi.

 

Tempi in cui non aveva ancora fatto la sua promessa alla bara di Ariana, non aveva ancora mormorato parole che aveva giurato di tenere vive per il resto della sua vita.

 

Albus non dice nulla, ma il suo silenzio vale più di mille parole.

 

Gellert ride di nuovo, e la sua risata è amara. "No", ringhia Gellert. "No, certo. I babbani sono più degni di quello che potremmo realizzare. Babbani". Dice la parola come alcuni dicono 'spazzatura', 'sporco'. "Così sia, allora. Scegli i tuoi babbani, Albus. Io sceglierò la grandezza".

 

Albus continua a stare in silenzio. "Addio allora, mein Schatz", gli dice Gellert. Non c'è più affetto nel vezzeggiativo, solo amarezza e una leggera punta di odio. "Torna a nasconderti dentro il tuo castello scozzese. Pensa al tuo essere un santo quando vai a dormire. Io penserò a quello che va fatto".

 

Gellert se ne va.

 

Se ne va come era venuto, in una manciata di secondi.

 

Lo sguardo di Albus indugia sulla porta anche dopo che Gellert se n'è andato.

 

Poi lo rivolge al suo bicchiere, ancora intatto, e lo svuota in un colpo solo.

 

È una tragedia, pensa, che sia così difficile che le questioni della mente si oppongano a quelle del cuore.

 

E che persino tra queste, sorga un conflitto

 

.

 

.

 

.

 

Il vento è glaciale contro la sua pelle. 

 

Tutto è. 

 

Tutto sarà. 

 

Il corpo di Ariana giace in una bara troppo grande per lei. L'avrebbe odiata, Albus lo sa. Avrebbe chiesto qualcosa di più morbido, di più leggero. Non questo legno scuro, l'unico a disposizione, che è così pesante sia come peso che come fardello.

 

Aberforth è da qualche parte. Albus non sa dove. Non vuole saperlo. 

 

C'è solo Ariana, e il suo corpo in quella grande bara. Albus si inginocchia accanto ad essa. Le sue ginocchia toccano il suolo, sporcandogli di terra la veste. Le sue dita scorrono sul legno, e i suoi occhi sono fissi su di esso. Non può distogliere lo sguardo. Non lo desidera. 

 

"Mai più", mormora Albus. La sua voce è ferma, più ferma di quanto fosse stata negli ultimi giorni. Eppure è rauca, non per le lacrime ma per aver urlato fino a farsi sanguinare la trachea. "Non lascerò mai più che un innocente muoia ne fuoco incrociato. Non se posso impedirlo. Non se c'è un altro modo". 

 

Albus si alza in piedi. 

 

Sopra di lui, il sole splende. 

 

Eppure, il suo era scomparso.

 

~*~

 

"Unisciti a me", supplica Gellert. "Potremmo essere grandi insieme". "Hai promesso", dice Ariana nella sua mente. "Hai promesso." "Potremmo tornare ai vecchi tempi", gli dice Gellert. Hai promesso. "No", dice Albus. Non se posso impedirlo. Mai, se c'è un altro modo.

*Schatz=tesoro *Was für ein Spitzname ist das?= che razza di soprannome è? *Vezető= guida, capo Di seguito il link alla ff originale: https://archiveofourown.org/works/38437360
   
 
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