Capitolo
1
Dormire in microgravità faceva schifo.
Fluttuare potrebbe anche sembrare rilassante, fin quando ciò non implica farsi
legare come un salame ad una parete per non svegliarsi con la testa dentro un
gavone di carico dall’altra parte della nave. Dunque anche in quel turno di
riposo Sammy non aveva affatto dormito bene: si rigirò mollemente nella sua
branda facendo scivolare il suo pelo bianco sotto le fasce che la legavano alla
parete. Nell’oscurità della sua cabina si stiracchiò piano con un rumoroso
sbadiglio.
Dopo qualche minuto allungò una zampa
verso l’interruttore ed accese le luci mentre l’oblò si apriva sullo spazio
profondo. Miriadi di stelle lontane riempivano un nero profondo come la pece,
ma la luce da loro generata non sarebbe mai stata sufficiente ad illuminare
l’ambiente.
Sbuffando buttò un occhio all’orologio:
era già quasi in ritardo, sarebbe stato meglio darsi una mossa. Non era certo
da lei fare tardi ad un turno di lavoro o alzarsi dopo il suono della sveglia,
ma era dall’inizio di quel viaggio che i suoi ritmi andavano modificandosi
sempre più man mano che si avvicinavano alla meta. Velocemente si recò in bagno
per sciacquarsi la faccia e truccarsi un po’ per nascondere quelle orribili
occhiaie che sul suo manto bianco risaltavano ancora di più.
Dopo essersi asciugata rimase a
fissarsi a lungo allo specchio.
Ok, non è difficile: vai in plancia
come ogni giorno, fai quello che devi fare, rispondi alle domande se te ne
fanno e quando finisce il turno torni in cabina.
Riflessa nel vetro vedeva l’immagine di
una giovane pony bianco perlaceo. La lunga criniera rossa avvolta in una coda,
gli occhiali viola già indossati e gli zoccoli ben limati contribuivano
perfettamente a dare l’idea professionale e composta che sempre l’aveva
caratterizzata con i suoi colleghi.
Per un attimo le balenarono in testa i
ricordi di quando quei coglioni l’avevano presa di mira in accademia, facendole
trovare la porta della sua stanza ricoperta di carta igienica con l’improbabile
scritta Samantha Betz secchiona del cazzo
incisa su di essa con un pennarello. Era perché era sempre seriosa, perché si
sistemava così come richiesto dai suoi superiori o forse perché quegli sfigati
in realtà fantasticavano su di lei ogni notte e non sapevano come avvicinarla e
quindi la odiavano per questo. Quest’ultima ipotesi era stata Rosemary a
dargliela a dire il vero, sua unica vera amica dei tempi dell’accademia, ma
Sammy non ci aveva mai davvero creduto.
Scrollò la testa e si girò per
indossare la sua tuta levandosi quei brutti pensieri: era interessante come la
sua mente cercasse in tutti i modi di non pensare a quello che stava per
succedere e comunque riusciva a farsi del male da sola anche in una simile
situazione. La tuta arancione sgargiante non l’aveva mai fatta impazzire, anche
perché non si addiceva per niente al colore della sua criniera, ma allo stesso
tempo ogni volta che la prendeva in zoccolo un brivido di soddisfazione la
percorreva fino alla punta della coda. Accarezzò lentamente il logo IF dipinto
in un blu brillante prima di indossare la tuta con dedizione: era un esercizio
psicologico che faceva ogni mattina per ricordarsi quanto era stata brava ad
arrivare fin lì, e quella mattina ne aveva bisogno più che mai.
Oh beh, mattina forse è un termine un
po’ azzardato per definire l’inizio di un turno su una nave interstellare:
Sammy non si svegliava in una vera mattina da ormai due mesi ed ogni volta che
succedeva era dura ricordarsi come sorgeva e tramontava un sole su un pianeta.
Tuttavia ogni tre mesi staccava per uno intero e poteva tornare a casa dai suoi
genitori a riposare un po’, mentre passava le giornate a cercare di camminare
nuovamente in presenza di gravità e a tentare di non vomitare mentre i suoi
ritmi circadiani completamente distrutti tentavano di riadattarsi ad un mondo
coerente.
Finalmente era pronta: tirò un grosso
sospiro e aprì la porta della sua cabina trascinandosi lungo gli appigli in
modo deciso verso il ponte di comando. Sperò vivamente di non incrociare
nessuno lungo la strada dato che conversare era l’ultima cosa al mondo che
avrebbe voluto fare in quel momento. Risalì velocemente svariati condotti fino
a raggiungere la porta del ponte di volo, la quale si aprì all’istante con un
suono sordo.
La gigantesca vetrata di comando si
affacciava verso un pianeta colmo di vita, verde, lussureggiante, con grandi
oceani che ne ricoprivano la superficie. Il cuore di Sammy perse un battito per
un istante, ed un nodo alla gola le tolse il respiro.
«Buongiorno ingegnere! Le porto il
caffè come al solito?» squittì una voce limpida alla destra di Sammy. La pony
perlacea si risvegliò dal suo torpore per trovarsi davanti una Ashley Reed
palesemente preoccupata.
Innanzitutto non era mai successo che
in un anno di servizio Reed avesse avuto bisogno di chiedere se l’ingegner Betz volesse il suo caffè: dopo la prima settimana aveva
imparato a preparare un cappuccino ben schiumato esattamente quattro minuti
prima dell’inizio del turno, visto che Betz non
arrivava mai e poi mai nemmeno un minuto in ritardo. Provava una grandissima
stima per la sua superiore e portava un grande rispetto per i ranghi: appena
laureata e terminata l’accademia aveva subito ottenuto un posto come Assistant Route Engineer in virtù dei suoi
eccellenti studi, ed era stata assegnata proprio al fianco dell’ingegnere di
rotta Samantha Betz. Quando poi aveva scoperto che
entrambe si erano specializzate in navigazione interstellare al Pimpaina Institute of Technology (PIT) era andata in
visibilio. L’ingegnere era sempre molto serio, ma aveva deciso di prendere Reed
sotto la sua ala e le due, anche in virtù dell’essere due giovani pony su una
nave militare isolata nello spazio, avevano stretto un rapporto più
confidenziale pur sempre nei limiti della professionalità.
Ma quella volta Reed sapeva bene che
non sarebbe stata come le altre, e per la prima volta vide entrare Samantha Betz con ben sette minuti di ritardo rispetto al suo orario
schedulato. Il cappuccino si era ormai raffreddato e la giovane pony ingegnere
color verde acqua incalzò il suo superiore nella speranza di aiutarla.
«Oh…ciao Ashley, sì grazie» Sammy
osservò brevemente la criniera blu di Ashley Reed ondeggiare fluttuante mentre
restava interdetta per quella domanda inaspettata, e subito dopo la sua
assistente si voltò dirigendosi verso l’angolo galley
del ponte di comando per preparare un nuovo caffè. Sammy si diresse alla sua
postazione cercando di concentrare lo sguardo all’interno della nave senza
osservare l’esterno.
«Sparkey è
già qui?» chiese Sammy mentre si allacciava le cinture per restare fissata al proprio
sedile. Risvegliò il computer davanti a sé dalla modalità sleep
ed iniziò a battere sulla tastiera.
«Il primo ufficiale è stato in plancia
fino a poco fa a dire il vero. Vederlo eseguire personalmente la circolarizzazione dell’orbita è stato affascinante» Reed
sembrava genuinamente emozionata mentre pronunciava quelle parole: il suo
entusiasmo per ogni cosa riguardante il volo spaziale era uno dei motivi per
cui Sammy l’aveva presa così a cuore. Le due passavano ore a parlare di
argomenti super tecnici ed estremamente nerd come li avrebbero definiti
i suoi compagni d’accademia.
«Beh, direi che ormai il nostro lavoro
è finito» ridacchiò un po’ nervosamente Reed dall’altro lato della grande sala
di comando «Non credo importi a qualcuno della triangolazione dei radiofari di Soglia
quando siamo in orbita attorno alla destinazione»
«E’ qui che ti sbagli, Ashley» sospirò
Sammy mentre lo schermo davanti ai suoi occhi mostrava svariati grafici
colorati procedere nel tempo «Dobbiamo sempre garantire che i sistemi di
navigazione siano perfettamente in funzione, e direi che poter conoscere le
proprie coordinate sui tre assi è leggermente importante nel caso di
un’emergenza». Un sorrisetto beffardo comparve sul suo viso mentre si girava
verso la sua assistente che le porgeva il caffè «Ecco qua, gli dei delle
antenne ci sorridono, niente giri con la tuta all’esterno a riparare roba per
oggi»
Le coordinate astrali comparse sul monitor
a seguito della connessione con i tre radiofari posti ai confini dell’universo
conosciuto (la cosiddetta Soglia) coincidevano perfettamente sia con quelle
date dalla piattaforma di navigazione inerziale che con quelle calcolate
tramite la posizione rispetto al pianeta attorno a cui si trovavano.
L’assistente abbozzò un sorriso e per
una volta non fu triste di essere stata ripresa dal suo superiore per
un’inesattezza: era contenta di vedere la Betz di
ogni giorno un po’ sarcastica tornare fuori dopo quello che aveva visto poco
prima. Ma sapeva che la cosa non sarebbe durata.
«Fammi indovinare, dopo la manovra Sparkey ha raggiunto il comandante, vero?» chiese Sammy
mentre il suo volto si incupiva.
Ashely annuì accanto a lei «Sono tutti in
riunione con loro. Oggi è il grande giorno»
«Già, così finalmente quelle teste di
cazzo faranno quello che devono fare e poi potremo tornarcene al Comando
Stellare il più in fretta possibile» Sammy si stiracchiò sulla sua poltrona
sempre evitando di guardare all’esterno «Però hai ragione: anche se dobbiamo
sempre eseguire le solite checklist di routine avremo uno o due giorni di
vacanza finché saremo qui in orbita»
Reed ridacchiò alla battuta del suo
superiore. Il cuore le batteva all’impazzata. Sapeva che non era una buona
idea, ma la preoccupazione e la curiosità la stavano divorando dall’interno «Sa
ingegnere…mi chiedevo se, insomma, potrebbe darsi che…la convochino in riunione?»
Sammy sentì nuovamente un tonfo al
cuore e la flebilissima serenità che aveva guadagnato negli istanti precedenti
scomparve di botto. «Perché me lo chiedi?»
«Beh, insomma, lei qui è l’unica che…»
«Basta, Ashley» Sammy posò uno zoccolo
sulla zampa della sua assistente mentre fissava un punto non precisato sul
pavimento. La pony verde acqua ebbe un sussulto e maledisse sé stessa per non
aver tenuto la lingua a freno.
«Quello che ero da puledrina non ha
nessuna importanza. Non ne voglio parlare e comunque non vedo come possa mai
essergli d’aiuto». La pony bianca si passò uno zoccolo nella folta chioma rossa
e si aggiustò nervosamente gli occhiali «Piuttosto mettiti al lavoro, completa
i cicli di controllo secondari e fa rapporto nel logbook»
Ashley scattò istantaneamente
fluttuando verso la sua postazione in silenzio e si mise a lavorare
frettolosamente.
La giornata stava iniziando male,
persino la sua assistente aveva cominciato a ficcanasare sulla questione. No,
non l’avrebbero convocata. Al massimo il comandante sarebbe passato a farle
qualche domanda, lei avrebbe risposto brevemente e tutto sarebbe andato liscio.
Se ne sarebbe tornata in cabina a finire la sua serie TV e nel giro di due
giorni sarebbero ripartiti lasciandosi alle spalle questo casino. Più i giorni
passavano più faceva fatica a dormire ed il senso di frustrazione e fastidio
che l’accompagnava si faceva più intenso, ma ora era al culmine della
questione: bastava resistere due fottutissimi giorni e poi la cosa sarebbe
finita. Non sapeva come avrebbe affrontato gli strascichi del fatto, il
pensiero di esserne in qualche modo coinvolta, ma ora non voleva pensarci.
I due ingegneri rimasero in silenzio a
lavorare per circa una mezz’ora fino a quando come di consueto il resto del
team di comando raggiunse il ponte di volo. Era normale che gli ingegneri di
rotta fossero i primi della giornata a salire sul ponte, dato che in
navigazione erano coloro che eseguivano i check più importanti per capire dove
la nave si stesse dirigendo. Quel giorno essendo ormai in orbita attorno al
pianeta la cosa era superflua, ma per semplicità ed organicità i ritmi di
lavoro venivano sempre rispettati allo stesso modo.
Ben presto il ponte di volo fu popolato
da una ventina di individui: team di propulsione, meccanica orbitale, armamenti
e altri ancora. Tutti con la loro tuta arancione ed il bel logo delle
Interstellar Forces stampato su di essa. Metà di essi
erano pony, gli altri provenivano dai quattro angoli dell’universo: ciò non era
certo un problema per gente abituata sin dall’università o addirittura dalla
nascita a vivere in un mondo popolato dalle creature più strane. Forse era solo
uno scherzo del destino che per quella missione avessero scelto proprio la Pardatchgrat come nave a cui affidarla. Una nave stranamente
piena di pony e povera di pimpaini.
C’era un motivo se Samantha e Ashely si trovavano in delle posizioni così rispettabili su
una nave da ricognizione della flotta interstellare: erano cittadine pimpaine ed avevano studiato nella più importante
università del paese più militarizzato ed influente di tutta la Universe Protection Organization.
Non c’era perciò da stupirsi che gran parte dell’organico delle forze armate
universali fosse composto principalmente da umanoidi rosa con delle grosse
orecchie a punta. Ciononostante, per qualche ragione, l’equipaggio della Pardatchgrat era prevalentemente composto da pony ed altri
esseri.
«Certo che fa proprio strano vederlo
dal vivo» commentò una pony del team di propulsione
mentre teneva il suo naso appiccicato ad i vetri. Da quando era iniziato il
turno di lavoro, tutti i pony presenti si erano radunati ad osservare il grande
pianeta scorrere sotto di loro. Tutti tranne Sammy: la pony perlacea fissava
ossessivamente il suo monitor tentando di restare concentrata. Persino Ashley
aveva abbandonato la sua postazione per raggiungere gli altri, ma Sammy non ci
aveva fatto caso.
«Già: te ne parlano nelle storie da
piccolo, ma chi avrebbe mai immaginato che ci saremmo andati»
«Ah, non ci tengo proprio a scendere,
ti lascio volentieri il piacere»
«Col cazzo Ray, scommetto venti dollari
che non sanno neanche leggere e scrivere laggiù»
«Boh, leggere e scrivere forse sì ma di
sicuro se gli fai vedere uno schermo si cagano addosso pensando sia una
stregoneria. Ma tipo lo sai che ci sono gli unicorni?»
«Ma che stai dicendo, non ci credo
neanche se lo vedo. Mia madre non mi ha mai raccontato di questa roba»
«Te lo giuro! E altri invece hanno le
ali e volano pure. I miei me ne parlavano sempre»
«Sì vabbè, e poi? I tuoi erano sempre
ubriachi prima di farti addormentare la sera?»
«Che stronzo! Questi racconti li
tramandiamo da generazioni e generazioni sin dal programma di protezione»
«Beh, scusa chiediamolo a Betz, no? Ehi Betz, ti risulta
che ci siano pony volanti e con un pisello in testa la sotto?»
Un pony dal manto grigio topo incalzò
sbeffeggiante Samantha, la quale aveva continuato per tutto il tempo a
concentrarsi sui suoi monitor. La ragazza ebbe un sussulto e cercò di non
distogliere lo sguardo dalla sua postazione; poteva sentire dietro di sé gli
occhi preoccupati e sperduti di Ashley. Quella giornata si stava rivelando
parecchio difficile.
«Non lo so, Hammer. Perché invece di dire
cazzate non passi il tuo tempo a bucherellare qualche asteroide o fare qualche
altra cosa estremamente utile per questa nave?» rispose sprezzante Sammy
cercando di mantenere un tono senza che la sua voce si rompesse per l’ansia.
«Almeno io ricordo ancora come si
spara. Dopo il corso in accademia voialtri vi siete dati alle comodità, tra un
po’ passerete a condurre qualche nave passeggeri e tanti saluti. E poi testare
gli armamenti ogni tre cicli di volo è parte del protocollo di sicurezza, lo
sai benissimo»
Hammer si avvicinò piano a Sammy
volteggiando nell’aria con fare canzonatorio mentre tutto il resto
dell’equipaggio guardava divertito «Eddai, rispondi!
Ci sono o no quei pony? Non ti ricordi proprio niente niente?»
Sammy strinse i denti e si slacciò le
cinture dal suo sedile «Ecco perché odio stare in orbita: la gente pensa che
non si stia più in servizio e comincia a cazzeggiare». Si voltò fissando negli
occhi Hammer: si conoscevano sin dai tempi dell’accademia, ma lui non aveva
fatto l’università diventando un responsabile degli armamenti. Non era davvero
uno stronzo e lei lo sapeva: semplicemente quando qualcosa lo divertiva tanto
non riusciva più a capire quando era l’ora di smetterla, soprattutto se aveva
un pubblico a guardare.
Era incredibile come nessuno di loro
mostrasse un minimo di empatia, di cordoglio, di sensibilità per quello che
stava per succedere. Come potevano essere così? Come potevano aver dimenticato
tutto? Come potevano aver ripudiato tutto? Samantha si era ripetuta che era
solo una questione di tempo: ne era passato troppo poco per lei, era normale
che si sentisse così. La sua transizione non era ancora completa, non era
ancora l’ingranaggio della macchina perfetta che vegliava serena su tutti i
sistemi dell’universo. Persino Ashley era più curiosa che altro, ansiosa di
scoprire di più.
Sammy strinse ancora di più i denti «Lasciami
in pace, Hammer»
«Oh, che palle! Vogliamo solo saper-»
«Lasciami
stare!» urlò Sammy fuori di sé. Il pony grigio si ammutolì stupefatto:
nessuno aveva mai visto Samantha Betz perdere le
staffe ed uscire da quel ruolo da competente sotuttoio
che l’aveva sempre caratterizzata. Tutto l’equipaggio si fermò a fissarla:
Ashley era senza parole per quello a cui stava assistendo.
‘Samantha Betz
è convocata in sala riunioni sul ponte due’
La voce del comandante Cerutti riempì
il ponte di comando. Sammy sgranò inconsapevolmente gli occhi e nuovamente il
suo cuore perse un colpo quella mattina. Tutti i presenti si guardarono tra
loro smarriti.
Un leggero vociare si alzò nella stanza
«Va da loro?» «Ma allora sa davvero qualcosa» «Non dovrà mica…»
Samantha ricercò Ashley nella calca che la fissava. La sua piccola assistente verde acqua la guardava smarrita, incapace di capire la situazione. La pony perlacea fece un grande respiro, trattenendolo così tanto che le sembrò di soffocare. Dopo si alzo e si diede una leggera spinta dalla sua postazione, volando verso la porta d’ingresso. Quasi come un automa lasciò il ponte di volo dirigendosi verso le zone posteriori della nave, mentre il resto dell’equipaggio di navigazione la seguiva con gli occhi.