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Autore: Signorina Granger    30/04/2022    1 recensioni
Margot Campbell x Håkon Jørgen]
[Dal testo]
“Zia, Papino si imbarazza quando gli fai complimenti.”
Il sussurro della piccola, che cercò di parlare per far sì che il padre non la sentisse, destò un piccolo sorriso sulle labbra carnose di Margot, che si avvicinò alla “nipote” per mormorare qualcosa a sua volta:
“Conosco tuo padre molto bene e da molto tempo e so per certo che i complimenti non lo imbarazzano.”
Freya sollevò una manina per poggiarla perpendicolarmente rispetto all’angolo destro delle proprie labbra, coprendosi la bocca prima di sussurrare qualcosa alla strega con fare cospiratorio e Håkon, dall’altra parte della stanza, si chiedeva accigliato da dove provenissero tutte quelle scimmiette di peluche. Aveva vietato a sua madre e a Margi di regalarne una a Freya ogni due settimane, ma era evidente che una delle due non lo avesse ascoltato.
“I tuoi sì.”
Genere: Romantico, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Maghi fanfiction interattive
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
- Questa storia fa parte della serie 'Chronicles of weird campers'
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The way I fell in love with my best friend


margi-e-freya
 



 
Håkon e Margot si stavano godendo le poche settimane di vacanza che li dividevano dall’inizio delle lezioni ad Hogwarts dopo aver fatto ritorno dal Camp, il primo passando più tempo che poteva con Freya e la seconda rilassandosi a dovere. Naturalmente i due si incontrarono due volte per tutte e tre le settimane di ferie, sia per la compagnia reciproca sia per accontentare le richieste di Freya, sempre estremamente felice di poter passare del tempo con l’amica del padre.
Quel giorno, approfittando del bel tempo, Margot li aveva raggiunti per trascorrere la giornata in spiaggia, presentandosi a casa Jørgen con occhiali da sole, costume celeste e lungo kimono bianco già addosso e munita di una voluminosa borsa color crema che, l’amico ne fu sicuro con una sola occhiata, tra le altre cose conteneva una vasta riserva di crema solare e un voluminoso romanzo.
Quando Margot e Freya sparirono in bagno affinché la strega aiutasse la bambina a mettere costume e crema solare Håkon, che aveva già indossato il suo costume rigorosamente nero sotto ad una t-shirt bianca – non nera solo perché, suo malgrado, il danese doveva dare ragione a sua madre e alla sua amica sul fatto che troppo nero lo avrebbe fatto morire di caldo più del necessario – si era seduto in attesa che le sue “ragazze preferite” uscissero. Era abituato ad aspettare non poco quando si trattava di quelle due, quindi si era subito messo comodo, ma per quanto fosse avvezzo alle manie della sua migliore amica non era riuscito a trattenere un sorriso e un’espressione perplessa quanto divertita quando le aveva viste uscire dal bagno: improvvisamente Freya, sopra al costume, indossava un kimono bianco identico in tutto e per tutto a quello di Margot, solo di dimensioni nettamente ridotte, occhiali da sole e un cappellino di paglia.
“Ma come siamo carine… La smetterai mai di vestirla uguale a te ogni volta in cui ti si presenta l’occasione?”
“Che razza di domande sono, ovviamente no. Vieni batuffolina, andiamo a prendere il secchiello e gli altri giochi.”
Margot prese per mano la bambina e Freya la seguì con un sorriso allegro, chiedendo al padre se gli piacesse come era vestita quando gli passò accanto. Lui assicurò subito alla figlia che fossero bellissime entrambe, facendo sorridere Freya ma anche la sua amica.

 
*

 
“… E così Cenerentola e il Principe finalmente si sposarono, e vissero per sempre felici e contenti.”
Margot chiuse delicatamente il libro di favole illustrato mentre abbassava lo sguardo sulla piccola Freya Jørgen, sorridendo con tenerezza quando vide la bambina chiederle di leggere un’altra storia tra uno sbadiglio e l’altro. Margot sedeva sul bordo del letto della bambina appoggiandosi alla testiera bianca, le gambe distese sul materasso accanto a quelle di Freya coperte dal piumino color lavanda e le scarpe sistemate sul pavimento accanto al letto. La strega sorrise a Freya, sfiorandole i capelli castani che ancora profumavano di fragole e panna, l’aroma dello shampoo per bambini con cui Margot le aveva lavato i capelli poco prima.
“Ti leggerò la Sirenetta un’altra volta, hai talmente sonno che sono sicura che ti addormenteresti prima che Ariel possa vedere il Principe Eric per la prima volta.”
“Non è vero, non sono stanca.”
La bambina parlò usando il suo tono più convincente e sfoggiando un cipiglio serio che però non riuscì comunque a convincere la strega, che sorrise divertita prima di appoggiare il libro sul comodino bianco e scendere dal letto, infilandosi le scarpe sotto lo sguardo deluso di Freya.
“Hai continuato a sbadigliare da quando le sorellastre hanno provato la scarpetta, cucciola. Sarà per la prossima volta, Papino torna tra poco e io devo andare a casa.”
“Ok… quando torni a trovarmi?”
Freya strinse Mr Monkey, la sua scimmietta di peluche prediletta, mentre guardava Margot con i grandi occhi castani spalancati, evitando di chiederle se non potesse dormire lì solo e soltanto perché ci aveva già provato talmente tante volte da conoscere a memoria l’esito di quella domanda. La strega le sorrise, chinandosi per darle un bacio su entrambe le guance prima di rimboccarle le coperte:
“Magari la prossima settimana, se non devi andare via con Papino o con i nonni. Ok?”
La bambina annuì e Margot si diresse verso la porta della cameretta, rivolgendole un ultimo sorriso e un cenno con la mano prima di spegnere la luce, lasciando che le stelle adesive fluorescenti brillassero nel buio della stanza. Rimase sulla soglia per qualche istante, controllando che la bambina si sistemasse nel suo letto abbracciando Mr Monkey prima di chiudere la porta, dirigendosi silenziosa al pian terreno per aspettare che Håkon tornasse a casa: quella sera sia lui sia i suoi genitori sarebbero stati fuori casa e l’Astronomo non aveva esitato a chiedere alla sua migliore amica di badare alla figlia, ricevendo una risposta affermativa prima ancora di finire di parlare. Del resto, chiunque la conoscesse lo sapeva bene, Margot Campbell stravedeva per la sua “nipotina”.
Seduta sul divano color panna, Margot stava leggendo il libro che aveva portato con sé – prevedendo di mettere a letto Freya prima del ritorno del padre – quando sentì finalmente la porta d’ingresso spalancarsi. La strega sollevò lo sguardo dalle pagine di carta stampata giusto in tempo per scorgere Håkon nell’ingresso e impegnato a sfilarsi il lungo cappotto nero.
“Ciao bellissimo.”
“Ciao. Freya dorme?”
Dopo aver appeso il cappotto Håkon si diresse verso la collega e amica, guardandola alzarsi dal divano dopo aver riposto il libro nella borsa e stiracchiarsi.
“Certo, con chi credi di avere a che fare, se non con la miglior babysitter del mondo?”
Margot incrociò le braccia al petto sorridendo soddisfatta, guardandolo orgogliosa mentre Håkon, annuendo piano, sorrideva di rimando guardandola divertito:
“Ti ricordo che non sei semplicemente una babysitter.”
Naturalmente Margi sapeva di non essere solo una babysitter, ma le parole dell’amico riuscirono comunque a scaldarle il cuore. Stava sorridendo quando Håkon, sfoggiando un sorrisetto divertito, spezzò l’incantesimo stringendosi nelle spalle con finta nonchalance:
“Anche perché, beh, se lo fossi ti dovrei pagare.”
“Stupido! E io che pensavo che per una volta mi stessi dicendo qualcosa di carino!”
Margot colpì giocosamente l’amico sul braccio sinistro, sfoggiando comunque un’espressione offesa nonostante sapesse che Håkon stesse scherzando. Ovviamente accettò le sue sentite scuse un attimo dopo come sempre, ricordandogli di avere un caffè da offrirle come pegno prima di alzarsi in punta di piedi per dargli un bacio su una guancia e salutarlo.
“Allora io vado Papino, ci vediamo a scuola lunedì.”
Margot superò l’amico per recuperare il suo piumino celeste, infilandoselo insieme a berretto col pompon e sciarpa color crema abbinati sotto lo sguardo di Håkon:
“D’accordo. Grazie per aver passato il venerdì sera con lei.”
“Non mi devi ringraziare, sai che vi adoro. Beh, la adoro. Ok, adoro anche te. Buonanotte!”
Margot indirizzò un bacio aereo e un ultimo sorriso all’amico, dopodiché aprì la porta e uscì di casa, pronta per affrontare il gelo dell’autunno inoltrato. Rimasto solo, Håkon salì le scale per raggiungere la camera della figlia, aprendo la porta il più piano possibile prima di avvicinarsi al letto per depositare un bacio sulla testa di Freya. A quel contatto la bambina, ancora in uno stato di dormiveglia, ruotò sul fianco per guardare il padre, salutandolo con un filo di voce assonnata.
“Ciao piccolina. Ti sei divertita con la zia Margi?”
“Sì. Perché la zia Margi non dorme qui?”
“Perché lei ha una casa dove andare, lo sai.”
“Uffa…”
La bimba si girò di nuovo, semi-nascondendo il visino contro il cuscino mentre il padre le sistemava l’orlo del piumino sulle spalle, uscendo dalla cameretta un minuto dopo con un sorriso sulle labbra.

 
*

 
Håkon Jørgen sedeva davanti ad uno dei piccoli tavoli circolari della Sala Professori di Hogwarts munito di una alta pila di compiti, calamaio pieno di inchiostro color cremisi, piuma e una tazza di caffè che un Elfo gli aveva gentilmente fatto avere poco prima.
L’insegnante di Astronomia tracciò con precisione una linea rossa drittissima sull’intera frase – a dir poco scorretta – che un Corvonero del terzo anno aveva avuto la malsana idea di scarabocchiare sul rotolo di pergamena tormentandosi al contempo il labbro inferiore con i denti, come era solito fare quando era nervoso o sovrappensiero. Era così concentrato sulla lettura che, ne era assolutamente sicuro, gli avrebbe procurato molti incubi, che quasi non si accorse della strega minuta che si era avvicinata al tavolo con una cartella di cuoio appesa alla spalla destra grazie ad una spessa cinghia e una tazza di tè fumante in mano.
Mentre il mago si dilaniava  a sangue il labbro quasi senza rendersene conto, preso da un’abitudine ormai consolidata e dura da dimenticare, Margot depositò la borsa di cuoio sulla sedia libera che si trovava esattamente di fronte al collega e fece rapidamente il giro del tavolo per avvicinarsi all’amico, restando in piedi accanto a lui senza smettere di osservarlo con cipiglio critico.
La tazza calda stretta nella destra, la mano sinistra della strega avanzò verso il viso di Håkon, che quasi sussultò e prese del tutto coscienza della presenza dell’amica solo quando sentì i suoi polpastrelli sfiorargli il mento coperto da un sottile strato di barba scura. Sorpreso e vagamente perplesso, Håkon distolse lo sguardo dal compito che stava correggendo per indirizzarlo sul viso dell’amica, che accennò un debole sorriso con le labbra prima di parlare con tono gentile:
“Devi smetterla di fare così.”
“Così come, Margi?”
“Di torturarti le labbra, le rovini e basta facendo così. Ti farebbe proprio bene un bel balsamo, sai?”
“Margi, non credo di essere tipo da balsamo per le labbra.”
Margot non fece caso al tono vagamente esasperato e sarcastico dell’amico, limitandosi a sorridergli divertita prima di rendersi conto che le sue dita non solo stavano ancora sfiorando il viso dell’amico, ma che pollice e indice gli stavano accarezzando distrattamente il mento. Le dita della strega scivolarono via rapide dal viso del danese mentre Margot, decretando qualcosa a proposito della dannosa cocciutaggine del collega e del suo incondizionato e insensato astio per tutto ciò che riguardava la skincare, si allontanava per andare ad occupare il proprio posto e sistemare la tazza sul tavolo, davanti a quella piena di caffè dell’amico.
Ben presto tra i due calò il silenzio, entrambi occupati nei propri doveri di insegnanti, ma Håkon ebbe la sensazione di poter continuare a sentire le dita di Margot sfiorargli il mento per un altro paio di minuti.

 
*
 

Håkon tornava quasi sempre a casa per l’intero weekend, approfittandone per passare più tempo con sua figlia. Quel sabato Margot era riuscita ad ottenere a sua volta la giornata libera ad Hogwarts, accollando i suoi turni di ronda ad un disponibile e sorridente Beau e ad uno scontentissimo Phil, e i due colleghi avevano deciso di passare la seconda parte della giornata insieme a Freya, che era stata come sempre felicissima di poter passare del tempo con entrambi.
Giunta la sera la bambina stava in piedi su uno sgabellino di legno sistemato davanti al lavandino, che usava sempre per lavarsi i denti, le mani e il viso. Håkon, in piedi sulla soglia del bagno appoggiandosi allo stipite della porta, guardava la figlia con un accenno appena percettibile di sorriso sulle labbra. Freya, reduce da una passeggiata in spiaggia insieme a lui e a Margot e una cena a base di pizza e patatine, osservava il riflesso suo e della “zia”, che si trovava alle sue spalle stava asciugando i capelli con un phon nero.
“Che cosa c’è?”
Margot smise di guardare i capelli e il riflesso del viso della bambina nello specchio per rivolgersi all’amico, sorridendogli curiosa mentre lui si stringeva nelle spalle:
“Niente, pensavo solo che siete proprio carine.”
L’espressione di Margot si addolcì, sorridendogli di rimando mentre Freya giocherellava con i bordi del suo pigiama con le scimmiette.
“Oh, beh, grazie. Anche tu sei carino.”
Invece di sorridere Håkon arrossì, distogliendo rapido lo sguardo e borbottando un ringraziamento prima di affrettarsi a dileguarsi sotto lo sguardo divertito dell’amica.
 
I vispi occhi castani di Freya la osservavano curiosi mentre Margot, seduta sul bordo del letto della bambina, le rimboccava le coperte lilla. La piccola Jørgen, Mr Monkey vicino come sempre, ruppe il silenzio con una candida osservazione mentre Håkon si lamentava dell’eterno disordine che regnava sovrano nella camera della figlia, rimettendo a posto i giocattoli e i cuscini sparsi ovunque con la magia.
“Zia, Papino si imbarazza quando gli fai complimenti.”
Il sussurro della piccola, che cercò di parlare per far sì che il padre non la sentisse, destò un piccolo sorriso sulle labbra carnose di Margot, che si avvicinò alla “nipote” per mormorare qualcosa a sua volta:
“Conosco tuo padre molto bene e da molto tempo e so per certo che i complimenti non lo imbarazzano.”
Freya sollevò una manina per poggiarla perpendicolarmente rispetto all’angolo destro delle proprie labbra, coprendosi la bocca prima di sussurrare qualcosa alla strega con fare cospiratorio e Håkon, dall’altra parte della stanza, si chiedeva accigliato da dove provenissero tutte quelle scimmiette di peluche. Aveva vietato a sua madre e a Margi di regalarne una a Freya ogni due settimane, ma era evidente che una delle due non lo avesse ascoltato.
“I tuoi sì.”

 
*

 
“Sabato torni a casa o ti hanno incastrata con qualche turno di ronda o studente da tenere in punizione?”
Håkon e Margot scesero insieme i gradini di marno della scalinata d’ingresso del castello, diretti verso la Sala Grande per il pranzo mentre fiumi di studenti in divisa passavano loro accanto in fretta e furia, portandosi appresso borse piene di libri, penne e calamai.
“No, sono riuscita ad aggiudicarmi il weekend libero dal sabato pomeriggio in poi, tornerò domenica sul tardi e dormirò qui per iniziare con calma la settimana… Tu hai programmi particolari?”
“Freya è astutamente riuscita ad estorcermi la promessa di un’estenuante maratona di tutti i film di Cenerentola. Possibile che ne abbiano fatti così tanti? Credevo che il tutto si risolvesse con una scarpetta di cristallo e un bel matrimonio!”
Håkon sbuffò, profondamente amareggiato mentre l’amica, accanto a lui, sorrideva invece divertita: la sola idea del suo collega costretto a passare ore insieme a Cenerentola, topi canterini e le perfide sorellastre bastava e avanzava a rallegrarla e a migliorarle notevolmente la giornata. Le dispiaceva solo doverselo perdere.
“Sarebbe sciocco credere che tutto si esaurisca con il matrimonio. Quello al massimo è un punto d’inizio, ma per qualche motivo nelle favole spesso è il punto d’arrivo. Sono sicura che ti divertirai moltissimo, anche se trovo il terzo sinceramente pessimo.”
L’uomo, dal canto suo, si sentì rabbrividire mentre attraversava l’ampio Salone d’Ingresso insieme all’amica: se il film era riuscito a fare schifo persino a lei, le sue aspettative sul weekend si facevano improvvisamente ancora più disastrose.
“Non oso nemmeno pensare a quanto debba essere ridicolo, che non è piaciuto neanche a te. Senza offesa.”
“Nessuna offesa, che i nostri gusti non siano propriamente affini non è certo una novità. Anzi, l’idea di te alle prese con tutti i film di Cenerentola mi delizia, mi dispiace proprio non poter assistere e prendere parte alla vostra serata.”
Le parole della strega suonarono incredibilmente sincere – seppur Håkon faticasse ad immaginare che un adulto potesse desiderare di unirsi a quella tremenda maratona –, tanto sincere che il danese varcò la soglia della Sala Grande gremita di studenti in procinto di pranzare riservando un’occhiata accigliata all’amica:
“Non credo ci sia bisogno di ricordarti che sei la benvenuta, se vuoi davvero unirti al mio supplizio. Io avrei qualcuno con cui lamentarmi della Disney e Freya sarebbe felice se ci fosti anche tu, lo sai.”
“Lo so Håk Bello, e giuro che verrei volentieri a farti da supporto morale. È solo che… ho un impegno, sabato.”
Probabilmente fu il modo in cui lo disse, oppure la rapidità – e l’appena percettibile traccia di disagio – con cui Margot distolse lo sguardo mentre sfilavano uno accanto all’altra in mezzo ai tavoli dei Tassorosso e dei Corvonero, ma Håkon non ci mise molto a fare due più due e a capire che genere di impegno avesse l’amica per quel fine settimana.
L’astronomo annuì, mormorando con tono piatto un rapido assenso prima di prendere posto accanto a lei al tavolo degli insegnanti. Non conversarono poi molto durante il pasto, Margot chiacchierava con Demelza e lui con Beau e Neville, ma per tutto il tempo qualcosa di fastidioso non smise di assillarlo da un anfratto della sua mente, impedendogli di concentrarsi pienamente su ciò che stava mangiando e ascoltando.
 
 
Quando, una paio di giorni dopo, Håkon si ritrovò seduto sul divano accanto alla figlia e costretto a guardare uno dopo l’altro tutti i film di Cenerentola – maledicendo la nota casa di produzione americana per non essersi fermata al primo, tornando invece a sfornare film su quella dannata principessa a mezzo secolo di distanza – era visibilmente di pessimo umore. Persino Freya gli chiese che cosa avesse, così come sua madre, ma a differenza della bambina Winnie non credette neppure per un istante che il suo malumore fosse semplicemente dovuto alla visione di qualcosa che mal sopportava.
“Papino, la prossima volta può venire anche la Zia Margi?”
“Non lo so Scimmietta, vediamo se avrà altro da fare oppure no.”
“Ok…”
Freya mormorò un cupo assenso, un po’ delusa mentre si rannicchiava contro il padre e appoggiava la testa ricciuta sul suo petto senza distogliere neanche per un istante lo sguardo dallo schermo della tv. Håkon l’abbracciò d’istinto, stringendola dolcemente a sé e accarezzandole i capelli castani mentre fissava torvo le sorellastre imbecilli cercare invano di infilarsi la scarpetta di cristallo.
Che storia stupida. E chissà che cosa stava facendo Margot in quel momento, o con chi.
Ma cercò di non pensarci.
 
 
Il lunedì mattina seguente Håkon fece ritorno ad Hogwarts quando i suoi colleghi avevano già fatto colazione ed erano riuniti in Sala Professori per la consueta riunione che sanciva l’inizio di ogni settimana al castello. L’astronomo sedette accanto a Neville, davanti a Margot e a Demelza, mentre Theobald faceva finta di non aver fatto sparire il programma con la divisione dei turni di ronda accuratamente preparato dalla Preside durante il week-end.
Mentre Minerva McGranitt inveiva contro il programma scomparso e Theobald si girava i pollici con aria angelica Håkon finì con il cogliere senza volerlo stralci della conversazione in corso tra Demelza e Margot: naturalmente origliare non rientrava nelle sue intenzioni, ma erano seduti così vicini che udire qualcosa a proposito di come non fosse sicura di voler uscire una seconda volta con il tipo incontrato nel weekend gli risultò inevitabile.
Quando Neville gli chiese perché sorridesse con fare vagamente compiaciuto Håkon si strinse nelle spalle, asserendo di avere l’impressione che quella appena iniziata avrebbe potuto rivelarsi una gran bella settimana.
 

 
*

 
Quando Håkon era tornato a casa, reduce da un appuntamento assolutamente disastroso durante il quale non aveva fatto altro che pensare a Margot a casa sua con Freya e a come avrebbe di gran lunga preferito passare la serata a casa insieme a loro invece di ritrovarsi costretto ad un tavolo con una perfetta oca, sua figlia stava già dormendo.
Come al solito l’insegnante di Trasfigurazione al suo arrivo si era alzata dal divano per andarsene, ma Håkon le aveva chiesto di aspettare e di trattenersi insieme a lui per chiacchierare. Del resto a scuola erano sempre circondati da studenti e colleghi e con pochissimo tempo libero a disposizione per parlare tranquillamente.
Margot naturalmente aveva acconsentito, e mezz’ora dopo i due sedevano sul pavimento, davanti al camino acceso, entrambi appoggiati al divano con la schiena con due bicchieri di vino ormai vuoti accanto.
Stavano entrambi ridendo, ricordando un episodio risalente all’ultimo anno passato ad Hogwarts da Håkon che riguardava una sua disastrosissima interrogazione in Trasfigurazione quando gli occhi scuri del mago scivolarono, senza un preciso motivo apparente, sulla sua mano e quella di Margot, appoggiate sul tappeto a qualche centimetro di distanza. Non seppe, esattamente, per quanto tempo rimase ad osservare le loro mani, ma persistette anche quando Margot, dopo un minuto di silenzio, gli chiese come fosse andato il suo appuntamento.
“Non bene.”
“Lo avevo immaginato, visto che sei tornato presto. Come mai?”
 
Lui e Margot erano amici da circa quindici anni e non c’era nulla che i due non si dicessero, nessun argomento di cui non parlassero. Si raccontavano tutto, sempre, e Margot lo guardò con i grandi occhi azzurri pieni di curiosità, aspettandosi che l’amico descrivesse qualche insopportabile caratteristica della donna che aveva incontrato. Invece Håkon le diede l’ultima risposta che si sarebbe potuta aspettare, lasciandola di sasso:
“Continuavo a pensare a te e a Freya qui insieme… avrei preferito stare con te.”
Impietrita, Margot lo guardò sbattendo le palpebre mentre Håkon le prendeva la mano, osservando le sue dita stringere quelle più pallide e minute della strega.
“Intendi con noi.”
Håkon non rispose, voltandosi verso di lei per osservarla brevemente mentre rifletteva sulle sue stesse parole. Voleva dire con lei e Freya, o con lei e basta?
Ben presto Håkon, abituato a cercare risposte ad ogni quesito, riuscì a trovarne una anche per quel dilemma. Lasciò che la sua mano scivolasse da quella di Margot, lasciandola per posarla sul suo viso prima di baciarla.

 
*

 
Dopo che Håkon l’aveva baciata Margot era letteralmente fuggita da casa dell’amico. O meglio, in un primo momento, seppur colta alla sprovvista, aveva ricambiato il bacio mettendo delicatamente la mani pallide sul viso del mago, ma dopo solo qualche istante aveva bruscamente allontanato Håkon da sé prima di guardarlo allibita e con gli occhi blu sgranati, alzarsi e farfugliare qualcosa sul dover tornare a casa.
“Margi, ne possiamo parlare? Non andare via.”
Håkon si alzò mentre la strega si affrettava a raggiungere l’ingresso per recuperare sciarpa e cappotto, evitando accuratamente di guardarlo mentre si annodava frettolosamente la sciarpa bianca attorno al collo e scuoteva piano la testa, ignorando la richiesta del padrone di casa che invece rimase a guardarla sulla soglia del salotto.  
“Porca Tosca, pensa se Freya fosse scesa e ci avesse visti… è meglio che adesso vada Håkon.”
“Margi, per favore.”
Il mago si era avvicinato all’amica muovendo un paio di passi in avanti e aveva cercato di prenderle la mano, ma Margot aveva scosso la testa e aveva evitato la sua presa, lo sguardo che si ostinava a stare lontano dal suo viso.
“Devo andare. Scusa. Ci vediamo a scuola.”
Margot si era voltata e aveva aperto la porta d’ingresso senza aggiungere altro e senza dargli il tempo di replicare o di impedirle di andarsene, lasciando improvvisamente solo e impietrito nell’ingresso.
Quando udì la porta chiudersi alle spalle della strega Håkon rimase immobile nello stesso punto ancora per qualche istante, ripensando a quello che era appena successo prima che un sorriso spontaneo finisse con l’incurvargli appena percettibilmente gli angoli delle labbra verso l’alto.

 
*

 
Quando Margot era uscita da casa sua mormorando che si sarebbero rivisti ad Hogwarts Håkon aveva interpretato le parole della strega come una promessa di parlare a scuola, senza sua figlia attorno.
Per questo motivo al termine del weekend il danese era giunto al castello nervoso, sì, ma molto più di buonumore rispetto al solito, per essere un lunedì mattina. Buonumore che, in fin dei conti, aveva avuto vita molto breve: ben presto l’insegnante di Astronomia si era reso conto che Margot fosse del tutto intenzionata ad evitare non solo la conversazione, ma anche lui.
Quel giorno lui e la collega non parlarono – Margot si limitò a salutarlo di sfuggita nell’Ingresso prima di schizzare in aula con quindici minuti di anticipo, e non la vide nemmeno a pranzo – e nemmeno quello dopo ancora. In effetti Margot fu straordinariamente impegnata per tutta la settimana che venne. Forse persino troppo impegnata, tanto che il collega finì presto col convincersi che la strega si fosse proposta di occupare tutti i turni di ronda, le supplenze e le ore di punizione disponibili, finendo con l’avere zero tempo libero, pasti inclusi, solo per non parlare con lui.
I giorni passavano e l’umore di Håkon peggiorava a vista d’occhio, tanto che il giovedì sera persino Freya chiese in un sussurro a sua nonna perché “Papino sembrasse arrabbiato con tutti, persino con le sue scimmiette di peluche”.
Il momento in cui la pazienza di Håkon Jørgen giunse al limite, tuttavia, giunse solo di venerdì pomeriggio, quando vide Demelza e Margot davanti alla porta aperta dell’aula di Trasfigurazione: evidentemente l’insegnante di Volo aveva raggiunto la collega prima che la lezione iniziasse per poter parlare con lei, un po’ come aveva esattamente programmato di fare lui dal momento che beccare Margot libera si era rivelato impossibile per tutta la settimana.
Quando giunse abbastanza vicino alle due streghe per poter sentire che cosa si stessero dicendo e udì Demelza chiedere all’amica se aveva deciso o meno di “uscire con Andrew” il giorno seguente, Håkon evitò di pronunciare una sonora serie di imprecazioni solo grazie alla consapevolezza di essere un insegnante, di essere a scuola e che dei ragazzini di 11 anni avrebbero potuto spuntare da dietro l’angolo da un momento all’altro.
 
“Quindi domani sera esci, Margot?”
Håkon si fermò un paio di metri prima delle due streghe, scrutando la più giovane con gli occhi scuri carichi d’astio e le mani serrate abbandonate lungo i fianchi. Nel vederlo Margot ammutolì, arrossendo copiosamente prima di balbettare qualcosa:
“Veramente io non…”
“No, fai bene. Fai benissimo.”
“Vuoi parlare con Margi, Håkon?”
Totalmente inconsapevole e all’oscuro di che cosa fosse successo tra i due – anche se il fatto di non averli visti insieme per tutta la settimana le aveva fatto pensare che avessero litigato – Demelza si rivolse al collega inarcando un sopracciglio e guardandolo dubbiosa, chiedendosi il perché della sua espressione truce mentre Margot, vicino a lei, deglutiva a fatica desiderando di scavarsi una buca e infilarcisi dentro per l’eternità e Håkon scuoteva secco la testa, parlando con rabbia mal celata:
“No. No, continuate pure. Ci vediamo lunedì Margot. O martedì, forse lunedì vorrai raccontare a Demelza del tuo weekend.”
Il mago girò sui tacchi e si allontanò a grandi passi, furioso, mentre Demelza si voltava accigliata verso l’amica ancora piuttosto rossa in volto.
“Vuoi dirmi che è successo con Håkon?”
“Ho lezione, ti chiamo stasera. Ma doveva comparire proprio adesso?! Che tempismo di merda ha avuto, io domani non esco proprio con nessuno!”
“E il problema qual è?!”
“Stasera ti racconto.”
Margot sospirò, salutando l’amica con un cenno cupo prima di gettare un’occhiata preoccupata al punto in cui era sparito Håkon, in fondo al corridoio di pietra, e infine voltarsi ed entrare nell’aula ormai piena di studenti del primo anno, lasciando Demelza sola nel corridoio.
L’insegnante di Volo sorrise, certa che l’amica avesse una storia molto interessante da raccontare.
 
 
*
 

Il giorno seguente Håkon trascorse il pomeriggio a casa in compagnia del suo sacco da boxe mentre Freya giocava al pian terreno con i suoi peluche, suo padre leggeva il giornale sul divano e sua madre un libro.
Era quasi ora di cena quando Winnie, Freya e Wilhelm Jørgen videro Håkon scendere le scale e apparire sulla soglia del soggiorno in pantaloni neri della tuta e canottiera, nonché più serio che mai.
“Potete restare con Freya? Mi sono ricordato che devo andare via.”
“Certo, ma dove devi andare?! Non dirmi che intendi uscire in queste condizioni!”
Winnie sgranò gli occhi orripilata mentre indicava il figlio, che invece sbuffò prima di raggiungere la figlia, chinarsi su di lei e darle un rapido bacio sulla fronte per salutarla:
“Ci vediamo dopo Scimmietta, non sto via molto, ok?”
“Ok. Dove devi andare?!”
“Dalla zia Margi.”
“E io non posso venire?!”
“Scusa Scimmietta, dobbiamo parlare di cose da grandi molto noiose.”
“Vuoi andare da Margot conciato così?! Ma cosa ti ha fatto di male quella poverina?! Se non ti facesse entrare io le darei ragione su tutta la linea, credimi.”
Winnie scosse la testa con disapprovazione, stentando a credere che il figlio volesse andarsene in giro vestito in quel modo e per di più sudato, mentre il marito, accanto a lei, parlava senza alzare gli occhi chiari dal suo giornale.
“Winnie, fatti gli affari tuoi. Tranquillo Håkon, stiamo noi con Freya.”
“Grazie papà. Ci vediamo più tardi.”
Will, non parlarmi con quel tono, o resti a digiuno!
“Mi ordino la pizza, allora.”
“Niente pizza per i maleducati!”

 
*
 

Quella sera Margot non aveva nessuna intenzione di uscire, tantomeno con il deficiente che aveva malauguratamente conosciuto qualche settimana prima. Si stava preparando la sua cena preferita – filetto di salmone con patate al forno – sospirando e pensando a qualche film avrebbe potuto guardare per consolarsi e per concludere quella tremenda settimana quando udì dapprima il campanello dell’ingresso suonare e poi qualcuno iniziare a bussare – o forse colpire – alla porta con insistenza.
“Ma chi diavolo… Arrivo, un attimo!”
Chiedendosi chi accidenti le stesse facendo visita senza preavviso – e pregando che nessuno rovinasse la sua serata di pace in solitudine – di sabato sera, Margot si lavò rapidamente la mani nel lavello prima di affrettarsi ad uscire dalla cucina e raggiungere la porta d’ingresso. Quando l’aprì e vide Håkon sulla soglia – per di più in tuta, cosa che la lasciò ancora più sorpresa – la strega strabuzzò gli occhi chiari, maledicendosi per non aver guardato dallo spioncino prima di aprire.
Poteva solo sperare di non avere rosmarino nei capelli.
“Håk?! Che cosa ci fai qui?! Hai bisogno che guardi Freya?”
“Ah, bene, sei qui. No, non c’entra Freya, c’entro io. Anzi, noi. Posso entrare o la tua visita è già arrivata?”
 
Seppur sollevato di averla trovata in casa – aveva temuto che fosse già uscita – Håkon superò l’amica per entrare nel grazioso ingresso arredato sui toni del bianco e dell’azzurro gettando un’occhiataccia al grembiule bianco pieno di iris ricamati indossato dalla padrona di casa: lo aveva visto forse due volte e gli preparava anche la cena?
Ma Margi non diceva sempre che per lei cucinare costituiva un enorme gesto d’affetto ed era solita farlo solo per qualcuno con cui aveva un legame consolidato?!
 
Quel pensiero non fece che aumentare la sua stizza, e si piazzò nel bel mezzo del salotto incrociando le braccia al petto mentre Margot, sempre più confusa, lo raggiungeva dopo aver chiuso la porta dipinta con vernice celeste.
“Håkon, non capisco di che cosa parli. Ieri non mi hai fatto parlare, ma io stasera non…”
“Stai cucinando il salmone?”
Håkon interruppe la strega, aggrottando la fronte mentre annusava l’aria e il forte quanto inconfondibile profumo di salmone, il loro cibo preferito in assoluto, che si era impossessato della cucina e poi anche del soggiorno.
Håkon, non dirmi che stai pensando al cibo adesso!”
In un qualsiasi altro momento e in una qualsiasi altra situazione Margot avrebbe riso, ma non quella sera: la strega parlò invece con un sospiro lievemente esasperato mentre il collega, offeso, la fulminava con lo sguardo:
“Non sto pensando al cibo, non sono venuto qui per scroccare la cena, se è questo che pensi!”
Salmone?! Ma come si permetteva di preparargli persino il suo piatto preferito?! Il salmone era sempre stata una cosa loro, quello era un oltraggio bello e buono.
 
“Allora perché sei qui, Håkon?”
Margot si portò le mani dietro la schiena per slacciarsi il grembiule, sfilandoselo per appoggiarlo con un sospiro stanco sullo schienale di una sedia mentre Håkon, davanti a lei, notava con vago sollievo che quantomeno non si era messa in ghingheri.
“Sono qui per parlare con te, e non mi muoverò da qui finchè non avremo chiarito la situazione. Perciò, puoi anche dire al tuo amichetto che stasera ceneremo in tre.”
Il mago sedette sul divano e incrociò le braccia al petto, assolutamente intenzionato a piantare le tende nella stanza finchè lui e Margot non avrebbero finalmente parlato. Margot che, a quelle parole, rimase in piedi davanti a lui spalancando gli occhi azzurri prima di sospirare, esasperata:
“Ma quale amichetto?! Dio Håkon sei proprio un uomo ottuso, stasera non aspetto nessuno!”
“Ma se ieri Demelza diceva…”
“Ma non hai sentito la mia risposta, non hai voluto sentirla, hai solo tratto le tue conclusioni idiote! Non devo vedere nessuno stasera, né domani né la prossima settimana.”
Quella risposta lo spiazzò: non era esattamente ciò che si era aspettato. Aveva preso a pugni il sacco da boxe tutto il pomeriggio per quell’esatto motivo, in fondo. Il mago si schiarì la voce rumorosamente, raddrizzando la schiena prima di parlare con tono sostenuto e cercando di sentirsi un po’ meno stupido.
Ah. Ok. Bene. Cioè, ovviamente puoi fare quello che vuoi, mi infastidiva l’idea che tu mi stessi evitando e stessi evitando di parlare del fatto che ti ho baciata per poi ignorare la cosa e vedere qualcuno senza preoccuparti di cosa potessi pensare io.”
“Håkon, non lo farei mai. Pensi che io sia così insensibile nei tuoi confronti? Sai quanto tengo a te.”
Il tono della strega si addolcì, e Margot sorrise gentilmente al collega mentre gli sedeva accanto sul divano, guardando annuire piano prima di guardarla:
“No, lo so. Forse sono stato un po’ troppo affrettato, e forse sono stato anche stupido a venire qui, ma ho bisogno di sapere che cosa pensi e che cosa provi, Margi. Io so che cosa provo, e penso che essere solo tuo amico non mi basti più.”
 
“Se per te non è così va bene, lo accetterò, ma me lo devi dire. Anche se quando ti ho baciata non ti sei tirata indietro subito, quindi ho pensato che…”
Quando Margot gli prese la mano Håkon smise di parlare, chinando lo sguardo sulle loro mani intrecciate appoggiate sulla sua gamba. Ripensò all’ultima volta in cui la sua mano aveva stretto quella di Margot e una morsa si impossessò del suo stomaco mentre una piccola speranza si faceva sempre più consistente.
“Scusa se ti ho evitato per qualche giorno, non volevo ferirti, ma avevo bisogno di rifletterci su. Tengo tantissimo a te, al nostro rapporto, e anche a Freya, e non voglio rovinare nulla di tutto questo.”
“Non lo rovineremmo. Pensi che non potremmo funzionare, insieme, come funzioniamo come amici?”
Margot sollevò la mano libera per accarezzargli il viso, aggrottando le sopracciglia quando si rese conto che il mago non solo era in tuta, ma anche sudato.
“Ma Håkon, sei sudato?! Sei venuto direttamente dalla palestra?!”
“No, ho fatto boxe, ero un po’ arrabbiato. Solo un po’. Ma per favore non dirmi che ti faccio schifo, ci ha già pensato mia madre.”
Fortunatamente Margot rise – anche se inizialmente Håkon temette che stesse ridendo a causa del suo aspetto –, mormorò che per lei lui fosse sempre molto bello e infine avvicinò il viso al suo per baciarlo.
Si stavano ancora baciando sul divano quando Margot si allontanò bruscamente da lui per la seconda volta, gli occhi sgranati:
Oh cavolo!”
“Cosa? Cosa accidenti c’è adesso?!”
Sbuffando, Håkon continuò a tenerle una mano sulla schiena e una tra i capelli, del tutto intenzionato a non permetterle di fuggire una seconda volta mentre Margot si voltava preoccupata verso la cucina e la cena di cui si era completamente scordata.
“Il forno, il salmone!”
Håkon non rispose, ma quando Margot si voltò di nuovo verso di lui capì che stava riflettendo. Del resto, lo conosceva da troppo tempo.
“Håkon. Non dirmi che vuoi cenare adesso. Ti prego, non dirlo.”
“… Va bene. Lo teniamo per dopo.”
 
Margot sorrise solo per un istante, prima che Håkon la baciasse di nuovo e poi si alzasse, issandosela in vita per portarla di sopra.
Aspetta, devo spegnere il forno!”
Va bene, spegni questo dannato forno!”
 
Håkon andò in cucina imprecando a bassa voce continuando a tenerla in braccio, ignorando le risatine divertite della strega.

 
*


margi-e-hak-2


 
La prima volta in cui Freya Jørgen vide suo padre e sua zia baciarsi fu a causa di un brutto sogno: la bambina, svegliatasi di soprassalto dopo aver sognato che padre e nonni se ne andavano ad Hogwarts per sempre lasciandola completamente sola, scivolò giù dal proprio letto per andare e cercare un po’ di conforto. Aveva messo piede fuori dalla sua cameretta per andare a cercare suo padre nella sua stanza, ma quando vide che la luce del piano di sotto era accesa Freya si distrasse, avvicinandosi in punta di piedi alla rampa di scale senza smettere di stringere Mr Monkey a sé.
La bambina scese i primi gradini in silenzio e sperando di imbattersi nel padre o nei nonni, ma si fermò immobilizzandosi quando i suoi occhi castani contornati da lunghe e folte ciglia incontrarono le figure di Håkon e di Margot. Freya sbattè le palpebre un paio di volte mentre guardava sua zia, perfettamente vestita per uscire con tanto di cappotto e guanti, e suo padre starsene abbracciati davanti alla porta di casa. Baciandosi.
 
Da quando in qua il suo Papà e la Zia Margi si baciavano? Freya sapeva che quella era una cosa che si faceva quando ci si voleva molto bene e sapeva anche che suo padre e sua zia se ne volevano, ma era la prima volta che li vedeva baciarsi.
“Vi baciate!”
 
La bambina sollevò il braccio libero per indicarli mentre un largo sorriso si faceva largo sulle sue piccola labbra e Håkon e Margi, udendo la voce della piccola di casa, si staccavano di scatto per voltarsi verso di lei. Istintivamente i due si allontanarono l’uno dall’altra quasi come se il contatto reciproco li avesse scottati e Margot, arrossendo copiosamente, deglutì a fatica senza riuscire a distogliere i grandi occhi blu dalla bambina, che sorrise allegra prima di ripetersi:
“Voi vi baciate!”
“Freya...”
“Sì, vi ho visti! Vi baciate, vi baciate, vi baciate!”
Freya, sempre abbracciando Mr Monkey, prese a saltellare sul posto con fare euforico. In un certo senso la reazione allegra della bambina rincuorò profondamente i due, che temevano una reazione ben diversa, ma quando un’idea – a suo parere fantastica – si fece presto strada nella mente di Freya i due maghi si irrigidirono, come raggelati:
“Vado a dirlo alla nonna!”
“No Freya!”
Fortunatamente Håkon ebbe la prontezza di riflessi per gettarsi sulla rampa all’inseguimento della figlia, che stava già pianificando di andare a saltellare sul letto dei nonni per svegliarli ululando che Papino e Zia Margi si baciavano. L’uomo afferrò la bambina ignorandone i lamenti, prendendola in braccio per portarla rapidamente giù dalle scale e condurla nel salotto deserto dove lui e Margot erano rimasti a parlare standosene abbracciati sul divano fino a poco prima.
 
“Perché non posso dirlo alla Nonna?!”
Quando suo padre la fece sedere sul comodo divano color crema la bambina si immusonì, incrociando le braccine al petto e spostando delusa lo sguardo dal padre fino a Margot, che sedette sul bordo del tavolino per starle di fronte mentre Håkon occupava invece il posto accanto alla figlia.
“Perché io e la Zia Margi non vorremmo dirlo a nessuno, adesso. Lo capisci?”
L’Astronomo parlò con un sorriso mentre accarezzava dolcemente i capelli ricci della bambina, che aggrottò leggermente la sopracciglia prima di annuire piano, come se si stesse sforzando di capire.
“Sì, ma… quando qualcuno si vuole bene è bello, e voi vi volete bene, perché non lo posso dire?”
Freya spostò confusa e delusa lo sguardo dal padre fino a Margot, che si limitò a sorriderle con gentilezza mentre Håkon posava gli occhi scuri su di lei.
“Certo, io e la Zia… ci vogliamo bene.”
Freya era troppo piccola per cogliere l’inclinazione più dolce che la voce del padre assunse nel pronunciare le ultime parole, accompagnandole da un accenno di sorriso mentre guardava teneramente Margot, che ricambiò il sorriso e arrossì un poco mentre Freya, giudicando “strano” il modo in cui il suo Papà guardava la zia, li osservava dubbiosa.
Håkon avrebbe voluto allungarsi verso Margot, prenderle il viso tra le mani e baciarla di nuovo, ma la presenza della figlia lo trattenne e tornò rapido a concentrarsi su di lei, riprendendo a sfiorarle i riccioli vicini alla fronte con le dita:
“Vuoi chiederci qualcosa, amorino?”
“Adesso la Zia può vivere qui con noi?”
“No amore.”
“Perché noooo?”

 
*

 
Sarebbe trascorso un bel po’ di tempo, dopo quella sera, prima che Freya Jørgen potesse rivedere suo padre e sua zia baciarsi. Cercava spesso di indagare sul motivo con entrambi, ma sia Håkon che Margot erano sempre pronti a distrarla, come durante un uggioso pomeriggio invernale in cui lei e il padre si recarono in visita a Fort William, la cittadina dove viveva Margot, e la strega si affrettò a proporre di preparare insieme i biscotti al burro.
Una manciata di minuti dopo Freya indossava un grembiulino in miniatura, identico in tutto e per tutto a quello allacciato attorno alla vita e al collo di Margot, che le mostrava come usare i bicchieri per ricavare dei biscotti dalla distesa di pasta frolla.
“Zia, sono brava?”
“Certo amore, sei bravissima! Adesso li mettiamo tutti qui, piano piano così non si rovinano.”
I capelli ricci legati in una coda grazie ad elastico scrunchies rosa, Freya annuì mentre una piccola ruga le faceva capolino in mezzo alla fronte, testimoniando la concentrazione della bambina mentre imitava Margot disponendo con cura i cerchi di impasto crudo sulla carta forno. Håkon, in attesa di fare indigestione di biscotti, sedeva dall’altro capo del tavolo con una tazza di caffè ormai tiepido davanti, gli occhi scuri fissi sulla figlia e su Margot mentre le osservava con occhi pieni d’affetto.
Quando la padrona di casa, prima di infilare la leccarda nel forno caldo, si accorse del suo sguardo gli riservò un sorriso dolce, guardandolo divertita mentre Freya faceva dondolare le gambe dalla sedia e decretava di non veder l’ora di assaggiare i biscotti.
“Pensi ancora che siamo carine, Håk Bello?”
“Certamente. Le più carine in assoluto.”
Håkon piegò gli angoli delle labbra, rovinate dal suo tic nervoso, verso l’alto, creando un sorriso che la strega ricambiò prima di infilare la leccarda all’interno del forno e rivolgersi a Freya senza guardarla:
“Grazie. Anche noi pensiamo sempre che tu sia carino, vero Freya?”
“Papino è il papà più bello. Anche tu sei bellissima Zia Margi.”
Mentre la padrona di casa chiudeva il forno la bambina le rivolse un sorriso radioso, guardandola con pura adorazione mentre Margot, voltatasi verso di lei, ricambiava e le si avvicinava per accarezzarle i capelli e darle un bacio. Håkon seguì i suoi movimenti riuscendo solo a concordare silenziosamente con la figlia, guardando la sua ormai ex migliore amica baciare Freya sulla guancia prima di prenderle il visino tra le mani:
“Grazie tesorino, anche tu lo sei.”
“A Papino non dai un bacino?!”
Dapprima perplessa, fu estremamente difficile per Margot non ridere di fronte alla domanda, al sorriso e all’entusiasmo della bimba, che la guardò speranzosa mentre Håkon, invece, si irrigidiva visibilmente sulla sua sedia.
“No, solo a te. Vieni, andiamo a prendere la marmellata da mettere sui biscotti.”
 
Certo la possibilità di insistere era allettante, ma la prospettiva di poter scegliere la marmellata che preferiva dall’ingente scorta di cui disponeva sua zia lo era ancora di più, così Freya scivolò giù dalla sedia e si affrettò a seguire Margot verso la dispensa, accantonando momentaneamente le sue domande mentre Håkon tirava un sospiro di sollievo e la padrona di casa invece gli strizzava l’occhio prima di seguire la bambina, un sorriso divertito sulle labbra.

 
*
 

Quel sabato Freya avrebbe passato la notte a casa di una sua amica dell’asilo. Sua madre lo aveva informato lavando i piatti e soffermandosi con particolare veemenza sulle parole “notte” e “sabato”, facendo sospirare il figlio – che Winnie sapesse che stesse frequentando qualcuno era palese, solo non era sicuro che la donna avesse intuito la verità al 100% - che però allo stesso tempo ne aveva subito approfittato per chiedere a Margot di passare la serata insieme.
 
 
Avvolta dal suo morbido copripiumino color carta da zucchero, Margot teneva i grandi occhi blu fissi sulle travi verniciate di bianco del soffitto mentre il braccio di Håkon la cingeva delicatamente per la vita da sopra la coperta. Mentre il mago le depositava scie di piccoli baci sulla pelle pallida e liscia del braccio e dalla spalla nuda – chiedendosi come fosse umanamente possibile avere una pelle così profumata e liscia e ritrovandosi, per una volta, a ringraziare l’ossessione della skincare della donna – Margot pensava alla sua piccola batuffolina di zucchero filato e quanto si fosse dimostrata felice nel vederli baciarsi una decina di giorni prima.
“A cosa pensi?”
Dopo averle depositato un ultimo bacio sulla spalla Håkon appoggiò la testa contro quella di Margot, guardandola con curiosità e accennando un sorriso mentre Margot prendeva ad accarezzargli distrattamente l’avambraccio nudo.
“A Freya. Pensi davvero che sarebbe felice sapendo di noi?”
“Certo, lei ti adora. È solo che non voglio illuderla, capisci? Non è che non voglia condividere questa cosa con lei, so che la renderebbe felicissima, ma prima di farlo voglio… essere sicuro. Ti vuole molto bene e non vorrei che legaste ancora di più e ti vedesse a tutti gli effetti come una figura materna per poi perdere anche te.”
Margot non rispose, limitandosi ad annuire piano mentre continuava ad accarezzargli il braccio e ad osservare il soffitto bianco. Il suo silenzio innervosì un poco Håkon, che la guardò provando una leggera ansia: l’ultima cosa che voleva era che Margot fraintendesse le sue intenzioni e pensasse che ancora non volesse rendere nota la situazione alla sua famiglia perché riteneva che tra loro non sarebbe durata.
“Non voglio che tu fraintenda, quando dico che prima voglio essere sicuro. Sono assolutamente sicuro di quello che provo per te Margi, voglio essere sicuro che questo funzioni.”
“Lo so Håk Bello, non ti devi giustificare. Prenditi tutto il tempo che ritieni necessario, sei tu ad avere una bambina ed è giusto che sia così.”
Il sorriso dolce di Margot ebbe come sempre il potere di tranquillizzarlo, e l’Astronomo annuì piano mentre la strega si sporgeva verso di lui per depositargli un bacio sulla punta del naso. Ritrovatisi con le teste vicine e a guardarsi, i due si osservarono in silenzio per qualche minuto prima che Håkon parlasse piano:
“Tu pensi che tra noi funzionerà?”
Håkon guardò quella che per anni era stata la sua migliore amica con leggera inquietudine, temendo di non ricevere la risposta che sperava. Fortunatamente Margot annuì e sorrise, prendendo ad accarezzargli il viso con l’indice prima di parlare in un sussurro.
“Sì. Tu?”
“Sì.”
Margot sorrise, gli occhi blu luccicanti. E per quanto Håkon amasse quel sorriso come poche cose al mondo, lo fece presto sparire con un bacio.

 
*

 
Distesa sul divano bianco di Margot, Freya stava guardando Robin Hood dopo aver finito di cenare con lei e il padre, che invece erano rimasti in cucina a parlare mentre la padrona di casa sgomberava il tavolo e lavava i piatti con l’ausilio di un tocco di magia.
“Penso che dovremmo dirglielo.”
Quando parlò Håkon stava in piedi appoggiandosi al tavolo ormai vuoto, le braccia muscolose grazie agli anni di boxe strette al petto e gli occhi scuri fissi su Margot, che all’udire quelle parole smise di controllare che la spugna incantata stesse lavando a dovere le stoviglie utilizzate per la cena. La strega si voltò rapida verso di lui, guardandolo meravigliata, felice e un filo timorosa al tempo stesso. Sperava che Håkon prendesse quella decisione ormai da settimane, ma allo stesso tempo l’idea che il suo rapporto con Freya potesse mutare e incrinarsi la preoccupava non poco.
“Davvero?”
“Sì, insomma, in fondo non so quanto questo cambierà concretamente la sua vita, passavamo molto tempo con te anche prima… Sappiamo entrambi che la renderà felice, e formalizzerà solo un legame che c’è già da tempo. Sei sempre stata, anche quando eravamo solo amici, una figura materna per lei.”
Håkon parlò con calma e abbozzando un sorriso, felice della decisione presa – e certo che non se ne sarebbe pentito – guardando la strega esitare brevemente prima di colmare con tre due rapide falcate la breve distanza che li separava, gettargli le braccia al collo e abbracciarlo. Håkon soffocò un lamento mentre la stringeva a sua volta, costretto a chinarsi notevolmente per sopperire alla considerevole differenza d’altezza che intercorreva tra loro. Per migliorare la situazione della propria schiena finì col sollevarla di qualche centimetro da terra stringendola all’altezza della vita, sorridendole prima di stamparle un rapido bacio sulle labbra.
 
“Papinoooo, Zia, venite, c’è la partita!”
Nell’udire il richiamo della figlia Håkon soffocò uno sbuffo sulla labbra di Margot, che invece sorrise e gli diede un lieve bacio sul naso prima di mormorare qualcosa, i loro visi vicinissimi.
“Sentito Håk Bello? C’è la partita, mettimi giù.”
“Va bene… Perché ho la sensazione che presto voi due diventereste ancora più tiranne di quanto non siate già?”

 
*


margi-e-hak-3


 
Håkon e Margi avevano portato Freya a fare una passeggiata in spiaggia e la bambina aveva presto iniziato una caccia alle conchiglie: camminava a piedi nudi sulla sabbia umida e fredda, chinandosi di tanto in tanto per raccogliere i sassolini e le conchiglie più belle per metterli nel secchiello giallo che Margot le aveva dato. I due adulti la seguivano qualche metro più indietro, camminando scalzi a loro volta sulla sabbia.
Margot si muoveva tenendo la testa premuta contro il braccio di Håkon e il proprio stretto attorno alla vita del mago, che invece la stringeva dolcemente per le spalle a causa della considerevole differenza d’altezza.
Seguirono e guardarono in silenzio la bambina per una decina di minuti, godendosi la pace e il semplice rumore delle onde prima che il mago, sorridendo dolcemente, richiamasse la figlia. Freya, inginocchiata sulla sabbia, si voltò verso i due prima di rialzarsi e raggiungerli obbediente, chiedendo con un sorriso allegro che cosa volessero dirle prima che il padre, dopo averla presa per mano, la facesse sedere tra lui e Margi sulla sabbia asciutta.
“Scimmietta, ti volevamo chiedere una cosa.”
“Che cosa?”
Impaziente di tornare a caccia di conchiglie e incuriosita al tempo stesso Freya volse la testa per guardare prima Håkon e poi Margot, mentre la leggera brezza muoveva i capelli di entrambe e il mago continuava imperterrito a stringere la piccola mano della figlia, che appariva più fragile che mai se comparata a quella enorme del padre.
“So che vuoi molto bene alla Zia Margi, e volevamo sapere se ti piacerebbe se lei passasse più tempo insieme a noi due.”
“Vuoi dire che verrebbe di più a casa non noi?”
“Sì, e noi da lei. Saresti contenta se io e lei stessimo di più insieme, Scimmietta?”
Un enorme sorriso si fece largo sul visino della bimba, che annuì freneticamente prima di voltarsi verso Margot e allungarsi verso di lei, abbracciandola goffamente.
“Sì!”
Margot sospirò, felice e sollevata al tempo stesso. La guancia premuta contro la testa ricciuta della bambina, la strega chiuse gli occhi blu intimandosi mentalmente di non commuoversi prima che Freya le chiedesse di un sussurro di avvicinarsi per poterle chiedere una cosa. Subito la donna accostò l’orecchio al viso della bimba, che coprì la propria bocca con la mano prima di sussurrare qualcosa che fece sorridere non poco Margot, gli occhi blu luccicanti e leggermente umidi.
 
“Che cosa state già iniziando a complottare?!”
Felice, sollevato e vagamente preoccupato al tempo stesso, Håkon fece del suo meglio per fingersi esasperato mentre Freya sfoderava un sorriso furbetto e Margot, sorridendo divertita, si sporgeva in avanti verso di lui:
“Freya mi ha chiesto di fare una cosa.”
 
Håkon fece per chiederle di che cosa si trattasse – certo che avesse a che fare con qualche gioco da fare, un dolce da preparare insieme o alla peggio uno scherzo da fare a lui – ma la strega lo battè sul tempo, colmando la distanza che separava i loro visi per appoggiare lievemente le labbra sulle sue. Un dolce, breve contatto che però entusiasmò la bambina, che sorrise e battè le mani prima di allungare le braccine verso i due:
“Adesso anche a me!”
I visi ancora a pochissimi centimetri di distanza, Håkon e Margot si guardarono per qualche altro istante, sorridendosi reciprocamente prima di tornare a rivolgere la propria attenzione a Freya e accontentarla, abbracciandola in sincro.
 
“Papino?!”
“Dimmi amore.”
“Ma adesso vi sposate?!”
“Freya, che domande mi fai?!”
“E adesso posso dire alla Nonna che vi baciate?”
 
La verità era che Nonna Winnie già lo sapeva da tempo, anche se si era premurata di non dire nulla per settimane per rispetto del figlio. La cosa più difficile che la donna avesse mai fatto in tutta la sua vita.
 

 
*


margi-e-hak-1
 
 


Mentre Freya “giocava alla moda” svaligiando l’ampio armadio bianco di Margot, frugando tra i cassetti e tirando fuori tutto ciò che le piaceva per provarselo con il permesso della proprietaria del guardaroba, lei e suo padre rimanevano a guardare e a “godersi la sfilata” standosene comodamente distesi sul letto di Margot, abbracciati.
“Freya, non mettere troppo in disordine, te l’ho detto non so quante volte!”
“Ma la Zia ha detto che posso provare quello che voglio!”
La bambina emerse dalle ante aperte dell’armadio con addosso una blusa bianca sopra ad una maglietta di Star Wars e un paio di spessi calzini celesti pieni di nuvolette bianche infilati sopra a un paio di sandali col tacco, guardando il padre con gli occhi sgranati e imploranti mentre Margot, trattenendo le risa, annuiva e le assicurava di poter prendere tutto quello che voleva dal suo armadio.
“A volte sei troppo buona con lei.”
Tu lo stai dicendo a me?! Non è esattamente quello che tua madre ti va dicendo da quando è nata?”
Margot rise e Håkon non riuscì a trovare le parole adatte per ribattere o contraddirla, finendo quindi con il restare in silenzio e arrendersi all’evidenza – ossia che la strega avesse perfettamente ragione – mentre Freya tornava a caccia di vestiti nell’armadio.
Håkon e Margot trascorsero i dieci minuti seguenti in silenzio, limitandosi a commentare con la massima serietà gli strambi look che Freya sfoggiava ogni volta in cui emergeva dalle ante semi-aperte dell’armadio mentre il mago cingeva delicatamente la strega per le spalle, accarezzandole la schiena mentre Margot teneva il capo poggiato contro il suo petto. Freya si stava provando tutti gli occhiali da sole della zia dopo essersi infilata un cappello da mare a tesa larga sulla testa quando Margot, parlando a bassa voce, sollevò leggermente la testa per rivolgersi ad Håkon:
“Senti, stavo pensando… se un giorno tu e Freya veniste stabilmente qui?”
“Qui?”
Vagamente perplesso e un tantino accigliato, il mago chinò lo sguardo per osservare a sua volta la fidanzata, che accennò un sorriso e annuì calma:
“Sì, qui. So che visto il tuo lavoro è molto comodo vivere con i tuoi genitori, considerando che passi quasi tutto il tuo tempo ad Hogwarts, ma se un giorno vestite qui Freya potrebbe stare con i tuoi genitori durante la settimana e poi nel weekend potremmo stare noi tre insieme.”
“Io durante la settimana dormo sempre ad Hogwarts, ma se questo dovesse procedere potrei fare come te e tornare a casa per la notte con la Metropolvere.”
“Lei starebbe con i miei genitori nel tardo pomeriggio, dopo l’asilo, e poi dormirebbe qui con noi?”
Margot annuì, un accenno di sorriso sulle labbra mentre lo guardava speranzosa e disegnava ghirigori astratti sul suo maglione usando la punta dell’indice. Håkon spostò lo sguardo sulla figlia, guardandola giocare con le cose di Margot prima di annuire piano e abbozzare un sorriso a sua volta:
“Credo che si possa fare. Sarebbe bello.”
“Davvero?”
“Davvero. Freya continua a chiedermi se puoi venire a vivere con noi, dopotutto, penso che non le dispiacerebbe affatto.”
I due si scambiarono un sorriso, ma Freya li interruppe uscendo a braccia spalancate dall’armadio prima di permettere loro di dire qualsiasi cosa, occhiali da sole, cappello, una miriade di collane e un foulard messo a mo’ di mantello addosso:
“Come stoooo?”
“Bellissima, batuffolina!”
“Anche io voglio un abbraccio!”
La bambina si avvicinò al letto per arrampicarvisi sopra e sistemarsi in mezzo al padre e alla zia, che sorrise mentre le sfilava il cappello dalla testa per infilarlo ad un Håkon visibilmente contrariato:
“Freya, non pensi che stia benissimo a Papino?”
“Sì, ti sta benissimo!”
“Dovrebbe proprio metterlo, vero?”
“Sì!”
“Neanche morto.”
 
 






 
   
 
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