Quinta
immy, quinta fic
Ribrezzo
Piangi... piangi piccolo angelo, la tua
natura eterna
Il pavimento era freddo e maleodorante. Il tanfo di urina e
di acido penetrava nelle sue narici costringendo lo spadaccino a dilatarle per
poter respirare adeguatamente, non bastasse il peso di quello stupido cuoco che lo schiacciava a terra.
- Non te lo ripeterò più, idiota. Stammi lontano... CHIARO? – i suoi occhi
erano infuocati di rabbia e di sicuro c’era anche qualcosa simile a imbarazzo,
ma Sanji era fin troppo bravo a nascondere quel tipo di emozioni sebbene Zoro
sapesse leggere facilmente nelle sue iridi azzurre.
- Calmati cuoco... non vedi che stai perdendo la calma senza motivo? – le dita
bianche si strinsero con più vigore attorno al collo ambrato dello spadaccino,
talmente tanto che Sanji poteva avvertire il suo battito controllato contro il
palmo della mano. Gli occhi di Zoro avevano sempre avuto la capacità di
penetrarlo, praticamente identici alle sue lame, anzi forse ancora più
affilati, potevano trafiggerlo, aprirlo a metà e vedere al suo interno come
fosse la cosa più semplice del mondo, e questo Sanji non aveva mai potuto
sopportarlo, così come faceva fatica a sopportare ogni singola cellula di quel
maledetto marimo
- Io ti ammazzo, Zoro. Te lo giuro... – digrignò forte i denti quando sul viso
dello spadaccino si disegnò un ghigno di beffa, un ghigno che aveva il sapore
amaro di una sconfitta. Quando un proiettile ti si conficca in una spalla e tu
cadi a terra imprecando per essere stato così idiota da non accorgerti del suo
arrivo.
- Fallo, avanti, caccia le palle a fammi fuori... – la voce dello spadaccino
era calma, ponderata, come avrebbe dovuto essere la sua che invece vibrava di
collera e di amarezza in ogni sillaba che tentasse di pronunciare.
- Io... – era lacerante ammettere quanto Zoro potesse avere un simile
ascendente su di lui. Bastava un solo sguardo che il cuoco poteva infiammarsi,
di rabbia, di sfida, o d’altro, ed
era quell’altro che più riusciva a
fargli perdere il controllo e a fargli maledire cosa di più santo ci fosse al
mondo.
- Merda – ringhiò alzandosi e lasciando il compagno a terra. Le mani fra i
capelli biondi per qualche attimo, infelice attimo in cui l’aver completamente
perso il controllo faceva male più del solito, e poi quel pugno che si schiantò
sulle mattonelle bianche.
- Perché... perché l’hai fatto? – e ancora faceva fatica a crederci Sanji mentre
sospirava appena quella parole, mentre sentiva Zoro rialzarsi da terra e
sistemarsi le katana, mentre i suoi passi si avvicinavano a lui.
- Serve davvero un perché? - Come poteva essere così semplice per lui? Come
poteva trovare nelle sue azioni che anche agli occhi del più decerebrato essere
del mondo sarebbero state totalmente surreali, come poteva lui trovarle così
naturali, quasi ovvie, senza bisogno di alcuna spiegazione, e per uno
razionale, riflessivo calcolatore a tratti cinico come il cuoco, una
spiegazione andava data a tutto, soprattutto a quello.
- Non succederà più – affermò con
sguardo serio, fissandolo nelle sue iridi nere che avevano sempre quell’espressione
spenta, stanca, quasi lontana. Lo spadaccino scosse la testa poggiandosi con le
spalle contro il bianco della ceramica e aspettando che le mani del cuoco si
avventassero nuovamente sulla sua maglia, che lo spingessero contro il freddo
muro e che il suo viso infuriato si specchiasse nei suoi occhi.
- Smettila Zoro. Non prendermi per il culo – e quasi avrebbe sorriso Zoro, perché
quel odioso cuoco ancora non si rendeva conto che era lui che si stava prendendo
per il culo, era lui a voler rinnegare tutto a
rendere ciò che aveva fatto osceno, squallido, un gesto che era contro i
suoi principi, contro la sua rinomata omofobia. Eppure quando le labbra dello
spadaccino si erano appropriate delle sue nella ferocia di un bacio dall’aspetto
animalesco, l’aveva sentito Zoro che non c’era nulla che anche lui non volesse,
quando la sua lingua era scivolata nella sua bocca, quando le mani gli avevano
afferrato i ciuffi verdi per spingere sempre più selvaggiamente la sua testa
verso la sua, quella stupida testa gialla che non faceva altro che ingannarsi
da sola.
- Io non sono come te... io non sono un finocchio – ma lo specchio integro di quella
menzogna ormai palese anche agli occhi innocenti di un bambino, non poteva
rimanere in piedi. E così lo spadaccino vide il cuoco accasciarsi contro il suo
petto dopo che l’elsa della sua spada si era schiantata velocemente nel suo
stomaco. lo vide accasciarsi così come avrebbe visto in futuro l’accasciarsi,
lo sgonfiarsi della sua stupida maschera. Mentire, ingannare, sorridere falsamente
a tutti, era ciò che sapeva fare meglio, era quella sua stupida testardaggine
nel voler mantenere un’apparenza normale,
che non gli apparteneva e mai l’avrebbe fatto. Perché Zoro sapeva che un uomo
che non accetta la sua natura che si ostina a dimostrare uno spirito diverso da
quello che governa la sua anima è destinato alla miseria, ad una fine in
lacrime per la sua infelice scelta, infelice e stolta scelta di fingersi un
altro.
- Io.. ti odio..- quel ringhio che era in bilico fra l’essere urlato di rabbia
e l’essere pianto di disperazione sfiorò appena le orecchie dello spadaccino, ormai
totalmente immuni alle sue ripetute quanto inutile scuse. E così lo afferrò per
il colletto della camicia e riportò il suo viso fronte al suo. Guardò quegli occhi
che luccicavano di collera e le labbra che tremavano di ira. Contro di sè, non certo contro di lui, e
su questo Zoro era fin troppo certo.
- Smettila – ordinò, ma il cuoco non fece altro che stringere le dita attorno al
suo polso e continuare a digrignare i denti come una bestia in gabbia
- E va bene, come vuoi – non ci pensò molto lo spadaccino prima di sbatterlo
contro quella parete fredda e sporca, prima di avventarsi contro di lui e
riportare la sua mente a quella mattina, facendo ricongiungere le loro labbra,
sopportando la sua ostinazione a combatterlo graffiandogli quella mano che
stringeva la sua camicia , serrando i denti quasi a volergli tranciare quella
dannata lingua, prima di sentirlo
cedere, cedere nuovamente.
- Ti..odio...- stavolta detto con le labbra umide di lacrime. Il suo corpo attraversato
da impercettibili scosse elettriche quasi come se i suoi organi stessero
collassando a quella disgustosa realtà che gli si presentava davanti. Mentre il
sapore salato bagnò anche le labbra del suo compagno e le sue mani si lasciarono
calamitare dalle sue forti spalle, e Sanji sapeva che non ci sarebbe stato mai modo di
accettare ciò che stava facendo, ciò che
avrebbe rifatto, il ribrezzo per se stesso era marchiato a fuoco sulla sua pelle,
quella stessa pelle che si stava coprendo vergognosamente di brividi ad ogni disgustosa
carezza dello spadaccino.
***