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Autore: Doppiakappa    25/04/2022    0 recensioni
Roy Steinberg, sedicenne figlio dello scienziato più influente del 2085, si ritrova vittima di un particolare incidente che lo porta al contatto con una misteriosa sostanza extraterrestre. A sua insaputa, si ritroverà coinvolto in una serie di eventi che lo porteranno a dover salvare il mondo da un'enorme minaccia.
Genere: Azione, Romantico, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
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Queen City, distretto Sud-Ovest, periferia, la stessa sera.
 
 
Aren si aggirava per la periferia di Queen City, affiancato da cinque suoi uomini. Camminava lentamente, lui, in quell’ambiente morboso che gli ricordava la sua Berlino, la sua maledetta Berlino. Ovunque girasse lo sguardo poteva notare gente di strada, povera, malconcia, ridotta alla fame.
Si proiettò dieci anni nel passato, facendo riemergere quel bambino, il figlio di una delle innumerevoli puttane che vivevano di stenti nei vicoli della grande metropoli tedesca. Quel bambino che Simon aveva salvato, aveva cresciuto e aveva reso un arma. Guardò poi nuovamente le persone attorno a lui, rimanendo nel più totale silenzio, assieme sua stessa figura infantile, immobile accanto a lui.
“È veramente la cosa giusta da fare?” la voce del bambino fece voltare il ragazzo, lasciandolo perso in una figura immaginaria, proiettata dalla sua mente.
“Non lo so. Simon ha deciso così, dobbiamo fidarci di lui.” rispose a sé stesso, tornando a guardare la città.
“Tu ti fidi di lui?” chiese il bambino, cercando il contatto con le iridi di zaffiro del castano.
“Tu ti sei fidato.” disse, guardando il suo passato negli occhi.
“Siamo ancora la stessa persona?” furono le ultime parole di quell’illusione, parola che si unirono alla leggera brezza che l’aveva portata via, quell’illusione.
Aren sbuffò infastidito, voltandosi a parlare coi suoi uomini.

- Reclutate tutta questa gente, dategli i dettagli del luogo di incontro e dell’ora. Ricordate, niente domande. Date loro la speranza, non spiegazioni.

- Sissignore! – risposero all’unisono i cinque uomini, dividendosi le zone di quel quartiere.
 
Il ragazzo tirò dritto, entrando in uno dei diversi night club della città. Erano tutti uguali quei posti, l’esatta copia l’uno dell’altro, identici a quelli di Berlino, i maledetti night clubs in cui era cresciuto. Si guardò attorno, notando subito il pappone del locale: un uomo sulla sessantina, vestito in modo appariscente, con catene e anelli d’oro, un paio di baffi stile retrò e una nera chioma visibilmente trapiantata, pettinata accuratamente.
Analizzò lo spazio attorno a lui: due uomini alla sua destra, sette al bancone, dieci nella zona pole dance, altri dieci ai tavoli. Ventinove uomini, tutti armati, era chiaramente un club di un qualche clan mafioso. Il barista notò il ragazzo, gettando su di lui tutta l’attenzione dei presenti.

- Ehi moccioso! Non siamo un pochino giovani per entrare in un posto simile? O forse sei qua perché la mamma lavora qui?! – disse, facendo scoppiare gli altri a ridere.

- Immagino teniate le donne chiuse sul retro, mi sbaglio? – chiese il castano, ignorando le parole del barista.

- A te che cazzo importa delle mie ragazze, fottuto moccioso?! -  infuriò il pappone, avvicinandosi e puntando una pistola alla tempia del ragazzo. – Ascolta bene, marmocchio, sei già fortunato a essere in questo posto per più di dieci secondi, non hai la minima idea di chi siamo e di cosa possiamo farti. – lo minacciò, premendo la canna sulla pelle del ragazzo.

- Non mi hai risposto. Tenete le donne sul retro? – lo provocò Aren, preparandosi allo scontro.

- Va bene allora… Oggi mi divertirò un mondo bestiacce! Era da troppo che non torturavo un bambino. Fai la nanna adesso! – gridò, facendo per colpire il castano con l’impugnatura della Beretta.
Aren con un’azione fulminea torse il polso dell’uomo, rubandogli la pistola e ficcandogliela in bocca. Gli altri uomini si alzarono contemporaneamente, tirando fuori i ferri e puntandoli dritti verso il ragazzo. Aren premette il grilletto, seccando l’uomo con un colpo, utilizzando poi il suo corpo come scudo. Mantenendo la pistola nella bocca del cadavere, sparò altri tre colpi, eliminando il barista e altri due uomini accanto, colpendoli con precisione millimetrica in mezzo alla fronte. Con un rapido salto si mise dietro al bancone, gettando via la pistola e prendendo quella del barista. Estrasse il caricatore e contò i proiettili al suo interno: 7. Afferrò una delle bottiglie e sbucando dietro uno degli uomini, glie la fracassò sul cranio, usando poi il suo corpo come scudo. Neutralizzò sette dei dieci uomini nella zona pole dance, strozzando l’ottavo con una morsa e la pistola scarica, mentre si gettava all’indietro per usare la piattaforma come riparo. Frugò nelle tasche del fresco cadavere, trovandoci un coltello a farfalla. Quel tipo di armi non gli piacevano, tutta scena e poca versatilità, ma si doveva accontentare.

- Chi cazzo è questo qua?! Fatelo fuori subito! – gridò uno degli uomini rimasti in piedi, scaricando l’ennesimo caricatore verso la postazione da pole dance.
Aren scivolò verso uno dei tavolini, lanciando il coltello dritto alla giugulare di uno dei mafiosi, saltando poi addosso a un altro, torcendogli il collo con la sola forza delle gambe, utilizzando poi la sua Uzi per terminare il resto della banda.
Il ragazzo dagli occhi di zaffiro si alzò da terra, voltandosi poi verso le prostitute sdraiate al suolo, terrorizzate di fronte alla scena.

- Non preoccupatevi, sono venuto per liberarvi. Dove sono le vostre compagne? – chiese, cercando di rassicurare le donne in preda allo sgomento. – Non ho intenzione di farvi del male, ve lo giuro. Mia madre era una prostituta, so benissimo come venite trattate, sono qua per porre fine a questo orrore… dove sono le vostre compagne? – chiese nuovamente.

- N-Nel retro… L-La porta è-è l-lì… - disse, balbettando e indicando una porta metallica rossa, chiusa a chiave.

Aren tirò fuori dalla cintura una fiala, versandone poi il contenuto sulla serratura. Questa iniziò a fondersi, permettendo così al castano di sfondare la porta con un calcio. Ciò che ci trovò dentro gli fece venire un nodo in gola, venendo assalito poi da orribili ricordi. Sul pavimento giacevano una ventina di donne, così magre da poterne contare le singole vertebre. Alcune di loro erano ferite, altre erano prive di coscienza, altre ancora cercavano disperatamente un pezzo di pane nei luridi cassetti di un’ormai marcia scrivania d’ebano. Gridarono all’unisono, cariche di uno spaventoso terrore, il terrore di donne attaccate a quel che restava della loro vita.

- Vi prego di calmarvi… sono venuto per liberarvi… - disse Aren, indietreggiando lentamente e mostrando l’uscita sgombra alle donne. – Ho due furgoni medici all’esterno, andate lì e fatevi curare. Il mio capo vuole aiutare chi è in difficoltà, vuole aiutare voi, vuole donarvi il futuro che meritate.

- C-Chi siete? – chiese una delle donne più vecchie.

- Siamo il futuro di questo mondo, e vogliamo che anche voi possiate farne parte. Come voi mia madre era una prostituta, ma grazie all’aiuto del mio capo siamo riusciti a rinascere, con una vita, con una speranza.

- Cosa dobbiamo fare?! – chiese una delle altre, con voce carica di speranza.

- Andate all’esterno, fatevi medicare e fatevi dare le istruzioni dal mio personale. Vi chiariranno tutto loro.

- Grazie… ci hai salvato la vita…

- Non dovete ringraziare me, ma il mio capo. È lui che mi ha mandato qua. Avrete modo di farlo se vi unirete alla nostra causa. – concluse il castano, uscendo dal locale e dando ai propri uomini le indicazioni per terminare la mission.

Drake era arrivato con la sua Jeep, sgommando esageratamente di fronte al ragazzo.
Aprì la portiera del passeggero, invitandolo ad entrare.

- Arriverà il giorno che ribalterai sta macchina e io giuro che ti ci lascerò dentro. – disse Aren infastidito.

- Come siamo acidi stasera… ti è rimasta la cena sullo stomaco? – lo provocò ulteriormente l’uomo.

- Non ho ancora cenato, sono stanco, sono coperto di sangue, voglio solo farmi una doccia e concludere sta giornata del cazzo.

- Il bambino ha fatto troppi compiti?

- Una sola parola in più e ti rompo i denti. – minacciò il castano, lanciando uno sguardo omicida al compagno.

- Che peso… - sbuffò l’uomo, tornando a concentrarsi sulla guida.
 
I due arrivarono alla base in pochi minuti, a causa della guida spericolata di Drake. Aren scese dall’auto, girandosi verso il compagno.

- Chi cazzo te l’ha data la patente?

- L’esercito americano, perché, non ti piace la mia guida?

- Vuoi seriamente una risposta?!

- Poverino… non gli piace la velocità. – lo provocò l’uomo.

- Non ho intenzione di perdere altro tempo con le tue stronzate… - lo liquidò infastidito il castano, girandosi e dirigendosi nervosamente verso il suo alloggio.

- Buonanotte principessa! – gridò Drake, vedendosi ricambiare la cortesia con un dito medio. – Se penso alla prima volta che l’ho visto, non avrei mai detto che sarebbe stato così divertente da far innervosire. – ridacchiò poi fra sé e sé, parcheggiando la macchina e andando anche lui al suo alloggio.
 
Aren era arrivato in camera sua, gettandosi immediatamente sotto la doccia, lavando via così tutto il sangue e lo stress di quella giornata intensa.
Quell’apparizione gli era però rimasta impressa nella mente, era diventata un fastidioso pensiero che gli ronzava nella testa, mettendo a dura prova i suoi nervi.
Uscì dalla doccia con i capelli ancora bagnati, indossando la biancheria e un paio di larghi e morbidi pantaloni della tuta, rimanendo però senza maglia. Si asciugò la chioma castana, sdraiandosi poi sul letto a fissare il grigio vuoto del soffitto.
Pensava, lui. Pensava a ciò che il suo passato gli aveva detto, pensava a ciò che stava facendo, se fosse veramente la cosa giusta da fare.
Pensava a Simon, l’uomo che era diventato un padre per lui, i suoi pensieri, i suoi metodi, erano veramente la soluzione? Poche volte si era trovato così in conflitto con sé stesso, e quella sera il conflitto lo stava distruggendo dall’interno, era sul punto di una crisi.
Qualcuno bussò alla porta, richiamando alla realtà il ragazzo.

- Avanti. – rispose secco lui, cambiando subito espressione, vedendo Diana fare capolino nella sua stanza.

- Ehi, Drake mi ha detto che non hai ancora cenato, così ho pensato di prendere della pizza. – disse dolcemente, avanzando verso di lui e poggiando i cartoni della pizza sul tavolino vicino al letto del ragazzo.

- D-Diana… tu dovresti riposare ancora… n-non dovevi disturbarti…

- Aren. – il tono della ragazza ammutolì immediatamente il castano. – Per quanto tu possa negarlo, anche Drake capisce quando hai qualcosa che non va… vuoi parlarmene? – chiese poi, sedendosi accanto a lui.

Aren esitò, evitando lo sguardo della ragazza per qualche secondo, salvo poi ricercare conforto nelle sue iridi d’oceano.

– Ho avuto un’allucinazione… non riesco a capire se quello che stiamo facendo sia veramente giusto… stiamo condannando un sacco di innocenti… E poi… i suoi occhi… il suo sguardo… è cambiato, Diana… il suo sguardo mi terrorizza adesso… - disse con voce tremula, cercando di trattenere un’insolita lacrima.

La ragazza strinse il castano in un abbraccio, facendogli posare la testa sui suoi morbidi seni.

– Simon è rimasto lo stesso, Aren, lo stesso uomo che ci ha salvato la vita, lo stesso uomo il cui ideale brucia di passione e che è disposto a sacrificare tutto per raggiungerlo. Abbiamo sempre agito in questo modo: seguendo i suoi ordini, i suoi disegni, non ci ha mai deluso, e noi non abbiamo mai deluso lui. È normale esitare, Aren, anche per te. Te lo avrò ripetuto un milione di volte: non sei una macchina!

- Perché allora sto dubitando di Simon? Perché improvvisamente la fiducia che ho in lui i si sta torcendo contro? – chiese lui, stringendo la ragazza.

- Forse hai solo paura di deluderlo o di essere deluso da lui. Aren, Simon ci ha cambiato la vita, ci ha promesso un mondo in cui possiamo vivere assieme, lasciandoci i nostri passati alle spalle. Dobbiamo avere fede in lui, nel suo progetto e in noi stessi. Ehi, non c’è nulla di sbagliato nello stare male. – disse poi, carezzandogli la testa.

Il ragazzo rimase in silenzio, tirandosi su e guardando nuovamente le iridi della ragazza.

- Non mi piace vederti così, Aren. – disse la ragazza, spostandogli un ciuffo di capelli dal viso.

- Scusa… stasera non so cosa mi sia preso…

- Dovresti mangiare qualcosa, forse è la fame che ti ha reso così… - scherzò lei, vedendolo sorridere lievemente. – Questa è l’espressione che mi piace vederti in viso… - disse poi, avvicinandosi al ragazzo e rubandogli un bacio da quelle rosee labbra.

Aren esitò confuso, ricambiando però il bacio delicatamente. Le occasioni in cui i due ragazzi divenivano così intimi erano poche, a causa della loro ripromessa di non porre i loro sentimenti prima del lavoro. Tuttavia, i due sentivano di tanto in tanto la necessità di passare del tempo assieme, come una vera coppia. Nella loro mente risuonavano ancora le parole che Simon aveva rivolto loro, il giorno in cui venne a sapere della relazione fra i due:
“Ricordate figli miei, l’amore è il più grande sentimento dell’uomo, ma è anche il più doloroso da perdere. Per accettare veramente l’amore bisogna essere pronti anche ad accettare di poterlo perdere… perché quando accade e non si è pronti… il dolore è talmente grande da non abbandonarti più per il resto della vita…”
 
Diana guardò le iridi gelide del ragazzo, carezzandogli la guancia. – Ogni tanto sgarrare non è un male. – disse, sorridendo. – Ora che ne dici di mangiare, prima che la pizza si raffreddi? – chiese poi, spostando insistente lo sguardo sui cartoni.

- Va bene… - rispose rassegnato il ragazzo, ricambiando però il sorriso.
 
 
Berlino, quartier generale dell’Anonymous Asset, la mattina seguente, orario europeo.
 
La direttrice dell’Asset giaceva nell’ufficio all’ultimo piano di uno dei tanti grattacieli della nuova Berlino. Fissava la grande vetrata che la separava dal tetto verde, decorato in stile mediterraneo, una serra-oasi in mezzo al grigio cemento della città. I rami di rosmarino venivano delicatamente bagnati da un’onda di vento, danzando a un ritmo ipnotico, fondendosi coi movimenti delle foglie di mirto che leggere, dondolavano cullate dalla brezza. La donna era immobile, con lo sguardo colmo di una percepibile preoccupazione, teneva le braccia conserte, in una sorta di abbraccio confortante.

-Frau Gea, Axel hat uns die Analyse der Infiltration von vor zwei Monaten zur Verfügung gestellt. Signora Gea, Axel ci ha fornito l'analisi dell'infiltrazione di due mesi fa. – una voce femminile interruppe i pensieri della donna.

-Danke, richten Sie ein Support-Team ein. Grazie, prepara un team di supporto. – rispose lei, congedando l’agente.

Gea prese in mano il tablet con le informazioni sull’attacco alla struttura di contenimento: i sensori erano riusciti a captare solo una piccola quantità di movimenti, generando un grafico approssimativo di quelle che potevano essere state le capacità dell’intruso. Spostò poi lo sguardo sui dati trafugati, analizzandoli e scrivendo un proprio rapporto su un secondo terminale. Osservò poi i dati delle ricerche possedute da Andrea Del Forte, soffermandosi su una specifica del B.M.M.D. in particolare.
Colta da un’intuizione, Gea prese in mano il telefono del suo ufficio, contattando immediatamente Axel.

- Klein a rapporto, Signora Gea.

- Axel, sto guardando i dati che mi hai inviato, ho notato una cosa che potrebbe aiutarci nella ricerca dell’Ægis.

- Che cosa, Signora Gea? – la voce del ragazzo era seria, come suo solito.

- Ci sono delle incongruenze fra i grafici delle onde cerebrali necessarie al completo funzionamento della tecnologia. È possibile che adesso stiano cercando di correggere questi fattori.

- Quindi sta dicendo che…

- Hanno bisogno di qualcuno che s’intenda di neuroscienze. Una squadra di supporto arriverà entro domani, voglio un tracciato demografico di tutti i neurologi, neurochirurghi e neurochimici dello stato. Mandatemi gli esiti nel minor tempo possibile.

- Sissignora, la contatterò il prima possibile.

- Grazie, Axel. Buon lavoro.

- A lei. – rispose il ragazzo, terminando la chiamata.
 
La donna guardò nuovamente i dati, arrotolando nervosa i suoi lunghi capelli biondi attorno a una penna digitale.

- A che gioco stai giocando, Schwarz…? – disse tra sé e sé, volgendo nuovamente lo sguardo al piccolo giardino. – Non arriverai a Roy tanto facilmente…- concluse, aprendo le grandi porte di vetro e uscendo dall’ufficio.
 
 
 
 
 
Queen City, Villetta degli Steinberg, la stessa mattina, orario americano.
 
Roy e Aiden avevano iniziato a preparare il tavolo per la colazione, quando Blaze ed Ethel entrarono in cucina, ancora assonnati.

- Buongiorno… - disse Blaze, sbadigliando.

- Buongiorno ragazzi, dormito bene? – chiese Aiden sorridendo ai due.

- Benissimo, Signor Steinberg, grazie ancora per averci ospitato.

- Mangiate qualcosa adesso, ho preparato la colazione. – invitò poi i due a sedersi.

- Grazie mille Signor Steinberg! – rispose Blaze, tornando magicamente in vita.

- Ti vedo meglio oggi, Roy. – disse Ethel sorridendo.

- Un po’ mi va meglio anche grazie a voi. – ricambiò lui il sorriso, prendendo poi una delle numerose brioches alla crema

- Devo sbrigare delle cose al laboratorio adesso, rimanete qua anche a pranzo, Axel ha avuto un impegno improvviso, vi accompagnerà dopo.

- V-Va bene… grazie mille… - risposero i due all’unisono.

- Roy è abbastanza bravo ai fornelli, siete in buone mani. – salutò i tre ragazzi, gettando un po’ d’allegria nell’aria, per poi dirigersi verso il laboratorio.
 
I tre ragazzi finirono di mangiare, sparecchiando e spostandosi in soggiorno, sedendosi poi sul divano davanti all’enorme televisore. Volevano distrarsi un po’ davanti a un videogioco, per riprendersi dagli avvenimenti della sera prima. Roy fece un salto in camera sua, portando nell’altra stanza la sua console e tre controller, che distribuì agli amici. Montò l’apparecchio e prese posto vicino ai due ragazzi.

- Cazzo! Non ho mai giocato su uno schermo così grande, che figata! – esclamò esaltato Blaze, impugnando il controller e perdendosi nelle luci del maxischermo appeso al muro.

- A cosa giochiamo, ragazzi? – chiese Roy, facendo scorrere la selezione del menu.

- Hai l’ultimo Mario Kart? – chiese Ethel, guardando Blaze con aria strafottente.

- Certo, ora lo seleziono. – rispose il biondo, muovendo rapidamente le levette del controller.

- Stronza… - mormorò Blaze.

- Che c’è, paura di perdere? – lo provocò lei.

- Siete molto competitivi vedo. – disse Roy, ridacchiando.

- Oh sì, lei è una stronza infame su sto gioco, stai attento Roy. – lo avvertì il castano.

- Sei tu che sei scarso, Mr. Banana… - continuò a provocarlo la rossa.

- È successo una volta sola, ok?! Non avevo visto il muro! – gridò lui, cercando di mascherare una lieve vergogna.

- Mr. Banana? Come mai questo soprannome? – chiese incuriosito il biondo.

- Una volta sto scemo si è lanciato addosso le sue stesse banane… - Roy si fece scappare uno sbuffo divertito.

- Una sola volta!

- Haha… dai, vediamo cosa sapete fare. – riporto Roy l’attenzione sul gioco.
 
I tre ragazzi giocarono per un paio d’ore, immersi in un divertimento naturale, spontaneo, così forte da coprire i disastrosi sentimenti della sera prima. Roy si sentiva improvvisamente bene, era la prima volta che riusciva a divertirsi così dopo tanto tempo, da quando aveva lasciato la Germania non aveva più avuto qualcuno con cui giocare e passare il tempo.
A un certo punto Ethel dovette andare al bagno, lasciando momentaneamente soli i due ragazzi. Blaze sedette a gambe incrociate di fronte a Roy, guardandolo con una faccia allegra.

- Beh? Ci vogliamo sbrigare a fare la prima mossa? – chiese, punzecchiando l’amico con un dito.

- E-Eh? – il biondo fece finta di non capire.

- Avanti Roy, lo hai capito no? Ethel è interessata a te… fatti avanti con lei!

- S-Sì ma…

- Ma cosa?!

- Non sono molto abile a relazionarmi con gli altri… figuriamoci con una ragazza…

- Ascoltami, ti sei aperto con me. Con me, e mi vieni a dire che non riusciresti ad aprirti anche con Ethel?!

- Mi sento solamente un po’ insicuro… non so come comportarmi in queste situazioni…

- Cristo! Ti dico io come comportarti: quando ce ne stiamo per andare, tu le proponi di uscire. La conosco bene, Roy, è praticamente mia sorella. Dirà sicuramente di sì, fidati di me.

- V-Va bene…

- Di che parlate, ragazzi? – chiese Ethel, tornando in salotto.

- Nulla di particolare, scuola.

- Vi va se iniziamo a preparare il pranzo? Comincio a sentire un po’ di fame… - chiese il biondo, voltandosi verso la cucina.

- Buona idea, ti aiutiamo! – rispose Blaze, alzandosi agilmente dal divano.
 
I tre ragazzi prepararono un curry di pollo e verdure, scherzando e chiacchierando mentre tagliavano i vari vegetali che Roy aveva accuratamente lavato e posato sul tavolo.
Mangiarono con gusto, parlando del più e del meno, richiamando nuovamente gli avvenimenti del giorno prima, cercando di supportarsi a vicenda. Il tempo volò senza che i tre potessero rendersene conto, e come annunciato da Aiden, Axel venne a prendere i due ragazzi.

- Ringrazia ancora tuo padre per averci ospitato, è stato gentilissimo. – disse Ethel sull’uscio della villetta.

- Vero, ringrazia tuo padre anche da parte mia Roy. Ethel io vado intanto… ciao ROY! - Blaze guardò il biondo con uno sguardo particolare, facendosi capire al volo.

- Senti… Ethel… ti andrebbe di… uscire assieme uno di questi giorni? – chiese timidamente Roy.

- Certo, martedì va bene!

- Va b-benissimo… - balbettò lui.

- Mi faccio dare il tuo numero da Blazy, sono contenta tu me l’abbia chiesto. Grazie ancora per averci ospitato! – lo salutò lei, dandogli un bacio sulla guancia e dirigendosi verso la macchina di Axel.
 
Roy guardò immobile i propri amici allontanarsi sul bolide, rientrando poi in casa e stendendosi sul divano. Pensò alla giornata appena trascorsa, pensò a quanto si era divertito e a quanto gli mancasse avere qualcuno con cui passare del tempo assieme. Il biondo ripensò infine al bacio sulla guancia ricevuto da Ethel, arrossendo pesantemente e sentendo le parole di Blaze echeggiargli nella testa.
Non gli piaceva essere in imbarazzo, era una delle cose che più odiava in vita sua. Per distrarsi, decise di scendere in palestra e rimettere in sesto completamente i muscoli ancora indolenziti dallo sconto del giorno prima, anche se completamente rigenerati.
 
   
 
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