MAGGIO 2007
La primavera avanzava portando con sé bellissimi cieli
azzurri e temperature sempre più alte. Anche per questo motivo i ragazzi
passavano sempre più tempo fuori, quando non erano a lezione, preferendo
studiare nel grande parco del castello piuttosto che al suo interno.
La circolare, ampia e ariosa, Sala Comune era inondata
di luce anche grazie alle maestose finestra arco, ma la stessa era smorzata – per
la gioia degli occhi di Anne – dai pesanti drappi di seta blu e bronzo appesi
alle pareti.
Arredata con moltissime librerie e scaffalature,
traboccanti di libri e tomi, oltre che da lunghi tavoli di legno scuro e come bèrgere, era ciò che più di ogni altra cosa aveva colpito
Anne la prima volta che vi aveva messo piede. Da quando era a Hogwarts grazie alla Sala Comune della sua casa aveva
potuto fare letture altrimenti impossibili e apprendere moltissime cose, eppure
adesso tutto ciò pareva non aver più alcun significato.
Osservava come in trance, semi sdraiata sul divanetto
della Sala Comune deserta, il soffitto a cupola. Lo stesso era decorato da un
affresco raffigurante il cielo notturno, punteggiato di stelle di bronzo, le
stesse che si ripetevano anche sulla moquette blu notte posta sul pavimento.
Era come era essere immersi nel cosmo, lo stesso di
cui suo zio le aveva rivelato così tante verità e tanto altro ancora le stava
insegnando. Erano passati trenta giorni esatti dalla sua dipartita e dopo il
ritorno a casa, suo e di sua sorella per il funerale,
riprendere la vita al castello era sembrata un’utopia.
Loro zia aveva incassato il colpo con grande
difficoltà e nonostante avesse insistito che le ragazze non lasciassero Hogwarts pur di starle accanto, con fatica le aveva
lasciate andare. Aveva una sorella a Ilvermorny,
insegnante di Difesa Contro le Arti Oscure e capo casa di Thunderbird,
che aveva raggiunto e questo faceva sentir un poco
meglio le gemelle perché almeno sapevano che non sarebbe rimasta sola.
Dal canto suo, Sydney era una furia, si era buttata
nello studio come mai prima, seguiva il Club dei Duellanti e aveva deciso di
iniziare anche il corso di Alchimia e nonostante il Campionato del Quidditch fosse concluso si allenava spesso con Daniel e Sirius. Anne invece stava affrontando il lutto in
tutt’altro modo. Era divenuta letteralmente un bradipo.
Andava a lezione volteggiando per i corridoi come un
fantasma, poi si chiudeva in Sala Comune e rimaneva lì a non fare assolutamente
nulla se non fissare con sguardo vacuo il vuoto.
I loro amici erano stati tutti molto presenti e gentili,
ognuno a loro modo. Christine si era dimostrata tra le più disponibili e
accondiscendenti, era una brava ascoltatrice. Margaret non mancava di
controllare ogni volta come stesse, come Daniel faceva con Sydney, e Ariane e
Sonia con i loro modi di fare un po’ particolari cercavano sempre di strappargli
un sorriso. Michael si era rivelato una spalla fondamentale per Syd, mentre Sirius un amico
inaspettatamente importante per Anne.
La giovane sospirò per l’ennesima volta e poi
mettendosi a sedere si passò una mano tra i capelli a caschetto color mogano.
Si tolse gli occhiali solo per massaggiarsi il naso e poi sconsolata si sedette
composta stringendo il bordo del divanetto con le dita.
Da lontano sentiva le risa dei ragazzi fuori e il loro
vociare e lei si chiedeva se sarebbe stata mai più così felice. Sapeva che era
egoistico pensarlo, non sarebbe mai stata né la prima né l’ultima persona al
mondo a dover soffrire una perdita, ma in quel momento anche se ci avesse
voluto provare non ce la faceva proprio a essere empatica.
Inforcò di nuovo gli occhiali e stiracchiandosi lanciò
uno sguardo al tema di pozioni abbandonato sul tavolo, aveva trenta centimetri
di pergamena che l’aspettavano. Doveva scrivere le proprietà della pietra di
luna, ma nonostante ci avesse provato almeno tre volte a iniziarlo, la
pergamena bianca era ancora lì che la guardava.
Gli esami erano vicini e lei non era certa che sarebbe
riuscita superarli, non che ripetere un anno, a questo punto, fosse poi una
tragedia, era chiaro che le tragedie fossero ben altre.
Come se non bastasse nella tasca dei pantaloni di tuta
sentiva ancora il rigonfiamento della lettera ricevuta dai suoi genitori, gli
stessi che invitavano calorosamente lei e Sydney a tornare a casa per l’estate.
Erano stati gentili a presentarsi al funerale e mettere da parte i loro
dissapori e remore, ma ciò non toglieva che ad Anne suonava tanto come una
scusa per riuscire a convincerle a restare. Come se la Scuola di Magia fosse
stato un capriccio e una volta finita sarebbero tornate alla “vita vera”.
Anne prese la lettera, aprì la pallottola che della
stessa aveva fatto e poi con uno scatto d’ira e frustrazione la strappò in
mille pezzi.
«Ma che ne sanno loro?»
Si chiese tra sé e sé. Gli occhi erano tornati a
pizzicare e quel macigno sul petto che impediva di respirare si stava
riproponendo più pensante che mai.
«Perché? Perché lui? Aveva ancora così
tanto da insegnarci, così tanto da dirci… avevamo così tanto da fare insieme…» pensò ancora.
Le mani si strinsero come una morsa contro il divanetto,
le nocche bianche e le lacrime che silenziose le solcavano le gote arrossate.
Scosse violentemente il capo.
No. Abbandonare la magia, voleva dire abbandonare ciò
per cui suo zio aveva combattuto, per lei e per Sydney. Nelle ultime feste di Natale,
proprio con lui aveva parlato dei loro progetti futuri ed entusiasta le aveva
indirizzate incoraggiando i loro sogni.
A Hogsmeade Anne si era
accorta che mancava una bella libreria e i locali di Zonko
erano ancora vuoti. Finita Hogwarts lei e Sydney
volevano aprire un caffè letterario. Sua sorella era un’ottima pasticcera e
dunque si sarebbe occupata della cucina, mentre lei di rifornire la grande
libreria. I tomi all’interno potevano essere comprati, presi in prestito o letti
sul posto. Voleva che l’offerta fosse variegata, ma si concentrasse
principalmente sulla letteratura magica e perfino babbana.
Loro zio era impazzito all’idea e gli aveva confidato che con la moglie aveva
aperto un conto alla Gringott, a loro nome, e che vi
avevano accumulato una piccola somma affinché una volta diplomate vi avrebbero
potuto accedere per dar vita ai loro progetti.
A quel ricordo Anne si morse un labbro sorridendo e
poi riprese a piangere più sommessamente che mai. Si era trattenuta così tanto
per non farlo con sua zia, sua sorella e i suoi amici, che una volta sola si
sfogava crollando totalmente.
Cercò di respirare per non sentirsi affogare, ma i
singhiozzi erano così violenti da scuoterla. Velocemente si strinse le braccia
al petto per darsi calore e forza, mentre nella sua mente continuavano a
formarsi domande e periodi circa tutti i motivi per cui la morte di suo zio
fosse ingiusta. Voleva solo che qualcuno gli spiegasse il contrario, che
cercasse di farle capire il perché… Era la sua costante necessità di aver
risposte che non le dava tregua…
Era così chiusa e persa nel suo dolore, che nemmeno si
accorse del CLACK che si produsse
quando il camino prese a spostarsi e, lentamente, anche le mattonelle alle sue
spalle rivelando quello che parve un lungo e buio corridoio. Anne ci mise un
po’ ad accorgersene, gli occhi erano annebbiati dalle lacrime, ma quando lo
fece dovette sbatterli più e più volte per essere certa di non star avendo
un’allucinazione.
La sua mente brillante le fece capire subito cosa
tutto ciò significasse e rimanendo completamente immobile si chiese se davvero
ne fosse degna.
«Troverai ciò che cerchi sulla strada per cercare
qualcos’altro…» sussurrò tra sé e sé, guardandosi intorno, quasi aspettandosi
che il fantasma di suo zio uscisse all’improvviso da uno dei muri.
«No! Non lo credo… non credo proprio!» perché in quel
momento il suo pensiero era solo su di lui e nient’altro. Forse per questo non
si alzò e guardò quasi con il broncio il passaggio. Poi si sentì così ingrata,
che mandò al diavolo il nulla e si alzò, cercando di darsi un contegno… alla
fine cercò di capire dove l’avrebbe condotta.
Il passaggio era così stretto che ci passava a
malapena, le mura erano umide e il piccolo tunnel puzzava d’umido. Non ci
vedeva molto, tanto che doveva tenere gli occhi ridotti a due fessure, ma poi
eccola… “l’immensa biblioteca a cui solo i
veri assetati di sapere potevano accedere” si aprì di fronte ai suoi occhi.
Era circolare e le grandi librerie alte fino al
soffitto, che sarà stato cinque metri, erano intervallate da colonne doriche.
Al centro, un immenso leggio e sopra lo stesso un pesante tomo alto almeno settanta
centimetri.
Nonostante il suo stato d’animo aprì la bocca per lo
stupore, seppure era certa che in un altro momento e in un altro contesto
sarebbe stata decisamente più febbricitante. Stanca e affranta mosse pochi
passi verso il centro e improvvisamente il grande tomo si aprì. Sulle pagine
ingiallite comparve una scritta: «Qualsiasi
sia la tua domanda o problema, qui troverai la soluzione. Non devi fare altro
che chiudere gli occhi e pensarci intensamente…»
Con le labbra che le tremavano e il pianto che
minacciava di tornare strinse i pugni come a volersi trattenere dal fare qualcosa
che sapeva sarebbe stato sbagliato, ma poi mandando al diavolo la prudenza e la
saggezza, chiuse gli occhi e pensò a un’unica cosa: «Voglio riaverti al mio fianco zio! Ho bisogno di te! Abbiamo bisogno
di te… cosa devo fare? Ti prego dimmelo, cosa devo fare?»
Si concentrò così tanto che le venne il mal di testa,
non voleva riaprire gli occhi perché aveva paura di ciò che avrebbe visto. E se
non fosse successo nulla? O ancor peggio se avesse creato un danno
irreparabile?
Ingoiò la propria saliva, così tanto che le venne il
buco allo stomaco, ma quando riaprì gli occhi notò immediatamente che sul libro
la domanda antecedente era scomparsa e qualcos’altro si stava auto-scrivendo.
«Il dono più grande che un essere umano
può ricevere è quello della conoscenza…»
Ad Anne mancò un battito. Si poggiò la mano sul cuore
e sorrise tra le lacrime, ben sapendo che quella era una frase che suo zio
ripeteva sempre.
«La conoscenza rende liberi!» aggiunse lei,
ricordandosi l’insegnamento dietro a quella frase.
Fu a fronte di quello scritto che un libro uscì da
solo dalla grande libreria alla sua sinistra e librandosi in aria verso di lei
si aprì, solo per rivelare che non era affatto un libro, ma più che altro un
contenitore. Al suo interno, il Diadema di Corvonero
brillava argentato con il suo grosso zaffiro blu, lo stesso uscì dal suo
nascondiglio e con la leggerezza di una piuma si posò sul capo della giovane.
«Infine lei che dall'intelletto fine
sottovaluta le sue capacità adamantine.»
Chiudendo gli occhi, la voce che sentì pronunciare la
frase del fantomatico indovinello, fu proprio quella di suo zio. Solo che ora
non si sentiva come si era sentita fino a quel momento. La sua voce non la fece
sentire più triste, più arrabbiata o più persa, al contrario. Era come se
adesso tutto le fosse chiaro, come se anche quell’evento nefasto facesse solo
parte di uno schema più grande. Come la serendipità insegnava era l’insieme di
un determinato numero di eventi, del tutto casuali, a dar forma invece al
disegno complesso e preciso del destino. In esso ogni azione e momento era
necessario per essere portarti a un altro. Per Anne fu come aver osservato
finora un imponente quadro troppo da vicino e solo facendo qualche passo
indietro ne poté ammirare la bellezza in tutta la sua totalità, apprezzandolo e
capendolo.
Iniziò improvvisamente a ridere tra sé e sé, una
risata sempre più forte e pura e vera.
«O-Ora capisco… O-Ora capisco tutto…» disse lei in
piena epifania.
Quando riaprì gli occhi non solo si trovò seduta sul
divanetto della sua Sala Comune, il diadema tra le mani e il passaggio
sigillato come se mai fosse esistito; ma sì sentì diversa. Si sentì completa.
Si sentì finalmente consapevole e completa.