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Autore: Nao Yoshikawa    28/04/2022    7 recensioni
Dieci nuclei familiari, dieci situazioni diverse tra loro: disfunzionali o complicate o fuori dalla cosiddetta "norma".
Anche se alla fine, si sa, tutti quanti sono all'eterna ricerca di una sola cosa: l'amore.
Byakuya detestava tornare al proprio appartamento, specie a quell’ora. Dopo la morte di Hisana aveva preferito andare a vivere da un’altra parte, in un luogo dove non avrebbe avuto ricordi dolorosi.
A Orihime piaceva molto l’odore di casa sua. Profumo di colori a tempera misto a biscotti appena sfornati.
Ishida era un po’ seccato, non solo per la stanchezza, ma perché odiava quando Tatsuki non rispettava i piani. Anche se comunque non si sarebbe arrabbiato a priori.
Rukia era provata, si poteva capire dal suo tono di voce. Era brava a nascondere i timori dietro una facciata di allegria ed energia, ma Ichigo la conosceva bene.
Naoko era indispettita. Possibile che nessuno capisse il suo dramma?
Ai muoveva le gambe con agitazione. Indossava delle graziose scarpette di vernice nera e molti le dicevano spesso che aveva il visino da bambola, con i capelli scuri e gli occhi di una sfumatura color dell’oro.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shoujo-ai, Yaoi | Personaggi: Gin Ichimaru, Inoue Orihime, Kurosaki Ichigo, Nuovo personaggio
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo
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Capitolo quattordici
 
Teneva JinJin sopra il proprio petto, mentre si abbandonava dalla noia. Ai aveva svolto tutti i suoi compiti come una brava bambina e in maniera eccellente, ma adesso non sapeva proprio cosa fare. Avrebbe tanto voluto essere con Hikaru in quel momento, magari chiamarlo, ma non aveva un telefono. E uscire di casa da sola? Non era possibile, era troppo piccola.
«JinJin, un giorno scapperemo. Ci sto pensando da un po’. Anche se non so dove andare, non importa. A volte ho l’impressione che io qui non sia voluta. Penso che papà e mamma sarebbero molto più felici senza di me.»
La voce le tremò appena e sentì gli occhi divenirle lucidi. Non poteva piangere, lei non piangeva mai, non era abituata. Sentì bussare alla porta e subito si mise seduta, asciugandosi una guancia su cui era caduta una lacrima.
«Sì, chi è?»
Era solo una la persona che veniva a parlarle di solito, la sua mamma. Nemu si affacciò timidamente e con altrettanta timidezza le sorrise.
«Posso?»
«Ah, certo!» iniziò a dondolare le gambe coperte dalle perfette calze di seta bianche.
«Sembri stravolta» constatò lei, sedendosi davanti a sua figlia. 
Sua figlia, per lei era perfetta. Era lei ad essere una donna, una madre (probabilmente anche una moglie) così imperfetta.
«Sono solo stanca» mormorò strofinandosi un occhio e accarezzando JinJin.
Mamma, mi sento sola e fuori posto.
«Anche io» sussurrò. «Ai, volevo dirti che mi dispiace per tutto quello che sta succedendo. Non è colpa tua, è che le cose tra gli adulti sono complicate.»
Invece sono facilissime, pensò lei. E poi pensò invece la colpa è mia.
«Tu e papà vi lascerete? Se vi lascerete però fammi venire con te, perché lui non mi vuole» disse mordendosi il labbro.
Non piangere. Nemu le portò una mano sulla testa, l’accarezzò e pensò che avrebbe voluto fare di più, ma dall'inizio. E che per colpa della sua tendenza alla passività a rimetterci ora era Ai.
«Non ci lasceremo. E no, non è così…» le disse, abbracciandola. Tutte e due parlavano a voce bassa. Tutte e due si capivano. «Tu sei amata Ai, te lo giuro»
Le suonò come falsa quella frase, però era vero. Doveva essere vero. Anche se entrambi avevano un modo strano di dimostrarlo, doveva essere così. Ma Ai – intelligente e geniale per quanto potesse essere – era una bambina e aveva bisogno di dimostrazioni pratiche. Un gesto, una parola, qualcosa. Nemu la tenne stretta tra le sue braccia finché non la sentì rilassarsi appena. E sentì qualcosa lì nello stomaco, acido misto a senso di protezione. Che aveva sempre avuto, ma che ora sembrava voler dominare anche la sua parte più docile e tranquilla. La lasciò poco dopo, chiuse la porta e scese nello studio di suo marito: Mayuri appariva come sempre scocciato e nervoso, aveva appena finito di parlare al telefono con chissà chi, ora se ne stava piegato sulla scrivania a controllare chissà cosa. E Nemu se ne infischiò che non volesse essere disturbato mentre lavorava. Si avvicinò, poggiando una mano sulla scrivania.
«Che c’è?» chiese lui senza neanche guardarla.
Guardami. Come facevi un tempo.
«Hai un’altra donna?» gli domandò in modo diretto. Le sembrava plausibile, quanti uomini tradivano le loro mogli? E se così fosse stato per lei, avrebbe gradito saperlo e basta invece di vivere nell’incertezza. Mayuri sollevò lo sguardo, facendo una smorfia e guardandola come se fosse impazzita.
«Ti sembro il tipo che tradisce?»
Nemu strinse i pugni.
«Tu… smettila di rispondere sempre alle mie domande con altre domande» tremò appena. Non stava gridando, sembrava starsi trattenendo. «Rispondi e basta.»
«Non ho nessun’altra donna. Per me non ha senso, il tradimento. Ti lascerei se ci fosse qualcosa che non va» fu la sua risposta.
«E ti pare che adesso vada tutto bene?»
Respira. Non perdere il controllo. Qui nessuno piange. Qui siamo tutti più mente che cuore.
O almeno così ho sempre pensato.
Mayuri si alzò e la fronteggiò: anche se era lei quella più bassa, Nemu non sembrava intimorita.
«Lo sai che io agisco in modo razionale e non perdo tempo con i sentimentalismi.»
Ma quelli non erano sentimentalismi. Era che non riuscivano a capirsi, da qualche anno. Che anche nei momenti più felici o tranquilli c’era sempre un sottofondo d freddezza e malinconia.
«Ma questi non sono sentimentalismi! È che tu sei strano. Non vedo amore nei tuoi occhi, né per me né per Ai. Io e soprattutto lei non possiamo immaginare, ogni tanto… c’è bisogno di dimostrare. Tu… prima non eri così chiuso in te stesso. Cosa è successo? Perché con me non parli?» gemette, si fece vicino e lo strinse. «Mi hai sempre detto che sono la tua persona preferita, una delle poche a suscitare il tuo interesse ed è per questo che tanti anni fa sei rimasto colpito da me. E ora?»
Era troppo vicina e per questo lui stava guardando da un’altra parte. Le portò una mano sopra la testa.
«Se ci tieni a saperlo i miei sentimenti per te non sono cambiati» disse e sembrava sincero. Ma non bastava e Nemu era decisa a giocarsi il tutto per tutto.
«E allora cosa? Me la stai facendo pagare per qualcosa? Perché ho voluto Ai anche se tu non la volevi?» questa volta stava alzando la voce, per la prima volta dopo anni. Mayuri rise, anzi, ghignò. Perché lui non rideva mai.
«Ah, è così che la pensi? Tu fai tanto la predica a me. Non la volevi, mi dici. Ma vorrei ricordati che nemmeno tu la volevi. Proprio così. Forse lo hai dimenticato, ma era una scelta di entrambi. Volevamo concentrarci sulla carriera, dicevamo. Sono troppo giovane, dicevi. Non ho istinto paterno, dicevo io. Allora, mi sa che avevi ragione. Ma oramai, dopo otto anni è un po’ tardi per pensarci, non credi?»
Nemu strinse i pugni e sentì le lacrime pungerle gli occhi. Quello che lui diceva era vero, anche lei aveva avuto i suoi momenti di dubbio, ma per Ai c’era stata. Per Ai ci sarebbe stata sempre.
«No, io credo solo che tu non sappia amare in modo normale.»
«Oh, oh. Che bella scoperta, mia cara, dico davvero» si sedette, guardandola dritto negli occhi. «Con la mia incapacità di amare in modo anormale e la tua passività, forse non dovevamo avere una famiglia. Ma oramai siamo qui.»
Nemu lasciò che le lacrime le rigassero il volto. Non piangeva davanti a lui da anni. Lui che non aveva mai una reazione umana. Lui che era troppo lavoro, troppa razionalità, amante del progresso, della scienza, di tutto ciò che era possibile controllare.
«Tu non sei umano» sussurrò infine.
Ai, che al piano di sopra aveva sentito tutto, accarezzando il suo criceto pensò che dovesse proprio andarsene.
 
Che Ishida non fosse più sé stesso era chiaro, e non per forza ciò era una cosa negativa. Aveva le parole di Tatsuki che gli rimbombavano ancora in testa: andiamoci piano, molto piano.
Quello era molto più di quanto avesse sperato. Sull’andarci piano era d’accordo, sul non farlo sapere in giro altrettanto. Anche se già a conoscenza c’erano sua madre, Ichigo e perfino Hanataro. Ma la colpa non era sua, era che la gente percepiva quanto innamorato fosse. Cosa più importante, però, Yuichi non doveva saperne nulla, non ci tenevano a dar lui un’altra delusione. Quel giorno il lavoro in ospedale era più pesante del solito. C’era stato un altro incidente e lui e Ichigo, l’uno accanto all’altro, un occhio di riguardo sempre ad Hanataro, stavano operando d’urgenza un adolescente: femore rotto in più punti, forse non sarebbe più riuscito a camminare in maniera normale. Anche se certe situazioni erano un po’ angoscianti, Ishida e Ichigo avevano oramai quell’esperienza necessaria che permetteva loro di chiacchierare d’altro, anche se dovevano farlo di nascosto.
«Mi ha detto di riprovarci. Non lo credevo possibile, ma era quello che speravo» sussurrò da dietro la mascherina.
«Hai visto? Te l’avevo detto. Io invece non so più che pesci prendere, Rukia da qualche giorno ha ricominciato a studiare e mi sento in mezzo al caos. Ma non mi lamenterò.»
«Ah, sei un marito esemplare, Kurosaki. Mi stai implicitamente dicendo di prendere esempio da te?» Ishida si sorprese di sé stesso, lui che così serioso aveva anche l'ardire di fare battute. L’amore faceva davvero un effetto strano.
«Kurosaki e Ishida, volete un tè per caso?» il dottor Kurostuchi sollevò lo sguardo verso di loro. Hanatoru sospirò.
«Io lo vorrei, con del miele.»
Ichigo quasi si morse il labbro a sangue per evitarsi di ridere. Non era né il momento né la situazione adatta e almeno grazie a ciò Kurostuchi non poté prendersela troppo né con Hanataro né con loro.
«State in silenzio o giuro che vi uccido. Ragazzini» si lamentò.
Dopo l’intervento, Ichigo inviò qualche messaggio a Rukia. Sua moglie era sembrata sin da subito entusiasta di tornare a studiare, come una ragazzina e tale entusiasmo era evidente anche dai messaggi che scriveva. 
Colleghi molto simpatici. Pensa che non mi danno più di venticinque anni.
Le materie mi piacciono. Non vedo l’ora di mettermi a studiare.
Torno più tardi, oggi. Baci, baci.
Ichigo sorrise, per poi sospirare. Adesso erano in due ad essere impegnati e non capiva perché questo dovesse mandarlo in panico. Lui era un chirurgo, abituato a gestire le situazioni di stress, cosa mai poteva andare storto?
«Oh, ciao Kurosaki, è una gioia vederti» lo salutò il primario Urahara, che ultimamente sembrava fin troppo allegro, in una maniera esagerata. «Ho saputo che tua moglie ha ripreso gli studi. Ottima decisione, lei è sempre stata una disposta ad aiutare il prossimo. E so bene cosa significa, mia moglie è un’insegnante.»
Eccolo che aveva preso a straparlare. Chissà se anche quell’uomo sempre di buon umore nascondeva qualche segreto sconveniente. Urahara gli mise un braccio intorno alle spalle.
«So a cosa stai pensando» disse, un po’ teatrale. «Rukia è ancora giovane e affascinante, chissà quanti ragazzi ben più giovani e aitanti di me potrebbero provarci con lei
Ichigo ringraziò in quel momento di essere anche amico di Urahara, altrimenti non si sarebbe potuto permettere di dargli una gomitata.
«Io non stavo pensando a questo! Che diamine, fai venire l’ansia alle pers-»
Ishida passò tra loro, correndo, tant’è che stava quasi per inciampare.
«Scusate, ma vado di fretta!»
Urahara sorrise, stringendo ancora Ichigo.
«Ah, l’amore. Guida tutte le nostre azioni, non trovi, Kurosaki?»
Ichigo si staccò dalla sua presa borbottando un “sì okay. Come vuoi, vecchio”. Sicuramente quel tizio nascondeva qualcosa, aveva l’impressione che tutti nascondessero qualcosa. Urahara, Ishida di cui aveva la certezza, Kurostuchi e anche sé stesso.
 
La stanchezza arrivò tutta insieme, quando tornò a casa. Sapeva che non avrebbe trovato Rukia ad accoglierlo, Rukia che aveva sempre tutto sotto controllo e che sapeva sempre gestire ogni situazione. Perfino meglio di lui che avrebbe dovuto essere abituato. La prima cosa che vide una volta rientrato fu Kaien litigare, tanto per cambiare, con Kohei. Nessuna traccia invece di suo figlio minore Masato.
«Kohei, giochiamo come dico io, a me leggere non piace!»
«Lasciami stare, mi dai fastidio.»
«Allora prova a darmi un pugno, brutto armadio a due ante.»
Ichigo si chinò, fermando Kaien prima che si facesse prendere la mano.
«Ooh! Ma la volete piantare?! Siete grandi oramai per litigare così. Dov’è Masato? E dov’è quello stupido vecchio che dovrebbe tenervi d’occhio?!»
Chiaro, Isshin se l’era data a gambe. Giocava con i bambini e poi lui doveva occuparsi di dividerli se litigavano.
«Masato non c’è. È da Yuichi» rispose Kaien, annoiato.
«E il permesso chi gliel’avrebbe dato?» domandò Ichigo guardandosi intorno. Almeno la casa era pulita e in ordine, per questo avrebbe dovuto ringraziare Yuzu.
«Lo stupido vecchio» rise il bambino, ora più divertito. Ichigo capì che avrebbe dovuto prendere un’aspirina per il suo cocente mal di testa. Voleva Rukia e il pensiero lo fece sentire infantile.
«Va bene, Kaien, ascolta. Tua madre non c’è, sarà molto impegnata. Possiamo collaborare?»
Kaien forse avvertì il tono esasperato del papà e allora fece spallucce.
«Ci provo. Comunque ho fatto cadere del succo di mirtilli sul tappeto in salotto. Però non dirlo alla mamma.»
Non ci avrebbe pensato nemmeno a dirlo a Rukia, anzi, non le avrebbe detto niente e basta. Non voleva darle preoccupazioni e doveva credere che andasse tutto benissimo, perché contava su di lui. Yuzu aprì la porta scorrevole, portava un grembiule e teneva in mano un mestolo.
«Bentornato! Ho preparato da mangiare e…»
Suo fratello le baciò la fronte, grato in maniera assurda che non fosse l’unica persona ragionevole lì dentro.
«Grazie. Ma si può sapere quello stupido vecchio dov’è finito?»
Yuzu, rossa in viso, tossì.
 «Beh, come dire… Kaien l’ha battuto in un gioco alla play station e lui si è intestardito sul fatto di voler vincere. E si è chiuso in camera da un po’ per far pratica.»
Non poteva crederci, che razza d’imbecille. Sorrise, in modo nervoso. Adesso ci avrebbe pensato a lui.
 
Rangiku non parlava a Gin. Anzi, gli parlava a malapena e la cosa le richiedeva uno sforzo enorme, perché lei – loro – non erano abituati a non parlarsi per troppo tempo. Le rare volte in cui litigavano, Gin sapeva sempre come farsi perdonare, adesso però non sarebbe bastata una parola o un gesto. Ma cercavano comunque di far finta di niente, almeno davanti a Rin e a Toshiro (quest’ultimo si sarebbe arrabbiato parecchio se avesse saputo).
«Rin, tesoro, ma non hai toccato cibo, sicura di stare bene?» domandò Rangiku. La sua bambina era pensierosa, aveva sbocconcellato un po’ di riso ma sembrava con la testa da un’altra parte.
«Su, Rin. Qualsiasi cosa ti passi per la testa, puoi dirla» affermò Gin. «Dimmi cosa vuoi e te la darò.»
Toshiro sollevò lo sguardo verso di lui. Dubitava che a Rin servisse qualcosa di materiale. Quella bambina sembrava sofferente e ciò non era difficile da capire. Rin posò le bacchette e si portò le mani in grembo.
«Io… voglio degli amici.»
Rangiku e Gin si guardarono.
«Ma tu hai degli amici… no?» domandò, cauta. In realtà non se l’era mai chiesto, l’aveva dato per scontato e forse aveva fatto un errore.
«Beh… non proprio» sussurrò. «Io non mi comporto molto bene con gli altri. Per loro io sono perfida.»
Gin si era fatto serio e attento. Rin era la bambina più dolce del mondo, non si era mai comportata in maniera perfida.
«Mia figlia, perfida? Com’è possibile?»
Rangiku avrebbe voluto dirgli forse qualcosina l’ha presa da te, che dici? Ma non lo fece.
«È vero» insistette Rin. «E dicono che sono snob, che lo siamo tutti, che abbiamo tanti soldi e poco cuore.»
A Toshiro a quel punto passò la voglia di mangiare. 
Sentire parlare così Rin era doloroso, la amava come se fosse sua sorella o sua nipote.
Gin alzò gli occhi al cielo.
«Non è certo colpa tua se sei nata in una famiglia ricca.»
«Oh, Gin, non è mica quello il punto» disse Rangiku scocciata. «Cosa le hai messo in testa? Che per essere rispettati bisogna essere temuti? Hai preso esempio dal tuo amico Aizen? Se è così, a maggior ragione puoi scordarti che mia figlia sposerà il suo, un giorno.»
Rin, i cui occhi erano sottili tanto da sembrare chiusi, spalanco le palpebre, confusa. Non poteva vedere l'espressione altrettanto confusa di Toshiro accanto a sé.
«Cosa…?» mormorò. Gin sospirò, non si era mai sentito tanto stanco. Ma fu Toshiro a prendere parola questa volta. Ci provava sempre a farsi gli affari propri, ma adesso si era superato il limite.
«Eh, no. Non ci provare. Non avevo torto, tu nascondi sempre qualcosa. Ma che hai in testa, decidere della vita di tua figlia in questo modo? E poi è solo una bambina»
Rin non parlava, non avrebbe saputo che dire, non era neanche sicura di star comprendendo fino in fondo. Matrimonio, vita migliore, erano concetti troppo strani e che non interessavano a una bambina della sua età. Gin sorrise. Non si arrabbiava quasi mai e, anche quando capitava, era bravo a nasconderlo.
«Toshiro, mio caro, con tutto il rispetto, ma non credo che questo ti riguardi.»
Il ragazzo si alzò, battendo una mano sul tavolo. Anche se di bassa statura, appariva minaccioso.
«Sì che sono affari miei, padre snaturato, bugiardo, doppiogiochista e…»
«Toshiro» Rangiku lo guardò serio, poi fece un cenno verso Rin, che se ne stava a osservare gli adulti che discutevano (per lei?) anche se avrebbe tanto voluto che nessuno di loro litigasse. Si sedette, sbuffando, ma solo per non far preoccupare ulteriormente Rin.
«Va bene, comunque tutto questo è assurdo. Stupido idiota» sussurrò, guardando il suo piatto. Gli era passata la voglia di mangiare e anche a Rin, la quale si era alzata ed era andata a osservare Sir Biss nella teca. Rangiku e Gin erano andati a discutere nello studio di lei, in modo da essere lontani dalla bambina e non turbarla ulteriormente.
«Gin, sono preoccupata. Sei sempre stato uno che pensa con la propria testa. Non è che ti fai condizionare troppo?» Rangiku se ne stava seduta sulla poltrona, con le gambe accavallate. Suo marito non la guardava, con una mano infilata nella tasca e l’altra mano occupata a tenere una foto incorniciata che ritraeva lui, Rangiku e Rin durante l’ultima vacanza a Shangai.
«Non mi faccio condizionare. Cosa c’è di male? Io voglio garantire a Rin un futuro felice.»
«E chi ti dice che sarà felice? È davvero troppo prematuro fare questi discorsi» dicendo ciò si fece rigida sulla sedia. «Gin, cosa c’è sotto? Che agli altri tu nasconda qualcosa mi interessa fino ad un certo punto, ma a me non devi nascondere niente.»
Gin aveva effettivamente un modo di fare e di porsi ambiguo, non si capiva mai cosa pensasse, era per questo che a molti non piaceva. Ed era una peculiarità del suo carattere che aveva imparato ad amare e apprezzare, anche se in certi casi risultava difficile.
«Io ad Aizen devo molto. È grazie a lui che sono riuscito a entrare nella facoltà di giurisprudenza, lui che mi ha assunto come suo assistente. Lui che…» si guardò intorno. «Che mi ha dato tutto questo. Prima ero povero in canna, soffrivo la fame, non avevo niente e mi sono ripromesso che alla mia famiglia non sarebbe mai mancato nulla.»
Gin sorrideva mentre parlava, ma il suo tono si era fatto malinconico. Rangiku conosceva la sua storia, ovviamente, ma era la prima volta dopo anni che lo sentiva di nuovo parlare del suo passato.
«Aspetta, ma questo non è vero. D’accordo, Aizen ti ha sicuramente dato una mano, ma tutto quello che hai avuto, lo hai avuto grazie ai tuoi sforzi. Non devi sentirti in debito! E a Rin non manca nulla, ma come vedi qualcosa la turba. Sono preoccupata per tutti e due, d’accordo?» si sfogò infine.  Non voleva litigare e non voleva quella tensione. «Sono stanca di recitare la parte della famiglia perfetta. Accettiamo di avere i nostri problemi come la gente normale, perché è questo che siamo.»
Gin posò la foto e guardò oltre la finestra.
«E invece non lo siamo.»
 
Da: Toshiro, ore 21, 08
 
Brutta situazione, davvero brutta. Se prima non sopportavo tuo marito, ora lo detesto. Lui e Gin sono due idioti, almeno tu e Rangiku ragionate in modo normale.
 
E poi una serie di emoticon arrabbiate.
 
Momo e Toshiro si erano scambiati i numeri, così da tenersi in contatto, e lui non aveva tardato a scriverle per esprimere il suo dissenso. A Momo era venuto da ridere, era piacevole conversare con qualcuno, visto che suo marito in casa la ignorava la maggior parte del tempo. Non solo, Sosuke di recente sembrava ancora più distante e Momo non voleva pensare a ciò che era più ovvio (e cioè che probabilmente avesse un’amante). Ma grazie all’amicizia di Toshiro sembrava tutto più sopportabile.
 
Ore, 21,12
 
Lo so, hai ragione. Io non sono d’accordo, ma mio marito non mi ascolta.
… In realtà non mi considera proprio.
 
Da: Toshiro, 21, 15
Che razzia di idiota
*Faccina arrabbiata*.
 
Rise di nuovo. Nonostante la differenza di età, era davvero piacevole. Lanciò uno sguardo a Sosuke, impegnato a scrivere qualcosa sul suo portatile.
«Amh, Sosuke… penso che domani uscirò, mancherò tutto il pomeriggio» lo mise alla prova. Iniziava a pensare di dover uscire, divertirsi un po’ di più, e cosa c’era di male nel frequentare quel ragazzo? Lui la guardò da dietro gli occhiali.
«D’accordo, allora. Chiamo una baby-sitter per Hayato» disse soltanto.
Aveva almeno sperato che s’interessasse, che le chiedesse qualcosa, ma questo non era successo. Momo sospirò.
 Da Momo:
Ore 21, 18
Ehi, ti va di uscire domani?
 Da Toshiro: 
Ore 21, 20
Volentieri. Finisco alle due del pomeriggio.
 
Si portò una mano sul cuore, come se fosse stata una ragazzina innamorata che parlava con il ragazzo del proprio cuore. Lo fece in automatico, un tempo era stato così con Sosuke.
 Da Momo:
Ore 21, 21
Va bene allora. Ci vediamo domani.
 
Poi passò accanto a suo marito e andò a dormire. Sosuke le lanciò un’occhiata e poi, assicuratosi di essere solo, prese il cellulare. Non era uno che frequentava certi social, ma Shinji sì. Lo cercò sul suo profilo instagram, pieno di foto con la sua band, di serate nei locali, di foto con Miyo. Sette anni lontani erano tanti. Anche troppi. Lo avrebbe rivisto perché, ne era certo, Shinji non lo aveva mai scordato. E d’altronde nemmeno lui.
  
Masato adorava passare il tempo insieme a Yuichi e questo oramai lo aveva capito da tempo. Facevano sempre giochi molto tranquilli quando erano da soli, leggevano fumetti, guardavano cartoni animati e poi parlavano, parlavano molto. Yuichi quella volta sembrava più propenso del solito a parlare.
«Lo sai, Masato. Le cose mi sembrano un po’ diverse» il ragazzino stava sul letto, le gambe sollevate verso il muro, a testa in giù, gli occhiali pericolosamente in bilico. Masato era seduto sul tappeto, aveva distolto lo sguardo dal fumetto che stava leggendo per guardarlo.
«Quali cose?»
«La mia mamma e il mio papà mi sembrano diversi. Si comportano in modo un po’ strano e io non capisco. Secondo me nascondo qualcosa. Ho pensato che forse sono tornati insieme, però non è possibile.»
«Perché no?» domandò Masato. Yuichi aggrottò la fronte, portandosi una mano tra i lunghi capelli scuri.
«Non lo so! È tutto troppo complicato per me. Io spero di non innamorarmi mai, se ci penso… mi viene il mal di testa!»
A Masato venne da ridere. Il suo migliore amico aveva ragione, l’amore dei grandi sembrava molto più complicato. Lui amava tante cose: giocare, correre, i fumetti. Amava la sua famiglia, suo fratello (anche se molto spesso avrebbe voluto lanciargli addosso qualcosa). Amava tantissimo i suoi amici e in particolare amava Yuichi. Ma di certo non era lo stesso amore dei grandi. Perché lui era piccolo, quindi – secondo lui – non era possibile.
«Ma non lo decidi tu. A quanti anni è che una persona inizia ad innamorarsi? Magari è già successo e non lo sai.»
Yuichi ci pensò su e poi fece una faccia spaventata.
«Accidenti, hai ragione! E io non mi sono accorto di niente! Innamorato, di chi? Masato, ti sembro diverso? Guardami bene!»
Si voltò, mettendosi a pancia in giù, così che potevano guardarsi negli occhi. A Masato, Yuichi sembrava lo stesso di sempre.
«Sei uguale al solito» disse, poi arrossì. «Yuichi, io ti voglio bene.»
L’altro bambino arrossì a sua volta, sorpreso da quello slancio d’affetto improvviso.
«Anche io ti voglio bene» rispose. Masato strinse i pugni, assunse un’espressione concentrata come se stesse facendo ricorso a tutte le sue forze.
«Però io ti voglio bene di più.»
Yuichi avrebbe voluto ribattere, avrebbe voluto capire di più. Kanae entrò in quel momento, portando un vassoio con su delle tazze contenenti cioccolata calda.
«Dovrete essere affamati, vi ho portato qualcosa.»
Masato ringraziò e si fiondò a prendere dei biscotti, mentre Yuichi gonfiava le guance.
«Ma papà dov’è andato? E mamma?»
«Oh, beh… tuo padre ha un altro turno in ospedale e tua madre… sì, lei è… al supermercato… di pesce» provò a inventarsi una scusa plausibile, cosa non facile. Yuichi sembrava sospettoso. «Comunque, cari bambini, vi lascio ai vostri giochi. Fate i bravi!» dicendo ciò la donna se ne andò, prima di tradirsi. Yuchi aggrottò la fronte.
«Hai visto? Te l’ho detto che c’è qualcosa che non va. Devo scoprire cosa.»
Masato gli fece segno con una mano, porgendogli un biscotto.
«Ti aiuto io!» si propose con un entusiasmo, mentre afferrava un altro biscotto.
Yuichi fu grato, grato in maniera impossibile da definire a parole, di avere un amico come lui. 
 
 
Rukia si era trattenuta in biblioteca fino a tardi per prendere in prestito alcuni libri. Nonostante la giornata stancante, era molto contenta, aveva fatto subito amicizia e poi aveva subito prese in simpatia Ukitake, uno dei suoi insegnanti. Non vedeva l’ora di raccontare a Ichigo tutto, nei minimi dettagli, ma quando rientrò trovò un silenzio che in un primo istante la destabilizzò: era tutto in ordine e pulito (questo di sicuro grazie a Yuzu). Ichigo era sul divano, si era addormentato con Kaien e Masato stretti a lui, la TV accesa a basso volume. Ichigo di solito non permetteva loro di guardarla prima di andare a dormire, ma doveva aver ceduto a causa della stanchezza e nel vederli il suo cuore si riempì di tenerezza. Posò la borsa e chinò ad accarezzare i capelli di suo marito, sembrava davvero stremato.
«Ichigo, sono a casa» sussurrò. Lui si lamentò, aprendo gli occhi.
«Ah…? Ah, bentornata. Siamo crollati tutti e tre, ora li metto a letto.»
«Non preoccuparti, va bene così. Se sei stanco vai pure, possiamo parlare domani.»
Lui si lamentò di nuovo, strofinandosi gli occhi e accarezzando i capelli di Kaien, abbracciato a lui come un koala ad un albero.
«No, no… ce la faccio, vado a metterli nei loro letti. Ah, e per la cronaca, mio padre vale più come bambino a cui badare che come aiutante.»
Rukia rise. Beh, come potergli dar torto? Frugò nella sua borsa e controllò il cellulare: da Byakuya nessun messaggio o chiamata e questo le dava da pensare. Era stata impegnatissima, ma doveva assolutamente cercarlo.
Poi lesse una sfilza di messaggi da parte di Renji.
 
Ore 19.00
Ciao Rukia, so che sei molto impegnata e giuro che mi dispiace disturbarti. Ma è successo un casino con Byakuya. Temo di averlo ferito.
 
Ore 19.50
Ho provato a chiamarlo, ma non risponde. E se non volesse più vedermi? Che dovrei fare? A te darà ascolto.
 
Ore 20.07
Sto diventando pesante, ma non so che fare. Volevo cercare Ichigo, ma temo sia troppo occupato anche lui. Non posso aver rovinato tutto. Non posso aver rovinato tutto, vero?
 
Rukia sospirò e chiuse gli occhi.
Cosa poteva fare, adesso?


Nota dell'autrice
Un capitolo che non ho iniziato nel modo migliore per via di Nemu e Ai. MA da questo momento in poi Nemu inizierà a rispondere per le rime a Mayuri e dargli contro perché sì. Per il resto, per Ishida le cose vanno bene, per la ToshiMomo anche, per la GinRan DICIAMO. Ho dovuto pensare ad un motivo per cui Gin dovesse essere così fedele/devoto ad Aizen e quindi mi sono inventata questa storyline in cui Aizen un po' gli fa da benefattore (che detta così suona un po' male lol). E il povero Ichigo sclera, non possiamo dire che non si stia impegnando, anzi. Spero abbiate gradito il capitolo :*
Nao
   
 
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