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Autore: Satasana_    07/05/2022    0 recensioni
Luana, 26 anni, vive e lavora nella Trento in cui è nata e cresciuta, fra la sua famiglia, i suoi amici e i suoi amori.
Ma, come per tutte le eroine dei nostri tempi, gli eventi non gireranno sempre a suo favore, spinta a dover affrontare ogni missione che la vita propone.
Questa è la storia di Luana, una normale ragazza, con normali giornate, un normale lavoro e una spiccata tendenza a trovarsi sempre nei guai, con la conoscenza inconsapevole che opinioni altrui e pensieri marci finiscono con il mangiarti dalla parte più profonda del tuo essere.
Genere: Malinconico, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: Incompiuta | Contesto: Contesto generale/vago
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Capitolo 4: Lonely day

 

Such a lonely day
Should be banned
it's a day that i can't stand
The most lonely day of my life

 

Mi ero già accorta che qualcuno aveva messo piede di soppiatto nella mia stanza. Ma non m'importava. Non avevo intenzione di aprire gli occhi per almeno un settimana. Il rumore della serranda mi portò a coprirmi completamente la testa; nonostante le palpebre proteggessero le mie iridi, un dolore lancinante prese spazio nelle mie cavità orbitali alla “vista” del sole che si era introdotto prepotentemente nella stanza,

-Alzati! Fa qualcosa! Non ti posso vedere così- Giacomo tirò via la coperta dal mio corpo e io la ripresi velocemente.

-Non posso, ho la febbre- sussurrai, ricoprendomi e girandomi dalla parte del muro.

-Non mentirmi. Puoi mentire al tuo capo, ma non a me- Lo sentii maneggiare qualcosa vicino al mio comodino. Ma ancora non m'importava.

-Ecco, da adesso stai decisamente meglio, il tuo capo e i tuoi colleghi saranno felicissimi di rivederti a lavoro!- continuò, lanciandomi qualcosa a fianco. Sollevai di poco la coperta e scoprii che quello che era finito accanto a me era il mio telefono. Una chat aperta, il nome del pub, e un messaggino appena inviato da me con tante faccine felici. Gli occhi mi si riempirono di lacrime e un groppo alla gola smorzò l'urlo che avrei voluto emettere.

-Non m'importa, non m'importa, non m'importa!- Mi lamentai, nascondendomi di nuovo nel mio bozzolo felice.

-E invece a me si! M'importa! M'importa anche dell'odore di morte che inizia a uscire dalla tua camera. Sei cinque giorni qui dentro-

-L'odore di morte è il mio corpo in putrefazione- Ribattei. Lo sentii sedersi al mio fianco e mettermi una mano sulla schiena. Sobbalzai, era strano il contatto fisico, dopo che per cinque giorni l'unico calore che avevo sentito era quello delle coperte.

-Se fossi morta non saresti qui a compiangerti e lamentarti- Ridacchiò lui. Non risposi e rimanemmo un attimo in silenzio.

-Mi manca tanto, ma lo odio. Non lo voglio più vedere per un po'. Te l'hai sentito?- chiesi timidamente, girandomi verso di lui.

-Non te lo dovrei dire ma sì, l'ho sentito. Vuoi sapere che mi ha detto?-

-Certo. Anche se fa male- Giacomo sospirò, il suo sguardo era fisso sull'armadio.

-Dice che ha sbagliato, che gli manchi e che sarebbe disposto a fare tutto per tornare con te e...-

-Si ma io no. Mi ha spezzato il cuore- Lo bloccai, trattenendo nuovamente le lacrime.

-Sì, lo so, e ti appoggio. L'ho detto anche a lui. Ma adesso alzati, mangia, lavati e vattene a lavoro... cambia aria ti prego, anche se è difficile- si alzò da letto e mi baciò la fronte, per poi andare via chiudendosi la porta dietro.

Feci un profondo respiro e notai che effettivamente l'odore che mi circondava non era dei migliori. Guardai la giornata luminosa fuori dal mio nido e con uno scatto mi misi seduta sul letto.

 

Con il cuore in gola mi diressi a lavoro, questa volta senza cuffiette. Avevo paura che Davide potesse essere nella mia traiettoria e dunque cogliermi all'improvviso. Rimasi vigile tutto il viaggio, guardandomi intorno ad ogni svolta e vicolo. Giunsi a lavoro un quarto d'ora prima e mi fermai a fumare. Non avevo incontrato nessuno di mia conoscenza ne avevo dovuto scambiare alcuna parola. Decisi di nascondere tutto il mio malessere sfoderando il miglior sorriso, probabilmente se qualcuno mi avesse chiesto qualcosa sarei scoppiata a piangere subito.

Quando entrai nel locale Francesco mi guardò di sbieco e fece un veloce cenno con la testa. Lo salutai con un flebile “ciao” e andai a cambiarmi nei camerini.

La serata andò per il meglio, al contrario di quanto avessi potuto immagine. Alla fine il finto sorriso fu sostituito da qualche risata. I miei colleghi mi accolsero con felicità e mi chiesero come stavo. Riuscii dopo giorni a tirare un sospiro di sollievo. La tristezza riappariva quando incontravo lo sguardo di Francesco. Per tutta la sera mi lanciò occhiate deluse e arrabbiate, seguite da pochi monosillabi in caso gli chiedessi qualcosa. Non me ne preoccupai molto, non avevo bisogno di altri guai in quel momento. Mi dispiaceva si, vederlo così. Ma sapevo anche che non potevo esser la crocerossina di tutti e ignorare me stessa.

Quella sera accettai di buon grado l'invito delle mie colleghe a bere qualcosa fuori. Avevo bisogno di cambiare aria e, il fatto che non avessi nessun rapporto con loro mi spronò ancora di più ad uscirci. Andammo in una discoteca poco lontano dal nostro posto di lavoro. Non ci ero mai stata, ne mi era mai interessato frequentare una discoteca, lo trovavo un posto pieno di gente arrapata e squallida che andava li' solo per rimorchiare. Non mi sbagliavo affatto, appena arrivate un gruppo di ragazzi dall'atteggiamento ambiguo, meglio curati persino di noi con le loro sopracciglia perfettamente geometriche e i loro pantaloni attillati cercarono in tutti i modi di offrirci da bere. La mia collega più grande declinò gentilmente, mentre la più piccola gli urlò qualcosa di incomprensibile facendoli scappare velocemente. Dopo qualche drink decidemmo di muoverci in gruppo verso la pista per ballare. Con la coda dell'occhio vidi che vicino ai nostri posti si erano seduti alcuni colleghi di lavoro, compreso Francesco. Che ci faceva li? Un forte senso d'ansia prese il sopravvento sul mio corpo, ma durò veramente poco perché' i bassi della musica erano troppo forti per far concentrare il mio cervello su qualcosa.

La serata fu' divertente ed estremamente rilassante e alle quattro decisi di avviarmi verso casa. Salutai le mie colleghe che nel mentre avevano rimorchiato qualche ragazzotto e mi ritrovai nel freddo della notte.

-Lu! Aspetta- dopo pochi secondo una voce famigliare spezzò il flusso dei miei pensieri. Mi girai e strinsi il cappotto sul petto.

-Francesco? Dimmi- me lo trovai di fronte, con le mani appoggiate alle ginocchia e i suoi occhi dritti sui miei, le guance arrossate dal gelo e dalla corsa. Il suo petto si muoveva su e giù, a riprendere fiato.

- Davide è venuto a casa in lacrime l'altra sera, sembrava in preda ad una crisi isterica, l'unica cosa che riusciva a dire era che tu gli avevi fatto male. Mi dici cos'è successo? E' forse colpa mia? Per quello che ti ho detto quella sera? Avevo bevuto, non lo pensavo veramente, volevo solo fare un po' il coglione- Disse alterato e preoccupato. Gli misi una mano di fronte come a bloccare le sue parole e scossi la testa. Inspirai profondamente per dare il tempo al mio cervello di elaborare una risposta che potesse non riportare a galla tutti quei quattro anni di soprusi e manipolazione.

-Senti, il mio bel egocentrico, purtroppo oltre te anche altre persone hanno problemi profondi che non vanno a spiattellare ai quattro venti. Non credo di doverti nessuna spiegazione, se sei così preoccupato per la tua incolumità e quella del tuo amico fattelo spiegare da lui-

-Ma io pensavo che fossi...- Lo bloccai, ridendo,

-Fossi?Cosa? Innamorata perdutamente di te dopo quella notte che siamo rimasti a parlare dei nostri problemi? Mi dispiace, ma sei arrivato nel momento sbagliato e nella giornata sbagliata per potermi fare la paternale e farti strane idee sul mio conto. Avresti potuto chiedermi come stavo, invece di preoccuparti per te stesso e per la paura che forse mi piacevi. Ci conosciamo da anni, ci siamo sempre frequentati eppure sembra che non sappiano nulla l'uno dell'altro. Guarda, io adesso me ne vado a casa a dormire, e non credo ci sia più bisogno di inseguirmi e farti venire il fiatone per assicurarti che io non sia innamorata di te- mi girai di scatto e camminai il più veloce possibile per allontanarmi da quella situazione scomoda.
Solo una volta giunta a casa mi resi conto che forse avevo esagerato e la cattiveria gratuita che avevo riversato su di lui era ciò che non riuscivo a fare con il mio appena ex. In realtà non sapevo cosa mi stesse per dire, ma io l'avevo anticipato probabilmente parlando a caso di ciò che mi turbava in quel momento. Francesco era stato il mio capro espiatorio e io mi ero comportata malissimo. Mi affacciai alla finestra e accesi l'ultima sigaretta della giornata, ormai nottata, decidendo se scusarmi del mio comportamento vergognoso o meno. L'avrei dovuto chiamare, gli avrei dovuto mandare un messaggio? O avrei dovuto aspettare di vederlo a lavoro e scusarmi?

Il mio telefono squillò e mi irrigidì. Decisi di finire con calma la sigaretta senza pensare a chi potesse avermi scritto a quell'ora. Un solo nome risuonava insistentemente nella mia testa tanto da farmi pulsare le tempie: Davide. Negli ultimi giorni mi aveva mandato tanti di quei messaggi che molti avevo anche evitato di leggerli. Ormai la sua chat era a senso unico: foto, messaggi lunghi pagine e video ricordo di noi due a cui io non avevo risposto nemmeno una volta.

Chiusi la finestra e presi il telefono, facendo attenzione a non accendere lo schermo. Andai in bagno a cambiarmi e mi coricai, decidendo se guardare o meno il messaggio. Alla fine la curiosità vinse e girai il telefono. Francesco. Due messaggi in chat. Il cuore iniziò a battere forte, che mi avesse scritto per dirmi quanto ero stata cogliona? Indugiai sull'aprire i messaggi ma alla fine cedetti, il mio cervello aveva iniziato a pensare troppo e troppo velocemente tanto da farmi venire la nausea.

Mi dispiace di averti fatto pensare a qualcosa a cui non volevi pensare. Ti ho rovinato la serata e non era mia intenzione. Non volevo nemmeno offenderti. Credo che davvero il nostro rapporto di amicizia si debba limitare a poche semplici frasi e che i nostri incontri siano sempre in compagnia. Ti auguro ogni bene.

E anche se non te lo dimostro, ti voglio bene e mi dispiace per entrambi, non solo per Davide. Scusami ancora se ho avuto paura l'avessi lasciato per quello che ti avevo detto. Buonanotte.”

Rilessi il messaggio più lentamente un altro paio di volte. La nausea era svanita e un torpore dolce si era espanso lungo tutto il mio corpo. Non risposi, mi limitai a chiudere gli occhi e addormentarmi con il telefono sul petto.


 

Passarono due settimane e il senso di depressione che mi attorcigliava lo stomaco sembrava quasi andato via del tutto, erano rimasti solo gli incubi e qualche attacco d'ansia di tanto in tanto. Davide si limitava a mandarmi il buongiorno e la buonanotte. Francesco ed io ci salutavamo come buoni colleghi e niente più. La sera dopo il lavoro era diventato un appuntamento fisso in locali con musica a tutto volume ed ero riuscita dopo anni a fare amicizia con le mie colleghe. La vita non era rose e fiori ma non era nemmeno totalmente merda.

Heyy! Da quanto tempo! Mi manchi, ci prendiamo un caffè?” avevo parlato troppo presto. Giada, la moglie di Francesco, mi aveva chiesto di vederci. Effettivamente era da un po' che non ci sentivamo, quindi non avrei dovuto preoccuparmi. Ma i miei pensieri sembravano moltiplicarsi e viaggiare più veloci della mia ragione e così tante paranoie presero il controllo: e se sapeva che lui mi aveva raccontato dei loro problemi? O che mi aveva detto quella cosa la sera del concerto? O che io gli avevo fatto un monologo in mezzo alla strada? O magari aveva letto i messaggi che lui mi aveva mandato e la mia risposta? Però alla fine la mia risposta non avrebbe fatto presagire nulla di che, era un semplice “Non preoccuparti, ti voglio bene anche io”. Le risposi dopo lavoro chiedendole in modo entusiastico dove, quando e a che ora ci saremo viste e che ero ansiosa di vederla anche io perché mi mancava. Non tardò ad arrivare la riposta: l'indomani alle quattro del pomeriggio nel solito bar di quartiere. Giacomo ruppe il silenzio mentre ancora guardavo lo schermo del telefono, pensando se risponderle con una faccina felice o con un va bene e un bacio

-Che palle Lu, sei sempre pensierosa! E fattela una risata ogni tanto- mi girai di scatto e lo fulminai con lo sguardo. Fece spallucce e mimò la chiusura della sua bocca buttando lontano la chiave. Alzai gli occhi al cielo e risi.


 

Il pomeriggio dopo era arrivato molto velocemente. Passo dopo passo ero arrivata con estrema calma vicino al luogo dell'appuntamento. Mi affacciai da dietro il muro che mi separava dal bar e la vidi seduta di spalle da sola. Le mani iniziarono a sudare anche se la temperatura non superava gli otto gradi. Mi maledissi mentalmente per non essere una bugiarda nata e ingoiai più volte, cercando mentalmente delle risposte a tutte le domande che m'avrebbe potuto porre. Ad un tratto vidi Giacomo, Cassandra e altri nostri amici avvicinarsi al tavolo, con mia grande sopresa si sedettero insieme a Giada e le mie paranoie svanirono in un soffio. Decisa mi diressi anche io da loro e salutai tutti. Giada si alzò a darmi due baci e nella mia testa risuonarono come quello di Giuda. Voleva forse umiliarmi pubblicamente? Però dopotutto io non avevo fatto niente! Le paranoie tornarono veloci come se n'erano andate.

-Volete prima ordinare o sapere perché vi ho riunito tutti qui?- Giada esordì con la sua voce cristallina e guardò ognuno di noi negli occhi con un grande sorriso stampato sulla faccia.

-Beh, direi prima di sentire quello che hai da dire, così almeno non rimaniamo sulle spine!- Presi parola sorridendo nervosamente. Giacomo mi lanciò un'occhiataccia.

-Beh ragazzi...- Iniziò Giada, cercando qualcosa dalla borsa. Ecco lo sapevo, ha stampato la nostra breve chat in modo che potesse leggere per bene ciò che Francesco mi aveva scritto in modo da chiedere informazioni più approfondite e farmi cadere nella più profonda vergogna?

Ma quello che vidi fu' l'ultima cosa che potevo aspettarmi.

-Sono incinta!- esclamò, e la sua bocca si allargò in un sorriso ancora più luminoso. Tutti si alzarono a congratularsi e a vedere l'ecografia che teneva nelle mani. Io rimasi seduta, sorridendo e stringendo i braccioli della sedia. Sussurrai un “io mi alzo quando le lasciate un po' d'aria” ma non ero sicura che qualcuno mi avesse prestato attenzione.

Oh cazzo. Forse era meglio l'umiliazione. 


 

   
 
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