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Autore: camillodevito    08/05/2022    1 recensioni
Come ci si sente dopo un suicidio?
Genere: Mistero, Noir, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: What if? | Avvertimenti: Incompiuta
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ALBA DORATA

 

1243 parole

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Mi svegliai con la sensazione di aver dormito, finalmente, la prima notte di quiete della mia vita.

Mi stirai come un gatto, inarcai il corpo fremendo, le braccia indietro, dita ad artiglio, gambe e piedi stesi in un brivido di piacere.

"Mmmmhhh...!"

Mi stropicciai gli occhi.

Avevo dormito davvero bene, ero riposato come non ricordavo di esserlo mai stato.

Guardandomi attorno non riconobbi la stanza.

Una buia cameretta con due letti a castello che occupavano i lati più lunghi.

Una finestra stretta e bassa correva raso il soffitto.

Il pavimento in linoleum coperto di bolle mimava un parquet sbiadito, giallastro, macchiato.

Mi avvicinai all'armadio.

Non riuscivo proprio a riconoscere dove fossi.

Cercavo uno specchio dove guardarmi appena svegliato, come al solito.

Mi passai una mano sulla testa.

I miei capelli erano lunghi.

Da anni li portavo cortissimi...

A tentoni arrivai al bianco di una porta scrostata; cercai tastando sulla parete un interruttore.

Si accese la luce fioca di una lampadina appesa ad un filo.

Abbassai lo sguardo sul mio corpo: nudo, abbronzato.

Più snello e meno muscoloso, com'ero da ragazzo.

Mi venne da sorridere: non capivo.

Sono sempre stato sottile, ma ultimamente ero diventato più muscoloso...

Le mani, le aprii davanti a me: la pelle liscia, elastica, le dita snelle ed abbronzate, le unghie risaltavano chiare.

Sempre più confuso, di ottimo umore, però.

E riposato, l'ho già detto, come non ero mai stato.

Non ricordavo di aver mai avuto tanta energia.

Improvvisa mi venne alla mente C.

Dovevo tornare subito a Padova, avevo bisogno di vederla, sentivo il bisogno di guardarla negli occhi, di sentire il suo odore, di guardarne il sorriso schivo.

Tentai la porta ma era chiusa, la maniglia arrugginita non si muoveva.

A be' questa...

Mi guardai intorno alla ricerca di qualcosa che permettesse di aprirla in qualche modo

La luce fioca e giallastra illuminava i due letti a castello.

Non ero solo.

Raggomitolato in posizione fetale un tipo, vestito solo da una maglietta bianca, giaceva sul più basso di uno dei letti.

"Ehi!" mormorai piano.

Nessuna risposta: chiamai più forte.

Niente, non si muoveva, era girato verso il muro, i corti capelli brizzolati e la schiena coperta dalla t shirt bianca erano le uniche cose che distinguevo bene.

Mi avvicinai per scuoterlo:" Scusami, mi scusi..." toccandolo dolcemente su una spalla.

Nessuna reazione; provai allora a scuotere quel corpo che aveva qualcosa di familiare ma non ricordavo chi fosse...

Quell'uomo era freddo.

Di quel freddo strano, innaturale che hanno i corpi senza vita

Continuavo a non capire la situazione ma non mi preoccupava: sentivo di essere in grado di risolvere agevolmente qualunque problema.

Ero curioso, però.

Chi era il mio compagno di stanza?

Comunque adesso dovevo trovare in fretta da vestirmi e raggiungere l'auto che mi aspettava fuori ed arrivare a Padova dove avrei cercato Cl.

"Ehi signore, signore" chiamai più forte, tornando a scuotere quel corpo familiare.

Lo voltai, visto che non sembrava essersi accorto di me.

Gli occhi spalancati, fissi sul nulla, la bocca coperta di schiuma, il volto bianchissimo alla luce gialla della lampadina, stringeva sul petto una bottiglia.

Gliela sfilai dalle mani: metadone, mezzo litro.

Ero io.

Non so perché ma mi salì una risata piena, scuotente, fragorosa dal petto, mi piegai in avanti dal ridere.

A quel punto l'unico istinto che sentii fu quello di uscire, uscire da quella tomba dalle pareti chiazzate di muffa.

Tornai alla porta, allungai una mano sulla maniglia con impeto e...passai attraverso quel sudicio uscio.

La trassi indietro, la mano, poi di nuovo in avanti tra il legno imbarcato da cui si staccavano squame di vernice un giorno bianca.

Allungai il braccio, passò anche quello, quasi quella barriera fosse di nebbia, a quel punto passai attraverso la porta e...mi ritrovai in un lungo corridoio buio.

La luce della luna piena entrava attraverso la finestra in fondo, sulla destra uno specchio la rifletteva.

Mi guardai.

I miei capelli erano lunghi, onde scure mi incorniciavano il volto, gli occhi grandi si stagliavano bianchi e neri.

Io a trent'anni, ma ero io.

Risi di nuovo fragorosamente, il bianco dei denti illuminarono il volto, abbronzato anche alla luce della luna.

Mi diressi verso la finestra che si apriva sui tetti, i coppi lucenti di brina.

La spalancai, allungai le gambe e scivolai sul tetto: Gino e Lilly, i miei due gatti maschio e femmina mi aspettavano seduti, eretti, le code avvolte intorno al corpo e gli occhi d'oro che mi fissavano pazienti.

Uno accanto all'altro, blu Gino e color lilla Lilly, la luce della luna li illuminava di una aura d'argento.

Eccoli lì, e non mi sorpresi affatto mi aspettassero.

Anche se ricordavo, ora con serenità, che erano morti tutti e due mentre ero in quello che cominciavo a riconoscere come il convento muffito dove mi avevano rinchiuso.

"Dai belli, torniamo a Padova" dissi prendendoli in braccio, pesanti, e morbidi e caldi, cominciarono a ronfare sincroni, elettrici sotto le dita.

Con i gatti sottobraccio mi avviai sicuro, sentendo il freddo e l'umido sotto i piedi scalzi che aderivano alla curva delle tegole, cercando di arrivare all'auto.

"Ma 'ndo cori!" mi sentii chiamare.

Mi voltai.

Un volto ovale, pallido, i capelli tagliati a frangetta e lunghi alle spalle, neri, lisci, pesanti e lucenti alla luce d'argento.

Nuda anche lei, i seni piccoli, sodi e rotondi, la pelle candida, gli snelli piedi eleganti, la pancia piatta, morbidamente femminile, le lunghe gambe,un triangolino nero perfettamente rasato.

Alzò la mano destra verso di me e l'agitò col palmo aperto, sorridendo scherzosa con i bei denti bianchi.

Mi fissava con grandi occhi a mandorla, ridenti,verde oro,Cleopatra come la immaginavo, pensai...

Aveva la stessa allegria spensierata che si era impadronita di me.

Sorrisi anch'io.

"So' Simo, te sto' aspetta' da mo'..." rise inclinando il capo verso una spalla, agitando la mano.

"Ciao Simo, bella, ci siamo mai visti?"

"Eh hai voglia se t'ho visto...Tu nun te ricordi, manco m'hai notata allora, facevo l'infermiera là dove hai cominciato a lavorà, a Roma..."

"Cioè, cioè, nello studio di ... sul lungotevere?

E no che non mi ricordavo, c'erano tante di quelle ragazze intorno a Giancarlo che mi chiedevo con che scusa le giustificasse alla moglie: una riempiva la siringa, un'altra glie la portava un'altra ancora eccetera.

"No non mi ricordo, ma come ho fatto a non notarti non capisco..."

"Be', dotto', c'avevi altro per la testa, l'avevo capito.Tu e Giancarlo ve chiudevate sempre in stanza..."rise di cuore, divertita.

Posai con delicatezza i gatti sul tetto umido.

Mi avvicinai a Simo.

Guardandola negli occhi, le nostre mani si intrecciarono.

"Era ora! Me stavo a stufa'!" rise lei.

Mi accorsi che per tutta la vita avevo aspettato solo quel momento, l'incontro con lei, con i miei gatti, con le cose che più amavo, anche quelle che non avevo mai incontrato.

O che mi erano sfuggite, sempre desiderandole senza saperlo.

Adesso avevo capito tutto.

Senza bisogno di parlarci ci avviammo verso l'alba rosa ed oro che cominciava a colorare le nuvole all'orizzonte.

Tenendoci così, per mano, Gino cominciò a seguirmi, Lilly dietro di lei, le code dritte, a passi dignitosi, la rosea macchia sotto la coda si stagliava nella luce dell'alba salutando quella che era stata la mia esistenza...

Mi suonò in mente, mentre mi giravo un attimo per controllare ci seguissero, una musica che nell'altra vita mi sembrava  vecchia: "Don't look back", Them.

Capii che tutte le musiche suonate in ogni tempo erano state sempre qui, in questa vita, insieme e per sempre...

 

 

 

 

 

 

 

   
 
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