Alle
dieci meno un quarto
dell’indomani sera, due taxi arrivarono nella strada in cui
si trovava
l’appartamento di Midge, entrambi con notevole ritardo ma
perfettamente
sincronizzati l’uno con l’altro. Susie fu la prima
a scendere dalla macchina,
sistemandosi il colletto della camicia e poi il berretto in testa.
Senza
prestarci troppa attenzione, con la coda dell’occhio,
intravide la figura seduta
nell’altro taxi.
Con
una leggera indolenza in più rispetto a quanto dimostrato da
Susie, la persona
in questione pagò la sua corsa e si accinse a raggiungere il
marciapiede.
Susie
spalancò gli occhi: Lenny Bruce era l’ultima
persona che sia aspettava di
ritrovare in quel quartiere. Non poteva certamente trattarsi di una
coincidenza. Allora si schiarì la voce, tentando di
racimolare qualche idea su
come impostare la conversazione.
«Cosa
cavolo ci fai tu
qui?» Sbottò, in un tono molto più
scontroso di quello che avrebbe voluto che
fosse. Lenny si voltò di scatto, mentre teneva in una mano
un pacco di
sigarette e l’accendino nell’altra.
Susie
si affrettò ad
aggiungere, «Ehm…piacere di rivederti, comunque.
Mi hanno detto che hai
spaccato alla Carnegie Hall.»
«Dipende
da cosa intendeva
chi te l’ha detto. E poi è stato un bel po' di
tempo fa.»
Lenny
accese la sigaretta
e fece il primo tiro, rilasciando l’aria calda nella fresca
brezza serale, «Sei
stata reclutata anche tu?»
«Sì.
Stesso bigliettino
rosa profumato, immagino. Ma, certo. Ora capisco. Tu devi essere la
sorpresa di
cui parlava Rose…» Disse rivolta più a
se stessa che a Lenny.
«Che
cosa combina Midge?»
Le chiese, con uno sguardo decisamente diverso da quello che ricordava
Susie.
Era come se ci fosse un velo di tristezza e di preoccupazione.
«Di
cosa parli,
esattamente?»
«Beh,
non ho sue notizie
da un po'…»
«È
la sua nuova politica,
non lo hai saputo? Sparire dalla circolazione e rifiutare le occasioni
della
vita.»
«Ne
ho sentito parlare.»
Lenny
rivolse gli occhi
verso la finestra di quello che ricordava essere il piano
dell’appartamento di
Midge, «Sono ridicolmente in ritardo. Chissà
quale sarà la mia pena…»
«La
vera domanda è: chi ci
pagherà la cauzione?»
«Beh,
di sicuro l’unica
che avrebbe qualche interesse a farlo arriverebbe indecentemente tardi.
Sai,
sembra che esita un modo di vestirsi appropriato anche a questo genere
di
faccende.»
Susie
colse il
riferimento implicito a Midge e rispose divertita,
«È una caratteristica di voi
comici, eh? Per fortuna che il vostro senso dell’umorismo vi
precede,
altrimenti avrei mollato Midge la prima volta che mi ha fatto aspettare
due ore
ad un appuntamento. Sa come farmi perdere la pazienza quella
ragazza!»
Lenny
scosse la testa, «Lo
sai anche tu che non l’avresti mai fatto. Ed è
sempre il vestito a fregarci.»
Susie
lo guardò
intensamente ma non rispose. Aveva colto in quella reazione una
sfumatura
sentimentale alla quale non riusciva a dare un nome.
«Perché
ti hanno
invitato?»
Lenny
gettò la sigaretta
sull’asfalto e la spense con la punta della scarpa,
«Non lo so nemmeno io. Non
avrei dovuto accettare, però.»
«Davvero,
Lenny. So che
voi due siete amici da anni ormai, ma non capisco. Non credere che la
mia
presenza non sia fuori luogo questa sera, ma non riesco ad immaginare
il motivo
per cui uno come te vorrebbe cacciarsi in questo stramaledetto circo
umano.
Soprattutto ora che… Beh, ho saputo che quei bastardi ti
stanno di nuovo
addosso. Mi dispiace.»
Lenny
fece per aprire
bocca, ma nel frattempo un bambino corse nella loro direzione
dall’atrio del
palazzo, seguito a ruota da un’affannata ed elegantissima
Midge. Il suono dei
suoi tacchi produsse la stessa tamburellante sensazione di paura nel
loro
petto.
«Ethan,
torna dentro! La
nonna ha cambiato il tuo posto. Adesso puoi sederti vicino a tuo padre.
Basta
che la smetti di fare i capricci!»
Il
bambino si fermò al
centro dell’ingresso, con lo sguardo corrucciato rivolto a
sua madre. Midge si
chinò alla sua altezza, «È stato un mio
errore. Puoi perdonarmi? Ho lavorato
fino a tardi e non ho avuto il tempo di controllare
l’organizzazione del
tavolo.»
Susie
e Lenny rimasero
paralizzati. Se avessero mosso anche solo un muscolo lei si sarebbe
accorta
della loro presenza e nessuno dei due aveva ancora idea di quale
sarebbe stata
la loro prima mossa. Si fissarono per quella che sembrò
essere un’eternità, ma
a un certo punto a Susie venne un colpo di tosse impossibile da
trattenere
Midge
si sollevò da terra
prendendo Ethan per mano. Si avvicinò cautamente alla strana
coppia per provare
a se stessa di non averla soltanto immaginata e girò loro
intorno con aria
attonita. «Che
razza di scherzo è
questo?» «Chiaramente
non lo è,
visto che sei tutto tranne che divertita. Se fossi in te non lo
aggiungerei nel
tuo prossimo numero.» Lenny
aveva l’impressione
che, una volta ascoltata la sua voce, Midge si fosse leggermente
intenerita. Susie
la guardò con
particolare nervosismo, «Che ne pensi di farci salire?
Sarebbe meglio chiarire tutto
dentro, no?» Midge
non proferì parola.
Rimase a fissarli con la bocca ancora mezza spalancata. «Abbiamo
ricevuto un
invito. Entrambi!» Indicò Lenny con la testa e
prese dalla tasca la busta rosa
tutta stropicciata, giusto per sventolargliela davanti a mo’
di prova. Per
fortuna era ancora lì. Era più che convinta di
averla già gettata via. «E
va bene. Seguiteci.»
Fu l’unica cosa che Midge riuscì a dire. «Credo
di ricordare la strada.» Lenny le rivolse un lieve sorriso,
non badando
all’enorme punto interrogativo impresso sul volto di Susie. Oltrepassato
l’uscio di
casa, l’immagine che si sottopose ai loro occhi fu
prevedibilmente comica: Abe
e Mei erano coinvolti in un’appassionata conversazione sulle
ragioni storiche
delle difficoltà riscontrate da una brillante studentessa
asiatica come lei ad
integrarsi nel sistema universitario statunitense, mentre seduto al
centro del
tappeto del salotto Moishie intratteneva con le sue smorfie buffe e le
sue
imitazioni la piccola Esther. Midge liberò Eathan dalla sua
morsa, cercando di
capire che fine avessero fatto gli altri membri della famiglia. Un
chiacchiericcio in sottofondo giunse alle sue orecchie dalla cucina. Susie
e Lenny rimasero
impalati all’ingresso del corridoio. Nessuno si era ancora
reso conto della
loro presenza, ma Midge si voltò facendo loro cenno di
seguirla verso la sua
camera da letto. «È
stata una pessima idea.» Sbottò Susie, dopo aver
colto una parte della
chiassosa discussione che stava avvenendo in cucina tra Shirley e Joel
e tra
Rose e Zelda. La
notizia della gravidanza di Mei fremeva sulle labbra leggermente
tremanti di
Joel, il quale faticava a trovare il coraggio di non svicolare le
domande
dirette di sua madre sulla ragione della nausea della sua ragazza alla
menzione
della zuppa di pollo che aveva preparato con tanto amore quella
mattina. «Shirley,
non
preoccuparti. Ho detto a Zelda di conservare la tua zuppa per un
momento più
opportuno, così Mei non avrà alcun
problema.» Rose
supplicò la sua domestica
di darsi una mossa per servire il pasto il prima possibile: gestire
Shirley in
cucina rappresentava la tredicesima fatica di Ercole. Tanto valeva
incominciare
a mangiare, anche se di Susie e di Lenny non aveva visto traccia. «Qual
è il suo problema?
Vorresti spiegarcelo Joel? E perché mai l’hai
invitata a casa di Midge?» La
donna si rivolse al figlio con l’aria di
un’investigatrice intenzionata a non
mollare la sua preda, picchettando con le affilate unghie rosse sulla
spalliera
della sedia. «Non
ha nessun problema,
mamma. E poi la conosci già. Non c’è
bisogno di fare la maleducata.» Finse
di non sentirlo. «Adesso
che mi ci fai
pensare… Ricordo di aver avuto la stessa nausea quando ero
incinta di te. Non
ho voluto vedere pollo per mesi interi! Il che non è da
me.» «E
se fosse soltanto
allergica al pollo?» Shirley
scrutò
intensamente suo figlio e poi pensò bene di cercare la
soluzione da Rose, la
quale trovò il pretesto di dover chiedere ad Abe quale vino
aprire a tavola per
potersi dileguare all’istante. La
rivelazione stava per
avvenire proprio nel modo in cui si sperava che non accadesse, ovvero
per mero
intuito. Joel avrebbe voluto più tempo per farle digerire la
novità. Fu
quando guardò oltre la
spalla di sua madre con l’intenzione di verificare che la sua
fidanzata stesse
bene e che la sua ansia si fosse smorzata, che Joel si accorse del
fulmineo
passaggio del trio. Ovviamente, non riuscì a riconoscere
subito di chi si
trattasse, quindi pensò che sarebbe stato meglio indagarlo
subito e colse al
balzo l’occasione di liberarsi dalla sua aguzzina. La
porta della stanza era
socchiusa, ma la voce di Susie attraversò facilmente la
fessura di spazio
lasciata aperta da Midge, giungendo senza troppa sorpresa
all’orecchio di Joel.
La profonda voce maschile – che riuscì a
identificare soltanto dopo un po' – lo
lasciò letteralmente senza fiato. Non
poté trattenersi:
appoggiò una mano sudata sulla maniglia e
spalancò la porta con gli occhi
sgranati. «Ti
serve qualcosa, Joel?»
Domandò Midge, leggermente infastidita. «Cosa
diamine ci fa Lenny
Bruce nella mia ex camera da letto?»