Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: coldcatepf98    29/04/2022    0 recensioni
Dopo che Historia decide di rivelare la sua vera identità, Erwin, indagando sulla faccenda, teme delle ritorsioni dal corpo di gendarmeria. Chiede quindi appoggio al comandante Pyxis, ma questo, non potendosi basare su fatti certi, concede al corpo di ricerca uno dei suoi soldati-spia che ha tenuto per sé gelosamente fino a quel momento: Siri, anche detta "il geco".
L'aiuto di Siri sarà fin da subito fondamentale per il corpo di ricerca, già provato dalle perdite dell'ultima spedizione, che avrà bisogno di un aiuto per affrontare il nuovo nemico: gli esseri umani.
Tuttavia Siri è una mercenaria, e non viene vista bene dagli altri soldati del corpo di ricerca, soprattutto dal capitano Levi che si mostra subito diffidente verso la ragazza sfacciata. Presto, però, si renderà conto che Siri non è quella che sembra.
Genere: Avventura, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Hanji Zoe, Levi Ackerman, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Spoiler!
Capitoli:
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Attenzione: in questo capitolo ci sono scene forti che possono urtare la sensibilità del lettore.

Capitolo 21 – La mia vendetta

 

«Levi… ho imparato troppo presto che dove non posso arrivare con la forza, posso arrivarci comunque con l’ingegno.»

 
Anno 830
Mentre si dirigeva verso casa, preferiva di gran lunga concentrarsi sul suono ritmico dei suoi piedi che battevano rabbiosi sul selciato e tenere quindi la testa ben sgombra, piuttosto che pensare a ciò che l’attendeva una volta arrivata a destinazione. Pronta ad essere sgridata per l’ennesima volta da Diya, non si pentiva proprio per niente di quello che aveva fatto, anche se, quando bussò alla porta, tenne lo sguardo basso per non incontrare quello indulgente della madre adottiva. Questa, non appena vide il suo vestitino e la faccia sporchi, oltre che i segni di graffi e i capelli spettinati, sussultò sorpresa all’inizio, per poi spingerla delicatamente dentro casa contrariata.
- Siri… di nuovo! – chiuse la porta e s’inginocchio davanti a lei, pulendole il visino paffuto dalla sporcizia e dalle lacrime rinsecchite – Ma guardati… 
La bambina guardava imperterrita il pavimento, corrucciata. 
- Devi finirla di fare a botte con gli altri bambini! Ti farai seriamente male se non la smetti!
Quella sgridata bonaria della madre la punse nell’orgoglio e le diede la forza di alzare lo sguardo e rispondere: - HANNO INIZIATO LORO! Io mi sono solo difesa!
Diya abbassò lo straccio e sospirò: - Dovresti evitarlo lo stesso, te lo spiego ogni volta…
- E TU NON CAPISCI OGNI VOLTA! – la donna sussultò e rimase a fissare il visino della bambina contrarsi e diventare rosso per le lacrime di rabbia che le stavano risalendo su – Mi prendono in giro, mi dicono che mamma era una toccata e che io sono una stramba con la faccia sporca!
Siri tirò su col naso, ormai aveva di nuovo le guance umide e stava singhiozzando nervosamente. Diya rimase a fissarla, mesta, mentre l’altra si portava le braccia agli occhi e se li asciugava coi polsini del vestito, ormai lercio. Le cinse le spalle con un braccio e la strinse a sè, la piccola Siri non appena poggiò la fronte sulla spalla della donna proruppe in un pianto più forte, agevolata dalla mano che l’altra le strofinava sulla schiena.
- Lo sai che queste sono solo cattiverie, – le parole di Diya le arrivarono dolci nelle orecchie, coccolandola anche più del suo tocco amorevole – lo dicono soltanto perché sai fare delle cose che loro non riescono nemmeno ad immaginare possibili. Se reagisci farai il loro gioco e…
- Mi hanno spinta. – non si era ancora calmata del tutto, però riuscì a scostarsi dalla madre quel tanto che bastava per guardarla negli occhi – Io li ho ignorati come mi hai detto di fare tu… però poi hanno iniziato a spingermi. – tirò su col naso e nuove lacrime le scesero copiose lungo le guance – Mi hanno spinta forte e sono caduta in una pozzanghera sporca di fango.
Era passato solo un anno dalla morte di Adrijana e Siri aveva iniziato la scuola da pochi mesi, ma era già un disastro: nonostante si trovassero in città, la morte della donna aveva destato parecchio sgomento, Diya aveva sperato, invano, nella discrezione delle pompe funebri, e invece la notizia che la vedova Myhre si era suicidata tagliandosi le vene nella vasca da bagno con amica e figlia nella stanza accanto si era diffusa più rapida anche di un’epidemia di raffreddore. Le malelingue non avevano smesso di parlarne e qualche bambino doveva aver sentito, se non tutta la storia nel dettaglio, perlomeno qualche cattiveria sulla difficoltà che Adrijana aveva trovato ad andare avanti senza suo marito, colta da quella profonda tristezza, quell’ultima fase del lutto, che aveva peggiorato la sua già fragile psiche messa a dura prova dal periodo post-partum. Quel dolore le si era incollato all’anima rendendola un guscio vuoto, fino a schiacciarla del tutto.
Diya aveva fatto il possibile, ma non era servito a nulla: si era trasferita da lei, badava alla bambina, cucinava e puliva anche dopo essere tornata dall’ospedale con la schiena a pezzi. Se lo faceva era solo per Siri, solo e soltanto per lei, frutto di quell’amore stroncato troppo presto di cui era stata felice testimone, era ciò che di bello era rimasto e non meritava tutto quel dolore da cui era circondata. Per questo e altri motivi, quando quel giorno, andata in bagno per prepararsi per il lavoro, aveva trovato la sua migliore amica nella vasca senza vita, decise di dire a Siri una mezza verità: dopotutto una bambina di cinque anni non poteva ancora capire cosa fosse successo e soprattutto le ragioni che avevano portato a quel risultato. Aveva barcollato sull’uscio per un secondo, tenendo la mano sulla bocca per trattenere lo shock, troppo scossa dalla scena a cui aveva desiderato non assistere mai nella sua vita. Poi aveva chiuso subito dietro di sé la porta cercando di fare meno rumore possibile per non svegliare Siri, che ancora dormiva profondamente. Altrettanto silenziosamente si era avvicinata alla vasca e aveva abbracciato il corpo senza vita dell’amica, piangendo. 
Alla bambina aveva detto delle parole semplici e rassicuranti, dandole tutte le spiegazioni possibili, perché sapeva che alla sua curiosità insaziabile non sarebbe bastato un semplice “mamma non c’è più”. Le aveva detto: «Siri, ricordi quando ti ho portata con me in ospedale quel giorno in cui c’era quella signora così stanca che si è addormentata? Dopo ti ho spiegato cosa le era successo, ricordi vero? Certo che lo ricordi… non scordi niente. Ecco… a mamma è successa la stessa cosa. Non tornerà più con noi.» aveva preso fiato, trattenendo le lacrime che si erano raccolte nei suoi occhi ormai rossi e lucidi, continuò tossendo leggermente per tenere un tono chiaro: «La mamma era molto stanca anche lei. Le faceva male qui. Il cuore. E quando questo è stretto dalla tristezza poi anche tutto il corpo inizia a non funzionare bene, soprattutto la testa, e questo ti fa sentire senza forze. E mamma non le aveva più da molto tempo, tanto che alla fine non ha più resistito.».
Siri era stata a sentirla attentamente e quella spiegazione l’aveva perfettamente soddisfatta, per anni aveva creduto a quella dolce bugia fino a quando poi non aveva realizzato che lo fosse, aveva capito la verità ma non voleva dirla ad alta voce e indagare. Anche anni e anni dopo, preferiva quel racconto di un cuore spezzato all’immagine di una donna dissanguata in una vasca da bagno, anche se la gente a cui lei non piaceva non faceva altro che ricordarle quella “scandalosa” eredità che si portava dietro, quasi come fosse colpa sua e dovesse sentirsi in colpa per una morte così poco decorosa. Mentre i più grandi portavano rispetto e la trattavano con un certo riserbo, i suoi coetanei sapevano dove colpirla se volevano ferirla, col tempo ci aveva fatto l’abitudine e ricordava a sé stessa che in realtà ad essere sua madre lo era sempre stata anche Diya, tanto quanto Adrijana.
Ma in quel momento aveva solo sei anni, era sporca e con quella sensazione scomoda di non essere accettata da quelli che lei avrebbe voluto essere suoi amici. Ci provava a non reagire alle provocazioni, ma non ne era mai stata capace anche a costo di prenderle di santa ragione. Diya la guardò intensamente e le accarezzò una guancia, poi prendendole il mento spostò lo sguardo della piccola verso di lei: - Loro non capiscono Siri, sono spaventati dalle tue capacità e in più non riescono proprio ad immedesimarsi in una situazione del genere, sai? – alla bambina tremò il labbro inferiore – Non sanno cosa dire, o cosa pensare, sono spaventati e quindi… fanno questo… 
Le passò lo straccio sul naso e sulle guance, strofinando per pulire bene le lentiggini, Siri fece una smorfia di fastidio: - Strofini troppo forte!
Diya le sorrise bonaria: - E allora tu non batterti con loro rotolandoti nel fango, o ti sporcherai le stelline che hai sulla faccia: sai che ora in cielo fa ancora caldo e preferiscono venire tutte sul tuo naso per stare più fresche.
- A me non piacciono… possono starsene dove stanno.
L’altra rise piano e poi sospirò: - Cerca di non rispondere alle loro provocazioni, domani io cercherò di risolvere la situazione, ma vendicarsi è inutile visto ciò che ti ho detto, lo capisci questo, vero Siri?
La bambina annuì, ma il giorno dopo si sarebbe vendicata lo stesso, perché se il mondo era crudele con lei, non vedeva perché non dovesse ripagarlo con la stessa moneta. Quando infilò nei pranzi di quei bambini che la tormentavano quelle lucertole che aveva catturato e le vide prima masticate e poi vomitate dagli stessi, sentì della strana soddisfazione dentro di sé, anche se allo stesso tempo si vergognava profondamente di quello che aveva fatto. Non avrebbe voluto farlo, se solo Diya l’avesse saputo sarebbe rimasta delusa, ed era anche peggio di sentirsi male con sé stessa. D’altra parte, però, dopo quell’episodio quei bambini non le diedero più fastidio: quando lei si fece avanti e disse di essere stata lei, minacciarono di picchiarla, come prevedibile, ma a quel punto lei a sua volta aveva detto che, qualora l’avessero fatto, quella non sarebbe stata l’ultima volta che avrebbero mangiato lucertole. La prospettiva di non essere sicuri di cosa avrebbero mangiato da quel giorno in poi, li tenne lontani da lei e con loro praticamente la maggior parte dei bambini della sua età, lasciandola sola o a farsi amici molto più grandi di lei. Vendicarsi aveva portato il suo prezzo, ma lei non poteva farne a meno e per il resto della sua vita aveva continuato a vendicarsi, e sapeva avrebbe continuato a farlo, sempre.
***
 
- Sai controllare bene le tue espressioni facciali.
Levi aveva aspettato un po’ prima di avvicinarsi guardingo alla spia, dopo che questa aveva finito una conversazione poco piacevole con Erwin e un mercante. Quest’ultimo, in maniera molto indelicata, aveva fatto un commento molto poco carino riguardo la sua enorme cicatrice sulla faccia, facendole capire di aver perso tutta la sua femminilità con essa. Siri era riuscita a mantenere un’espressione contenuta, ma i suoi occhi non riuscivano a nascondere tutto l’odio che provava verso quell’uomo tanto ricco quanto maleducato. Erwin la fissava con la coda dell’occhio, mantenendo un sorriso di cortesia ma mostrandosi allo stesso tempo abbastanza risentito, tossì piano sul punto di dire qualcosa, ma Siri, mantenendo la compostezza, riuscì a rispondere con un tono educato e mellifluo: «È una fortuna che abbia perso soltanto la mia femminilità, per fare il medico e il soldato non è necessaria. Non tutti possono dire di aver visto un gigante ed aver perso soltanto il proprio fascino. Ma d’altronde, se lei e i cittadini non scoprirete mai cosa significa è solo grazie ai sacrifici della nostra legione, non trova?». Il mercante era rimasto senza parole, si aspettava una reazione ben diversa e alla domanda della spia annuì imbarazzato, dopodiché Siri scambiò qualche altra chiacchiera conviviale e lasciò solo il comandante.
A quel punto aveva incrociato lo sguardo di Levi, poco distante da lei, che la stava tenendo d’occhio: s’intesero all’istante, non c’era bisogno di dirsi che avevano notato entrambi la presenza di Michel in quella sala.
- Tanti anni di pratica. – la ragazza ingoiò una tartare che aveva preso da un vassoio di un cameriere che le era passato accanto.
- Dovresti stare più attenta allo sguardo. Se potesse uccidere, a questo punto gli unici ancora in piedi in questa sala saremmo io, Armin ed Erwin.
Lei si voltò a fissarlo, poi abbassò lo sguardo sul bicchiere che teneva in mano. Glielo strappò di mano e lo bevve in solo sorso, inclinando il collo per berlo fino all’ultima goccia.
- Vacci piano saltimbanco. Preferirei non vomitassi in carrozza. – lo sguardo che Siri gli lanciò in risposta avrebbe fatto rabbrividire persino Erwin. Levi rimase impassibile e disse: - Bene, solo Armin ed Erwin.
Siri, quindi, rivolse un’occhiata alla sala, osservandola concentrata.
- Siri.
- Tieni. – senza guardarlo, gli restituì il bicchiere vuoto e s’immerse nella folla, Levi cercò di seguirla con lo sguardo ma, prima che potesse effettivamente seguirla a distanza, Erwin gli si parò davanti. Il comandante gli mise una mano sulla spalla e lo girò dalla parte opposta.
- Levi, devo chiederti di lasciar fare Siri. Le rendi più difficili le cose in una conversazione. – gli tolse la mano dalla spalla, mentre continuavano a camminare nella direzione opposta, quando Levi si voltò verso di lui guardandolo rabbioso. Si sentiva ansioso da quando aveva visto Michel, e ora l’apparizione del comandante, proprio nel momento in cui Siri si era allontanata misteriosamente, era più che sospetta.
- Basta con le cazzate Erwin. – l’altro abbassò lo sguardo serio sugli occhi grigi pieni di rabbia del suo interlocutore – Adesso mi dici che cosa sta succedendo e il vero motivo per il quale Siri è qui.
- Non capisco di cosa parli Levi. – adesso invece lui capiva perché Erwin e Siri andassero così d’accordo, lo facevano infuriare come poche altre persone al mondo col minimo sforzo e, a differenza di Hange, in totale consapevolezza.
- Se vuoi farmi innervosire, ti avviso, ci stai riuscendo. Cos’è questo? Un altro dei tuoi piani suicida? O magari uno di quelli dove a morire è solo uno dei tuoi sottoposti, tanto per cambiare.
Erwin sospirò e rivolse lo sguardo alla sala: - Ti sbagli. Nulla di quello che sta succedendo stasera è nei miei piani, per una volta, mi sto godendo una serata diversa dal solito.
Levi digrignò i denti e fece un respiro profondo prima di rispondergli: - Non credo tu abbia la più vaga idea, allora, di chi sia qui stasera e di quello che potrebbe scatenare.
A questo punto lo sguardo dubbioso che Erwin gli rivolse lo colpì ancor prima delle sue parole: - Levi, perché te ne preoccupi così tanto? Credi che Siri non sia capace di gestire la situazione o è per un altro motivo che ignoro? – il capitano sgranò gli occhi, colpevole. Senza parole, superò Erwin che rimase ad osservarlo mentre s’incamminava davanti a lui.
- Levi. – voltò quindi la testa indietro a guardarlo, fermandosi sul posto – Se proprio credi, puoi accertarti delle cose tu stesso. Non lascerò che sia io a decidere per te.
Detto ciò, Erwin si spostò, allontanandosi e lasciando a Levi libera la vista sull’altra parte della sala che il comandante aveva cercato di nascondergli e verso la quale aveva visto Siri sparire: intravide Michel e l’uomo che aveva visto prima avvicinarglisi, parlare e poi abbandonare la sala scomparendo in un corridoio. Pensò che ovunque stessero andando, la spia fosse già lì, perché osservando attentamente la folla non la trovò da nessuna parte, lasciò quindi il calice vuoto e si diresse verso il punto in cui i due erano andati. Non appena si affacciò nel corridoio, guardò da una parte e dall’altra: alla sua destra le pareti presentavano porte a singolo o doppio battente, mentre nell’altra direzione c’era un vicolo cieco coi bagni. Si diresse sulla destra, cauto, cercando di camminare a passo felpato, fino a quando non s’imbatté in una stanza le cui porte erano state spalancate: nello sfarzo dei tappeti persiani e pesanti tende rosse, intravide, impercettibile con una prima occhiata distratta, un tessuto color verde militare, nascosto tra una scrivania e una pesante tenda in velluto rosso. Entrò e si diresse verso quella macchia di colore familiare, ma non appena sentì delle voci arrivare dal corridoio, si nascose dietro la tenda, da cui poteva vedere il pastrano militare con gli stemmi del corpo di ricerca abbandonato assieme a dei guanti in pelle nera.
Improvvisamente, prima che chiunque stesse arrivando in quella stanza entrasse, qualcuno premette una mano sulla sua bocca tirandolo indietro fino a farlo aderire al proprio petto. Levi s’irrigidì all’istante e afferrò il polso dell’assalitore con forza, ma al tatto riconobbe le familiari fasciature di Siri.
La ragazza sporse le labbra sul suo orecchio fino a sfiorargli il padiglione auricolare, con la voce bassissima gli soffiò: - Shh… – gli infilò l’altra mano nella tasca del cappotto – Lasciami il braccio o me lo spezzerai e non è proprio il caso boss. Sapevo che Erwin non ti avrebbe fermato come promesso… – le lasciò il braccio, rilassando il corpo. Poi Siri tirò fuori la mano dalla tasca, che gli si appesantì, e, allontanando anche l’altra mano dalla bocca, lo spinse con delicatezza in una rientranza del muro dietro la tenda. Il capitano non riusciva a distinguere assolutamente nulla nel buio, sentì solo sulla sua guancia la mano di Siri e di nuovo le sue labbra morbide poggiarsi al suo orecchio e dirgli: - Qualsiasi cosa dovessi vedere o sentire, non uscire di qui, intesi? – prima di allontanarsi, gli diede un bacio sulla guancia e tirò via la mano dal suo viso con una carezza. Quando capì di essere rimasto solo in quella strettoia, infilò la mano nella tasca in cui la spia doveva avergli lasciato qualcosa: tastò un cilindro duro, risalendo toccò qualcosa di freddo e affilato. Tirò fuori il pugnale che gli aveva lasciato e lo osservò sotto quella singola e flebile striscia di luce che arrivava oltre la spessa tenda in velluto e s’infilava attraverso il sottile spiraglio dell’anfratto: se non doveva uscire di lì, si chiese perché gli avesse lasciato un’arma. I suoi piani non erano un azzardo, a differenza di quelli di Erwin, non poteva e non voleva credere che sarebbe stato costretto ad usarlo se le cose si fossero messe male. Nel frattempo, così confuso com’era in quel momento, non si era reso conto che nella stanza qualcun altro era entrato e aveva iniziato a parlare.
 
Siri uscì dalla rientranza dietro cui aveva nascosto Levi e si sistemò dietro la pesante tenda rossa, mettendosi in ascolto. Si concentrò sul rumore dei passi, riuscì a distinguere distintamente tre diverse persone nella stanza, a parlare però erano solo Michel e il nobile proprietario di casa, continuavano a parlare del commercio usando parole in codice per riferirsi alle persone rapite e ridotte in schiavitù. Dopo qualche chiacchiera tra lui e l’erede degli Aurille, i tre si spostarono nella stanza accanto in cui si sedettero per “discutere degli affari”. 
 
Dallo spiraglio, Levi riuscì a intravedere i tre spostarsi e scomparire nella stanza accanto oltre un arco decorato da tende a mantovana, dietro cui vide la spia scivolarci dentro silenziosa e schiacciarsi nello spazio tra queste e il muro. 
Quindi era questa la missione, pensò, mentre notava con amarezza che Siri aveva indossato la sua vecchia divisa totalmente nera, aveva persino la maschera alzata fin sopra il naso.
Levi sentiva i due nobili discutere di denaro e “spostamenti di merce”, ma era chiaro che stessero parlando di commercio di esseri umani. In tanti anni passati nella città sotterranea, in cui i rapimenti per questo tipo di affari erano all’ordine del giorno, aveva imparato suo malgrado tutti i termini che venivano usati in quel campo. Persino Kenny ripudiava quel modo di fare soldi, di suo il capitano ne era letteralmente disgustato, ma, ormai, cosa poteva più sorprenderlo. Non aveva idea in cosa consistesse il piano di Siri, tuttavia, non gli quadrava un piccolo particolare: la terza persona in compagnia dei due nobili non aveva ancora spiccicato parola. Sporgendosi ancora un po’, riuscì solo a cogliere qualche dettaglio della sua fisicità, ma nulla che potesse ricondurlo a qualcuno che avesse già visto. Non l’aveva visto bene in faccia, né in sala prima né in quel momento con quella poca visibilità che gli era permessa, ma era riuscito a distinguerne solo la corporatura alta e ben piazzata, oltre che i capelli scuri che uscivano da sotto un capello, credette dovesse trattarsi di una guardia del corpo.
- La ringrazio Michel, – sentì dire dal nobile Aurille, non poteva vedere i due aristocratici perché si trovavano oltre il muro, ma riuscì a sentire delle sedie che strisciavano sul pavimento, segno che la loro conversazione doveva essere giunta ad una fine – come sempre è un piacere fare affari con te.
Sentì Michel ridere educatamente: - Direi che possiamo passare a vedere la merce di sotto. Ma prima… – vide il terzo uomo toccarsi il bordo del cappello e annuire a, probabilmente, un cenno che doveva avergli fatto Michel. Il capitano avrebbe voluto sporgersi per vedere meglio, ma non poteva muoversi più di quanto non avesse già fatto, raggelò quando l’uomo si diresse proprio verso le tende dietro cui Siri era nascosta, fermandosi poco dietro l’arcata, stando ben attento a non superarla: avevano capito fosse nascosta lì e volevano evidentemente sorprenderla. Levi trattenne il fiato, stringendo l’elsa del pugnale nella tasca.
- Prima io e il mio collega abbiamo bisogno di fare un po’ di pulizia… – vide il nobile Aurille uscire dalla stanza con un sorriso stampato sulla faccia. Era tutta una montatura. Il cuore di Levi iniziò a martellargli nel petto, mentre continuava a ripetersi nella testa di rimanere lì dov’era. Qualsiasi cosa tu veda.
- … Ci sono troppe cimici in queste stanze polverose, o forse, dovrei dire… gechi.
L’uomo misterioso fece un lungo passo in avanti e sporse la mano nella tenda dietro sui Siri era nascosta, afferrandola per il collo della maglia la trascinò fuori, scaraventandola con tutta la forza sull’altro stipite dell’arcata. La ragazza tossì per il contraccolpo, ebbe la prontezza di abbassarsi e schivare un pugno del suo assalitore, con un movimento fulmineo fece scattare il meccanismo sull’avambraccio che teneva il pugnale, facendolo scivolare nella mano: con uno slancio fletté il braccio verso l’uomo, per cercare di accoltellarlo, ma, proprio quando lui l’ebbe schivato e lei stava per affondare il braccio nuovamente nella sua direzione, perse equilibrio e velocità. Levi, da quello spiraglio, fu colpito in pieno dallo sgomento che lesse negli occhi sgranati di Siri, quando poi sentì la voce di lei sospirare incredula: - Bernard? – credette che le gambe gli avrebbero ceduto o, al contrario, sarebbero scattate in avanti senza il suo controllo per andare ad ucciderlo con le sue stesse mani.
L’uomo, ormai non più tanto misterioso, approfittò di quell’indecisione di Siri per afferrarle il polso e alzarle il braccio malamente, mentre con un calcio le colpì una caviglia con forza, facendola cadere con un tonfo. La ragazza si dimenò, cercando di colpirlo, ma al capitano era chiaro come sarebbe finita, quella singola indecisione, quell’errore, le era costato caro: non c’era più possibilità per lei di ribaltare la situazione e vincere. Levi guardava con occhi sbarrati Bernard piazzarle un pugno in faccia e poi riempirla di calci nello stomaco, solo dopo averle strappato di mano la lama. Quando ne ebbe abbastanza di colpirla, lanciò via il cappello e si passò una mano nei capelli mossi, portandoseli indietro mentre respirava a fatica: non era, notò il capitano, per lo sforzo, bensì per le lacrime. Bernard piangeva e la cosa lo fece innervosire ancora di più. Siri era a terra ad ansimare come un cane, rivoli di sangue che le colavano dal naso e dalla bocca mentre dolorante si teneva la pancia, rannicchiata, e colui che l’aveva tradita aveva il coraggio di piangere. Levi respirava a fatica, tremando dalla rabbia si sforzò di non reagire, e si chiedeva fino a che punto valesse il “qualsiasi cosa tu veda”. Non si mosse, gli aveva chiesto di non muoversi e per ora l’obiettivo dei suoi assalitori non sembrava essere quello di ucciderla. Una donna dai capelli corvini fece capolino da dietro il muro che ancora nascondeva Michel e si abbassò su Siri, prendendole il pugnale agganciato all’altro avambraccio.
- Bernard hai esagerato. Ti avevo chiesto di metterla solo fuori gioco, non di ridurla in questo stato. – disse armeggiando con la cintura per rimuovere anche il resto dei pugnali. Levi capì che lui l’aveva fatto per dimostrare a lei e a Michel che non aveva alcun ripensamento o rimorso, che non avrebbe avuto pietà per la ragazza verso cui provava del tenero. Non aveva mai provocato Bernard, si era sempre solo limitato a guardarlo con ostilità, ma Levi si sentì ugualmente responsabile: forse, si disse, lui non l’avrebbe tradita se non avesse inteso ci fosse qualcosa tra lui e Siri. Era solo una riflessione dettata dall’impotenza che provava in quel momento, non aveva senso ma per lui era inevitabile sentirsi colpevole ogni qualvolta qualcuno a cui teneva soffriva. 
Non… Muoviti. – rispose l’altro con la voce rotta e gli occhi arrossati. Lei, quindi, sganciò anche gli altri pugnali sulle cosce di Siri e si allontanò, lasciando spazio a Bernard che girò la spia, ancora dolorante, di pancia a terra. Posizionò un ginocchio sulla schiena della ragazza facendo una lieve pressione che la fece tossire, questa poi girò la testa verso di lui e lo guardò dritto negli occhi mentre questo le legava i polsi dietro la schiena: - Bernard… io mi fidavo di te…
Il ragazzo si bloccò e Levi riuscì a vederlo cercare di trattenere la smorfia di dolore che gli attraversò la faccia. Bernard rimase a fissarla pietrificato, incapace di muovere un altro muscolo.
 
- Cazzo, potevi dirlo che sei diventato sentimentale crescendo. – Tamara gli diede uno spintone, facendolo alzare dalla spia – Lascia fare a me. – si chinò e finì di legarle strettamente la corda attorno ai polsi, poi, afferrandola dalla maglia, l’alzò con uno strattone.
Siri si mise in piedi a fatica prendendo respiri profondi, mentre con la testa cercava di scostarsi ciocche di capelli dal viso: - Di te, invece, Tamara, non mi sono mai fidata.
- Di questo non avevo alcun dubbio. – le rispose l’altra, spingendola in avanti.
- Credevo di non dover rivedere più il tuo brutto muso Michel, – disse quindi Siri, rivolgendosi al nobile che sedeva dietro la scrivania massiccia in legno e si era goduto la scena sbracato su di una sedia ben imbottita – ma si sa, la vita è spesso deludente.
Lui, di tutta risposa, sogghignò e fece un gesto con la mano: Tamara la face sedere su una sedia di fronte a lui.
- Ah, ti ricordi solo adesso come si trattano gli ospiti? Un gran bel coraggio a far spostare la tua “merce” mentre la dimora degli Aurille pullula di soldati. – Siri sorrise sprezzante – Ma immagino che i miei cari amici alle mie spalle ti avessero già informato in anticipo della mia incursione, quindi di sotto non c’è proprio un bel niente. Dico bene?
- Sei sempre stata così sveglia che quasi mi dispiace per la fine che hai fatto.
- Ma non mi dire.
Michel si alzò e iniziò a camminare dietro la scrivania: - Proprio perché sei così intelligente, so che adesso prenderai la decisione giusta.
Tamara si sporse alle sue spalle e tagliò la corda che le teneva i polsi, Siri strabuzzò gli occhi, si guardò alle spalle e poi Michel interrogativa: - Hai voglia di scherzare? Che significa?
- Siamo pari, non credi? Ormai mi hai scoperto, ma non puoi accusarmi di nulla visto che non hai prove, d’altra parte, so che non ti arrenderesti così facilmente, inoltre ora che sai che Bernard e Tamara sono dalla mia parte, non godrò più di quella copertura che avevo prima. Per cui…
Siri proruppe in una risata fragorosa. Si sporse in avanti tenendosi la pancia che ad ogni spasmo le doleva più forte.
- Hai ragione! Sono intelligente, ma, credimi, chiunque in confronto a te sembrerebbe un genio! – poggiò la schiena sullo schienale passandosi una mano sulla fronte, mentre prendeva fiato, la risata nervosa di poco prima totalmente scomparsa – Tu come hai anche solo potuto pensare che io, io, potessi voltare le spalle alla mia legione, a Pyxis e alla corona come ha fatto quel verme dietro di me, per proteggerti? Solo per aver fallito una volta? Tu non mi conosci affatto.
Michel non si era scomposto e la fissava impassibile mentre si alzava. Lo sguardo di Tamara saettò da Siri al nobile, mentre Bernard guardava dritto davanti a sé, consapevole di quello che stava per accadere.
- Mi dispiace tanto, Michel, ma questa volta non hai nessuno con cui ricattarmi, non hai assolutamente NULLA. – alzò le braccia, e sorrise sconsolata – Non ho più niente, mi hai tolto l’ultima cosa a cui tenevo. Non ti rimane che prenderti la mia vita, mi dispiace per te ma ho solo quella, e preferirei morire piuttosto che tradire le persone che hanno fiducia in me.
Il nobile fece spallucce e disse: - Beh, allora puoi andare. Esattamente come hai fatto quella notte, puoi scappare e, di nuovo, qualcuno esalerà l’ultimo respiro sotto i miei occhi.
Bernard chiuse gli occhi, mentre Tamara si tenne pronta. Siri guardò le due spie alle sue spalle e poi si voltò accigliata.
- Mentre eri così concentrata a guardare me in sala l’hai perso di vista, un secondo, ma è bastato. – Siri raggelò sul posto mentre il suo interlocutore, facendosi più forte della sua reazione, continuò – Ecco, hai capito benissimo. Non credevo trovassi un nuovo spasimante così in fretta. Sai, le sue urla mi hanno ricordato molto quelle di tua madre. Mentre siamo qui a parlare probabilmente stanno continuando a torturarlo, non so cosa rimarrà di lui se continuiamo a perdere tempo senza arrivare ad una soluzione.
Improvvisamente bussarono alla porta, tutti spostarono lo sguardo alle loro spalle trattenendo il respiro, il suono parve riscuotere anche Bernard che, risvegliatosi dal suo stato catatonico, si diresse alla porta, l’aprì di poco e lo sentirono cacciare via l’intruso mentre Tamara con gli occhi fissi su Siri, rimase attenta alla conversazione sull’entrata.
Il ragazzo quindi chiuse la porta e tornò accanto a Tamara: - Era un cameriere. Probabilmente l’ha mandato Aurille per capire come procedesse.
Siri tornò a guardare Michel: era stato impercettibile, ma Tamara aveva notato sul viso dell’altra un sorriso accennato prima che si rigirasse, e quando sospirò sonoramente sentì come se della neve le fosse scivolata nel colletto della camicia e poi lungo la schiena.
- Ah, Michel. Adesso dovrai dirmi chi cazzo hai preso in ostaggio, e sai perché? – Siri rilassò le spalle e inclinò la testa – Perché il nome del mio “spasimante” è Levi.
Tamara spalancò gli occhi realizzando la vera ragione per la quale l’amico non voleva uccidere l’interesse della ragazza, ed era perché non poteva farlo, il soldato della legione esplorativa era l’unica persona che non poteva oggettivamente uccidere. Si voltò verso Bernard: - Maledetto figlio di… – cercò di affondare uno dei pugnali di Siri che ancora teneva tra le mani, ma venne raggiunta prima da Bernard che, con un colpo ben assestato dietro la nuca, la fece svenire sul colpo. Michel vide sconvolto la sua unica alleata stramazzare al suolo, incredulo disse: - Non hai nulla. Non ci sono prove, non hai documenti. Niente di niente.
Siri si avvicinò al corpo senza sensi di Tamara e si piegò a raccogliere i suoi pugnali: - Una cosa che ho sempre detto a Bernard è, se non sbaglio, “Sono sempre un passo davanti a te”.
- Non sbagli. – confermò l’altra spia mentre imbracciava il corpo della collega svenuta.
- Mentre sei qui a fare questo inutile teatrino che ti ho concesso, due squadre del corpo di guarnigione e gendarmeria stanno facendo un’incursione nel posto in cui hai spostato lo scambio. È stato astuto da parte tua far credere a Bernard che fosse comunque qui il luogo dello scambio, io però non mi fido proprio di nessuno, quindi me ne sono accertata io stessa.
Bernard sbuffò: - Sai che non potevo farlo io, avrei compromesso la copertura, te l’ho già spiegato…
Siri alzò un indice e scosse la testa: - Michel. Chi avete preso stasera? – fece un passo verso la scrivania.
Bernard la guardò nervoso: - Siri. Non ne vale la pena, abbiamo finito. – adesso aveva seriamente iniziato a preoccuparsi. Lui aveva messo in guardia la sua amica sul futuro tentativo del nobile di provocarla, non avevano previsto prendesse anche un ostaggio e, se aveva capito bene chi avessero preso, questo non l’avrebbe lasciata del tutto indifferente.
Michel intravide l’ira montare nella ragazza, chiunque avesse torturato pochi minuti prima, doveva avere comunque una qualche importanza per la spia: - Bernard ha ragione, lascia perdere. Come ti ho detto ha urlato parecchio, ma dopotutto è solo un ragazzino, a quanto pare. Sembrava più grande così imbellettato com’era stasera.
Con gli occhi fissi sul nobile, la spia a voce bassa e profonda disse: - Bernard, chi era alla porta?
Il silenzio che seguì fu la conferma che cercava. Il respiro di Siri accelerò.
- Non ha importanza, possiamo andare, Erwin l’avrà già liberato. – lei però non sembrava assolutamente essere dello stesso pensiero. Michel ne approfittò e continuò, giocandosi il tutto per tutto: gli rimaneva soltanto quello e, anche se quella sera aveva ormai sancito la fine della sua ricchezza e del suo nome, avrebbe cercato di portare a termine l’unica parte del piano che ancora gli rimaneva.
- Oh, ha ragione, non ha importanza Siri. Come non ha importanza le condizioni in cui era il corpo di Diya quando Pyxis è riuscito a recuperarlo, ma dopotutto era già morta sola come un cane nei sotterr… – Siri con una falcata salì sulla scrivania e slanciandosi con una gamba gli mollò un pugno in piena faccia che lo fece barcollare all’indietro. Michel cercò di difendersi ma la spia, nonostante fosse indebolita dallo scontro con Bernard, non gli lasciò fiato e impiegò tutte le sue ultime energie solo per colpirlo ripetutamente. Nonostante l’evidente differenza di stazza, Siri lo scaraventò contro una libreria, poi lo calciò facendolo capitolare per terra.
- Siri. – Bernard cercò di chiamarla risoluto, ma lei era come se non sentisse ragioni. Ciò che lui e i suoi superiori avevano temuto mentre Michel aveva bramato accadesse, stava succedendo. Non poteva intromettersi, doveva solo sperare che Siri non compromettesse il suo intero futuro perdendo definitivamente la ragione ed era difficile pensare che non sarebbe successo, mentre sedeva sul petto di Michel e gli bloccava le braccia con le ginocchia per riempirlo di pugni. 
Ad un certo punto, lo sguardo di Bernard venne attirato da un movimento alla sua destra, si voltò e vide Levi apparire da dietro una tenda nella stanza adiacente, camminare e fermarsi davanti l’arco che collegava i due spazi. Aggrottò le sopracciglia quando notò lo sguardo imperturbabile con cui stava guardando Siri colpire ripetutamente la faccia ormai piena di sangue del nobile; quando lo vide sgranare gli occhi si voltò di scatto di nuovo verso Siri che, ora, aveva tirato fuori un pugnale da una delle fodere sulla vita.
 
Siri era abituata sin da piccola a sentirsi sopraffatta dalle emozioni, aveva imparato a controllarle o a lasciarle fluire fuori con tutta la forza, e la maggior parte delle volte la sua logica cedeva. In quel momento non poteva controllare quella rabbia prorompente, i suoi occhi erano annebbiati da tutto quel risentimento che li inondava come un fiume in piena. Lei reclamava a gran voce la sua vendetta, per lei, per Diya, per Jean che aveva messo in pericolo e che alla fine era stato torturato. Era convinta che fosse tutto ciò che le rimaneva da fare: ma quando alzò il pugnale sopra la sua testa, pronta ad affondarlo in quella del nobile che la guardava con occhi vacui e semichiusi, le tornò alla mente quel ricordo di quando da bambina fece mangiare le lucertole ai bambini che la tormentavano. Riuscì a ricordarsi come si sentì una volta che si fu vendicata: non si sentì meglio, ma nemmeno peggio, l’azione non l’aveva lasciata soltanto vuota, ma anche più sola di quanto non lo fosse già.
Vendicarsi non l’avrebbe portata da nessuna parte, non le avrebbe ridato indietro sua madre o Jean illeso, da quello che aveva potuto sperimentare per tutta la sua vita era che quel sentimento e le azioni che causava ne avrebbero restituiti altri peggiori, e uccidere una persona per rabbia probabilmente le avrebbe dato indietro soltanto più dolore: a quel punto, non poteva più sopportarlo. Aveva ancora qualcosa da perdere, l’avrebbe sempre avuto e forse era arrivato il momento di chiudere quel cerchio di odio e perdonarsi, affrontare quel dolore e cercare di risanarlo senza nuocere agli altri o a sé stessa. 
Calò la lama ma si fermò a pochi centimetri dalla fronte di Michel, contraendo il viso per la battaglia che interiormente la stava distruggendo: un grido roco accompagnato da lacrime di rabbia riempirono l’aria tesa della stanza nella penombra, Levi trattenne il respiro quando la vide rialzare la lama e poi gettarla con tutta la forza affianco la testa del nobile che sentì il sangue tornare a scorrergli nelle vene. Siri si prese il viso fra le mani mentre si lasciava andare in un pianto frustrato e rabbioso, si abbandonò stanca su un lato, scendendo quindi dal petto di Michel e permettendogli di tornare a respirare a pieni polmoni.
Hange, Levi, i suoi compagni di squadra: finalmente dopo tanto tempo non era più sola, e anche se li conosceva da poco, con loro si era sentita a casa come quando era con Diya e Shawn o in ospedale, teneva a loro e li avrebbe protetti anche a costo della vita e non sarebbe tornata al punto di partenza solo per una momentanea soddisfazione. Uccidere Michel sarebbe significato non riuscire ad andare avanti, rimanere incastrata nelle sofferenze del passato e quello che Siri voleva più di qualsiasi altra cosa era lasciarsi tutto alle spalle e vivere la sua vita, non quella del geco.
Levi si avvicinò cauto alla spia che, accasciata contro la scrivania, si strofinava il viso attraversato dalla frustrazione: le s’inginocchiò accanto e le circondò le spalle, lei si lasciò andare contro il suo petto tirando su col naso, seguì un respiro profondo e finalmente si acquietò. Bernard era rimasto ad osservare in silenzio col cuore spezzato e non appena sentì dal corridoio arrivare le voci dei soldati, si dileguò portando con sé il corpo senza sensi di Tamara proprio poco prima che gendarmeria e guarnigione entrassero nella stanza.
 
***
Erano ancora distesi sull’erba quando Siri aveva improvvisamente deciso di poggiarsi sul suo petto e intrecciargli le ciocche dei suoi capelli: all’inizio Levi aveva opposto resistenza nervoso, lei aveva continuato sapendo benissimo che le minacce erano a vuoto e quindi lui l’aveva lasciata fare, rilassandosi sotto il suo tocco delicato.
- Quando hai minacciato quell’uomo, il gendarme, poi hai davvero raggiunto la sua famiglia? – Siri abbassò lo sguardo titubante sui suoi occhi grigi che brillavano nel buio della sera, fermò le dita tra le ciocche di capelli neri. Era passato più di un mese da quell’interrogatorio, aveva minacciato in modo simile così tante persone che ormai si confondevano facilmente tra loro, ma quel soldato le era rimasto impresso essendo colui che le aveva rivelato la minaccia a Diya, il primo (e unico) che aveva avuto solo un assaggio delle sue inquisizioni. La spia era grata del fatto che Levi non l’avesse vista davvero in azione in quella situazione.
- No. Con tutte le cose che sono successe dopo… – tornò a guardare le ciocche corvine e ad annodarle – Ma non ci sarei andata lo stesso. Sapevo avrebbe parlato.
Levi chiuse di nuovo gli occhi: - Le tue solite sensazioni… la chiamerei più compassione questa volta.
Siri sollevò le labbra leggermente risentita, poi le venne in mente un altro ricordo di quella sera. Così come lui aveva fatto con lei in quel momento, al contrario quella volta aveva messo a nudo la debolezza di Levi, lasciandolo disarmato, lui l’aveva odiata, lei invece era rimasta soddisfatta della sua reazione perché aveva demarcato la sua superiorità. Di compassione quella volta non ne aveva avuta per niente, sorrise amaramente: - Devi scusarmi per quella volta. Sono stata… cattiva con te, mi dispiace.
Levi la spiò da un occhio, notò la sua espressione dispiaciuta e gli tornarono alla mente l’allusione che l’aveva lasciato disarmato, chiuse l’occhio: - Non preoccuparti.
Lei sospirò: - Faccio così quando c’è qualcuno da cui mi sento minacciata. È sempre stato così nella mia vita. Persone più fortunate, più forti, più furbe… - finì una treccia e passò ad un’altra ciocca di capelli – Ho sempre dovuto lottare per assicurarmi un posto nel mondo, trovo il punto debole di qualcuno e lo colpisco, sento il bisogno di farmi spazio. Se capisci cosa intendo.
Purtroppo, Levi lo capiva perfettamente, nonostante i loro due mondi fossero separati da metri di terra l’uno dall’altra, avevano comunque dovuto lottare, con la violenza o con la testa, o entrambe, per assicurarsi qualcosa nella loro vita. E anche se apparentemente Siri aveva avuto la vita più “facile” per essere nata in superficie circondata da persone che l’amavano, non era stata comunque più fortunata.
- Come riusciresti a far parlare uno come me? – Levi aprì gli occhi e la fissò mentre lei rimase assorta ad intrecciare – Uno senza famiglia.
- C’è sempre un punto debole, di solito fisico. – abbassò gli occhi sui suoi e con un indice gli toccò esattamente il centro di un sopracciglio – Uno dei più dolorosi ad esempio è questo, essere un medico è stata una gran sfortuna, sia per chi mi capitava tra le mani, che per me perché, in tutta sincerità, ho sempre odiato fare interrogatori e quando ce n’era da fare uno mandavano sempre me.
- E se non funzionasse?
Siri spostò lo sguardo verso gli alberi, vergognandosi un po’: - Di solito non resistevano oltre… Ma se non avesse funzionato… Beh, ripeto, c’è sempre un punto debole. Una paura, un segreto, un ricatto, qualsiasi cosa.
Senza aver distolto lo sguardo neanche per un secondo, Levi continuava a fissarla intensamente: - Il mio quale sarebbe?
Siri alzò un sopracciglio e piantò i grossi occhi marroni sui suoi: - Con te sarebbe davvero facile, ma terribilmente cattivo. Potrei farti credere di avere qualcuno dei tuoi in ostaggio, ancora meglio i mocciosi, non farmi continuare. Ho lasciato almeno in parte quelle cose alle spalle. So che Erwin potrebbe chiedermi da un momento all’altro di mettermi in azione, ma preferirei non farlo. Comunque, in genere chiunque ha una paura da sfruttare. Tutti abbiamo paura di qualcosa.
Levi le passò il dorso della mano sul viso e poi le portò una ciocca di capelli dietro l’orecchio: - E tu di cosa hai paura?
La ragazza indietreggiò di poco con le spalle: - Io? Io non ho paura di nulla, a parte la morte. – lui a queste parole strizzò gli occhi – Tutti pensano che ciò che ci fa combattere sia la voglia di vivere, il coraggio, in realtà è la paura di morire. Non siamo portati a combattere, siamo portati a sopravvivere, è questa la verità. E la sopravvivenza è alimentata da pura e semplice paura. Mi rattristano le persone che non hanno paura di morire, perché hanno perso la voglia di vivere.
***
 
Non molto tempo dopo, Tamara si svegliò in una cella sotterranea col suono metallico di oggetti che venivano maneggiati vicino a lei, lo spazio angusto era illuminata da delle fioche torce alle pareti del corridoio antistante. Sollevò pesantemente la testa e vide davanti a sé la figura di un uomo alto oltre le sbarre: la cella era aperta, le sue braccia erano aperte ed incatenate alla parete proprio per questo chi la stava supervisionando, a quanto pareva, era parecchio rilassato.
Non appena riuscì a mettere a fuoco ciò che la circondava, riconobbe la persona in corridoio essere Bernard che, beatamente poggiato al muro in pietra, non appena notò che aveva aperto gli occhi le rivolse uno dei suoi sorrisi splendenti: - Buongiorno Tammy! Ben svegliata!
- Dove sono? – chiese, strofinando la testa dolorante contro il muro alle sue spalle.
Bernard tossì per schiarirsi la voce: - Ah, credimi, sarà l’ultimo dei tuoi problemi sapere dove ti trovi.
Tamara aggrottò le sopracciglia e guardò alla sua sinistra, da dove provenivano quei suoni di strumenti metallici. Nella penombra, Siri non le rivolgeva lo sguardo, ancora con la divisa completamente nera, era concentrata su qualcosa con cui armeggiava sul tavolino e che non poteva vedere seduta a terra. Improvvisamente la spia si fermò e girò il capo, fulminandola con quello sguardo che conosceva fin troppo bene. Dopo averla fissata ardente per qualche secondo, tornò a guardare davanti a sé, sospirò e iniziò a srotolarsi le fasce nere dagli avambracci. Tamara raggelò e iniziò a tirare le mani verso di sé, cercando disperatamente di sfilarle dalle catene: Siri toglieva le fasce solo per due motivi, il primo era, banalmente, per lavarsi. Il secondo aveva sperato di non sperimentarlo sulla sua pelle mai nella vita, ma quelli che stava maneggiando erano chiaramente gli strumenti che usava per far parlare i suoi prigionieri, quindi doveva voler dire solo una cosa.
Tamara strattonò ancora le catene, poi guardò Bernard supplicante e disse: - Ti prego, uccidimi adesso.
La voce profonda di Siri le arrivò dritta sulla pelle, facendola rabbrividire: - Forse è un po’ troppo tardi per il pentimento. – posò la prima fascia sul tavolo e iniziò a srotolare anche l’altra – Un po’ troppo presto invece per la pietà. Avresti potuto pensarci, prima di metterti contro di me, prima di macchiarti con un commercio tanto sporco. – il suo tono saliva man mano che continuava a parlare – Siete tanto pigri, stupidi e sventati da non sapere il passato di Bernard, se ti fossi soffermata un attimo a sapere qualcosa di lui sapresti che lui è stato proprio uno schiavo di quei commerci.
Batté la seconda garza sul tavolo: - Per soldi. Avessi smascherato questo schifo per Pyxis non credi che avresti ottenuto lo stesso ciò che volevi? – sibilò la domanda retorica prima di prendere un lungo e spesso ago dal tavolo e girarsi verso Tamara che iniziò ad ansimare spaventata. Siri osservò l’ago tra le sue mani e scosse la testa: - Ma la cosa che mi fa andare in bestia più di tutte è che, per soldi, mi hai trascinata di nuovo in tutto questo. – s’inginocchiò davanti a lei e la fissò assente, con quella maschera di odio e cattiveria che odiava indossare – Io ci ero uscita, non volevo più farlo Tamara. Ho trovato qualcosa di meglio, di più stimolante e mi hai costretto, ancora una volta, – la spia conficcò la punta dell’ago sul nervo proprio al centro del sopracciglio della prigioniera, facendola ululare dal dolore – ad essere ciò che odio. 
Bernard deglutì: l’amica non aveva potuto vedere Jean perché Erwin l’aveva portato via assieme ad Armin prima che potesse farlo, ma sapere di sfuggita da Ankha che aveva perso anche una singola goccia di sangue l’aveva fatta impazzire. Siri si sentiva in colpa per averlo coinvolto, ma sia lui che Levi l’avevano fatta calmare dicendole che era un rischio che Jean sapeva di correre e che lei aveva cercato di proteggerlo quanto più potesse. Una volta consegnato Michel alla gendarmeria rimaneva interrogare la traditrice, dovevano sapere cos’altro aveva tramato con gli altri nobili e Pyxis aveva chiesto a Siri gentilmente di aiutare Bernard nel farlo. Non si era rifiutata, ma non aveva comunque gradito la richiesta, a cui però sentiva di dover ottemperare.
- Te lo giuro Tamara, te lo giuro, quando avrò finito rimpiangerai di esserti messa sulla mia strada.
- BASTA! TI PREGO! Parlerò, ti dirò tutto! – disse, singhiozzando. A quel punto Siri tolse l’ago dalla sua carne ed indietreggiò.
- Cosa cazzo ti ha fatto pensare che me la faccio coi ragazzini? Che schifo. Solo l’idea mi fa venir voglia di vomitare. – la spia si alzò e buttò l’asticciola in metallo rabbiosa sul tavolo, prese uno straccio e si pulì le mani dal sangue, mentre Tamara piangeva tremante ai suoi piedi – Sarà meglio per te che Bernard non mi chiami, come ti ho detto, ho lasciato questa merda alle mie spalle, non voglio essere costretta a tornare sui miei passi.
Prese le fasce e uscì dalla cella lasciando posto al ragazzo, poi raggiunse Levi che l’aspettava stoico all’ingresso dei sotterranei.
 
Nella carrozza sulla via del ritorno il silenzio che regnava tra i tre era a dir poco inquietante, nessuno si azzardava a pronunciare una singola parola. Siri era immersa nei suoi pensieri e non vedeva l’ora di arrivare al quartier generale e accertarsi di persona delle condizioni di Jean, Levi invece non vedeva l’ora di scendere e allontanarsi il prima possibile da Bernard, che aveva approfittato del fatto che la sua destinazione si trovasse subito dopo la loro per prendere con loro il mezzo. Nonostante si fosse trattato di una messa in scena, l’astio che il capitano adesso provava verso la spia di Pyxis era incalcolabile, quelle immagini l’avrebbero tormentato per notti intere. Quando finalmente arrivarono a destinazione, Siri aprì lo sportello e iniziò a scendere gli scalini, Bernard fece per seguirla, ma Levi pianto un braccio davanti a lui, afferrando l’uscio e sbarrandogli la strada: non appena la ragazza scese, Hange, che con la squadra di Levi aveva aiutato il corpo di guarnigione nella retata, la salutò e si lasciò abbracciare dall’altra, poi insieme entrarono nei dormitori dei superiori. Solo quando le due amiche scomparirono oltre la porta, anche Levi scese.
Bernard scese di un gradino: - Cos’hai tu che io non ho?
Il capitano si fermò e si girò di tre quarti verso di lui: - Come hai detto?
- Sei basso, sei antipatico. – lo squadrò indispettito – Sì, sei carino, ma non hai niente di speciale. Sarai anche il più forte ma non tieni a lei come ci tengo io.
Levi lo guardò pungente: - Bada a come parli spilungone.
 - Tu dai tutto per scontato, non è così? Lei ti guarda in quel modo, ti sorride, vuole stare con te… – Bernard respirava affannosamente per il nervoso, cercando di mantenere la sua solita strafottenza – Ma per te non ha alcuna importanza, la tratti come se fosse una persona come le altre. Lei è speciale e tu non la meriti.
Rimasero in silenzio, il capitano assorbì quelle parole e abbassò lo sguardo in silenzio, non poteva capire come si sentisse Bernard, ma avrebbe lasciato che diventasse il cattivo della sua storia, se questo l’avrebbe aiutato a stare meglio. Perché se da un lato non comprendeva i suoi sentimenti astiosi, sapeva com’era sentirsi impotenti davanti al destino e quella rabbia che quel ragazzo innamorato, o ossessionato, riusciva a giustificarla. 
- Mi ha dato lei quel ruolo, io non l’avrei mai toccata. Non sai che cosa darei perché lei…
- Hai ragione. – Levi lo interruppe e l’altro rimase sorpreso ad ascoltarlo – Non so perché lei preferisce me, non sono neanche sicuro di essere la persona migliore per Siri, probabilmente non la merito. – alzò gli occhi su Bernard mantenendo il tono serio e sicuro, voleva che quanto gli stesse per dire gli arrivasse chiaramente perché in una seconda occasione non gliel’avrebbe più ripetuto con calma – Ma è stata lei a scegliere me, non il contrario. È lei che vuole stare con me, e io a mia volta. Credo che se ti piace così tanto dovresti semplicemente accettare la sua scelta e farti da parte.
Nessuno dei due ebbe altro da dire, Bernard rientrò nella carrozza sbattendo lo sportello sconfitto, mentre Levi risalì semplicemente nella sua stanza. Dopo aver cercato invano di addormentarsi, era andato in infermeria, dove aveva trovato Siri seduta accanto al letto di Jean, la testa poggiata accanto al ragazzo addormentato: senza dirsi nulla, Levi le si era accostato e, dopo averla aiutata ad alzarsi, l’aveva abbracciata e poi accompagnata in camera. Le aveva chiesto di riposarsi e l’aveva salutata con un bacio sulla fronte, non avevano bisogno di dirsi altro per farsi comprendere.
  
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