Anime & Manga > Lady Oscar
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Autore: Darty    25/04/2022    13 recensioni
“Tutti gli amori felici si somigliano; ogni amore infelice è invece difficile a modo suo. In casa De Jarjayes tutto era sottosopra” (e spero che L.S. non se ne abbia a male)
Oscar ed Andrè e la loro “storia terrena” appartengono a Riyoko Ikeda ed un po’ anche a Tadao Nagahama e Osamu Dezaki. Questa fanfiction non ha scopo di lucro, ma terapeutico sì...
I versi di David Bowie sono solo suoi: dell’immortale Duca Bianco.
Si incomincia con il Cavaliere Nero. Buona lettura!
Genere: Avventura, Fluff, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: André Grandier, Oscar François de Jarjayes, Quasi tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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I’ve borrowed your time
and I’m sorry I called
But the thought just occurred
that we’re nobody’s children at all
After all

Live till your rebirth
and do what you will
(Oh by jingo)
Forget all I’ve said
please bear me no ill
(Oh by jingo)

After all, after all

(David Bowie, After All)

https://www.youtube.com/watch?v=OXewmtDGQFQ
 
 

"La verità è nel fondo di un pozzo: lei guarda in un pozzo e vede il sole o la luna; ma se si butta giù non c'è più né sole né luna, c'è la verità."
(Leonardo Sciascia, Il giorno della civetta)

Domenico si sedette mestamente in un angolo della cabina che era stata di Lorenza. La luce del sole penetrava dall’oblò illuminandogli i capelli. Era poco più vecchio di loro, ma i folti capelli castani erano già brizzolati dai primi fili bianchi.

Cosa volete sapere?” chiese rivolto ad Oscar, che era seduta su una panca, mentre André se ne stava a braccia conserte, in piedi appoggiato alla porta.

Cosa avrebbe rubato Lorenza?”  domandò immediatamente Oscar.

La ragione della nostra missione. Il motivo per cui ci siamo imbarcati in tutta fretta sulla Misticque, la prima nave diretta a Costantinopoli in partenza da Napoli”, rispose sospirando afflitto.

Ve ne abbiamo già fatto cenno”, proseguì, “a cena con Rohan, non ricordate?”

Scosse la testa in senso di diniego, Oscar, lanciando una fugace occhiata ad André. Entrambe ricordavano benissimo, in verità.

A Costantinopoli un mercante ebreo di libri antichi ha messo in vendita un codice illustrato. Potrebbe essere un antico manoscritto appartenuto a Padre Mechitar di Sebaste...”

Ora rammento Domenico, avete ragione, è stato al nostro ritorno da Tripoli, è vero...”, intervenne con noncuranza Oscar. “Quel manoscritto parlerebbe di un lume perpetuo, mi pare ... anzi direi che pure una volta che fummo ospiti a cena dal capitano Zane, voi accennaste ad antiche sepolture romane corredate da una misteriosa luce perpetua ...”

“Non solo! Sto parlando di un fuoco inestinguibile ...”, proseguì accalorato Domenico, “lo so, lo so, mi prenderete per matto, ma sono anni che ne sto seguendo le tracce, da quando me ne parlò un vecchio monaco del Monastero dell’isola di San Lazzaro degli Armeni, a Venezia.

Raccontateci tutto, Domenico, dobbiamo sapere”, lo incoraggiò André.

E sia. Quel monaco aveva conosciuto padre Mechitar al secolo Petros Manuk originario di Sebaste in Anatolia, che trascorse i suoi ultimi anni a Venezia, dove fondò un monastero sull’Isola di San Lazzaro, per poi morirvi nel 1749. Padre Mechitar io lo conoscevo già di fama; come filologo ho apprezzato il suo lavoro inestimabile, la compilazione di un dizionario di armeno che per gli studiosi come me è uno strumento fondamentale, vi assicuro, un vero .... ma sto divagando, scusatemi.”

Si asciugò la fronte con un fazzoletto. E proseguì.

“Ebbene nel 1703 padre Mechitar fu costretto a fuggire da Costantinopoli, dove le autorità ottomane perseguitavano gli armeni. Prima riparò a Modon ed infine a Venezia e non poté portare con sé tutta la sua ricca biblioteca, che andò in gran parte dispersa.”

Una nuvola plumbea e carica di pioggia oscurò il sole. Per un attimo il viso di Domenico fu avvolto dalle tenebre.

André si sposto dalla porta e si avvicinò ad Oscar. Domenico bevve un sorso d’acqua e poi continuò.

“Da quel monaco appresi che negli ultimi anni della sua vita Padre Mechitar si sforzò di compilare una summa dei suoi studi, in parte di suo pugno, in parte, quando ormai era quasi cieco, dettando il testo direttamente in aramaico...  ed in questi studi faceva anche cenno ad un manoscritto antico in cui si descriveva un fuoco inestinguibile ... e freddo!”

Il fragore di un tuono risuonò in lontananza. Un temporale si stava avvicinando.

Naturalmente per i monaci quel fuoco inestinguibile era solo una manifestazione di Dio. Come il roveto ardente, come il roveto che nel Libro dell’Esodo ardeva nel fuoco, senza consumarsi ... quando sul Monte Oreb Dio aveva ordinato a Mosè di condurre il popolo eletto via dall’Egitto verso la terra promessa ...”

Un tuono squassò l’aria. Per un istante anche la voce di Domenico tremò.

Ma io ho avuto accesso ai suoi scritti e li ho tradotti dall’aramaico ... non era di una manifestazione di Dio che si dissertava, ma del procedimento per generare quel fuoco freddo, quella luce perenne.”

La temperatura si era abbassata di colpo. Oscar rabbrividì per il freddo. André si tolse la giacca. La posò sulle spalle di Oscar.

“Nei miei precedenti viaggi in oriente, ho cercato invano le fonti da lui citate. Pensavo di rinunciare ormai ... quando pochi mesi fa mi scrisse Emmanuel de Rohan-Polduc, il Gran Maestro dell’Ordine dei Cavalieri di Malta, informandomi che presso un mercante ebreo a Costantinopoli era in vendita un codice illustrato appartenuto a Padre Mechitar ... Io conoscevo da tempo Rohan, da quando dieci anni fa periziai per l’ordine certe monete ed altri reperti romani portati alla luce nell’isola di Gozo.”

Un lampo illuminò gli occhi di Domenico.

“Lui sapeva della mia ossessione ... mi propose di finanziare il mio viaggio se ne avessi condiviso con lui e con i fratelli Massoni i risultati. Se quel codice fosse stato autentico, se quel codice avesse rivelato quello che io speravo!”

La mano destra di Oscar trattenne la mano sinistra di André, che indugiava sulle sue spalle. Aveva bisogno del calore di quelle dita su di sé.

“E come avete conosciuto Lazzaro Spallanzani?”, chiese Oscar.

Un sorriso amaro piegò le labbra di Domenico.

“Ho conosciuto Lazzaro Spallanzani a Pavia. Era appena tornato da Costantinopoli, dove aveva accompagnato il nuovo Bailo della Repubblica di Venezia, Girolamo Zulian. Mi aveva parlato dei suoi studi di fisica e biologia, così diversi dai miei, e ne rimasi affascinato.”

La mano di André strinse più forte la mano di Oscar.

“Sapevo che cercava il modo di tornarci, non aveva più risorse proprie per farlo e l’università non l’avrebbe finanziato, era appena stato coinvolto in uno scandalo. Avevo bisogno di un compagno di viaggi che si intendesse di fisica e di chimica, che potesse aiutarmi ad interpretare i principi che presiedono alla generazione del ... ”

Fuoco inestinguibile, o del lume perpetuo”, concluse André.

Mentre un fulmine squarciava il cielo.

Annuì, nascondendo il viso fra le mani, Domenico.

“E cosa avrebbe rubato Lorenza?”, domandò Oscar, lo sguardo severo, accigliato.

Le mie trascrizioni dei testi di padre Mechitar, le traduzioni, le ricerche fatte da me ed analizzate da Lazzaro, su prodigi analoghi, i suoi esperimenti sul flogisto, sul fuoco fissato nei corpi ...”

Non capisco, cosa può farsene Lorenza dei vostri studi?”, chiese Oscar.

Non ottenne risposta. Il Capitano Zane irruppe nella cabina.

Quando arriveremo a Costantinopoli?” gli domandò Domenico, alzando la testa.

Fra due giorni faremo scalo a Limnos. Poi ci aspetta la traversata dello stretto dei Dardanelli.  Se non ci saranno ulteriori contrattempi, se eviterete di dare asilo a qualunque folle, dovremmo arrivare a Istanbul il 12 o 13 maggio. E se la Santo Stefano reggerà ...  il mare si sta ingrossando, prevedo burrasca!”.

E burrasca fu. Anziché fuggire il vento, tecnica troppo pericolosa sotto costa, dove gli affioramenti di scogli semisommersi avrebbero potuto danneggiare la chiglia, il brigantino era stato messo alla cappa, per smorzare la potenza delle onde. La combinazione delle vele, sapientemente armate, con un’angolazione di circa cinquanta gradi al vento, consentiva al brigantino di scarrocciare nel letto del vento, protetto dalla sua remora.

Zane aveva costretto i suoi quattro passeggeri nelle loro cabine, e che non si azzardassero ad uscire da lì.

Oscar, lì confinata, senza poter percorrere a lunghe falcate il ponte, come faceva quando era inquieta, guardava le onde infrangersi violente contro l’oblò e batteva nervosamente il tacco degli stivali contro l’impiantito. Non era stata la tempesta ad innervosirla, a parte i tuoni che la facevano ancora sobbalzare, come quando era bambina. Era stato il racconto di Domenico.

“Come temevamo, ma ora è evidente, André! Stanno cercando la stessa cosa!”

“Io la vedo diversamente, Oscar.”

Lo guardò incuriosita, mentre André si avvicinava di un passo.

La straordinaria capacità. La straordinaria capacità di André di acquietare le tempeste. Di trasformare in mare placido il più burrascoso degli oceani. Si domandò come facesse, André, a sedare ogni sua rabbia, a placare ogni suo turbamento, a dirle sempre la cosa giusta, a suggerirle la soluzione più saggia.

E tutto questo senza farsene accorgere. Da sempre.

Per un attimo pensò che se si fosse messo a prua a guatare i marosi, il cielo si sarebbe aperto ed il vento si sarebbe dissolto in una lieve brezza.

Perciò spalancò gli occhi ed attese che lui continuasse.

“Lazzaro e Domenico inseguono un mito, forse un procedimento alchemico. La pietra filosofale che, invece di trasformare il piombo in oro, accende di fuoco l’aria. Noi sappiamo di cercare qualcosa di assai più concreto: una persona, in possesso di un prototipo. L’applicazione pratica di qualunque esoterica illazione. “

“Ma i fratelli massoni cosa starebbero cercando?”

“E’ questo il vero arcano, Oscar. Apparentemente la Massoneria ha finanziato la missione di Domenico e di Lazzaro. Ed ha finanziato pure la nostra, attraverso il Duca d’Orleans, Gran Maestro del Grand Orient de France ...”

Ma forse non era previsto che i nostri cammini si incrociassero ...” concluse Oscar “e comunque non credo che Domenico, e tantomeno Lazzaro, abbiano mai sospettato che la loro missione fosse affine alla nostra, non ne avrebbero parlato così liberamente ...”

La pioggia scrosciava incessante. La nave scricchiolava, lamentandosi come un animale ferito. André fece ancora un passo in avanti. L’abbracciò stretta.

La tempesta parve tacere. In quell’abbraccio confortante, tiepido e fresco allo stesso tempo, Oscar chiuse gli occhi stanchi, troppo stanchi. Quando lui la prese in braccio e la accomodò sul loro giaciglio, le parve di addormentarsi sotto la loro quercia preferita ad Arras, al tepore di un pomeriggio di tarda primavera.

 
* * *
 
A Chios le tenebre avevano protetto Lorenza, mentre entrava nella caserma dei giannizzeri. Cercando del segretario di Cezayirli Gazi  Hasan Pascià.

Hasan Pascià era appena tornato dall’Egitto, dove comandava le truppe del Sultano nella guerra per scacciare gli emiri mamelucchi. Non poteva riceverla, ma le consegne erano state chiare. Ed altrettanto gli ordini.

Un anno e mezzo prima, a Pera, aveva salvato Alba, da una condanna a morte. Certa. Aveva appiccato il fuoco al palazzo di suo padre, il mercante Girolamo Rebuffo, ed erano morti tutti. Questo dicevano le prove. E per lui era stato facile catturarla.

Voleva sparire ed aver salva la vita? Poteva arruolarsi fra le spie al suo servizio. Una fanciulla non desta sospetti, non incute timore. Anche se è pericolosa.

E che quella fanciulla fosse pericolosa, non era in dubbio.  L’aveva letto nei suoi occhi.  Così simili ai suoi.

Acquistato come schiavo, quando era ancora un bambino, aveva scalato tutte le gerarchie militari. Ora era ad un passo dal diventare governatore ottomano d'Egitto.

Il suo compagno d’arme, dai tempi in cui militava fra i corsari barbareschi ad Algeri, il Rais Henel Alvagi, gli aveva raccontato del salvataggio dell’equipaggio di una nave francese, venduto al mercato degli schiavi di Tripoli. Quella nave, la Misticque, imbarcava passeggeri importanti. Li avevano riscattati a peso d’oro.

Per uno strano caso del destino erano stati ad un passo dal perderne le tracce. A Malta dovevano imbarcarsi di nuovo sulla Misticque, ma quella nave era salpata senza di loro. Alba era riuscita a sbarcare all’ultimo, di soppiatto come era salita a bordo, appena si era accorta che il capitano della Misticque voleva solo tornare in Occidente. Per fortuna non ci aveva impiegato troppo tempo a capire che i suoi obiettivi avrebbero preso il largo con il brigantino Santo Stefano.

Rifletteva, Hasan Pascià.

Nel tempio di Hathor, sulla riva occidentale del Nilo, misteriosi bassorilievi raffiguravano fiori di loto, trasparenti come vetri di Murano. I vecchi tramandavano una leggenda: che il serpente racchiuso in quei fiori diventasse incandescente ed illuminasse il buio.

I Massoni cercavano la luce perpetua. Il Gran Maestro dei Cavalieri di Malta, suo acerrimo nemico, aveva ingaggiato due studiosi italiani.  A corte si mormorava che un ungherese, il più fido consigliere di Rabi'a Semi Sultana, la madre del Sultano, fosse in possesso di informazioni importanti.

Lui doveva arrivare per primo.

Grazie ad Alba ora aveva tra le mani l’intero lavoro dei due studiosi. E tutte le informazioni per seguirne le mosse a Istanbul.

Quando apprese, dal rapporto di Alba, che altri due passeggeri parevano altrettanto interessanti, un sorriso di cupida soddisfazione piegò le sue labbra in un ghigno.

Certo la sua spia pretendeva una adeguata ricompensa. Voleva affrancarsi da lui ed aver licenza di compiere la sua vendetta.

Uno dei due, una donna bionda straordinariamente bella, addestrata alle armi come un militare, era il colonnello Oscar François de Jarjayes. Che quella giacesse ogni notte col suo compagno non ne avrebbe diminuito di molto il valore.

Ragionò a lungo, Hasan Pascià.

Il Rais Henel Alvagi gli sarebbe stato riconoscente se ne avesse fatto omaggio per il suo Harem, ed avrebbe tratto soddisfazione, se ben lo conosceva, ad ucciderne l’amante davanti a suoi occhi, nel più cruento dei modi.

Ma anche in Francia qualcun altro poteva offrire molto, in cambio.

Era ora che Alba tornasse in Europa. Là sarebbe stata assai più utile e poi, forse, anche lei avrebbe potuto ricevere la sua ultima ricompensa.

 
* * *
 
Quando giunsero a Limnos, due giorni dopo, due novità erano lì ad attenderli.

Nonostante i visti e nonostante l’alleanza tra la Francia e l’Impero Ottomano, la Santo Stefano avrebbe potuto proseguire solo fino all’isola di Tenedo, dove sarebbe rimasta all’ancora con tutto il suo equipaggio.

A Tenedo, il Conte Jules de Saint, Monsieur Jacques Preux, Monsieur Domenico Sestini e l’Abate Lazzaro Spallanzani avrebbero concluso il loro viaggio su una galera turca, attraverso lo stretto dei Dardanelli, verso il Mar di Marmara. Verso Istanbul.

La seconda novità era che a Limnos, assieme ai lasciapassare per entrare a Istanbul, giaceva una missiva spedita a Monsieur Preux da Monsieur Johann Philipp Möller, tramite il servizo postale del Regno di Sicilia.

Oscar e André si erano dunque precipitati sulla nave, in cerca di un angolo appartato, per leggere quell’inattesa corrispondenza.

Ad Oscar le mani tremarono un poco, quando, dopo avere aperto il plico sigillato ed avervi trovato all’interno altri due plichi, anch’essi sigillati con ceralacca, riconobbe sull’esterno di uno dei due, la calligrafia del padre.

A mio figlio”. 

Man mano che le lettere, pazientemente trascritte con l’aiuto di André e del primo Libro della Genesi, diventavano parole e frasi di senso compiuto, gli occhi di Oscar luccicavano di commozione.

Perché erano più di due mesi che non aveva notizie di suo padre. Prigioniero alla Bastille. Per colpa sua.

Ma non voleva farsi vedere mentre piangeva, Oscar. Un militare non piange. Perciò mentre rileggeva la lettera, a voce bassa, ma udibile, perché anche André potesse sentire, deglutiva e di tanto in tanto chiudeva gli occhi.

Mentre André, che aveva capito tutto, faceva finta di non essersi accorto di niente.
 
§ § §

 
Mai scrivere una lettera cifrata iniziando direttamente dal luogo e dalla data. Come invece hai fatto tu, scrivendomi la tua missiva. Dovresti saperlo. Te l’ho insegnato. Ma credo di poter essere indulgente, per questa volta.

E’ il sedicesimo giorno del quarto mese dell’anno.

Ricordo di avere conosciuto il conte di cui mi hai fatto cenno nella tua lettera. Un avventuriero, indegno di qualunque fiducia.

Quando lo conobbi, prima che fosse esiliato, tu dovevi ancora compiere cinque anni e lui dimostrava qualche anno più di me.

Ricordo che solo il duca di Choiseul riusciva a tenergli testa, era quasi riuscito nell’intento di smascherarlo. Ma purtroppo è morto due anni fa.

Se è veramente lui, colui che devi cercare al termine del tuo viaggio, il mio consiglio è: diffidare.

All’epoca si mormorava fosse un alchimista, ma non mi farei suggestionare da certe idee. Se cercando non troverai un vecchio segnato dagli anni, avrai trovato solo un impostore.

Non mi spiego tuttavia la ragione ultima di questa tua missione. Un lume perpetuo? Suvvia!

Colui che ti ha costretto a questo viaggio non aveva bisogno di te. So per certo che è stato mecenate di quel Lafitte che laggiù sta dirigendo i lavori di costruzione della scuola di ingegneria. E non dubito che fra i trecento uomini inviati dalla corona per aggiornare le milizie turche, ci siano anche suoi fedeli seguaci.

Ma soprattutto, figlio mio, non angustiarti.

È vero: sei stato imprudente ed avventato; anche se la trappola per catturare il cavaliere nero era ingegnosa, non nei hai soppesato i rischi.  Tuttavia, colui che ha ricattato così vilmente la nostra famiglia avrebbe trovato comunque un’altra strada per nuocerci, per punire me del rifiuto di aderire alla Gran Loggia, per alienarci la fiducia dei sovrani. Per privarli della nostra protezione.

Ed infine, figlia mia, sappi che sono in buona salute.

Nonostante la mia prigionia, non manco di nulla. Tua madre ha abbandonato il suo impegno a corte, ma resta salda come una roccia, così come la cara nutrice che nonostante il dolore per la lontananza tua e del suo adorato nipote provvede sempre per il nostro meglio.

Ancora una cosa, figlia mia, sono sicuro che ti è stata imposta una seconda condizione, che hai tenuto nascosta non solo a me, ma anche al tuo attendente.

Sono addolorato, figlia mia, con me avresti dovuto confidarti.

Quantomeno ricordati che ti puoi fidare di chi, in questo momento, non dubito che stia leggendo queste righe assieme a te.

Perché sono stato io a sceglierlo perché fosse la tua ombra.

E spero di trovarvi entrambe in buona salute, quando riceverai questa lettera.

 
§ § §

 
Mancava la firma. Il Generale non rinunciava ad essere prudente.

La strinse stretta a sé, André. E Oscar ne fu grata, che quelle lacrime non riusciva più a trattenerle ed ora potevano scendere silenziose. Facendo finta che lui non se ne accorgesse.

E lui la strinse ancor più forte, quando, gettando uno sguardo sulla seconda lettera, si avvide che era sigillata con l’impronta di un riksdaler svedese.

“La strada sarebbe stata lunga. Tutte le strade che portano dove desidera il cuore sono lunghe. Ma questa strada, che l'occhio della mia mente vedeva su una carta, in modo professionale, con tutte le sue complicazioni e difficoltà, era però in un certo senso abbastanza semplice. Si è uomini di mare o non lo si è. E io non avevo dubbi di esserlo”

(Joseph Conrad, La linea d’ombra)
 
 
 
 
 

 
  
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