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Autore: CatherineC94    24/04/2022    4 recensioni
«Quella è una capra?» gli chiede.
Aberforth si gira di spalle per non far notare che gli occhi si riempiono di stupide lacrime.
Sghignazza burbero:« Una della peggior specie».
Aurelius sorride.
lQuesta storia è candidata agli Oscar della Penna 2023 indetti sul forum Ferisce la penna
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Aberforth Silente, Albus Silente, Credence Barebone
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Dai Fondatori alla I guerra
- Questa storia fa parte della serie '#Aberforth'
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I semi della morte
Non ti capisco Dio
Dimmi di nuovo
Mi chiedi di ringraziarti
O di scusarti?[1]
 
«Servitevi pure, Aberforth vi porterà la cena».
Aberforth poggia malamente il grande paiolo sul tavolo consunto, osservando con occhi vacui i presenti.
Grugnisce rabbiosamente e pensa a quanto prima avesse adorato sguazzare nel dolore incommensurabile della solitudine che ha arbitrariamente scelto.
«Se non vi piace, arrangiatevi» intima davanti alla faccia schifata dei commensali che rapidi si catapultano sulla sua migliore pietanza.
Il suo Pub è colmo di voci, saturo di vita che si scontra senza alcun dubbio con la sua silenziosa voglia di buio e tenebra.
Gli occhi si posano sullo specchio, mentre la memoria si sofferma sulle sue mani che affondano nella leggera e sottile filigrana delle sue cosce.
«Mi scusi, il bagno?» chiede uno di quelli inutili bambocci.
Gli occhi  sono ridotti a fessure e le dita si muovono meccanicamente.
«Dobbiamo aiutarlo, non puoi abbandonarlo!» ha ripetuto il grande allocco di suo fratello, con quella voce convincente, con quello sguardo caldo che riserva solo ai soliti adepti fondamentali per la buona riuscita dei suoi piani.
Aberforth vuole con tutto sé stesso, con tutto ciò che rimane, forse briciole di ciò che un tempo è stato. Lui vuole aiutarlo, sa che potrebbe solo allievare lentamente il destino amaro che gli ha riservato facendolo nascere.
E lei..lei gliel’ha portato via, in un impeto di alterigia congenita mentre Aberforth non ha potuto nemmeno provare ad allevarlo, quasi come una forma di bieca redenzione.
Albus si perde nell’oscuro panorama notturno di Hogsmeade, forse intaccato dalla ruggine dei suoi sensi di colpa che tarmano anche il suo super cervello.
Gli occhi di Aberforth incrociano quelli di Ariana che silenziosa li osserva, immobile su quella tela che nemmeno riesce a cogliere quella che è stata la sua estrema dolcezza.
Lo stomaco di Aberforth si contrae, al suo pensiero, a quella solitudine che gli ha inflitto e che sta provando a scontare fino a quando vivrà. Così da poter sopperire al suo dolore, all’abbandono che suo figlio ha vissuto.
Merita disprezzo, per la morte che  ha seminato dovunque ha posato la mano o sfiorato con ingenuità .
L’ha amata, forse per la prima volta nella sua vita ha provato qualcosa per qualcuno. Ha assaporato ogni breve silenzio, ogni curva del suo sorriso ed ha immaginato di affogare in quelle frasi che lei gli ha riservato nei lunghi giorni di sole nel parco dietro casa.
E poi tutto è andato in frantumi, lei è andata, perduta, per sempre tranne che per qualche fugace sguardo nei tardi pomeriggi al villaggio quando per un’assurda causalità l’ha incrociata nel lungo cappotto di mussola nera.
Nera come il suo nome.
Aberforth ricorda ancora quando ha scoperto l’esistenza di suo figlio ed allora ha sperato, lambiccato i pochi pensieri felici che qualche volta si è permesso di formulare per poi comprendere che ogni cosa che vive è destinata a terminare.
Suo figlio come sua sorella è destinato a soccombere, ma quando l’ha visto per la prima volta ha percepito come se quel misero brandello di cuore riuscisse a rimettersi a posto. Allora non ha esitato, al contrario. L’ha avvolto in un abbraccio caldo, come la speranza di vederlo crescere e forse alleviargli la ferita che nasconde dentro e che gli sanguina continuamente.
Non ha mai pensato a cosa potesse significare essere amato, ma il giovane, con gli occhi così simili a quelli di sua madre sembra leggergli dentro. Seduto davanti al camino, in quel logoro e spoglio Pub, metafora del suo essere ha illuminato ogni cosa. All’improvviso uno strano belare per poi sentire un scalpiccio di zoccoli nervosi che irrompono dalla porta del retro.
«Quella è una capra?» gli chiede.
Aberforth si gira di spalle per non far notare che gli occhi si riempiono di stupide lacrime.
 Sghignazza burbero:« Una della peggior specie».
Aurelius sorride.
 
 
 
 
 

[1] A.Panagulis, Vi scrivo da un carcere in Grecia.
Mancava una storia su di loro, prometto che scriverò ancora. Spero vi piaccia. Per Severa :*
   
 
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