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Autore: Ghost Writer TNCS    07/05/2022    2 recensioni
Da sempre le persone hanno vissuto sotto il controllo degli dei. La teocrazia del Clero è sempre stata l’unica forma di governo possibile, l’unica concepibile, eppure qualcosa sta cambiando. Nel continente meridionale, alcuni eretici hanno cominciato a ribellarsi agli dei e a cercare la verità nascosta tra le incongruenze della dottrina.
Nel frattempo, nel continente settentrionale qualcun altro sta pianificando la sua mossa. Qualcuno mosso dalla vendetta, ma anche dalla volontà di costruire un mondo migliore. Un mondo dove le persone sono libere di costruire il proprio destino, senza bisogno di affidarsi ai capricci degli dei.
E chi meglio di lui per guidare i popoli verso un futuro di prosperità e progresso? Chi meglio di Havard, figlio di Hel, e nuovo dio della morte?
Questo racconto è il seguito di AoE - 1 - Eresia e riprende alcuni eventi principali di HoJ - 1 - La frontiera perduta.
Genere: Avventura, Azione, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie '1° arco narrativo'
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13. L’Araldo della Libertà

Tenko era impaziente di conoscere questo orco pallido di cui tutti parlavano. C’era chi lo descriveva come un eroe del popolo, in grado di liberare gli oppressi e di garantire un futuro migliore per tutti; per altri era solo un folle e un assassino, che non si faceva scrupoli a uccidere decine di innocenti pur di assecondare il suo ego. In ogni caso molti dei suoi detrattori vestivano le toghe del Clero, quindi Tenko era fiduciosa che sarebbero potuti andare d’accordo.

Lei, Zabar e Icarus erano sbarcati ad Artia – il continente settentrionale – da meno di una settimana, e la demone continuava a stupirsi di quanto gli orchi fossero un popolo così diverso dai faunomorfi a cui era abituata, eppure anche così simile.

Tra gli orchi la schiavitù era molto più diffusa rispetto che nel continente meridionale, ma le condizioni degli schiavi non le sembravano così diverse: erano tutti magri e malconci, e la maggior parte dei proprietari sembrava intenzionata a spremere al massimo i suoi servitori prima di comprarne di nuovi.

Lo stile degli abiti e degli edifici era nettamente diverso, eppure di solito le bastava uno sguardo per riconoscere la posizione sociale delle persone e la funzione degli edifici: un ricco mercante, un tempio, un guerriero, una fucina, un tagliaborse.

E poi c’erano loro: gli orchi. Le sembravano tutti enormi, con i loro corpi alti e muscolosi, e le zanne che spuntavano dal labbro inferiore. Perfino le orchesse – molto meno imponenti degli uomini – erano più robuste del faunomorfo maschio medio. Senza contare le cicatrici dei guerrieri: alcune erano così ampie che nessun faunomorfo sarebbe sopravvissuto a una ferita del genere. Nonostante questo, perfino quei giganti verdi e marroni sembravano sorpresi dal suo aspetto, e spesso distoglievano lo sguardo quando notavano le sue iridi rosa su sclere nere. Non per timore, ma più per… disagio? Aveva notato qualche demone in giro, ma anche lì quelli della sua specie sembravano una minoranza sopportata più che accettata.

In quel momento lei e i suoi due compagni di viaggio stavano procedendo verso nord in groppa a tre monoceratopi. Ottenerli era stato sorprendentemente facile: erano bastate l’eloquenza di Icarus e qualche merce del continente meridionale per convincere l’allevatore. In realtà buona parte del merito andava anche al bracciale rinvenuto nel sottosuolo del gelido sud: era solo grazie a quell’artefatto se riuscivano a capire gli orchi e viceversa. Senza quel misterioso monile ogni cosa sarebbe stata infinitamente più complicata.

I monoceratopi – animali che nessuno di loro tre aveva mai visto – erano nettamente meno agili degli ippolafi, ma molto più robusti. In ogni caso Zabar aveva già altri piani in mente.

«Qui ad Artia non ci sono grifoni, ma dei rettili chiamati draghi» aveva spiegato. «Mi piacerebbe riuscire a domarne un paio, così guadagneremmo moltissimo tempo.»

Icarus non era sembrato troppo entusiasta all’idea di salire in groppa a un draghide selvatico, Tenko invece sperava solo che Zabar si ricordasse di quello che era successo la volta precedente, quando aveva provato a domare un grifone. Le sembrava fosse passata una vita intera da allora.

Tenko diede un’altra attenta occhiata alla prateria che la circondava e poi aggiunse ulteriori dettagli alla mappa che stava disegnando. Non lo avrebbe ammesso apertamente, ma la eccitava molto l’idea di realizzare delle cartine di quella terra di cui fino a poco tempo prima ignorava perfino l’esistenza.

«Credo che il nido dei draghi sia su quell’altura» affermò Zabar.

Il demone blu aveva chiesto indicazioni nel villaggio che avevano incontrato un paio di giorni prima, e gli abitanti gli avevano spiegato quali zone evitare per non rischiare di trasformarsi in un arrosto di demone. Ovviamente loro si stavano dirigendo esattamente verso il pericolo.

«Aspettate, qualcosa si sta avvicinando» notò Tenko.

«Qualcosa cosa?» chiese Icarus, chiaramente preoccupato.

La giovane aguzzò lo sguardo, cercando di capire se si trattava di un semplice branco di animali. «Direi… guai.»

«E non del tipo che interessa a noi, mi sembra» ammise Zabar, più deluso che preoccupato.

Fino a quel momento il viaggio dei due demoni e del faunomorfo era stato piuttosto tranquillo, ma ovviamente tale tranquillità non poteva durare per sempre, soprattutto in quelle sconfinate praterie infestate di predoni.

La demone ripose la mappa su cui stava lavorando e fece un rapido controllo dell’equipaggiamento che Icarus aveva costruito durante il viaggio in mare. «Bene, è da un po’ che volevo provare queste armi.»

Il demone si avvicinò al paffuto faunomorfo di tipo orso. «Funzioneranno, vero?» gli chiese a bassa voce.

«Certo che sì… credo.»

«Vi ho sentito» li ammonì Tenko, che aveva appena indossato un elmo di cuoio e metallo.

I due si zittirono immediatamente.

Come anticipato dalla demone, quello che si stava avvicinando era un gruppo di orchi a cavallo di monoceratopi. Molti di loro avevano mazze o rozze spade dalle lame irregolari, ma un paio erano armati di archi di fattura mediocre.

L’elmo della giovane non sarebbe stato sufficiente a neutralizzare un loro colpo diretto, ma avrebbe limitato i danni e avrebbe potuto riparla da un attacco di striscio. O almeno lo sperava.

I banditi formarono un cerchio intorno a loro e li costrinsero a fermarsi.

«Allora, cos’abbiamo qui?» gongolò uno con un sorriso maligno, reso ancora più feroce dall’ampia cicatrice che gli attraversava il volto.

«Sei tu il capo?» gli chiese Tenko senza tanti giri di parole.

«Sono io» confermò l’orco. «Quindi preparati, sarò il primo a-»

La demone sollevò la mano destra e un fulmine partì da sotto il suo palmo. Il malcapitato non ebbe nemmeno il tempo di reagire e venne centrato in pieno. Il suo monoceratopo spiccò un balzo e urlò di paura, scaraventò via il cadavere carbonizzato che aveva in groppa e fuggì.

Una delle armi che Icarus aveva progettato per Tenko era in realtà un supporto per una piccola bacchetta da tenere sotto l’avambraccio. Normalmente i maghi dovevano averla in mano per usarla, ma in realtà era sufficiente il contatto con la pelle per attivare l’incantesimo. Avere una bacchetta celata sotto l’avambraccio era quindi molto pratico, dato che la mano restava libera, ma anche molto efficace per sorprendere il nemico.

La giovane scese dal suo monoceratopo e sguainò la spada. «Ne volete ancora?»

Gli altri banditi si scambiarono qualche sguardo, poi uno degli arcieri prese una freccia e scoccò. Il dardo non fece a tempo a colpire il bersaglio che la demone svanì nel nulla.

Sbalorditi, gli orchi indietreggiarono.

«Che diavoleria è mai questa?!»

«Dov’è andata?»

«Non sarà mica un’inquisitrice?!»

Un grido di dolore attirò l’attenzione dei banditi, che si voltarono all’unisono verso l’arciere che aveva scoccato. Tenko era alle sue spalle, con la lama piantata nel cuore della sua vittima.

«Io… Io me ne vado!»

«Ritirata! Ritirata!»

Gli orchi voltarono i loro monoceratopi e si diedero alla fuga senza pensarci due volte: non valeva la pena di combattere quella straniera.

Zabar, entusiasta per la vittoria, si affrettò a raggiungere Tenko. «Sei stata incredibile!»

«Visto?» intervenne Icarus. «La mia merce è tutta di prima qualità» sottolineò con orgoglio.

«In realtà avrei voluto provare anche la frusta» ammise la demone, che ancora stava tenendo d’occhio i nemici in fuga.

«Suvvia, ho il presentimento che non saranno gli ultimi seccatori che incontreremo» le fece notare il paffuto faunomorfo.

«Poco ma sicuro» annuì la giovane prima di risalire sul suo monoceratopo.

«In effetti Tenko è una calamita per i guai» confermò Zabar. «E se i guai non la trovano, stai pur certo che sarai lei a cercarli.»

Lei gli lanciò un’occhiata eloquente. «Sbaglio o è stata una tua idea quella di cercare l’uomo che sta rivoltando questo continente?»

«Io ti ho solo parlato di lui, sei tu quella che non vede l’ora di combattere gli dei insieme a lui.»

Tenko sfoggiò un sorriso bellicoso. «Oh, ci puoi giurare che non vedo l’ora! Quindi sbrighiamoci a trovare un drago!»

Diede un colpo con i talloni e il suo monoceratopo scattò in avanti.

«Ho sempre voluto domare un drago» ammise Zabar. «E chissà quanti altri mostri ci sono qui! Quando tornerò a sud, avrò moltissime pagine da aggiungere al mio grimorio!»

Icarus scosse il capo, un po’ preoccupato per la pericolosa esuberanza dei suoi compagni di viaggio. «A volte mi chiedo se non sarei stato più al sicuro restando a Meridia. Almeno lì gli unici che mi volevano morto erano i membri del Clero.»

I tre cavalcarono per tutto il giorno, al tramonto si fermarono per far riposare i loro monoceratopi, e poi ripartirono alle prime luci dell’alba. Mantenendo questa tabella di marcia, prima di mezzogiorno raggiunsero l’altura dove – stando ai locali – alcuni draghi avevano fatto il nido.

«Eccoli, li vedo!» indicò Icarus.

«Non hanno le ali piumate» notò Tenko. Vedere le ali da pipistrello di quelle creature aveva risvegliato in lei dei brutti ricordi, ma si sforzò di ricacciarli indietro.

Zabar però sembrava dubbioso.

«Qualcosa non va?» gli chiese il faunomorfo.

«Non mi sembrano draghi» sottolineò il demone. «Credo siano viverne.»

«Fa differenza?» volle sapere la giovane, desiderosa di pensare a qualcosa che non fossero le cicatrici sulla sua schiena.

«I draghi hanno quattro zampe e due ali, mentre le viverne hanno solo due zampe.»

«A noi cambia qualcosa?» aggiunse Icarus, interessato più alle questioni pratiche che alla biologia della fauna locale.

«No, non particolarmente. Mi sembrano abbastanza grandi da essere cavalcate.»

Ben presto anche le viverne, quattro in tutto, si accorsero di loro, e cominciarono a volare nella loro direzione.

«Ok, conoscete il piano» affermò Tenko. Controllò la bacchetta celata e preparò la frusta. «Fate come dico e cercate di non morire.»


Note dell’autore

Sono tornati! :D

Ciao a tutti, in questo capitolo ritroviamo Tenko, Zabar (che magari alcuni di voi conoscono con il suo vecchio nome: Balthazar) e Icarus. Ci è voluto un po’, ma finalmente è arrivato il loro momento ^.^

I tre sono giunti nel continente settentrionale per incontrare Havard, ma per raggiungerlo (in tempi ragionevoli) avranno bisogno di tre draghi/viverne… solo che le viverne in questione non sembrano molto d’accordo XD

Il prossimo capitolo sarà ancora incentrato su Tenko e compagnia, nel frattempo vi lascio i link ai personaggi se avete voglia di ricontrollare i loro disegni chibi (magari tra un po’ mi deciderò a fare anche il disegno di Icarus ^.^").

https://tncs.altervista.org/personaggi/tenko-brrado/

https://tncs.altervista.org/personaggi/zabar-biisto/

Grazie per essere passati e a presto ^.^


PS: ho modificato leggermente il capitolo precedente perché Havard era stato fin troppo moderato (O.O!). Se siete curiosi, le modifiche sono nella parte finale del capitolo, dopo “«Hai detto che a Kandajan siamo stati sconfitti»”.


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