Chiara fece rimbalzare,
per l’ennesima volta quel pomeriggio, una pallina di gomma contro la parete
della sua stanza, fissando il soffitto bianco e il sole che entrava dalla
finestra, con le sue ombre pallide riflesse sul pavimento e sui libri
abbandonati a sé stessi. Le sembrò ingiusto, mentre fuori c’era un così bel
tempo e i suoi amici erano in giro a godersi la tanto agognata libertà, che lei
fosse costretta a restare a casa, almeno fino al ritorno dei suoi genitori,
come prevedeva la punizione che aveva ricevuto il giorno prima. Certo, dare uno
schiaffo in pieno volto a Vanessa Monteverde di fronte alla polizia - poco dopo
un incidente d’auto le cui dinamiche non erano state ancora chiarite, mentre
Roberta veniva portata nel silenzio generale in ospedale e Sabrina si
contorceva le mani come se il tutto fosse colpa sua - non era stata l’idea più
geniale che le fosse venuta nella sua breve vita.
Finire in centrale di
polizia lo stesso giorno in cui si viene nominate fra le cinque migliori della
scuola non poteva succedere che a me, pensò.
Non era stata una buona
idea, se per questo, nemmeno ignorare Sabrina per tutto quel tempo, trattandola
come un’amica di serie B ed escludendola dal circolo delle confidenze con Carmen
e Ivan. Per la prima volta da quando aveva iniziato la sua storia con Roberta,
Chiara pensò che avesse sbagliato con lei, e la sua mente tornò indietro ai
tempi in cui tutto era ancora normale (chissà perché, da quando stava
con Roberta percepiva la sua vita come totalmente diversa, come nel capitolo
successivo di un romanzo): si chiese che fine avesse fatto Riccardo, se Sabrina
avesse davvero una cotta per lui. L’amica aveva accennato a qualcosa a quel
proposito, Chiara era abbastanza sicura che avesse provato ad avvicinarsi a lui
e a dare una chance ai suoi sentimenti, ma anche in quel caso non le aveva
davvero chiesto come si sentisse, quali fossero le sue sensazioni a riguardo,
se avesse bisogno di consigli. Si sentì improvvisamente colpevole, come se
avesse dato per scontato troppe cose: l’amicizia, il sostegno di sua sorella…
Si chiese se crescere non significasse essere naturalmente più egoisti, se non
comportasse scelte difficili. Non riuscì a darsi una risposta, a parte la
consapevolezza di non voler perdere nessuno.
Facendo rimbalzare la
pallina per la milionesima volta contro il muro, e girandosi a testa in giù sul
bordo del letto – una scena che quasi le ricordò i pomeriggi di febbre chiusa
in albergo a Vienna - si disse che prima o poi avrebbe dovuto chiamare
entrambi. A Riccardo avrebbe dovuto comunicare (prima che venisse a saperlo a
scuola) della storia con Roberta, giustificando così il fallimento della loro
amicizia, nella speranza forse di ravvivarla: al solo pensiero si sentiva però
tanto a disagio che avrebbe preferito evitarlo per il resto dei suoi giorni. Non
era sicura, infatti, che avrebbe funzionato. Sapeva solo che non era maturo,
oltre ad essere estremamente scortese, continuare ad evitarlo nei corridoi,
scappare dopo due battute dette di fretta di fronte alla macchinetta del caffè.
Avevano condiviso tanto, erano stati tanto amici, e ora non si parlavano (se
non nei brevi intervalli di scuola, fra una lezione e l’altra, scambiandosi
qualche mera cordialità) da più di un mese.
A Sabrina invece avrebbe
dovuto porgere le proprie scuse, per come l’aveva trattata il giorno prima e in
generale. La doccia gelida dell’incidente l’aveva come risvegliata dal torpore
d’amore in cui aveva fluttuato negli ultimi tempi e pensò che sarebbe stato più
facile partire da questo: salvare un’amicizia. Senza pensarci troppo, compose
il numero di cellulare di Sabrina sul cordless rosso. Rispose dopo quattro
squilli buoni.
-
Ciao, come va?
Dal tono Chiara intuì che
non aveva voglia di parlare, ma si sforzò per una volta di non prendersela
troppo. Entrambe avevano motivi ben validi per essere arrabbiate, ma un
confronto era oramai necessario.
-
In punizione, e tu?
-
Sono in punizione anch’io. Mia madre non
ha smesso di urlare da quando è venuta a prendermi alla centrale, ieri. Non
riesco a convincerla di non aver assolutamente nessun ruolo in quello che è
successo… certo, tranne per quello che ho detto su Roberta- rispose, in tono
più incerto.
-
A proposito di questo… mi dispiace per
come ti ho trattata ieri – Chiara si alzò dal letto e prese a camminare in
tondo, osservando fuori dalla finestra, - ero molto arrabbiata. Ma soprattutto
impaurita, sai, per quello che è successo a Roberta.
Sabrina sospirò
pesantemente dall’altro lato del telefono.
-
Sì, immagino. Sono stata una stupida. Ho
letto su internet e quello che ho fatto è outing bello e buono. Dovrebbe
essere illegale.
Chiara riuscì a sorridere
sommessamente. Outing. Stava imparando sempre più termini.
-
Roberta non ha negato, per cui forse in
fondo non voleva più nascondersi. Quanto a me, credo sia solo una questione di
tempo, dopo ieri. È per questo che avevo bisogno di parlare con te. Non voglio
perderti, sei un’amica, sei sempre stata al mio fianco. Mi dispiace se ti ho
trascurato.
-
Hai paura, vero? Per come andrà.
-
Onestamente? Un po’. Non ho idea di come
possano reagire i miei. Non mi sento neanche pronta, a dirti la verità. Forse
dopo la chiamata della polizia penseranno che non sia poi così tanto grave
stare con una ragazza.
Fu il turno di Sabrina di
ridere. Poi le chiese da quanto tempo lei e Roberta stessero insieme, per un
po’ si concentrarono sui dettagli positivi di quella storia.
-
Pensi che debba dirlo a Riccardo? – la
interruppe improvvisamente Chiara, con tono sinceramente contrito.
Sabrina rimase in
silenzio per qualche secondo, forse pensandoci.
-
Direi che per ora hai problemi più grossi
a cui pensare. Lascia che le cose facciano il loro corso. Panta
rhei.
-
Lo farò. Comunque, non ti ho ancora fatto
gli auguri per le pagelle, so che quest’anno non hai preso debiti, nemmeno in
greco. Sei stata brava.
Dalla voce, sembrò che
Sabrina stesse sorridendo, quando le disse: - Grazie Chiara, grazie di tutto.
**
Margaret, a fine turno,
fu chiamata da uno dei suoi specializzandi per firmare le dimissioni della
signorina Roberta Della Corte. Leggendo quel nome sulla cartella, non poté fare
a meno di scuotere la testa sconsolata. Nell’arco di un giorno aveva visto una liceale
arrivare in pronto soccorso con il naso spaccato, assistito a un litigio fra
lei e i suoi genitori (lo aveva raccontato la sera prima a Matteo, in quella
cena in solitaria, ancora turbata dai toni dell’avvocato contro sua figlia) e
ricevuto una chiamata dalla polizia.
Mai avrebbe immaginato
che Chiara potesse essere coinvolta in una rissa, lei che era sempre stata
tanto tranquilla e silenziosa. La sera precedente era stata, in più, tanto
avara di dettagli quando reticente sull’intera faccenda, tanto che a Margaret
tutt’ora non era chiaro che cosa fosse successo. Chi erano le persone
coinvolte? Perché mai picchiarsi durante il giorno di esposizione delle
pagelle? Il giorno prima si era accontentata di lasciar andare a dormire Chiara
senza commenti, senza insistere perché ne dicesse di più. Matteo non era stato
d’accordo, secondo lui c’era bisogno di usare un polso duro in quelle
situazioni, ma Chiara era sull’orlo delle lacrime e Margaret, senza dubbio, si
fidava sempre molto di lei. Le sembrava che avesse passato una giornata
sufficientemente pesante per infierire. Continuò però a chiedersi, nei dieci
minuti successivi, se non avesse sbagliato qualcosa in quel rapporto, se avesse
lasciato sua figlia minore troppo sola, troppo esposta. La soddisfazione di vederla
in cima ai migliori della scuola, decisamente, non valeva quanto saperla al
sicuro, serena e senza grilli per la testa.
-
Ieri apparentemente mia figlia ha fatto a
botte con delle compagne di classe- disse, in un estemporaneo moto di
confidenza, ad una delle colleghe in pausa con lei. Fumava silenziosamente una
sigaretta sul piazzale dell’ospedale.
-
Ma non mi dire, la piccola Chiara…
-
Come si fa ad essere una brava madre? Me
lo chiedo sempre.
Tornata in reparto,
decise di andare a parlare lei stessa con Della Corte, forse per avvicinarsi
inconsciamente all’universo di sua figlia, per non sentirsi completamente
inutile. Fu questo lo stato d’animo in cui accolse Roberta, che stava
sistemando le sue cose in una borsa, in attesa di ricevere il permesso di andar
via. Margaret si rese conto che anche lei era stata ferita, anche se non aveva
ben afferrato le circostanze dell’avvenimento, apparentemente un’auto le era
venuta in contro in curva senza accorgersene. Anche lei aveva la stessa aria
stanca ed abbattuta di Chiara la sera precedente.
-
Come stai, Roberta, gli antidolorifici
fanno effetto? – esordì, prima di porgerle i documenti firmati.
Roberta ringraziò
sommessamente, con un sorriso timido.
-
Va molto meglio, la ringrazio. Credo che
andrò a scuola, non ho ancora visto i voti di fine anno.
Margaret non poté
trattenere un sorriso spontaneo.
-
Sì, anche Chiara ieri ha ricevuto i suoi
voti. Spero sia andata bene.
Roberta fece un cenno
gentile col capo, ringraziandola, e fece per uscire dalla stanza, quando
Margaret la richiamò indietro, come se si fosse dimenticata un dettaglio
importante.
-
Hai fatto la denuncia alla polizia, vero?
Per l’incidente.
La riccia rispose di no,
stringendo con una mano il manico della sua borsa.
-
Il conducente non mi ha visto arrivare.
Qualcosa nei suoi occhi
non dovette sembrare giusto, perché la dottoressa Linch insistette.
-
Ne sei sicura? Probabilmente ti
chiameranno comunque per sentire la tua versione.
In quel momento, forse
per la gravità delle parole pronunciate, o per effetto della pressione delle
ultime ventiquattro ore, Margaret vide Roberta Della Corte scoppiare in
lacrime. Cercò di avvicinarsi a lei cautamente, indicandole in posto a sedere
per calmarsi. Pensò che dovesse essere stato davvero un brutto trauma per la
ragazza quello che era successo, e si sentì inspiegabilmente triste. Le
sembrava una brava persona, una persona genuina, contrariamente a tutte le idee
che si era fatta su di lei e sulla sua famiglia. Di nuovo il lato materno che
era in lei sembrò riaffiorare senza preavviso.
-
Andrà tutto bene, stai tranquilla. Vedrai
che non rimetterai più piede qui- cercò di scherzare, ma vide che la riccia
continuava a singhiozzare, così le porse un fazzoletto.
-
Dottoressa, io… credo che non si sia
trattato di un incidente.
Margaret, improvvisamente
di sasso sulla sedia accanto alla sua, ascoltò finalmente Roberta raccontare ad
alta voce delle aggressioni verbali, delle pressioni, delle intimidazioni
costanti da parte di quelle che non era mai riuscita a definire amiche, senza
risparmiare nessun dettaglio, fino al momento in cui era finita in strada ed
era stata investita per errore.
-
Ho paura di quello che potrebbe succedere,
ora. So perché l’hanno fatto- continuò Roberta, quando riuscì a riacquistare un
po’ di calma.
-
Perché l’hanno fatto, Roberta? – chiese
Margaret, ora sinceramente inquieta.
-
Perché hanno scoperto che sono
omosessuale.
A Margaret pianse il
cuore, mentre abbracciava quella ragazza indifesa.
**
-
Ben, mi annoio.
Chiara lanciò mollemente
la pallina rimbalzante con cui aveva giocato per l’ultima ora fra i pesanti
tomi di sua sorella. Benedetta, che non era stata messa in punizione ma si era
beccata lo stesso una sonora strigliata per aver coperto Chiara, se ne stava rintanata
in salotto da quella mattina, cercando di studiare qualcosa per i suoi esami.
Quando alzò la testa, sconsolata, da un quaderno di appunti tutto
scarabocchiato, Chiara ebbe la certezza che non fosse riuscita a fare
praticamente nulla.
-
Beh, se ti può consolare, io sono in
doppia punizione, chiamata sessione estiva- si lamentò, lasciandosi cadere
teatralmente fra i fogli sparsi sul divano.
Chiara le si avvicinò con
fare cospiratorio.
-
Potremmo uscire, no? Potremmo andare a
trovare mamma in ospedale. Tecnicamente non sarebbe violare la punizione, visto
che ci sarebbe lei.
Benedetta scosse la testa
divertita.
-
Sei diventata una piccola fuori legge.
-
Oh, andiamo! Ho bisogno di vedere
Roberta, voglio vedere come sta, se ha bisogno d’aiuto.
La più grande si spostò
in cucina, versandosi da bere. Chiara cercò di essere più convincente,
mettendoglisi alle calcagna come faceva quando era piccola e voleva ottenere un
favore particolarmente importante da lei.
-
Posso chiedere a papà di accompagnarci
appena arriva, così non ci sarebbe nessun’ambiguità legislativa, per
rimanere in tema.
-
Quando fai così sei davvero impossibile! –
esclamò l’altra, chiudendo di scatto il frigorifero, - In quest’ennesima ribellione
adolescenziale gradirei perlomeno non essere io quella al volante.
**
Quando Margaret vide
Chiara e Benedetta entrare dalle porte del pronto soccorso, mentre stava per
togliersi il camice e tornare a casa, sulle prime pensò si trattasse di altre
cattive notizie. Era stata accanto a Roberta Della Corte per gli ultimi venti
minuti, cercando di consolarla in quella che sembrava essere una faccenda molto
più grave del previsto, consigliandole uno psicologo con cui parlare e con cui
dividere il fardello di ciò che sarebbe venuto poi, sentendosi comunque
impotente. Si era ripromessa di parlare con sua figlia, una volta a casa, quasi
spaventata che ci fosse qualcosa di altrettanto segreto a tormentarla, e ci
aveva pensato così tanto durante la giornata che vedersi di fronte i suoi
capelli rossi le fece un effetto bizzarro, come se si fosse materializzata dai
suoi pensieri più cupi.
-
Ragazze, che cosa ci fate qui? - chiese
allarmata, avvicinandosi a Chiara e Benedetta. La più grande fece segno di non
voler parlare, alzando le mani sconsolata, lasciando la scena a sua sorella.
-
Papà è in macchina, non ho violato la
punizione- si limitò a dire quella.
Margaret la prese da
parte, cercando di capirci qualcosa.
-
Perché non mi avete aspettato a casa, è
successo qualcosa? – sussurrò, quasi irritata. In tanti anni di servizio, non
ricordava che le sue figlie fossero mai venute a cercarla in ospedale, se non
per gravi emergenze.
Chiara scosse debolmente
la testa, rispondendo: - Non è successo nulla, ma volevo vedere una persona.
In quel momento Margaret
vide con la coda dell’occhio Roberta, che era in attesa dei suoi genitori nella
grande hall del padiglione del pronto soccorso, seduta con un viso sciupato
sulla serie di sedie imbottite, con un’aria sperduta. La sua mente fece due più
due molto rapidamente, più di quanto si aspettasse. In una specie di
cortocircuito, ebbe l’impressione di aver capito che cosa avesse tormentato ed
esagitato sua figlia negli ultimi tempi.
-
Chiara, ieri non si è trattato di una
semplice rissa, vero?
La rossa scosse la testa,
con espressione triste e imbarazzata. A Margaret sembrò che stesse cercando di
combattere contro l’impulso di nascondersi dietro qualunque superficie a disposizione,
in uno dei suoi proverbiali moti d’orgoglio. Non le sfuggì nemmeno come il
volto di sua figlia cambiasse improvvisamente d’espressione, quando si accorse
che Roberta Della Corte era seduta a pochi metri da loro. Si sentì d’un colpo
molto disorientata, ma cercò di non darlo a vedere.
Riuscì solo a farsi da
parte, debolmente, mentre vedeva Chiara correre incontro a Roberta, e abbracciarla
stretta.