Anime & Manga > Le bizzarre avventure di Jojo
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Autore: AlsoSprachVelociraptor    02/05/2022    0 recensioni
Nel 2018 Shizuka Higashikata, la figlia adottiva di Josuke, vive una vita monotona nella tranquilla Morioh-cho.
Una notte la sua vita prenderà una svolta drastica, e il destino la porterà nella misteriosa città italiana di La Bassa, a svelare i segreti nascosti nella sua fitta nebbia e nel suo sottosuolo, combattere antichi pericoli e fare nuove amicizie, il tutto sulle rive di un fiume dagli strani poteri.
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Terza riscrittura, e possibilmente quella finale, dell'attesa fanpart di JoJo postata per la prima volta qui su EFP nel lontano 2015.
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Prequel: “La battaglia che non cambiò nulla (o quasi)”
*Spoiler per JoJo parti 1, 2, 3, 4 e 6*
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Aggiornamenti saltuari.
Buona lettura!
Genere: Avventura, Mistero, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Altri, Josuke Higashikata, Jotaro Kujo, Nuovo personaggio, Okuyasu Nijimura
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Spoiler!, Violenza
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I sei si avventurarono per le strade stranamente buie della città. Il posto in cui abitava Minerva, il quartiere Alipranda, era un ricco quartiere di villette separate dai grandi giardini e alberi quasi in fiore, ora che la primavera si stava avvicinando. Ognuno di loro stringeva in mano una torcia a raggi UV per contrastare i vampiri che gli fossero andati addosso, in dotazione a chiunque avesse un bunker anti-vampiro. Le torce UV non uccidevano i vampiri, per quello serviva il sole o le Onde Concentriche, ma faceva in modo di ferirli e di paralizzarli completamente, dando modo al possessore della torcia di scappare, o attaccarlo.

Pallas Athena, lo stand luminosissimo di Minerva, guidava loro il cammino, il suo braccio-picca in palladio che riusciva a colpire i radi vampiri che li attaccavano di tanto in tanto.

Okuyasu, che era chiudifila, sentì un rumore dietro di lui.

“Attento, uno zombie!” gracchiò Koichi. Okuyasu, sentendosi lo sguardo preoccupato di Minerva addosso, gonfiò il petto ed evocò il suo The Hand, la mano destra già pronta ad agire.

Lo zombie zoppicava vistosamente, tirandosi dietro una gamba accessoria che chissà come gli era spuntata. The Hand se lo teletrasportò vicino poi, quando fu finalmente nel suo raggio, cancellò il suo intero corpo. Okuyasu esagerò un po’, però, perchè cancellò con esso almeno dieci centimetri di manto stradale.

“Gradassone.” lo rimbeccò Josuke.

Attratti da un’altro rumore, corsero  incontro a un gruppetto di zombie deformati che avevano scavato nel terreno, rompendosi mani e braccia che ora penzolavano ai loro fianchi, fino a raggiungere i cavi sotto l’asfalto della strada, e stavano rosicchiando dei fili.

“Cosa stanno facendo?” chiese Yukako.

“Credo stiano cercando di staccare ogni corrente rimasta.”

Jotaro, che era stato estremamente silenzioso e fermo fino a quel momento, mani in tasca e il cappello a coprirgli il viso pallido e scavato, decise di parlare. “Non importa. Li fermeremo e Josuke riparerà i cavi. Nessuno deve morire, stanotte.”

Josuke storse il naso, digrignò i denti, ma stavolta non si azzardò a controbattere. No, non voleva aiutare Minerva, e non voleva importarsene di quella città che odiava. Ma nel profondo della sua anima, per quanto lui rifiutasse quella sua natura che riteneva debole, che aveva tentato di domare negli anni… lui non voleva che persone innocenti diventassero vittime di quelle creature. Non aveva studiato quasi dieci anni di medicina per diventare un dottore ricco, ma un dottore competente, che potesse salvare e guarire più persone possibili.

Strinse i pugni. Annuì quando gli altri componenti del suo gruppo si voltarono a guardarlo. Sì, avrebbe salvato le persone di quel quartiere. Avrebbe salvato Minerva che tentava quasi di sostituirlo, Jotaro che parlava per lui, Koichi senza spina dorsale, Okuyasu gradassone traditore, Yukako bastian contraria. Avrebbe salvato il suo gruppo, anche se controvoglia.

Crazy Diamond, enorme e scintillante alle spalle di Josuke, pronto, come prima, a distruggere quegli zombie senza mente.

"Ma quello è uno steeende?"

Dalla massa di vampiri e zombie, una dall'espressione accesa e un paio di spessi occhiali da vista sulla fronte si avvicinò a Josuke. I suoi occhi erano rosso vivo, di una tonalità più chiara di quella di Shizuka, che bruciavano nell'oscurità come un fuoco.

Shizuka… chissà dov'era la sua bambina, ora? Chissà se anche lei stava girando le strade di quella maledetta città, in quello stesso momento?

La ragazza si abbassò gli occhiali sul naso, avvicinandosi senza paura a lui. "Sembri forte! Perché non provi a colpirmi?"

"Josuke, non credo tu debba farlo." mugugnò Okuyasu. Certo che Josuke sapeva che era una stupida trappola, ma ora che quell'idiota di Okuyasu l'aveva detto, Josuke non voleva sottostare ai suoi ordini.

Crazy Diamond sferrò un pugno dritto sul muso della vampira, che però non reagì.

"Wow, sei allo stesso tempo veloce e molto forte." continuò la vampira, facendo un passo indietro, sotto lo sguardo attonito di Josuke. Tirò fuori un blocchetto dalla tasca dei jeans strappati e iniziò a scrivere qualcosa con la penna che teneva dietro l'orecchio.

"Hmm… la forza distruttiva del tuo stand deve essere una A, ma anche la velocità non scherza. Credo una A a sua volta. Hmm, quale strategia potrei applicare con te?"

La vampira, una ragazza poco più bassa di Koichi e dall'aspetto quasi fragile e innocuo, si sedette sul marciapiede davanti a loro, sfogliando tra i propri appunti. 

"Ah, quasi dimenticavo! Prendeteli!" fece agli zombie che stavano prima distruggendo il fondo stradale, che come per magia di accorsero ora del gruppo dei Joestar, e presero ad accerchiarli.

"Scappiamo?" fece Josuke.

"E dove? Non esiste più nessun posto sicuro in questo quartiere!" gli rispose Koichi, che, se avesse potuto, sarebbe sicuramente scappato.

“Credo prenderò la velocità! E ora forza, Better Harder Faster Stronger !” esultò la ragazza saltando in piedi. Davanti a lei, una creatura umanoide, della consistenza del mercurio e dai colori cangianti, si rivelò davanti a tutti loro. Ad una velocità disarmante si scagliò su di loro, in mezzo a loro, passando come acqua tra i loro corpi.

“Non male eh?” disse dietro di loro. “Il mio stand ha la capacità di assorbire le potenzialità di chiunque mi tocchi, e amplificarle, e usarle a mio vantaggio!”

“E perchè ce lo stai dicendo?” le rispose Jotaro, di fronte a lei. 

L’espressione di contagiosa ilarità che prima traspariva dal viso della ragazza mutò in una rabbia profonda.

“Perchè, una volta che vi avrò sterminati, voglio che Zarathustra sappia che Ovidia è migliore di lei. La migliore.

Josuke spintonò Okuyasu indietro, ma stavolta, l’uomo dai capelli neri e bianchi sbottò.

“Smettila!”

“Cosa?”

Okuyasu gesticolò un po’, puntando prima sé stesso e poi Josuke. “..Questo! Questo! Che cazzo fai?”

“Ti proteggo?” gli rispose annoiato e innervosito Josuke, come si risponderebbe a un bambino piccolo che fa qualche domanda scema. Ma Okuyasu non era un bambino.

Strinse il pugno così tanto che sentì il sangue dal suo palmo destro, che mai aveva smesso di scorrere dalle ferite aperte, uscire a fiotti lungo le sue dita serrate e tremanti. 

“Basta! Non ce n’è nessun bisogno, io- io non sono stupido e inferiore come tu credi che io sia! Sono stanco di aspettarti, stanco di stare ai tuoi capricci! Tu sei il bambino! Sei un cazzo di marmocchio capriccioso che non è mai cresciuto!” gli gridò contro Okuyasu, la gola che gli bruciava dall’urlo e dall’odio. 

Tutto quello che avrebbe voluto dirgli in questi lunghi diciotto anni, e tutto quello che si era tenuto dentro, celato nel profondo del suo animo. Quell’orribile capodanno del 2000 passato al fianco di un giovane Josuke dallo sguardo torvo, quelle continue lamentele di ho salvato la città da un serial killer e non interessa a nessuno!, e Okuyasu che si sentiva di doversi scusare se non poteva sempre uscire con lui, se doveva stare a casa a fare i compiti, calcolare le tasse al posto dei suoi genitori morti, badare a quel padre malformato e mostruoso. Quella partenza improvvisa, le accuse di Josuke di non essere abbastanza presente, di non amarlo abbastanza- e poi quegli anni di silenzi, di vivere da solo in quella casa in cui suo fratello era morto, e in cui aveva deciso che anche suo padre meritava una morte degna. Trovare un lavoro, crescere, maturare, doversela cavare solo ed esclusivamente con le proprie forze, sperare che un giorno Josuke sarebbe tornato, avrebbe capito, avrebbe sorriso di nuovo.

Ma quello che era tornato era un Josuke ancora capriccioso, ancora alla disperata ricerca di attenzioni, ma con ora una lamborghini, una laurea, e una figlia.

Okuyasu aveva speso diciassette anni a sperare, a perdere tempo, a perdere opportunità. 

“Sono stanco di TE!” gli gridò Okuyasu, spingendolo indietro, e Josuke capitombolò contro Yukako che era alle sue spalle, mentre tendeva un orecchio verso la litigata furibonda dei due uomini, ma rimaneva concentrata sui vampiri attorno a loro.

“Smettetela, voi due idioti-” ringhiò. “I vampiri attorno a noi!”

Yukako aveva circondato tutti loro con i suoi capelli, una vistosa ciocca bianca tra essi. Appena un vampiro tentava di avvicinarsi Yukako lo scagliava lontano, ma poi si rialzavano sempre, e le loro mani fameliche si aggrappavano alle sue ciocche, tiravano, strappavano.

“Stai attenta-!” gli pigolò Koichi, che non riusciva a fare nulla in quella situazione. L’occhio di Jotaro era fisso sulla vampira dotata di stand, Ovidia, che stava guardando particolarmente lui.

Minerva tentò di mettersi in mezzo tra i due, ma si ritrovò sotto lo sguardo rabbioso di Josuke.

“Sei stata tu a mettergli in testa certe stronzate, eh?”  le disse Josuke, pungolandola per una spalla.

“Io so pensare da solo, sai? Ho un cervello!” fu la risposta di Okuyasu, che ormai aveva gli occhi lucidi dalle lacrime di rabbia. Il viso di Josuke era tirato, rosso peperone, ma tentava lo stesso di sorridere, di guardarlo con quel senso di superiorità che aveva sempre avuto verso chiunque, ma in particolare verso Okuyasu.

“Ah sì? Tu? Un cervello? Ah, questa mi è nuova!”

Fu un istante.

Okuyasu si buttò su Josuke, sferrandogli un pugno così forte sul viso da generare un orribile suono secco di nocche contro la mandibola.

Josuke fu a terra in un tonfo, e Okuyasu sopra di lui, un ginocchio nello stomaco e la mano sinistra attorno al suo spesso collo.

La mano destra, che ormai colava sangue a fiotti, era alzata sopra di lui, la lattea mano del suo stand, The Hand, che si stava sovrapponendo alla sua.

“NO-!” e Yukako scattò, abbandonando la sua inefficace muraglia attorno a loro, per afferrare il braccio di Okuyasu. 

Attorno a loro il caos dei vampiri scoppiò come una bomba quando le luci dei lampioni si spensero definitivamente, e lo stand di Minerva, Pallas Athena, a malapena riusciva a contenere quella massa di mani fameliche verso di loro, la lancia dello stand dorato che tranciava arti di zombie, ma sembrava non tagliare mai abbastanza.

Koichi evocò Echoes act 4, ma prima che potesse ordinargli qualsiasi mossa, si sentì afferrare per un braccio. Era Jotaro, piegato su di lui, il viso scarno e magro e malato davanti al proprio.

“Koichi, io devo dirti una cosa.”
“Adesso?” gridò Koichi, che non si era accorto di star gridando. “Oku sta per ammazzare Jos e i vampiri stanno per ammazzare noi! Stiamo per morire, ti sembra il momento-?”

“Sì. Sì, perchè io sto morendo, in tutti i modi.”

Prese le spalle di Koichi con entrambe le mani, parlando a voce bassa, ferma, e debole. Ora Koichi non era più irrequieto per la storia dei vampiri.

“In che…?”

“Ascoltami. Io voglio che tu faccia qualcosa per me. Ti ho mentito, ho mentito a tutti. Mi rimane poco tempo, perchè a me, così come a mio nonno Joseph…”

 
   
 
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