Era passata quasi una
settimana dal giorno dell’incidente e, a parte il rigonfiamento violaceo all’altezza
del setto nasale, a Roberta sembrava di stare bene, di sentirsi stranamente più
serena. Dal giorno delle pagelle, aveva vissuto nel segreto terrore non solo di
Vanessa e Angela, ma anche di suo padre, della sua famiglia e perfino di
Massimo, che aveva sognato per più di una notte in preda all’agitazione, come
se potesse tornare nella sua vita e rigettarla indietro alla loro disastrosa
relazione da un momento all’altro. Quel giorno però, si sentiva come se
qualcosa dentro di lei si fosse mosso, come se si fosse appena resa conto di
essere stata chiusa per anni in una stanza la cui serratura non era davvero
bloccata. C’era solo da attraversare la porta.
Il giorno in cui era
stata dimessa, era corsa a scuola a leggere la sua media di fine anno, accompagnata
in religioso silenzio dai suoi genitori, ma la notizia di aver passato tutte le
materie più che discretamente non era bastata a ridarle quel minimo di serenità
con cui si augurava di iniziare la sua ultima estate da liceale, né a
distendere il clima familiare. Mentre sua madre aveva più volte dato segno di
volerne parlare con Roberta (prontamente respinta, non per scortesia, ma per
puro imbarazzo), suo padre non aveva più fatto riferimento all’incidente, né
alla breve e secca conversazione che avevano avuto in pronto soccorso la sera del
ricovero: Roberta non sapeva se questo fosse un bene o un male. Aveva paura che
stesse covando dentro di sé un rancore silenzioso, come un orologio che
ticchetta in attesa di far scoppiare una bomba, ma non aveva il coraggio di
riprendere l’argomento. Il solo ricordo di quella discussione bastava a gelarla
di uno sconosciuto disagio.
-
Che cos’è questa storia della rissa con la
figlia di Bernardo? Da quando ti fai coinvolgere in queste cose? – aveva
abbaiato severo, mentre lei giaceva ancora malandata sul lettino
dell’accettazione, - ma soprattutto cos’è questa storia che sei lesbica?
Roberta non si spiegava
ancora come suo padre lo fosse venuto a sapere in così poco tempo. Pensò che di
sicuro, a mo’ di giustificazione, Vanessa avesse raccontato tutto alla polizia
e ai suoi genitori, amici di famiglia dei suoi, cercando di far passare
quell’assurda reazione violenta come qualcosa di plausibile, visto lo shock
della notizia. Notizia che, Roberta si diceva quasi con orgoglio, lei non aveva
smentito, né occultato, ma che aveva confermato con decisione, come se stesse
aspettando il momento per liberarsene da anni. Certo, lo aveva fatto sull’onda
dell’adrenalina che si era sentita montare dentro d’un colpo, senza pensarci.
Ma non se ne era pentita, né aveva cercato di ritrattare in un secondo momento.
E di occasioni ne aveva avute. Ma che senso avrebbe avuto continuare ad evitare
la verità, che le era chiara ormai da tempo, e da cui si sentiva sempre più
attratta, come da un miraggio sempre più vicino? Si sentì stranamente fiera di
essersi presa spintoni e insulti senza scappare, perché finalmente, dopo una
vita passata a nascondersi e a dannarsi, sentiva di essere uscita allo
scoperto: una sensazione inebriante e spaventosa, come una voragine che le si
apriva al fondo dello stomaco. Finalmente poteva arrabbiarsi con qualcun altro
oltre che se stessa.
Ed in effetti era così, a
pensarci, si era davvero liberata. La sfortunata coincidenza degli eventi non
aveva fatto altro che accelerare un processo che era in atto dentro di lei
ormai da anni, che premeva per uscire dal suo corpo con sempre più violenza,
senza poter essere contenuta. Non poteva lasciarsi andare ancora in balia degli
eventi, non poteva continuare a fingere che la storia con Chiara non le avesse
rivelato, definitivamente, quello che già sapeva: le piaceva disegnare, le
piaceva dipingere, le piaceva correre all’aria aperta e prendere a pugni un
mastodontico sacco di sabbia, le piacevano le ragazze, e i colori decisi e il
mare e la primavera e non avrebbe passato più un solo giorno senza godersi
tutto questo. Le piaceva Chiara e aveva voglia di prendere la sua Mini
scalcagnata e scappare al mare con lei.
Mentre vagava sola per la
casa vuota (ringraziò che i suoi genitori continuassero la loro intensa vita
sociale in ogni caso, senza badare ad una figlia in convalescenza), si sentì
come una persona nuova. Dentro di lei qualcosa si era rotto, e aveva fatto
fuoriuscire un filamento sottile, luminoso, come d’acciaio: eccola, la sua vera
essenza, l’inizio della sua vera vita. Decise che avrebbe denunciato Vanessa e
Angela, che avrebbe parlato, che non sarebbe stata mai più zitta in vita sua.
Che suo padre si arrabbiasse, che le togliesse tutto. Si sentiva sola e
potente, tesa in un’elettricità costante.
Quello che piuttosto la
preoccupava, prendendo posto sull’altalena del suo grazioso giardino, fu che
cosa pensasse Chiara dell’accaduto. Lei che, in fondo, non aveva chiesto nulla
di tutto ciò che era successo, che avrebbe potuto restarne fuori, se avesse
voluto, godersi i suoi meritati risultati scolastici, prendersi un po’ più di
tempo per riflettere su cosa fare, su chi rendere partecipe del segreto della
loro relazione. Una parte di Roberta, quella più protettiva e altruista, non
avrebbe mai voluto essere causa del grande scombussolamento degli ultimi
giorni, che di sicuro – anche se Chiara non dava a vederlo, anche se era chiaro
cercasse come sempre di sembrare la più forte delle due – aveva toccato la sua
ragazza profondamente. Era sicura, da quello che aveva colto di Margaret Linch,
che Chiara non avrebbe avuto grossi problemi a confessare tutto ai suoi
genitori, che sembravano a Roberta una coppia gentile e affabile di brave
persone. Ma spettava a lei decidere quando e se dirlo, e aveva l’impressione
che con quel coming out forzato le avesse rubato del tempo prezioso per vivere
l’inizio della loro storia con debita serenità, per viversi senza ansie. Temeva
che Chiara si sarebbe ritratta di nuovo in sé stessa, chiudendosi a riccio come
faceva ogni volta che si sentiva minacciata.
Si ripromise di parlarle,
quando quel pomeriggio sarebbe passata a casa sua. Non si vedevano da una
settimana e le mancava, non passava ora senza che pensasse a lei e che si
scrivessero messaggi, si scambiassero brevi chiamate di nascosto. Avevano
pensato bene di aspettare che le luci della ribalta le lasciassero un po’ in
pace, prima di provare a stare da sole, e che Chiara scontasse la sua punizione.
D’ora in poi, in ogni caso, sarebbe stata una battaglia continua vedersi: era
sicura che suo padre si sarebbe messo in ogni occasione possibile fra lei e
Chiara, e sarebbe stato necessario approfittare di ogni momento propizio. Quanto
ai genitori di Chiara, si augurava che non prendessero misure troppo drastiche.
Cercò di non pensarci,
chiudendo gli occhi contro il piacevole solo di quel pomeriggio di giugno,
lasciandosi cullare dalla brezza: le giornate di sole e i fiori colorati del
suo giardino contribuirono ad intensificare quell’improvvisa sensazione di
benessere, lasciandola quasi commossa. Pensò invece all’ultima volta che lei e
Chiara si erano viste, a come avevano dormito insieme, a come si erano baciate
in salotto dopo che Benedetta era uscita di casa il giorno dopo che avevano
fatto l’amore per la prima volta. A quello che aveva sentito nelle profondità
del suo corpo, impresso in ogni nervo, in ogni muscolo: la necessità di Chiara.
Pensò allo sguardo della dottoressa Linch quando le viste abbracciarsi in
lacrime al pronto soccorso, mentre aveva cercato di tenere a freno l’istinto di
baciarla.
Rientrando in casa con
un’improvvisa voglia di dipingere, Roberta si guardò brevemente allo specchio
del corridoio, fra gli appariscenti quadri di arte contemporanea che tanto
piacevano all’avvocato Della Corte, ma che lei detestava.
Sorrise, e si trovò
bella, più di bella di quanto non fosse mai stata.
**
-
Mamma, te l’ho detto, non ne voglio
parlare- sentenziò arrossendo Chiara, seduta con una copia di Ritratto di
signora su uno sgabello al bancone della cucina, mentre Margaret tagliava a
pezzi della frutta per il suo ennesimo esperimento in cucina.
Era un pomeriggio
sonnolento, Matteo era come al solito in ufficio e le tre donne di famiglia di
erano raccolte in cucina per un caffè e qualche pettegolezzo. Margaret sembrava
voler passare sempre più tempo in famiglia, e a nessuno era sfuggito quanto si
stesse impegnando ultimamente per passare del tempo lontana dal lavoro. Peccato
che si stesse impegnando anche nel farsi gli affari di tutti, da Matteo a
Benedetta e, soprattutto, gli affari di Chiara, su cui sembrava a tratti
accanirsi con domande al limite dello sconcertante. Arrivava di sorpresa e nei
momenti meno opportuni faceva domande, scrutando tutti con sguardo curiosamente
indagatore, come se stesse cercando di recuperare pezzi che credeva di essersi
persa. Aveva perfino chiamato nonna Agnes tre volte quell’ultima settimana,
rimanendo a chiacchierare con lei per delle ore, chiedendo notizie dell’intera
famiglia allargata con un’energia ed un interesse mai visti prima. Chiara
giudicò alquanto bizzarro quel comportamento, ma diede la colpa alla nota crisi
di mezz’età, che colpiva i genitori di tutti senza differenze di sorta.
Margaret, lanciando
un’occhiataccia all’impasto informe che stava lavorando, lasciò andare un
sonoro sbuffo, per poi prendere una manciata di farina da un barattolo di
terracotta e lanciarglielo su a mo’ di riparazione.
-
Andiamo, Chiara, sono tua madre. Possiamo
smetterla con questa guerra fredda? Ti ho solo chiesto una cosa: i genitori di
Roberta saranno in casa oggi?
Benedetta ridacchiò
dietro i suoi libri, stipata nel suo angolino della vergogna, come lo
aveva soprannominato Chiara: un tavolo in fondo all’isola della cucina, accanto
alla porta finestra che dava sul giardino, sufficientemente soleggiato per
studiare senza deprimersi. Nel corso di quelle insolite chiacchiere familiari,
aveva anche lei fatto una confessione: era un po’ indietro con gli esami del
semestre, si era fatta prendere da uno strano panico negli ultimi mesi - lei
che aveva sempre brillato senza particolari difficoltà- complici la lontananza
da casa, un ambiente universitario più ostile delle previsioni e qualche
problema di gestione domestica con le coinquiline. Così tutti in famiglia si
erano impegnati a tenerla d’occhio e ad aiutarla a concentrarsi, se necessario
anche nascondendole il cellulare e le chiavi della macchina.
-
Andiamo, mamma, ti ha già detto che non lo
sa- intervenne, dando una mano come poteva alla sorella minore.
Margaret grugnì, dando
una pesante manata alla pasta frolla per la crostata. Ci vorrebbero più uova,
disse fra sé e sé, prima di voltarsi a guardare le due figlie e dire,
lapidaria:
-
No, Ben, ha detto che non ne vuole
parlare. E conoscendo questa piccola peste, sta per nascondermi qualcos’altro.
Chiara alzò gli occhi
esasperata, rinunciando a continuare il suo capitolo.
-
Ma mamma, cosa cambierebbe se non ci
fossero i genitori di Roberta? Cosa che, fra parentesi, non so - si arrese
Chiara, alzando le mani, sperando che sua madre non si accorgesse della palese
bugia.
Pregò mentalmente che
quella breve concessione prevenisse Margaret dallo scendere in ulteriori dettagli,
con quel suo modo impacciato ma sfacciatamente invadente, come aveva fatto la
sera della sua incauta visita in ospedale, quando Chiara aveva detto – tremante
durante il viaggio di ritorno in macchina- che lei e Roberta erano più che
amiche. Matteo aveva quasi sterzato di botto, alla notizia, mentre Margaret era
rimasta pacificamente in silenzio, intimando a suo marito di restare calmo.
Peccato che quel silenzio non fosse durato che un’ora, passata la quale aveva
fatto irruzione in camera di Chiara e Benedetta con una raffica confusa di
domande, come se avesse realizzato solo allora il significato delle sue parole:
Quindi Chiara, darling, tu e Roberta avete una relazione? Da quanto tempo va
avanti? Benedetta, tu lo sapevi? Ovvio che lo sapevi! E non ci hai detto nulla!
Matteo, d’altra parte,
aveva accolto la confessione con una strana sufficienza, forse a causa del
cognome di Roberta e di tutto ciò che gli riportava alla memoria, forse perché
si era appena reso conto, per la prima volta, che anche la sua figlia minore
era cresciuta abbastanza da avere dei segreti di questo genere. Chiara sperava
che, passato l’iniziale straniamento, potessero parlarne con calma, anche se
non aveva, in ogni caso, nessuna fretta. Più tempo avesse avuto per abituarsi
alla nuova realtà delle cose (lei e Roberta stavano insieme e il mondo lo
sapeva!), meglio sarebbe stato. Era comunque sicura che confidarsi con i suoi
genitori fosse stata la decisione più saggia, perché ora si sentiva meno sola,
meno vulnerabile, con accanto dei validi alleati in caso si fossero verificati
altri spiacevoli episodi a scuola.
Peccato che sua madre non
avesse il benché minimo tatto.
Margaret, pulendosi le
mani sul grembiule, si aprì infatti in un sorrisino, apparentemente soddisfatta
di averla fatta capitolare. Lavorò per un po’ l’impasto informe e decisamente
troppo appiccicoso per essere pasta frolla, per poi rimescolare i cubetti di frutta
in un pentolone con acqua bollente.
-
Cambierebbe, love. Abbiamo già
fatto una chiacchierata sulla prevenzione delle malattie sessualmente
trasmissibili? – riprese, dopo qualche minuto.
Chiara lasciò sonoramente
cadere il suo romanzo sul tavolo e implorò Benedetta con uno sguardo disperato,
mentre quella roteava gli occhi con l’aria di chi ci era già passata.
-
Mamma, ti prego!
Rimestando una
sottospecie di marmellata, Margaret si limitò a dire: - Chiara, tesoro, non
fare la pudica. E stasera a casa per le nove.
**
Chiara varcò il cancello
di Villa Della Corte con il cuore che le rimbombava nelle orecchie. Ad ogni
passo, sentiva lo stomaco contorcersi come la prima volta che ne aveva scorto
l’elegante giardino, alla festa di diciotto anni di Roberta, persa fra le file
di auto costose dei suoi invitati. Quella era stata la sera del loro primo
bacio, la sera in cui si era ubriacata e aveva quasi pianto vedendo lei e il
suo ragazzo fantoccio ballare avvinghiati sulla pista da ballo, la sera in cui
si era persa nei meandri di quella casa enorme e vuota cercando inconsciamente
di incontrarla. La stessa sera in cui si era resa conto che qualunque cosa
provasse per Roberta non poteva più essere ignorata. Le sembrava fossero
passati solo pochi, intensi giorni, e non quasi due mesi.
Roberta l’aspettava sulla
soglia: con quel sorriso timido, la pelle fresca, bianca, e il naso ancora un
po’ gonfio, a Chiara fece un’enorme tenerezza. Distinse qualche macchia di
colore sui pantaloncini, segno che aveva passato il pomeriggio a dipingere. Per
un attimo non riuscì a muoversi da dove si trovava, a metà del vialetto
d’ingresso, a fissare da lontano la sua ragazza, con il fiato corto, le
guance arrossate, come se fosse arrivata di corsa. Quanto sei bella, Roberta,
pensò, guardando le sue braccia nude e pallide, il colore pastello della sua
canottiera, la delicatezza della sua treccia scura e dei suoi occhi sereni.
-
Torri– si sentì chiamare dopo qualche
minuto, in tono divertito ma perentorio di chi ha una certa fretta, - che ci
fai lì imbambolata? Vieni qui e baciami.