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Autore: yachan    25/04/2022    0 recensioni
Cosa significa "essere se stessi"?
Da bambino non me ne preoccupavo.
Se qualcosa mi infastidiva, mi arrabbiavo. Se qualcosa mi piaceva, lo dicevo.
Ma tutti noi cambiamo nel tempo.
Così come le cose che vogliamo proteggere...
Genere: Commedia, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Doraemon, Hidetoshi Dekisugi, Nobita Nobi, Shizuka Minamoto, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Personaggi: Doraemon - Nobita Nobi - Shizuka Minamoto - Takeshi Goda (Gian) - Suneo Honekawa - Dekisugi Hidetoshi - Jaiko Goda - Hiro Kuroyama - Chika Tanaka - Aki Sasaki - Yoshino Saotome - Yukio Mori - prof. Toshio Tsutomu

 

 

Salì lentamente lungo il sentiero facendosi strada tra la vegetazione incolta, l'erba alta e gli arbusti.

Ogni tanto fermandosi a odorare il profumo degli alberi e delle loro foglie.

Le suole delle scarpe sfregavano sul suolo di terra secca, rendendo il suo passaggio poco silenzioso. Non erano proprio le scarpe più adatte a una scampagnata nella natura, ma la decisione era stata così improvvisa, che non si era neanche posto la preoccupazione di cambiarsi.

Anche la giacca che aveva indossato per l'occasione di quel giorno, ora penzolava sotto il braccio, rimanendo con addosso una camicia un po' sudata a cui aveva arrotolato la manica per comodità. La cravatta allentata, dondolava al collo a ogni suo passo. Non assomigliava per niente alla figura elegante che si era presentata al colloquio solo qualche ora prima.

Ma era più forte di lui, appena lontano dall'edificio scolastico si era subito allentata la cravatta. E mentre si dirigeva verso la stazione dei treni, il suo sguardo era stato catturato da una montagnetta lì vicino. Non lo aveva programmato, semplicemente aveva deviato il suo percorso, e si era diretto lì.

E passo dopo passo, lontano dagli sguardi indiscreti, aveva sentito allentarsi la tensione nel suo corpo, sostituita dalla stanchezza della scalata.

Si soffermò per passarsi una mano sulla fronte, mentre il suo sguardo veniva attirato dal paesaggio. Il punto della montagnetta dove si era fermato, era abbastanza alto per permettergli di avere una panoramica piuttosto estesa della città. Se strizzava gli occhi, poteva anche individuare l'edificio scolastico da cui era arrivato.

Non poteva credere di aver fatto tanta strada, per tornare poi da dove era partito.

Con la giacca stretta sotto il braccio, si permise di fare un profondo respiro. L'aria era decisamente più fresca in quel punto e il leggero venticello era un sollievo in quel caloroso giorno.

Nei suoi ricordi dell'infanzia il paesaggio che stava guardando era mutato, aiutato dal progresso e le novità, ma alcune cose non cambiavano, come quella montagnetta su cui stava.

Si grattò il viso, sentendo sulle dita la ricrescita della barba. Cosa avrebbe dato per avere a portata di mano una buona birra fresca. L'ideale per una giornata così. Non aveva neanche una maledetta sigaretta, aveva consumato il suo ultimo pacchetto prima di scendere dal treno.

Si guardò intorno, il sole picchiava e non sarebbe stato male trovare un posto all'ombra dove riposarsi.

Lasciando il sentiero principale, si addentrò più in profondità nel boschetto. Lo sbattere delle ali degli uccelli che si alzavano in volo, gli fece istintivamente alzare lo sguardo.

La luce accecante del sole non gli permise di riconoscere la specie di volatile.

Distratto, non fece caso a dove metteva i piedi, quindi quando si trovò un ostacolo improvviso, non fece in tempo a fermarsi prima di inciampare.

  • Ouch!

Sentì qualcuno lamentarsi, proprio quando inciampò. Rimettendosi in piedi, si guardò indietro per capire contro cosa era andato a sbattere il piede.

  • Ehi, che modi!- esclamò un giovane ragazzo, sdraiato proprio ai piedi di un albero.

Coperto in parte dall'ombra degli alberi, non aveva notato la sua presenza. Anche perché non si sarebbe aspettato di vedere qualcuno lì sdraiato.

Il ragazzo si stava massaggiando il fianco, dove gli era quasi caduto l'uomo, e con l'altra mano tastava il terreno alla ricerca di un paio di occhiali.

Lui lo individuò prima e glieli passò. Il ragazzo una volta indossati, gli rivolse uno sguardo di rimprovero dietro quei occhiali rotondi.

  • Scusami, non ti avevo visto...- ammise l'uomo, per poi aggiungere in tono critico- Anche tu, però. Se ti sdrai qui, chiunque può inciampare.

  • Non c'è un divieto- si difese il giovane, poco contento di essere stato svegliato bruscamente- E finora nessuno mi aveva calpestato.

L'uomo fece una smorfia poco convinta, ma poi optò per lasciar stare.

Notò che lì il calore era meno asfissiante. Le foglie degli alberi offrivano la giusta zona d'ombra e l'erba era di un bel colore verde.

  • Non si sta male qui. Ti dispiace se mi siedo qui con te?

Il ragazzo non ebbe niente da optare, quindi si limitò a fargli spazio.

L'uomo si sedette a gambe incrociate sull'erba soffice, conscio che i suoi pantaloni eleganti si sarebbero sporcati. Ma non è che gli importasse molto. Se non era per il colloquio, non avrebbe ripreso a vestirsi con quei abiti poco comodi.

Il ragazzo nel frattempo lo stava osservando incuriosito. Probabilmente non erano tante le persone ben vestite che venivano in quel punto del boschetto.

  • Vieni qui spesso?- chiese l'uomo, altrettanto curioso. Cosa ci faceva lì da solo un ragazzo?

  • È il mio posto preferito- spiegò il ragazzo, con un leggero sorriso- In questo punto non arrivano i rumori della città, e soprattutto non viene nessuno a disturbare... fino ad adesso- precisò.

L'uomo fece caso all'età del ragazzo, forse frequentava ancora le medie. Le scuole avrebbero riaperto nel giro di un mese.

  • Non dovresti essere a casa a studiare o in giro con gli amici?- non è che gli interessasse molto, ma era sorpreso di non vedere qualcuno con lui.

Il ragazzo sembrò a disagio alla domanda, quindi si limitò ad alzare lo sguardo con disinteresse.

  • Faceva caldo- rispose, accomodandosi meglio sul tronco d'albero e incrociando le braccia dietro la testa. Il suo sguardo poi si soffermò a guardare l'uomo- E lei? Non sembra l'abito adatto per scalare la montagnetta.

L'uomo guardò la giacchetta un po' sgualcita, appoggiata sulle gambe.

  • Oh, questo?- si toccò la cravatta- Colloquio di lavoro- spiegò brevemente, senza andare a specificare che si era presentato per il ruolo di insegnante alla scuola superiore Mawashi- Passando da queste parti, ero curioso di vedere quanto fosse cambiata la città.

  • Viveva qui?

L'uomo si limitò ad annuire. C'era molto da dire al riguardo, in realtà.

Come l'ironia di ritrovarsi lì a distanza di anni, quando da ragazzo aveva desiderato andarsene da quel posto.

Ma del resto, vista l'ultima esperienza con il suo lavoro, era già tanto se la scuola di quella città l'aveva accettato a lavorare. Il liceo Mawashi non era una scuola di prestigio, ma ormai non gliene importava.

I suoi pensieri furono interrotti quando il ragazzo prese una cesta dietro l'albero. Al suo interno c'era cibo e acqua.

Il ragazzo incrociò il suo sguardo e gli indicò una bottiglietta.

  • Ne vuole un po'?- chiese cortesemente.

L'uomo ricordò che aveva sudato nel salire su per la montagnetta e a quanto avesse desiderato della birra fresca. Ma dell'acqua sarebbe stata più che sufficiente per placare la sua sete.

  • Ho anche un panino in più- disse con un sorriso, mentre gli porgeva la bottiglietta- Ho imparato a portarmi sempre qualcosa in più quando esco. Per qualsiasi situazione accada- aggiunse con un sorrisetto- Anche se non mi sarei aspettato questo.

L'uomo accettò anche il panino e ringraziò. Non si era accorto di essere assetato e di avere fame, fino a che non l'aveva visto tirare fuori la cesta con il cibo. Il panino era semplice, ma seduto in quel posticino fresco, lo divorò con gusto. Del resto, mangiava molto poco ultimamente.

  • Credevo che i ragazzi della tua età erano più interessati a videogiochi e stare in compagnia- commentò pulendosi la bocca.

Il ragazzo fece spallucce.

  • Preferisco passare il mio tempo libero qui.

Non poteva dargli torto. Lui stesso aveva cercato un posto dove rifugiarsi, piuttosto che saltare sul primo treno per tornare a casa.

Dopo la camminata e aver riempito la pancia, si sentiva meglio, così si distese sull'erba. Al diavolo la camicia. Non si preoccupò neanche di apparire bizzarro agli occhi del ragazzino.

Sopra di lui individuò qualche uccellino tra i rami degli alberi, che coprivano in parte la luce del sole. Erano appollaiati un po' sparsi, ma non sembravano spaventati dai due umani. Anzi, sembravano quasi scrutarli con interesse, cinguettando ogni tanto.

Quando era stata l'ultima volta che si era concesso una pausa dallo stress del lavoro?

Quando era stata l'ultima volta che si era soffermato a guardarsi intorno?

Aveva iniziato a lavorare molto presto, facendosi inglobare dalla frenesia della città, pieno di speranze e voglia di fare esperienza. Non aveva neanche trent'anni, eppure ne mostrava molti di più. Si sentiva sempre più distante da quel giovane ottimista che era in principio. Deluso dalla vita, la sua carriera sempre più a rotoli lo aveva riportato al punto di partenza.

Lì in quel luogo però, sembrava quasi che il tempo potesse fermarsi. Una piccola oasi in mezzo al caos della città in continua crescita. Anche se Nerima, rispetto ad altri quartieri, rimaneva un po' indietro.

Si permise di fare un gran respiro. Poteva ora distinguere i diversi odori di piante.

  • C'era una piccola libreria in fondo alla strada- disse d'un tratto, tenendo lo sguardo sui rami- Ora c'è una gran sala di videogiochi.

  • Ah sì- convenne il ragazzo- L'hanno aperta un anno fa. È molto frequentata dai ragazzi.

  • Dopo scuola ero solito passare davanti alla libreria e sbirciare i libri che aveva in esposizione- raccontò, riportando alla sua mente il ricordo di lui da bambino con la cartella in spalle- Il proprietario quando se ne accorgeva mi urlava dietro e io scappavo via spaventato.

  • Lo facevo anch'io alle elementari- ammise il ragazzo con un sorriso imbarazzato- Mi faceva paura quell'uomo, ma non potevo resistere dallo sfogliare i fumetti.

I due si lanciarono un'occhiata d'intesa e risero insieme, ma poi il ragazzo tornò a essere serio.

  • È stato un po' triste vederlo chiudere l'attività. Non è stato l'unico, però. Altri piccoli negozi sono stati assorbiti dal nuovo centro commerciale.

  • Almeno questa montagnetta è rimasta uguale.

  • Oh, ci hanno provato a buttarla giù- raccontò il ragazzo guardando gli alberi, l'uomo sbirciò verso di lui- Ma non hanno potuto contrastare la tecnologia del ventiduesimo secolo.

L'uomo notò che sul viso del ragazzo si era formato un sorrisetto divertito. A cosa si riferiva con quell'ultima frase? Forse era un gergo giovanile per indicare qualcosa?

In ogni caso, era contento che il boschetto aveva evitato di venire trasformato in qualcos'altro.

Si rimise seduto e si rivolse al giovane. Ora che lo vedeva meglio, aveva un viso simpatico anche se dava l'impressione di essere un tipo ingenuo.

  • Come ti chiami, ragazzo?

  • Nobita.

 

DORAEMON AND NOBITA PRESENT:

 

JUST LIKE YOU

Che significa “essere sé stessi”?

 

Cap. 9

 

  • D'accordo...

Prese una sedia e la posizionò di fronte a un ragazzo in divisa scolastica.

Si sedette e con pesantezza appoggiò la schiena sullo schienale.

Il suo sguardo si focalizzò sul ragazzo moro, seduto anche lui in quell'aula. Osservò la sua postura, con le mani appoggiate sulle ginocchia e le braccia tese, che davano l'impressione di non essere a suo agio in quel momento.

  • Ne vogliamo parlare?- chiese al giovane con tono conciliante.

Il ragazzo però non si mosse, né proferì parola. Il suo sguardo pareva voler evitare il confronto con il suo insegnante.

Lui si grattò distrattamente la testa usando la cartelletta, poi tornò a concentrarsi sul ragazzo. Era chiaro che non era intenzionato a parlare.

  • Oh, cielo!- sospirò alzando lo sguardo al soffitto- Persino il tuo compagno di classe Mori avrebbe più cose da dire.

Il commento però non sembrò divertire il ragazzo, che al contrario sembrò più deciso a tenere la bocca chiusa.

L'uomo lo osservò con attenzione. Il ragazzo seduto davanti a lui non assomigliava al Nobita goffo e socievole che molti conoscevano a scuola.

  • Non mi diverte questo, sai?- gli fece notare- Ma sono un insegnante, e questo è uno dei compiti che sono costretto a svolgere. Come se non avessi le mie rogne a cui pensare- brontolò.

Il ragazzo non aprì ancora bocca, e il suo sguardo rivolto all'ambiente intorno a loro, sembrava indicare che non gli stava prestando tanta attenzione. Lo vide infatti sbirciare tra gli oggetti delle scrivanie dei professori, come assicurandosi che non ci fosse qualcun altro oltre a loro due.

  • Siamo solo noi due, Nobi- ci tenne a precisare.

Anche se era palese che nessun professore avrebbe perso il suo tempo prezioso, per stare dietro a dei ragazzini.

Ma nonostante questa rassicurazione, il ragazzo sembrò ancora distratto guardandosi intorno.

Ciò lo irritò un po'. Se c'era qualcosa che non sopportava, era perdere il suo tempo con persone che chiaramente non volevano collaborare. E il ragazzo lo sapeva.

Forse sperava che facendo così l'uomo si stufasse in fretta e lo lasciasse andare, evitando quindi l'interrogatorio.

Perciò l'insegnante trattenne l'impulso di arrendersi e cercò di calmare la sua frustrazione. Preferiva di gran lunga affrontare l'alunno Kuroyama, era uno dalla mentalità più semplice da gestire.

Be', se Nobita voleva metterlo alle strette, anche lui poteva fare altrettanto.

Si portò davanti la cartellina e ne sfilò un foglio dal suo interno.

  • Vogliamo iniziare con la risposta al tuo questionario?

L'uomo osservò che il ragazzo parve irrigidirsi, anche se non voleva renderlo evidente.

  • Hai lasciato il foglio praticamente in bianco. Alla frase su i tuoi progetti, hai risposto solo “viaggiare”. Posso dedurre quindi che il tuo improvviso interesse dell'anno scorso sulle possibili carriere da fare all'estero, non sia stato casuale.

Cercò di catturare il suo sguardo, ma l'altro fissava il pavimento con insistenza e le sue labbra erano serrate. Non era ancora intenzionato a parlare.

  • Capisco- alzò lo sguardo con pazienza- Ma sbaglio a dire che la rissa di due giorni fa, sia collegata all'aver lasciato il questionario in bianco?

Il ragazzo aprì gli occhi in modo così evidente, che lui non poté evitare di prestarci attenzione. Ma sapeva che Nobita non avrebbe ancora collaborato.

  • Non ho idea del perché ti ostini tanto, ma sai... non si mette bene la situazione per Kuroyama. Ha accumulato così tante sospensioni e richiami, che il vice Preside non aspetta che un'altra occasione per espellerlo.

Nobita si girò finalmente a guardarlo con l'ansia che traspariva dal suo sguardo. Stava funzionando.

  • E questo ragazzo?- afferrò distrattamente dalla sua scrivania un foglio con degli appunti- Takeshi Goda- lesse- Secondo le informazioni fornite da alcuni studenti, era con lui che stava litigando Kuroyama. Hai idea di cosa potrebbe comportare se la notizia giungesse alla voce del Preside? Se non sbaglio stava partecipando a un Campionato di...

  • Sono stato io!- esclamò il ragazzo, scattando subito in piedi. L'uomo notò che era seriamente preoccupato- Sono stato io a dare inizio a questo litigio! Sono l'unico colpevole!

Il professore alzò lo sguardo sullo studente. Non poté evitare di pensare a quanto facilmente si infervorassero i giovani.

  • Ascolta...- strinse con le dita i seni paranasali, chiudendo gli occhi con fastidio- Credi che sia tutto un gioco?- Nobita lo guardò senza capire- Hai idea in quante rogne mi coinvolgi? Come se non avessi altro da fare, che stare dietro ai tuoi amici- riaprì gli occhi- Se non fossi accorso per primo, qualche altro insegnante avrebbe già segnalato la situazione al Preside.

  • Lo so... non era mia intenzione causare tutto ciò- il ragazzo abbassò lo sguardo dispiaciuto- Ma se c'è un colpevole in questa storia, quello sono io. Quindi non coinvolga Hiro o Takeshi...

  • Si può sapere chi pensi di essere per addossarti la colpa di altri!- sbottò, dando un colpo secco alla scrivania di fianco. Il ragazzo sussultò facendo un passo indietro- Ti credi una sorta di fata madrina? Oh, per favore, è anche fin troppo pietoso- fece una smorfia per niente compassionevole- Ci conosciamo da tempo e finora ti ho visto fare le cose più assurde per gli altri. E anche se lo fai per una giusta causa, questo non lo giustifica- si grattò dietro la testa stancamente. Si prese una pausa per guardarlo con preoccupazione- Nobi, ti diverte così tanto metterti nei guai? Pensi che questo sia il modo giusto per aiutare gli altri?

  • N-no, però...- ammise il ragazzo con disagio.

L'uomo gli indicò di tornare a sedersi, e il ragazzo solo eseguì, mantenendo lo sguardo abbassato.

  • D'accordo... quindi, anziché rifilarmi patetiche scuse, perché non mi racconti il vero motivo del tuo questionario? Non me la bevo con il tuo desiderio di cercare altrove lavoro, penso piuttosto che cerchi un motivo per non rimanere qui.

Il ragazzo si strinse nelle spalle, desideroso di cambiare discorso, ma lui non glielo avrebbe permesso.

  • Senti, non mi interessa cosa abbia provocato quella stupida rissa, e sinceramente non me ne importa... ne farete tante altre di cose senza senso nei prossimi giorni, con tutti gli ormoni alla vostra età che vi incasinano il cervello. Quello che più mi importa ora è arrivare al significato del tuo questionario. Un questionario importante che dovrebbe indirizzare tutti voi studenti alla carriera che vorreste intraprendere.

Nobita continuò con il suo silenzio. Perciò lui guardò in modo vistoso l'orologio appeso alla parete dell'aula insegnanti.

  • Mettiamola così: tra un po' il vice Preside dovrebbe passare qui per parlare con me. E chissà, il discorso potrebbe scivolare su una certa rissa...

Nobita tornò a guardarlo serio.

  • Credevo che lei fosse dalla parte degli studenti...- disse con una nota di delusione.

  • Prima di tutto sono un professore, Nobi... per quanto non sopporti questo lavoro e gli studenti- aggiunse- Però sai, non sono così tanto bravo a mentire. Se il vice Preside dovesse chiedermi spiegazioni, sarebbe mio dovere fare un resoconto.

  • No, la prego!- esclamò preoccupato.

  • Quindi... ?

Non gli piaceva dover ricattare i suoi studenti per farli parlare, era un metodo che usavano i suoi colleghi a cui mancava fantasia. Tanto meno gli piaceva farlo con Nobita. Non ce n'era mai stato bisogno con lui. Era sempre stato un ragazzo disponibile a parlare e confrontarsi con lui.

Ma sentiva che forse c'era qualcosa che lo stava assillando. Qualcosa di cui temeva parlarne.

Nobita era visibilmente tentato di opporsi, ma cedette al ricatto.

  • Io...- tentò di formulare una frase, ma gli uscì un sospiro stanco- Io non sono più tanto sicuro di cosa sto facendo. Con più cerco di fare la cosa giusta, più finisco per mettere nei problemi gli altri.

Non era proprio la risposta che cercava, ma era chiaro che stava tentando di dirgli qualcosa. Il professore lo osservò e rifletté sulle sue parole.

Si alzò in piedi e girò la sedia, per sedersi a cavalcioni.

  • Sai perché scelgo di aiutarti e sostenerti dal giorno che ci siamo conosciuti? Anche se solo un pazzo lo farebbe- il ragazzo esitò un po', poi scosse la testa- Perché ho fiducia nella tua capacità di giudizio, nelle qualità che possiedi. Non hai bisogno di metterti in luce per dimostrare di avere a cuore il benessere degli altri. Ma non è solo per questo...- fece una pausa, portando a galla i suoi ricordi del passato- Io ero come te alla tua età, forse più disastrato. Cercavo il buono nelle persone e spesso mi facevo coinvolgere nei problemi altrui. È per quel desiderio di rendermi utile, che un giorno decisi di scegliere la carriera di professore- abbozzò un sorriso nostalgico, però tornò alla realtà guardandolo con durezza- Ma gli ideali con il tempo muoiono, quando ci si confronta con la realtà. E alla lunga la fiducia nel prossimo, finisce per logorarti e distruggerti dentro.

  • Mi sta dicendo che sto sbagliando?

  • Quello che voglio dirti, Nobi, è che spesso dietro il desiderio di aiutare le altre persone, c'è nascosto il desiderio di scappare dai propri problemi- fece una pausa e cercò di incrociare il suo sguardo- Prima di affrontare problematiche più grandi te, dovresti fermarti a chiederti... da cosa stai scappando? Cosa ti fa paura?

Nobita lo fissò per qualche secondo, riflettendo su quella domanda, per poi volgere il suo sguardo alla finestra.

  • Il futuro- disse lui con aria solenne- L'ha detto anche lei, la realtà non è mai come ce l'aspettiamo. Nel mio caso, io so cosa mi aspetta nel mio futuro. E questo mi spaventa.

Il professore rimase in un rigoroso silenzio, per poi lasciarsi scappare una risatina. Nobita gli rivolse una smorfia offesa.

  • Non credi di essere troppo giovane per fare questi discorsi? Hai ancora così tante esperienze ed errori da fare...

  • Così non mi è d'aiuto- lo rimproverò con imbarazzo- E l'età non c'entra.

  • Hai ragione. Ma è impossibile prevedere con tanta esattezza il futuro. Sempre che non esista una macchina del futuro- ridacchiò all'idea di quella possibilità.

Notò però che il ragazzo sembrò evadere il suo sguardo.

Il professore pensò che forse avesse esagerato. Quell'argomento sembrava stare molto a cuore a Nobita, e ci era voluto molto perché glielo confidasse. Ma del resto, alla sua età a chi non preoccupava il futuro?

Cercò di tornare serio per riprendere a parlare con il ragazzo.

  • Hai provato a parlarne con qualcuno?

Il ragazzo non rispose e spostò lo sguardo al pavimento. Era così evidente la sua risposta.

  • Non voglio stare qui a giudicare le tue scelte, però non credi che condividere le tue preoccupazioni con gli altri potrebbe aiutarti ad affrontarle? Il futuro fa dannatamente paura, te lo concedo- ammise- E non riguarda solo voi giovani; gli adulti affrontano il futuro con la stessa ansia. Ma...- prese nuovamente il questionario- non credi che scappare non farà altro che rimandare il problema o addirittura ingigantirlo?

Nobita fece un debole cenno con la testa. Lui lo osservò e si limitò a fare un sorriso comprensivo.

  • Bene, puoi andare.

Il ragazzo alzò lo sguardo, stranito.

  • Tutto qui?- domandò perplesso.

  • Credevi che ti avessi chiamato per qualche punizione?- gli rispose divertito dalla sua espressione.

Si alzò dalla sedia, e sistemando la cartellina di Nobita, la infilò nel cassetto insieme a quella di altri studenti.

  • … Andrà davvero a dirlo al vice Preside? Di quello che è successo due giorni fa...- il suo tono era così palesemente preoccupato per le altre persone coinvolte.

  • Sai Nobi, ho detto che è mio dovere come professore riferire le informazioni ai miei superiori, ma sappiamo entrambi che sono un pessimo professore..- gli fece l'occhiolino- E il vice Preside non si può semplicemente affidare a delle voci di corridoio, per muovere un'accusa formale.

Nobita finalmente abbozzò un sorriso rasserenato.

  • … Grazie.

  • Ehi, con questo non intendo che potete andare in giro ad azzuffarvi quando volete. Faglielo presente ai tuoi amichetti- brontolò- Vorrei poter tornare a casa senza altre scocciature.

Il ragazzo si limitò ad annuire con un sorrisino e poi con un inchino uscì dall'aula insegnanti.

Quando il ragazzo uscì, lui si lasciò cadere sulla sedia con un sospiro stanco.

Fare l'insegnante era un mestiere che continuava a dargli seri grattacapi. Ma a differenza delle sue precedenti esperienze in scuole di élite, che lo avevano portato a smettere di credere sull'importanza dell'insegnamento e odiare il suo mestiere, ora sentiva che stava facendo davvero la differenza.

Quel giorno d'estate quando conobbe Nobita, certo non si aspettava che sarebbe stato suo alunno nella nuova scuola.

Lo aveva conosciuto come un ragazzino spensierato e attento alla natura. E lo aveva incontrato anche giorni dopo sulla montagnetta, portando con sé il cibo da condividere con Nobita.

E in breve era diventata quasi un abitudine rincontrarsi nello stesso posto per chiacchierare consumando una merenda, o anche semplicemente godendo della tranquillità del posto.

Era semplice parlare con il ragazzo, anche se non aveva spiccate qualità che lo rendessero migliore dei suoi coetanei. Ma forse era proprio la sua semplicità a renderlo speciale; la sua umanità e i suoi difetti lo rendevano più vicino alle persone comuni. La sua forza risiedeva nella fiducia che trasmetteva nel prossimo.

Ed era vero che gli ricordava sé stesso da giovane. Era per quello che si era preoccupato leggendo il suo questionario.

Lui in prima persona, da ragazzo, si era sentito soffocare da tutte le speranze che aveva riposto sul suo futuro. La voglia di aiutare, lo aveva presto trasformato in un uomo amareggiato e deluso dalla società. Questo prima di conoscere Nobita. Il semplice vederlo affannarsi a fare le piccole cose, spesso fallendo, era quasi rinfrescante.

Oh, lui era ancora un insegnante amareggiato che se ne andava in giro con un umore pessimo, sperando di avere il meno possibile a che fare con gli alunni e potersi ritirare in qualche isola... ma stava cercando di migliorare, stava cercando di ritrovare le buone intenzioni che lo avevano spinto a scegliere quel mestiere.

Così come non tutti gli adulti erano uguali, anche i ragazzi erano differenti uno dall'altro, e questo voleva dire che c'era speranza per la società. Bastava solo dare a loro una mano, in modo che ritrovassero da soli il percorso giusto da percorrere.

 

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Nobita aveva davvero tanti pensieri per la testa, ancora prima che il professore Tsutomu lo prendesse in disparte per parlargli. E non poteva negare di essersi davvero spaventato per le conseguenze che avrebbero potuto colpire gli altri.

Però si sentiva un po' sollevato, che nessuno delle persone coinvolte avrebbero avuto ripercussioni per la lite.

Camminando verso casa, rallentò il passo e cambiò più volte direzione per allungare il percorso.

Non se la sentiva ancora di tornare a casa. Voleva soffermarsi fuori qualche minuto in più per pensare.

I ricordi arrivarono veloci a quel giorno. Il modo in cui Takeshi lo aveva sbattuto contro la parete lanciandogli uno sguardo di disprezzo e le parole che gli aveva rivolto lasciandolo spiazzato.

 

Sembri un tipo innocuo, ma ti piace illudere le ragazze. Non t'interessa farle soffrire con il tuo comportamento sconsiderato e incurante.

 

Per la prima volta si era reso conto che le sue azioni, invece che aiutare, stavano creando più sofferenza. E quella presa di coscienza lo stava divorando lentamente.

 

Ti credevo un amico! Ma a quanto pare ti piace giocare con i sentimenti delle persone.

 

Avrebbe voluto protestare, reclamare la sua innocenza a Takeshi, ma invece era stato in silenzio.

Perché da qualche parte nella sua testa, si sentiva colpevole.

 

  • Mi dispiace- disse la ragazza dai lunghi capelli ondulati.

La sua testa era chinata e si toccava nervosamente le punte delle dita. Il suo sguardo abbassato e il suo tono di voce realmente mortificato, mostravano quanto si sentisse colpevole.

Dopo l'episodio del litigio, lei l'aveva chiamato in disparte per poter parlare con lui. Erano rimasti indietro dal gruppetto e si erano posizionati in cima alle scale, sperando che nessuno in quel momento passasse di lì.

  • Questo malinteso è nato per colpa mia, perché ti hanno visto con me- spiegò lei ancora scossa- Se solo... se solo avessi immaginato o anche solo sospettato che potesse accadere questo... non ti avrei mai chiesto di venire ad aiutarmi per la festa. Nessuno ci avrebbe visto e frainteso, e a quest'ora tu non avresti finito per litigare con il tuo amico. Mi dispiace così tanto...- la sua voce sembrava incrinarsi a ogni parola- Tu cerchi di essere mio amico... ma la mia presenza ti causa solo problemi- lo guardò con gli occhi umidi- E io non voglio questo, Nobita. Per questo devi starmi lontano, e io cercherò di non venire più da te e dagli altri.

Nobita la fissò in silenzio, vedendo come il corpo della ragazza si era fatto piccolo e fragile. Le sue mani tremavano mentre cercava di nascondere il suo sguardo.

Lui socchiuse gli occhi e lentamente le prese le mani, facendo fermare il suo tremolio. Lei alzò i suoi occhi umidi per incrociare i suoi.

  • No, Sasaki. Non ho intenzione di evitarti- disse deciso- Te l'ho già detto in passato, siamo amici e non m'importa ciò che dicono le persone.

Con le labbra serrate come sul punto di versare qualche lacrima, lei annuì con la testa. Lui le sorrise, come per tranquillizzarla.

  • Non hai motivo di scusarti. Non ce n'è motivo, non è la prima volta che Takeshi mi vuole riempire di botte- scherzò lui per alleggerire l'atmosfera.

La ragazza abbozzò un sorriso e gli strinse le mani. Il ragazzo le rivolse un sorriso dispiaciuto.

  • Perciò, per favore... solo dimentichiamo questo spiacevole episodio, d'accordo?

 

Non aveva idea chi avesse messo in giro quel pettegolezzo, e sinceramente non gli importava. Da bambino aveva dovuto combattere spesso con i pregiudizi delle persone, e aveva appreso che i pettegolezzi non avrebbero mai smesso di esistere.

Ma vedere in quello stato Sasaki, lo aveva fatto sentire male. Così male da chiedersi se stava davvero facendo la cosa giusta.

Non voleva coinvolgere altre persone nel disperato tentativo di cambiare il suo destino.

Sospirò.

Dal giorno della rissa aveva cercato di fare attenzione a non incrociare Jaiko e Shizuka, e si era tenuto il più possibile occupato sbrigando commissioni in giro per la scuola, arrivando persino a passare meno tempo con i suoi amici. Non voleva dover affrontare quell'argomento con loro.

Voleva il più possibile dimenticare, anche se gli era impossibile. Gli era impossibile dimenticare lo sguardo di Shizuka mentre gli rivolgeva la domanda.

 

Nobita, riesci a guardarmi negli occhi e dirmi che tra noi non è cambiato niente?

 

Ma era una domanda a cui non poteva rispondere. C'era troppo in ballo, per mandare tutto a monte per un suo egoistico desiderio di risponderle.

 

Sembri un tipo innocuo, ma ti piace illudere le ragazze. Non t'interessa farle soffrire con il tuo comportamento sconsiderato e incurante.

 

La voce di Takeshi entrò prepotentemente nella sua testa, facendolo sentire ancora peggio.

Era davvero una persona così?

 

Vorresti dirmi che non ti sei accorto dei sentimenti che prova per te!

 

Un senso di vergogna lo pervase nei confronti di Jaiko.

Certo che non se n'era accorto. E questo lo faceva sentire così stupido e ingenuo.

Tutto il tempo che avevano trascorso insieme ad aiutarsi a vicenda... e in nessun momento gli era venuto il sospetto. La sua compagnia era piacevole e si sentiva bene dandole una mano, un modo come un altro per fare qualcosa che tenesse la sua mente occupata, quindi non ci aveva visto niente di compromettente.

E ora che Takeshi gli aveva sbattuto la verità, sentiva che era stato meschino nei suoi confronti.

Come doveva sentirsi Jaiko? Davvero l'aveva fatta soffrire? L'aveva in qualche modo illusa con le sue parole?

Mai nella sua vita avrebbe pensato di trovarsi in una situazione simile.

Avrebbe voluto andare da lei, darle una spiegazione e dirle quanto era dispiaciuto, ma aveva dato la sua parola che non si sarebbe più avvicinato a lei. E forse era un bene. Perché avrebbe potuto peggiorare la situazione.

Si sentiva anche male per non essere andato ad aiutarla con il suo fumetto, com'erano rimasti d'accordo in precedenza. Ma a quel punto, era certo che Jaiko avrebbe capito il motivo della sua assenza.

Sospirò.

Non si sentiva più sicuro di niente.

Niente andava per il verso giusto.

Guardò la strada davanti a sé e dovette fermarsi. C'era un bivio. E non aveva la minima idea di dove i suoi piedi lo avevano condotto.

Grandioso! Pensò con frustrazione.

 

Let's go in the garden

You'll find something waiting

Right there where you left it lying upside down

When you finally find it, you'll see how it's faded

The underside is lighter when you turn it around

 

Una voce fece zittire i suoi sermoni interiori e si guardò intorno riconoscendo vagamente quella voce che cantava.

Facendosi guidare dalla voce, prese la biforcazione a sinistra, dove sentiva che la voce si faceva più forte.

 

Everything stays right where you left it

Everything stays

But it still changes

 

La canzone proseguì e lui non smise di camminare, anche se non sapeva dove la canzone lo avrebbe condotto e da chi. Non conosceva neanche il quartiere dove si trovava.

Arrivò a una zona di un parchetto che non aveva mai visto e in un punto che sembrava appartato dal traffico di persone. Si fermò a osservare il movimento dei rami degli alberi spinti dal vento. E insieme al vento, si udiva ora nitidamente la voce di qualcuno che cantava.

 

Ever so slightly, daily and nightly

In little ways, when everything stays

 

Il suo sguardo quindi si lasciò guidare e finalmente individuò qualcuno seduto su un muretto non tanto alto. Era di spalle, ma era sicuro che fosse lui a cantare.

Si avvicinò cautamente. Forse un po' per non spaventarlo o per non farlo smettere di cantare. Era una bella voce. E le altre volte che aveva tentato di avvicinarsi, quella persona era sempre scomparsa.

Quindi quando gli fu finalmente vicino per vedere il suo profilo, non poté evitare di rimanere senza fiato per la sorpresa.

"Ciao Nobita"

Scrisse sul blocco appunti il ragazzo, voltandosi per guardarlo con un sorriso dolce. Non sembrava sorpreso per la presenza di Nobita.

  • Tu... era la tua voce? Yukio, tu... stavi cantando...?

Tanta era la sorpresa, che non riuscì a formulare una vera domanda.

Il ragazzo gli fece cenno di sedersi accanto a lui sul muretto. Nobita si arrampicò e una volta seduto, continuò a guardarlo stupefatto.

"Sorpreso?"

Chiese Yukio, con un sorriso timido.

  • Io... wow, non credevo che cantassi. Sei bravo- disse con ammirazione.

Yukio ridacchiò imbarazzato.

  • Però... Yukio, perché non ce l'hai detto? Io credevo che...

"Lo so"

Lo fermò prima che continuasse.

"Non ho mai perso realmente la mia voce"- spiegò lui- "Solo la mia capacità di parlare"

Nobita lo guardò confuso.

"Vedi... in passato sono stato così tormentato dai miei aguzzini, che... arrivato a un punto, qualcosa si è spezzato in me"

Nobita lo guardò dispiaciuto. Sapeva cosa voleva dire convivere con persone che provavano divertimento a tormentarlo.

"È stato dopo l'ennesimo incidente causato da loro, che qualcosa è cambiato in me. La mia voce... era come scomparsa. I medici non sapevano spiegarsi perché non riuscissi a parlare, nonostante l'incidente non mi avesse realmente tolto la capacità di parlare. Ma neanche io me lo sapevo spiegare"

  • Mi dispiace Yukio... io non lo sapevo.

"Nessuno lo sa, in realtà. E preferisco così. Preferisco che tutti pensino che abbia perso la mia voce. Perché è esattamente così che mi sento. Ho passato tanto tempo a cercare di trovare una risposta, e l'unica che ho trovato è che... semplicemente non volevo più parlare. Quando il mondo cerca di soffocarti, soffoca anche la tua voce. E a quel punto, che senso ha avere una voce? Nessuno l'ascolterà"

Yukio non aveva torto. Spesso la voce di chi era più debole veniva sovrastata da quella del più forte. Era una condizione che molte persone come loro dovevano sopportare.

Ma cosa fare se non si ha la forza di reagire?

Ripensò al suo amico del futuro venuto per lui. Se non fosse stato per la sua presenza costante, forse anche lui... si sarebbe spezzato?

  • Ma perché fino a un momento fa riuscivi a cantare? E non solo adesso, anche le altre volte io ti ho sentito cantare, anche se non sapevo che fossi tu.

"Non so darti una risposta certa. So solo che la mia voce torna quando tento di cantare. È l'unico modo che mi permette di usare la parola. Ma non posso certo andare in giro a cantare alle persone, giusto?"

Ridacchiò.

Nobita lo guardò e vide riflesso nel suo sorriso la sofferenza che l'aveva portato a quel mutismo. Ma Yukio non aveva colpa della sua condizione, non era stato lui a volerlo. No, lo avevano costretto e lui ci doveva convivere.

A nessuno faceva piacere trovarsi con le spalle contro la parete ed essere costretto a difendersi.

Socchiuse gli occhi, pensando per un momento ai suoi amici. A Hiro, costretto a lottare per non soccombere; a Chika, costretta a reprimere il suo pensiero; a Sasaki, costretta a nascondere la sua sensibilità. Tutti loro vittime di una società che non comprendeva.

E lui sapeva cosa si provava sentirsi impotenti.

  • Penso che la tua voce sia incantevole- disse lui rivolgendogli un sorriso- Ed è un peccato che solo io l'abbia ascoltata.

"Non volevo tenervelo nascosto. Ma è così difficile farsi amici di cui fidarsi, così difficile spiegare la mia condizione senza sembrare patetico, così difficile che qualcuno comprenda"

  • Ma lo stai dicendo a me ora, giusto?- gli fece notare- Yukio, nessuno di noi ti giudicherà mai.

"Lo so"

Abbassò lo sguardo, per poi riprendere a scrivere.

"Quando c'è stata quella rissa, io... mi sono bloccato. Non sono riuscito a intervenire. Non sono riuscito ad aiutarti. Ero così paralizzato... così impaurito, che sono rimasto solo ad assistere senza muovere un dito"

A Nobita tornò l'immagine di Hiro e Takeshi lottando nel corridoio. E lui, fissandoli per quei pochi secondi, profondamente turbato da non riuscire subito a reagire.

  • Non sei stato l'unico...- ammise lui amareggiato- Ma quello che è successo... non è qualcosa di cui sentirti colpevole. Era me che voleva Takeshi, voi non dovevate essere lì. E certamente non volevo che veniste coinvolti.

"Ma se fosse accaduto a uno di noi, non avresti voluto fare altrettanto?"

Nobita lo guardò un po' sconfitto dalla sua affermazione. Non poteva dargli torto, avrebbe fatto la stessa cosa di Hiro. Non perché gli piacesse far parte di una rissa, ma perché avrebbe voluto proteggere i suoi amici.

Lo stesso motivo che lo aveva spinto a seguire Hiro nelle sue risse e beccarsi un sacco di lividi, anche se era consapevole di essere patetico a fare pugni.

"Anche quando ero in difficoltà, tu sei intervenuto con quei ragazzi grandi"- gli fece presente - "Qualcosa che io non sarei riuscito a fare per la paura"

  • Yukio, non voglio certo che tu partecipi a una rissa. E tanto meno Hiro. Ho dovuto così tanto faticare per farlo smettere.

"Gli amici ci sono per aiutare. E vedendoti lì dopo la rissa, cercando di evitare l'argomento con noi, ho avuto il timore di non avere la capacità di aiutarti a superarlo. Così come era successo a me"

  • Io sto bene- cercò di tranquillizzarlo, anche se la sua voce lo tradiva un po'- Non è una cosa nuova per me. Non hai idea di quello che mi faceva passare Takeshi- ridacchiò cercando di sdrammatizzare- Davvero Yukio, io...

"Eppure quel Takeshi non lo odi, vero?"

Nobita si fermò a leggere, guardandolo sorpreso per la sua serietà.

"Nonostante quello che devi aver passato, mi sembra di capire che lui sia ancora tuo amico, giusto? E ancora adesso, ho l'impressione che tu non gli serba rancore"

  • Io... be', è un po' complicato- ammise, sentendosi a disagio.

"Le persone reagiscono in modo diverso alla violenza... chi con la paura come me, chi con la rabbia come Hiro... e tu, Nobita, come lo fai?"

La domanda lo lasciò un po' spiazzato. Non si era mai fermato a rifletterci e una parte di lui gli diceva che non voleva iniziare a pensarci seriamente.

  • Nessuno è perfetto- fu l'unica cosa a cui riuscì pensare- Mi dico spesso che, anche nelle persone che arrivano a usare la violenza per avere la meglio, ci sarà qualcosa di buono in loro. Solo che non lo sanno o non lo vogliono usare- fece spallucce- Forse... sono più spaventati di noi, e non lo sapremo mai.

Yukio lo osservò riflettendo sulle sue parole.

"Non posso dimenticare"

  • Dubito che tu lo possa fare così semplicemente. Ma puoi concentrarti nel trovare sollievo in altre cose. Qualcosa che ti faccia sopportare un po' di più quei tuoi sentimenti di paura. Come il canto.

"Cantare mi rilassa. E dopo quanto è accaduto, ho pensato che forse il mio canto potesse esserti di conforto. Mi vergogno un po', ma volevo aiutarti nel mio unico modo possibile, anche solo condividendo con te questo mio segreto"

  • Non hai motivo di vergognarti, la tua canzone mi ha fatto bene. Anche la prima volta che l'ho ascoltata- gli appoggiò una mano sulla spalla- Solo... non lasciare che il tuo canto rimanga segreto. Rendici partecipi delle tue emozioni. Non nasconderti più. Come adesso, deve essere stato difficile condividerlo con me, eppure l'hai fatto, senza che nessuno ti obbligasse. E di questo ti sono grato- gli sorrise, per poi aggiungere con tono scherzoso- Adesso potremmo andare in un karaoke senza far scappare le persone.

Yukio ricambiò la sua risatina.

"Ma come farò con la mia voce? Io non credo di essere in grado di parlare ai nostri amici, non ancora"

  • Allora fai quello che ti riesce meglio: cantalo- propose con un gran sorriso- In fondo il canto è una forma di parlato, giusto? Sono solo frasi messe su una base musicale.

Yukio lo guardò un po' sorpreso per la proposta, ma abbozzò un sorriso.

"Hai ragione"

Infine Yukio mise da parte il blocco degli appunti e guardò l'orizzonte, riprendendo la canzone da dove l'aveva lasciata.

 

Go down to the ocean

The crystal tide is rising

The waters' gotten higher as the shore washes out

Keep your eyes wide open, even when the sun is blazin'

The moon controls the tide, it can cause you to drown

 

Ascoltando da vicino la voce dell'amico, Nobita poteva sentire della dolcezza trasparire nelle sue parole, anche se la canzone era malinconica.

Il ragazzo si girò a guardarlo come invitandolo a unirsi. Nobita sembrò propenso a rifiutarsi, ma la melodia gli uscì spontanea dalla bocca, così come le parole. Doveva essere l'influenza di Yukio.

I due intonarono le ultime strofe della canzone, lasciando che le loro voci fossero trasportate dal vento, così come le loro preoccupazioni.

 

Everything stays, right where you've left it

Everything stays, but it still changes

Ever so slightly, daily and nightly

In little ways

When everything stays

 

.:*~*:._.:*~*:._.:*~*:._.:*~*:._.:*~*:._.:*~*:._.:*~*:._.:*~*:.

 

Si sdraiò sul letto con lo sguardo fisso in alto. I suoi occhi si persero nel soffitto della sua stanza, cercando di dare un senso a tanti suoi pensieri.

Poi il suo sguardo si soffermò su un punto del soffitto, dove quasi invisibile, c'era una chiazza azzurra. Sua madre aveva più volte fatto tinteggiare il soffitto, ma quella macchia continuava a rimanere lì. Quasi impercepibile alla prima vista, ma sempre lì.

Ma non è che le desse così fastidio, in fondo.

Ricordava molto bene com'era accaduto. Era uno di quei giorni in cui lei e sua madre avevano avuto una discussione sui progressi sullo studio del pianoforte.

Sua madre non era un tipo particolarmente severo, ma era esigente sulla sua educazione. E nelle poche volte che la figlia la disobbediva, le veniva proibito di uscire con i suoi amici, affinché lei si applicasse meglio sullo studio. In particolar modo la madre ci teneva che si impegnasse nello studio del pianoforte, anche se non era mai stato il suo forte. Ma a quel tempo Shizuka cercava sempre di non deludere la sua famiglia.

Quindi quel giorno era chiusa in stanza riflettendo su quanto fossero fortunati i suoi amici, perché erano in grado di dire ai loro genitori che qualcosa non gli piaceva, senza temere di deluderli.

Quando poi un forte bussare alla finestra del suo balconcino, la fece sussultare. Voltandosi trovò Nobita dall'altra parte del vetro che la salutava. Era comparso dal nulla grazie al suo Copter, ed era lì per invitarla come tante altre volte a giocare fuori. Lei però gli spiegò perché non potesse uscire, e lui invece di andarsene, le propose di giocare insieme nella stanza, con la promessa che non avrebbe permesso alla madre di scoprirli.

Era una bella giornata di primavera, dopo una settimana di pioggia, e tutti i bambini erano fuori a giocare e divertirsi nel campetto. Nobita avrebbe potuto andarsene e godersi la giornata di sole, e invece preferiva rimanere con lei nel chiuso della cameretta.

 

Perché non è la stessa cosa senza di te.

 

Aveva semplicemente spiegato con un sorriso innocente.

Poi aveva tirato fuori uno dei gadget di Doraemon e ci avevano giocato. Purtroppo era un gadget in via sperimentale e Nobita l'aveva preso senza prestare attenzione all'avvertenza di Doraemon, come al solito. Quindi in breve, era scoppiata una baraonda nella sua stanza, salvati all'ultimo dall'arrivo di Doraemon. E per fortuna senza che la madre lo scoprisse.

Ma anche se la sua stanza era a soqquadro, le era stato difficile arrabbiarsi con lui e in breve avevano finito per riderci su.

A fine della giornata, Shizuka non ricordava più perché si fosse sentita così giù di morale. Tutto ciò che le era rimasto era il ricordo delle risate.

In seguito, quando aveva dei momenti di malumore, aveva l'abitudine di soffermarsi a vedere quella piccola macchia azzurra, residuo dell'avventura con Nobita. Ciò le provocava un sorriso divertito.

Ma in quel momento, nel presente, osservare quella macchia non serviva a migliorare il suo umore. Perché il suo stato d'animo era legato proprio al bambino di dieci anni. A quello stesso bambino che era cresciuto e nel tempo era diventata una persona distante e sfuggevole. Così diversa dal bambino con cui era cresciuta e che credeva di conoscere.

 

Mi spiace.

 

Risuonò nella sua testa la risposta del ragazzo.

 

Mi spiace.

 

Come se il solo pronunciarlo bastasse a tappare quella voragine che si era aperta tra di loro.

Come se bastasse a giustificare l'allontanamento di lui.

Come se servisse a calmare il suo stato d'animo, colmo di sentimenti contrastanti.

E invece no.

Si sentiva così arrabbiata, così frustrata, così confusa.

Il cellulare vibrò, portandola a dare uno sguardo alla sua scrivania, dove l'aveva appoggiato. Continuò a vibrare.

Aveva tolto la suoneria sperando di non essere disturbata, ma qualcuno le stava mandando ripetutamente dei messaggi, quando aveva detto chiaramente che non se la sentiva di parlarne.

Si alzò dal letto e andò a spegnere il cellulare, senza soffermarsi a leggere i contenuti dei messaggi.

Il suo sguardo scivolò su una foto incorniciata sulla scrivania. Era l'immagine di quattro bambini e un robot blu. Le sue mani afferrarono la cornice e fece scivolare un dito sulla figura di un bambino con la maglietta gialla, che salutava allegro verso la macchina fotografica.

 

Mi spiace.

 

Posò con forza la cornice sulla scrivania.

Basta, aveva bisogno di uscire a fare una camminata. Cercò nei cassetti qualche vestito per cambiarsi l'uniforme scolastica, ma quello che i suoi occhi individuarono per prima, era una sciarpa gialla. La sciarpa che Nobita le aveva ceduto in un giorno freddo, avvolgendola in un dolce tepore.

Chiuse subito quel cassetto e cercò di non pensarci, mentre si cambiava e usciva di casa.

Camminò spedita per le stradine del quartiere, senza una meta precisa. Quando però riconobbe la targa di un portone, comprese dove i suoi piedi l'avevano condotta.

Alzò lo sguardo per individuare la finestra che si affacciava alla strada. Era chiusa in quel momento, ma un fugace ricordo gliela fece vedere aperta, con un bambino affacciato che la guardava con un sorriso felice.

Scosse la testa e cercò di allontanarsi il più presto possibile, prima che qualcuno della famiglia Nobi la potesse vedere.

Com'è che sempre i suoi piedi d'istinto la portavano lì, anche se era l'ultimo posto dove avrebbe voluto andare?

Proseguì nel suo cammino senza meta, giungendo infine a un bivio. Si fermò e si guardò intorno. Non ricordava di essere passata da quelle parti. Doveva essersi spinta un po' troppo lontana da casa.

Si guardò indietro. Forse era il caso di tornare a casa...

 

Mi spiace.

 

La voce di Nobita tornò per l'ennesima volta a risuonare nella sua testa. Ciò la frustò ulteriormente.

Se fosse tornata a casa, i suoi pensieri sarebbero tornati a gravitare intorno a lui. E lei non voleva. Non era dell'umore per affrontare quella situazione.

Tornò a guardare la strada che si apriva in una biforcazione e senza pensarci ulteriormente prese la direzione a destra.

Continuò a camminare, fino a giungere alle sponde di un fiume che attraversava la città. Qualche passo dopo c'era un largo ponte rosso che permetteva di raggiungere l'altra sponda. Su di esso c'era posizionata una panchina, una per ciascun lato, dove poter ammirare il panorama comodamente seduti.

Attraversò il ponte e si fermò a metà percorso. Si appoggiò al bordo del ponte per osservare l'acqua che passava sotto. L'acqua era chiara e si potevano vedere qualche pesce nuotare. Forse stare un po' lì, l'avrebbe aiutata a schiarirsi la mente.

Altre persone come lei si fermavano lì per osservare il paesaggio, o semplicemente per chiacchierare. Ma Shizuka non badò a loro, neanche quando se ne andarono, lasciando lì solo lei e forse un'altra persona, a qualche metro di distanza.

Era una bella giornata e l'estate era alle porte. Presto avrebbero riaperto la piscina all'aperto della scuola.

Faceva un certo effetto pensare che l'anno dopo sarebbe stato l'ultimo delle superiori, prima che ognuno di loro decidesse che carriera intraprendere.

 

  • Futuro... eh? Non dovresti preoccuparti. Qualsiasi cosa tu scelga, il tuo futuro sarà radioso.

  • Che intendi dire?

  • Che sono certo che farai le scelte giuste. Anche se adesso sei confusa, anche se l'ignoto ti spaventa, riuscirai ad affrontarlo. Il futuro che sceglierai ti renderà felice.

  • Come fai a saperlo?

  • Lo so, fidati.

 

Le parole che Nobita le aveva rivolto quel pomeriggio, erano bastate a scaldarle il cuore e sciogliere un po' di dubbi che le mettevano ansia. La sua determinazione avevano trasmesso nel tono di voce e nel suo sguardo, la sicurezza che lei stava cercando.

Ma a distanza di giorni, quelle sensazioni provate si stavano affievolendo, quasi a scomparire.

Sempre così sicuro nelle sue affermazioni quando si trattava degli altri, ma quando la domanda lo riguardava, Nobita si faceva misterioso.

 

Ah, io sono una persona semplice, lo sai. Mi basta poco.

 

Ma la verità è che Shizuka faticava a comprendere. Quando erano bambini si erano qualche volta soffermati a parlare di progetti sul futuro, ma essendo così piccoli e ingenui, i loro discorsi erano un po' irrealistici. Soprattutto Nobita, che con la sua fantasia si creava nella mente dei scenari alquanto surreali.

Ma andava bene così. Erano bambini. Avevano il diritto di fantasticare.

Poi Doraemon se n'era andato. E Nobita sembrava d'improvviso aver perso quella capacità di fantasticare. Anche dopo, quando si toccava l'argomento sul futuro, lui diventava vago nella risposta. E ci rideva sopra, dando l'impressione di non essere minimamente preoccupato.

Ma nessuno di loro aveva mai indagato o insistito. Perché Nobita era una persona allegra e spensierata di natura. Tutto quindi sembrava andare bene.

E invece qualcosa stava cambiando, solo che c'era voluto del tempo per notarlo.

 

Noi siamo amici, Shizuka. Saremo sempre amici.

 

Quella frase, che anni prima non avrebbe avuto dubbio sulla sua sincerità, ora risuonavano come vuote pronunciate dalla voce del ragazzo.

Davvero non c'era in lui più nulla del Nobita della sua infanzia?

 

Voglio molto bene a Shizuka-chan... Per me è più importante di qualsiasi cosa.

 

Sapeva che l'aveva detto quando aveva la febbre alta. E sapeva che probabilmente lui non aveva memoria di averlo detto. Ne aveva avuto la conferma quando per casualità, aveva sentito dire Nobita ai suoi amici che non aveva ricordi di quei giorni di febbre.

Quindi non si sarebbe sorpresa, se neanche si fosse reso conto della sua presenza a casa di lui.

E anche se si fosse ricordato di qualcosa, in nessun momento le aveva accennato qualcosa. E lei certamente non glielo avrebbe ricordato.

Era stata alquanto strana quella situazione, lì da soli nella stanza di lui. Nel suo stato febbrile, vulnerabile a qualsiasi domanda... incapace di ribellarsi e mentire.

E lei non era il tipo da approfittarsi di situazioni del genere, ma sentiva che se non lo avesse fatto, avrebbe perso l'opportunità di parlargli con sincerità.

Però il Nobita con la febbre davanti a lei, mostrava della tristezza che non sapeva decifrare.

 

  • Perché ti sei allontanato da noi... da me?

  • perché? Perché fa male.

 

Non aveva saputo dare una spiegazione a quella frase. Come non aveva saputo darsi una spiegazione del perché avesse avuto l'impulso di avvicinarsi al viso di lui, così vicini che sarebbe potuto sfociare in qualcosa di più, se non fosse stato per l'arrivo della madre di Nobita.

 

I miei sentimenti? Non credo che tu conosca realmente i miei sentimenti per poter dire qualcosa!

 

Scosse la testa.

Era così sciocca. Era tutto sbagliato. Il suo desiderio di rimediare, aveva solo creato fraintendimenti tra loro.

 

Dico solo che non dovresti preoccuparti della nostra amicizia, ma solo parlare dei tuoi dubbi sul futuro con Dekisugi. Del resto è il tuo ragazzo.

 

Non sarebbe corretto nei suoi confronti.

 

Avanti, non essere timida. Sono certo che apprezzerà. Buona fortuna.

 

  • … sei uno stupido- mormorò lei frustrata, fissando il fiume.

  • … Shizuka?

La ragazza si voltò e solo in quel momento si accorse che la persona rimasta sul ponte, era una persona di sua conoscenza.

  • Jaiko?- chiese altrettanto sorpresa.

  • Non mi ero accorta che fossi tu- disse lei avvicinandosi. Jaiko stava indossando la sua abituale maglietta gialla e gonna rossa- Ero così presa dai miei pensieri, che non ho fatto caso a chi era rimasto qui.

  • Lo stesso vale per me- ammise Shizuka, poi cercò di cambiare discorso- Come mai da queste parti?

  • Ero andata a una cartoleria qui vicino. È un po' distante da casa, ma hanno dei prezzi più economici- indicò la borsa a tracolla che indossava- E mentre tornavo a casa, mi sono fermata su questo ponte, senza fare caso al tempo- spiegò lei- E tu?

  • Io... ehm, ero solo di passaggio. Tutto qui- cercò di evitare di guardarla, per non far trapelare il suo stato d'animo.

Però nessuno delle due disse altro e si creò uno strano silenzio.

  • … Ti va di sederti qui con me?- propose un po' timidamente Jaiko, indicandole la panchina del ponte.

Shizuka avrebbe preferito rifiutare l'invito. Non perché non avesse piacere di parlare con Jaiko, ma perché temeva che ciò avrebbe portato a galla, una questione che ancora la metteva a disagio.

Però Jaiko sembrava altrettanto giù di umore, mentre entrambe si sedevano sulla panchina. E forse aveva bisogno di parlarne.

Nessuna delle due però aprì bocca per un bel po' di minuti, mentre fissavano il paesaggio oltre il ponte.

Entrambe sapevano... ma era come se in quei pochi minuti si fosse creato un muro di diffidenza o anche solo titubanza nel rompere il silenzio per prima.

  • … Mio fratello è un tale idiota- disse infine Jaiko, lasciando andare un sospiro, come se avesse finora trattenuto il respiro. Ma non si girò a guardarla, e neanche Shizuka lo fece, come se volessero ancora un po' tenere nascosti i loro stati d'animo- Riesce sempre a incasinare tutto- grugnì con frustrazione. Shizuka non dovette neanche fermarla per chiederle spiegazioni, perché sapeva molto bene a cosa si riferisse- E mi dispiace Shizuka, mi spiace davvero che ne sei stata coinvolta- la sua voce suonò intristita, mentre stringeva forte le mani sulla sua gonna rossa- Non ti darei torto se anche tu fossi furiosa con lui.

Shizuka socchiuse gli occhi, riportando alla mente i fatti di due giorni prima.

 

Non riusciva a concentrarsi. Per quanto si sforzasse ad ascoltare la lezione, la sua testa era affollata dall'incontro con Nobita nell'aula di musica.

Scarabocchiò distrattamente qualche parola nel suo quaderno degli appunti, mentre con la coda dell'occhio notò solo per caso i suoi due compagni di classe Takeshi e Suneo parlottare tra di loro, quando l'insegnante dava loro le spalle. Non aveva idea di cosa si dicessero, ma sembrava quasi stessero discutendo di qualcosa, facendoli scoprire più volte dall'insegnante.

Finalmente il suono della campanella di fine lezione, le permise di lasciare uscire un sospiro stanco. Forse dopo pranzo, sarebbe tornata a concentrarsi.

Prima che si alzasse dal suo posto, sentì il rumore di una sedia che cadeva. Voltandosi velocemente vide Takeshi che si era alzato bruscamente e guardava Suneo, visibilmente alterato. Immaginò che dipendesse da ciò che si erano detti durante la lezione e si domandò cosa potesse portarlo ad arrabbiarsi.

Takeshi incrociò in quel momento il suo sguardo con lei, e ciò la portò a preoccuparsi per la sua serietà. Avanzò qualche passo verso di lei con le braccia tese sul fianco, facendola sentire un po' inquieta, ma all'ultimo Takeshi cambiò direzione e si fiondò fuori dalla classe. Suneo, ancora fermo sul suo banco, sembrò indugiare un po' sul da farsi, e le lanciò un veloce sguardo preoccupato. Poi anche lui uscì frettolosamente dalla classe senza dare spiegazioni.

Shizuka sbatté le palpebre incerta sullo strano atteggiamento di Takeshi e di Suneo. Non è che fosse la prima volta, da bambina ricordava che i suoi amici maschi avevano momenti in cui si comportavano in modo assurdo.

Anche se l'espressione di Takeshi, per un momento le ricordò quando da bambino era sul punto di esplodere di rabbia. Ma con l'inizio delle superiori si era calmato, e non aveva avuto più episodi simili, quindi non lo credeva possibile.

Forse si era solo sbagliata o forse era arrabbiato per qualcosa inerente il baseball.

Shizuka si alzò dalla sedia e prese il suo pranzo al sacco. Avrebbe mangiato da sola quel giorno; Dekisugi era stato chiamato prima da un insegnante e non sarebbe tornato subito, e lei aveva rifiutato l'invito delle sue amiche a pranzare insieme.

Non voleva dover giustificare a loro il motivo del suo soprappensiero.

E soprattutto non voleva affrontare Dekisugi e chiedergli perché non avesse smentito la bugia con Nobita.

Non voleva pensare che l'avesse fatto apposta, Dekisugi non era quel tipo di persona. Anche se per poter evitare le fanatiche che lo perseguitavano, poteva immaginare che avesse preferito non smentire le voci su loro due con gli altri.

Lei aveva cercato di non darci peso a quelle voci, credendo ingenuamente che non potessero crearle problemi. Ma non aveva tenuto conto che sarebbero potuto arrivare alle orecchie dei suoi amici.

Lei non si era mai sentita in dovere di dare spiegazioni, ancora prima che si facessero strane idee, e forse questo aveva aumentato la credibilità delle menzogne.

Mangiando l'ultimo boccone del suo pranzo, seduta nel parchetto della scuola, Shizuka scosse la testa.

No, chi aveva sbagliato era Nobita.

Era lui che era giunto a quella conclusione, senza neanche provare a confrontarsi con lei. Si conoscevano da anni, eppure aveva dato per scontata una voce di corridoio.

E questo l'aveva feriva in particolar modo.

Provò a nascondere il suo dispiacere distraendosi con la lettura di un libro.

Quando poi tornò in classe, la sua mente era già un po' più rilassata. Sedendosi al suo posto, notò che né Takeshi né Suneo erano ritornato in classe. Ma visto che in quell'ora il professore non ci sarebbe stato, i due potevano essersi assentati per andare da qualche parte.

Dekisugi che era tornato in classe prima di lei, sembrava ugualmente interessato all'assenza dei due ragazzi, ma non particolarmente preoccupato.

Sia Dekisugi che lei preferirono dedicare quell'ora vuota per portarsi avanti con i compiti, quindi rimasero al loro banco senza scambiarsi parola.

L'ora passò veloce, e poco prima del suono della campanella, fecero ritorno sia Takeshi che Suneo. Tutto il resto della classe notò subito la divisa sgualcita di Takeshi e il suo aspetto in disordine, come di uno che aveva appena fatto a botte. Ma il suo sguardo minaccioso avvertiva esplicitamente a chi avesse osato domandare, che avrebbero dovuto farsi gli affari propri.

Shizuka cercò istintivamente lo sguardo di Dekisugi, che altrettanto guardava sospettoso i due ragazzi. Ma qualsiasi cosa avesse in mente di fare Dekisugi, il suono immediato della campanella lo frenò.

Takeshi afferrò prontamente la sua cartella e si diresse nuovamente fuori dalla classe.

Passando vicino al banco di lei però, Takeshi si soffermò per qualche secondo. Lei attese, convinta che avrebbe detto qualcosa, ma invece lui abbassò il suo sguardo, come se provasse vergogna. Il suo sguardo da duro si era sfumato nel giro di pochi secondi.

Ma lei non fece in tempo a domandare, perché era uscito in fretta dalla classe, seguito dal fedele Suneo.

Shizuka era decisamente preoccupata dal comportamento dell'amico. Non sembrava un atteggiamento normale da Takeshi.

Dekisugi era ugualmente spiazzato, ma si riservò dal condividere i suoi sospetti.

Fu solo quando Aiko, il giorno dopo, le raccontò delle voci di corridoio su una discussione tra alcuni alunni, sfociata poi in una lite, che Shizuka iniziò a sospettare del coinvolgimento dei due ragazzi. Ma ancora non capiva cosa avesse accesso la lite, visto che Takeshi si sforzava di calmare il suo temperamento forte per concentrarsi sullo sport.

Avrebbe voluto chiederlo direttamente a lui, ma era sempre agli allenamenti. E di Suneo non c'era traccia, quando qualcuno voleva parlargli.

Ma non dovette aspettare tanto; il giorno dopo lo stesso Takeshi era andato direttamente da lei.

  • Mi spiace!- con voce grossa e solenne si era chinato davanti a lei. In un gesto plateale di perdono.

Shizuka presa alla sprovvista, non capì. Ma poi lui iniziò raccontandole delle voci che giravano su Nobita, sui sentimenti della sorella Jaiko, e di averla sentita discutere con Nobita nell'aula di musica. E di conseguenza, lui aveva tentato di aggredire Nobita.

L'insieme delle informazioni lasciarono Shizuka senza parole.

Non solo perché Takeshi aveva cercato di fare a botte con Nobita, ma anche perché aveva ascoltato i loro discorsi privati di quel giorno. L'aveva vista in un momento emotivamente fragile e ne aveva tratto delle conclusioni errate.

Doveva essere diventata rossa dalla vergogna per essere stata coinvolta e per le accuse che aveva rivolto a Nobita, insinuando che tra i due ci fosse qualcosa.

  • Perché?- fu l'unico che riuscì a domandare.

  • Perché ti stava facendo soffrire- spiegò lui diretto- A te e a Jaiko. E chissà a chi altro. Ma ho sbagliato, non dovevo tirarti in ballo senza il tuo permesso- disse con rimorso.

Certo che aveva sbagliato. Ma per tantissimi motivi che lui ignorava.

E il pensiero che qualcun altro mettesse il naso nelle sue faccende, anche con buone intenzioni, la irritava ulteriormente.

Ne sapeva abbastanza per desiderare di andarsene al più presto. Così, senza dirgli niente, Shizuka si voltò e lo lasciò lì.

 

Da quel momento, aveva preferito evitare i suoi amici. E anche Dekisugi.

Quello che gli aveva raccontato Takeshi lo aveva scossa nel profondo. Non si trattava dell'ennesima azzuffata, era peggio. Perché questa volta coinvolgeva il delicato rapporto con Nobita.

Cosa aveva provato nel vedersi attaccato da Takeshi? E quali pensieri si erano formati nella sua testa, quando Takeshi gli aveva rivolto quell'accusa?

Non aveva idea di come avesse reagito, perché non lo aveva più incrociato nei corridoi. Anche se da una parte era un sollievo per lei, perché non avrebbe saputo come affrontarlo, dall'altra parte però provava dispiacere per Nobita.

Forse le accuse di Takeshi avevano un fondo di verità, forse era vero che tra Nobita e la sua compagna di classe ci fosse del tenero, ma si negava di credere che giocasse con i sentimenti delle persone. Non il Nobita che conosceva.

Credeva invece che la sua gentilezza e disponibilità che mostrava con il prossimo, fossero un arma a doppio taglio, capace di creare equivoci.

Fin da bambini erano stati un gruppo affiatato, nonostante i continui litigi. Ma dal momento che Nobita si era allontanato, il loro gruppetto aveva iniziato a sfaldarsi.

E lei, resasi conto della situazione troppo tardi, aveva cercato di riavvicinarsi a lui. Credendo che ciò avrebbe fatto tornare il gruppetto come ai tempi delle elementari.

Ma i suoi tentativi goffi non erano serviti. E quella sensazione di sconfitta l'aveva fatta sentire male, il giorno che aveva provato ad affrontarlo nell'aula di musica.

Con suo orrore Takeshi doveva aver assistito, e credendo di fare del bene, aveva solo creato più distacco con Nobita.

Ma in nessun momento lei avrebbe voluto che Takeshi o altri si sarebbero intromessi nei suoi affari. E per questo provava rabbia per Takeshi, nonostante comprendesse il suo desiderio di protezione della sorella.

 

Mi spiace!

 

Le aveva detto Takeshi con gran rimorso. L'aveva detto con la stessa semplicità con cui l'aveva fatto Nobita giorni prima. Come se una semplice parole riuscisse a rimettere le cose come prima.

Uscendo dai suoi pensieri, Shizuka si girò a guardare la ragazza seduta accanto a lei sulla panchina.

Provò pena per lei. Jaiko era un'altra vittima inconsapevole di quei pettegolezzi che avevano coinvolto Nobita.

Sapeva dell'amicizia che si era creata tra lei e Nobita alle superiori, e non poteva negare di aver provato una punta di invidia nel vederli così vicini.

Però qualsiasi sentimento Jaiko provasse per Nobita, non doveva essere un argomento di pettegolezzo.

Non doveva essere stato facile neanche per Jaiko. E il fatto che si sentisse responsabile dell'azione del fratello, la rendeva ancora più vittima dell'equivoco.

  • Non devi essere tu a chiedere scusa- disse infine tornando a guardare il fiume. Il sole all'orizzonte stava già colorandosi di toni arancioni- E sì, Takeshi ha sbagliato, e non posso negare di essere arrabbiata. Ma una piccola parte di me comprende quanto sia semplice cascare in equivoci.

  • Ma avrei preferito che me ne parlasse, invece di reagire in quel modo sconsiderato. Lo so che è una testa calda, ma sono sua sorella... avrò diritto a dire la mia versione, no?- disse con frustrazione, alzandosi in piedi e muovendosi avanti e indietro- È mio fratello, e gli voglio bene, ma agisce sempre senza pensare. Perché non può semplicemente lasciarmi vivere la mia vita?- continuò a lamentarsi con enfasi- Non sono più una bambina, non ho bisogno che lui vada in giro a fare botte per me.

Shizuka rimase in silenzio, soprappensiero. Un ricordo risalì a galla nella sua memoria.

 

Shizuka-chan è una brava ragazza. Non potrebbe mai ferire intenzionalmente qualcuno.

 

Sorrise suo malgrado a quel ricordo, nonostante non provasse piacere al ricordarlo.

  • Hai ragione. Ma le persone sono capaci di fare cose assurde per proteggere qualcuno.

  • Tu non l'avresti fatto. Tu fai sempre la cosa giusta.

  • Ti sbagli- sospirò, alzando lo sguardo al cielo. I suoi ricordi tornarono alla festa di Natale- Anch'io non molto tempo fa ho giudicato una persona solo per delle chiacchiere, e credendo di fare la cosa giusta, non mi sono comportata correttamente- Jaiko si girò a guardarla sorpresa- Ho lasciato che il mio giudizio venisse influenzato dai miei sentimenti.

Jaiko continuò a osservarla senza commentare, poi come se l'energia dello sfogo precedente le si fosse esaurita, si lasciò cadere sulla panchina. Tornò a guardare il fiume con uno sguardo malinconico.

  • Quando ho iniziato le superiori, Nobita è stata la prima persona a farmi ambientare nella scuola. Mio fratello era troppo preso con lo sport per dedicarmi del tempo, quindi è stato un sollievo avere un volto amico su cui appoggiarmi se avevo qualche richiesta. Anche se ci conoscevamo da bambini e anche se nel nostro quartiere veniva considerato un debole, in realtà scoprivo solo in quel momento quanto fosse piacevole passare il tempo con lui. A Nobita non è mai importato chi fosse mio fratello, e forse era uno dei pochi che Takeshi lo accettasse come amico- abbassò lo sguardo- Ma ora per uno sciocco manoscritto, le cose sono cambiate. Ma perché non l'ho buttato?- si rimproverò- Ho il timore che non voglia più vedermi, dopo le parole di Takeshi. Come giustificherei le sciocchezze che ha detto mio fratello su noi due? E se mi odiasse per quello che gli è successo?

Shizuka rimase in silenzio ad ascoltarla, osservando come Jaiko stesse soffrendo quella situazione. Ricordò come Jaiko e Nobita scherzavano nei corridoi della scuola, mentre lei li osservava allontanarsi.

Shizuka le rivolse un sorriso gentile.

  • Non devi temere Jaiko, lui non potrebbe mai odiarti. Anzi, sospetto che sia altrettanto dispiaciuto per te.

  • Come fai a saperlo?

  • Perché Nobita è fatto così. Si preoccupa più per gli altri che per sé stesso- le appoggiò una mano sulla spalla- Non preoccuparti. Tornerete a parlarvi, perché siete amici.

Purtroppo non poteva dire lo stesso per lei e Nobita. La loro amicizia sembrava essersi guastata nel tempo.

  • E per quanto riguarda quello che è successo a scuola... passerà prima o poi. Anche noi da bambini abbiamo passato dei momenti difficili, ma alla fine l'abbiamo superato- Jaiko la guardò con un sorriso di sollievo per le sue parole- Vedrai, andrà tutto bene...

Shizuka rimase con la frase in sospeso, mentre una fitta alla testa la portò a toccarsi la tempia con la mano.

 

Andrà tutto bene.

 

Dove lo aveva sentito dire prima?

  • Shizuka, che hai?- domandò Jaiko d'improvviso. Doveva essersi accorta che qualcosa non andava.

  • Io...- scosse la testa un po' confusa- Non è niente. Ma è meglio che torniamo a casa, si sta facendo tardi.

Jaiko diede uno sguardo all'orizzonte, dove il sole ormai era calato.

  • Hai ragione- concordò e insieme si alzarono dalla panchina.

Le due ragazze camminarono per un tratto di strada, dirigendosi verso il loro quartiere e passando di fianco a quello che una volta era un pezzo di terreno abbandonato, usato per generazioni da tutti i bambini della zona.

Shizuka ricordava molto bene le estati passate a giocare lì con i suoi amici.

Due anni dopo la partenza di Doraemon però avevano iniziato la costruzione di una casa. Il loro luogo di incontro era stato portato via da un giorno all'altro, così come lo era stato per l'improvvisa partenza di Doraemon. E mentre osservavano i cantieri, impotenti, incoscientemente sentivano che una parte della loro fanciullezza se ne stava andando.

Arrivati a un incrocio, le due ragazze si fermarono per salutarsi e prendere ciascuna una direzione differente.

Ma prima che si dessero le spalle, Jaiko si fermò e la guardò.

  • Shizuka... a te piace Nobita?

La domanda fu così improvvisa e così inaspettata che le ci vollero qualche secondo in più per reagire.

  • C-come?- domandò, ancora incerta di aver ascoltato bene.

  • Chiedevo cosa provassi per Nobita- disse lei diretta.

  • P-perché me lo stai chiedendo?- domandò di rimando, non potendo nascondere il rossore che si era formato nelle sue guance.

  • Non sei costretta a rispondere, e capisco che non dovrei intromettermi, ma...- spostò lo sguardo alla strada, come se anche lei provasse disagio ad affrontare l'argomento- È da quando eravamo bambini che vi osservo, sai?

Shizuka la guardò un po' perplessa, senza comprendere dove volesse arrivare con il discorso.

  • Mi sono sempre domandata perché una bambina così tranquilla e ben educata come te, preferisse passare il suo tempo con mio fratello, Suneo e Nobita, anziché stare con una persona interessante come Dekisugi. Ma poi ascoltavo i racconti di mio fratello, sulle avventure che vivevate insieme, e lentamente comprendevo cosa vi legava. Era Nobita, la sua amicizia. Certo, era grazie ai ciuski di Doraemon se voi potevate sperimentare cose nuove, ma...- sorrise- Mio fratello e Suneo non lo ammetterebbero mai, ma è stato sempre Nobita a dare il via alle vostre avventure e a tenere unito il gruppo.

Shizuka rifletté in silenzio sulle sue parole.

Un insieme di ricordi riaffiorarono dalla sua mente, ricordi di un'infanzia che aveva messo da parte per crescere.

Era come se vedesse scorrere davanti a lei un insieme di immagini.

Un bambino di sei anni con uno zainetto in spalla, che si aggirava per la scuola con aria smarrita il giorno della cerimonia d'inizio lezioni.

Un bambino di dieci anni con grossi occhiali da vista, che si precipitava alla porta di casa sua e prendendola per mano la trascinava in qualche nuovo gioco.

Quattro bambini e un robot immersi in luoghi inesplorati, esplorando e divertendosi, e imparando a cooperare per superare insieme i pericoli.

Un timoroso bambino senza particolari talenti, che di fronte a qualcuno in difficoltà si precipitava in suo aiuto.

Un bambino come tanti altri, che dimostrava avere molto più coraggio e tenacia di chiunque altro, senza però esserne cosciente.

  • Già, Nobita è sempre stato speciale per noi- confessò Shizuka con nostalgia.

In realtà l'aveva capito da molto tempo prima, quanto fosse fondamentale Nobita per il gruppo. Le loro vite erano sempre state in qualche modo legate a lui, ancora prima dell'arrivo di Doraemon. E il suo allontanamento dal gruppo, lasciando un grande vuoto, aveva rafforzato questo pensiero.

  • Ma il tempo ci ha cambiato- ammise- Ognuno di noi sta prendendo strade diverse e... è inevitabile. Non ci possiamo fare niente.

Jaiko l'ascoltò con attenzione, poi le diede le spalle.

  • Ti sbagli... - sospirò e si portò una mano sul fianco rivolgendole un mezzo sorriso- Shizuka, nel gruppetto sei forse l'unica con un po' di sale in zucca. Non so cosa sia accaduto con Nobita, ma non arrenderti con lui. Io lo vedo ancora quel legame che continua a tenervi uniti, come da bambini.

  • Jaiko...

  • Neanche io mi arrenderò con Nobita. Come hai detto tu... andrà tutto bene.

Shizuka spalancò gli occhi. Ancora quella frase... Perché le era così famigliare?

 

Andrà tutto bene.

 

D'improvviso una voce riemerse dai ricordi. Di chi era? Sembrava la voce di...

Una sfuocata immagine di un bambino sorridente di dieci anni apparve davanti a lei. Le stava porgendo qualcosa... un fiore? Era di un colore particolare... viola.

 

Andrà tutto bene. Non preoccuparti, Shizuka...

 

Shizuka si toccò la testa dolorante. Una nuova fitta l'aveva colpita nel momento che le era apparsa quella strana immagine. Ma non sapeva spiegarsi perché.

  • Shizuka, non stai bene?- chiese Jaiko preoccupata, accortasi della sofferenza della ragazza.

  • No... solo un capogiro- si giustificò lei, sforzandosi di sembrare tranquilla, anche se si sentiva ancora confusa.

  • Ti accompagno a casa, sei pallida.

  • Non ce n'è bisogno- Shizuka cercò di tranquillizzarla- Sto meglio ora. Ci vediamo domani.

Jaiko annuì poco convinta, ma non obiettò. Shizuka imboccò la sua strada, mentre Jaiko la seguì con lo sguardo con un po' di ansia, finché non la perse di vista dietro alle persone.

Shizuka camminò con lo sguardo giù, toccandosi ogni tanto la testa e ripensando a quella frase che le aveva provocato dolore.

Cos'era stata quell'immagine che le era comparsa davanti? Era forse un ricordo? Eppure non ricordava niente del genere.

Di una cosa però era certa... sebbene il ricordo sembrasse sfuocato, aveva riconosciuto la voce di Nobita.

Sospirò. Forse nell'ultimo periodo si era soffermata un po' troppo a pensare. E questo l'aveva stressata.

Di sicuro un bagno caldo e una buona dormita le avrebbero fatto passare quella pesantezza.

Qualche ora dopo, con indosso il pigiama e con il corpo ancora caldo per il bagno, si sdraiò sul letto.

Il suo sguardo stanco si posò nuovamente sulla macchia del soffitto. Chiuse gli occhi cercando di chiudere fuori qualsiasi pensiero, e si addormentò.

 

Stava correndo. Sentiva il cuore batterle forte, come se avesse paura, come se stesse scappando. Non sapeva da cosa e dove si stesse dirigendo, ma sapeva che doveva sbrigarsi.

Tutto intorno a lei era così tetro e buio, era da sola e desiderava solo incontrare volti famigliari per calmare l'ansia nel suo petto.

Raggiunse un grande ingresso e fu per un momento spiazzata dai grandi cristalli riflettenti sparsi nel luogo. Si guardò intorno molto spaesata e per un momento le sembrò che i suoi riflessi si stessero muovendo per conto proprio. Sentendosi come attirata, si avvicinò meglio ad un cristallo sfiorando con le dita la superficie liscia e fredda. Vide la sua immagine quasi distorcersi modificandosi e la bocca dell'immagine muoversi come se stesse pronunciando parole silenziose. Lei indietreggiò incredule, ma non si soffermò a lungo, perché individuò finalmente le spalle della persona che forse stava cercando.

Gli corse incontro, non riuscendo ancora a vedere il suo volto.

Provò a chiamarlo, ma si bloccò quando notò un corpo steso per terra. Aveva l'aspetto di un robot blu.

Il panico l'assalì e chiese spiegazioni al bambino di spalle, mentre si elevavano delle voci e delle immagini iniziavano a riflettersi sui grandi cristalli intorno a loro.

Ma il bambino dai capelli neri, sembrava non reagire alla sua presenza.

Lei lo afferrò, facendolo voltare bruscamente verso di lei e lo scosse trattenendolo dalle spalle.

Lui si era lasciato sballottare, quasi come non avesse la forza di reagire, poi lentamente aveva alzato lo sguardo su di lei. I suoi occhi neri con riflessi grigi si erano soffermati sulla bambina, come se la vedesse per la prima volta, e pronunciò il suo nome. Poi la sua espressione vuota cambiò in un sorriso spensierato.

Lei lo guardò ancora più preoccupata per il repentino cambio. Voleva delle risposte, ma lui si negava a dirle tutta la verità, così si era aggrappata con più forza alle sue braccia.

E d'un tratto lui tirò fuori un fiore viola. Lei non aveva idea da dove spuntasse e perché le fosse famigliare, ma poi il bambino glielo porse davanti al suo viso.

"Ti prometto che andrà tutto bene. Non preoccuparti, Shizuka"

Le aveva detto con il suo solito sorriso rassicurante, nell'istante stesso che dai petali del fiore fuoriuscì un profumo inebriante, avvolgendola come in una nuvola calda.

Le palpebre le si fecero pesanti, nonostante si sforzasse di tenerle aperte per concentrarsi meglio sul viso dell'amico. E per una frazione di secondo lo notò: lacrime solitarie stavano scivolando sulle sue guance tonde, senza che però lui perdesse il sorriso.

"Andrà tutto bene..."

Stava mentendo.

E lei stava perdendo la presa sulle sue braccia. Il corpo le stava cedendo da un'improvvisa stanchezza e le sue palpebre si erano ridotte a delle fessure.

"… perché io farò in modo che il tuo futuro possa essere radioso"

Nero. L'oscurità era calata in un istante.

 

Quando riaprì gli occhi fu quasi accecata dalla luce del mattino. Le ci vollero qualche secondo per constatare di essere sdraiata nel suo letto.

Lentamente si mise seduta, appoggiando i piedi giù dal letto, e cercò di riordinare i pensieri.

Cos'era stato?

Quello che aveva appena vissuto... era stato solo un sogno, giusto? Niente che riguardasse qualche ricordo del passato... perché se così non fosse, non saprebbe spiegarsi perché non ne avesse memoria.

Non avrebbe avuto senso poi, lui glielo avrebbe detto, vero?

Il Nobita del suo sogno doveva essere solo frutto di un insieme di ricordi della loro infanzia.

Shizuka guardò distrattamente l'orario della sveglia e si mise in piedi per iniziare a prepararsi per la scuola. Fece qualche passo davanti allo specchio per sistemarsi i capelli, legandoli nelle due abitudinarie codine. Si fermò dopo solo un codino e fissò la sua immagine immobile.

 

Mi spiace.

 

  • Oh, piantala di scusarti, Nobita!- esclamò di getto, quasi prendendosela con il suo stesso riflesso.

Si sciolse di nuovo i capelli e con un nastro li legò in un'unica coda alta. Tornò a fissare seria la sua immagine.

Voleva capirci di più. C'era decisamente qualcosa che non andava bene.

 

Mi ha detto di dirvi che vi ringrazia per i momenti passati con lui ed è certo che darete il meglio di voi per andare avanti.

 

Tornò prepotente quella sensazione che l'aveva tormentata da quando Nobita aveva iniziato a prendere le distanze. E una domanda che continuava a ripetersi nella sua mente: perché?

 

Qualsiasi cosa tu scelga, il tuo futuro sarà radioso.

 

Ripensò al bambino del suo sogno che sorrideva con le lacrime agli occhi.

 

perché io farò in modo che il tuo futuro possa essere radioso.

 

Anche se non era ancora certa che non si trattasse di un sogno, di una cosa era sicura... qualsiasi cosa passasse nella testa di Nobita, l'avrebbe tenuta solo per sé.

E lei ora sapeva da dove cominciare.

 

It is five o'clock
The evening-glow tells me
A treasure of our memories
It's become empty somehow

You held out a small hand
Smiling like to you it was so natural
It may have no meaning
But it is something I cannot do

You touched my hand without thinking
But it was nice for me

All the time we believed
That the world was in your hands
We were wrong
Maybe it wasn't
I just wanna hope so when
I'm holding your hand

Would you hold my hand?
Could I have ever said that?
I can't remember (I can't remember)
Why is it unclear?
I guess I'm just not who I used to be

At times I cried and cried
And at times I smiled

All the time we could not believe
That the world was in our hands
We were wrong
In fact it was
Cause you're holding my hand now

We've always been a part of the world
And the world has never changed
How about you? how about me?
We just know that we have changed

All the time we believed
That the world was in your hands
We were wrong
Maybe it wasn't
Cause you're holding my hand now

We've always been a part of the world
And the world has never changed
How about you? how about me?
We just know that we have changed

Every moment
Everywhere
I can believe
I can believe
When I'm holding your warm hand
Your warm hand

At times I cried and cried
And at times I smiled

   
 
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